La Voce 15

Le due vie al comunismo

venerdì 16 maggio 2003.
 

Alcuni compagni mettono in dubbio che l’umanità stia andando verso il comunismo. Secondo loro il comunismo è un ideale, un obiettivo molto positivo, un auspicabile progetto etico e culturale. Ma quanto alla possibilità di raggiungerlo, tutto resta ancora da vedere. Una posizione di questo genere è stata ripetutamente espressa ad esempio sulle pagine di Il Futuro, rivista che in qualche modo fa parte dell’area della Assemblea Nazionale Anticapitalista (ANA, ex MPA). Questa posizione si apparenta in qualche modo ad altre che con vari argomenti sostengono che il comunismo è possibile o non è possibile, è compatibile o non è compatibile con una supposta "natura umana" che essi, al modo dei preti, immaginano fissa e immutabile (vedasi ad esempio la dissertazione di Costanzo Preve in Rosso XXI n. 13). Si apparenta anche ad altre posizioni riassunte nella celebre e sciocca alternativa "socialismo o barbarie". Queste posizioni hanno in comune la concezione che il comunismo sarebbe un progetto di società elaborato dai fondatori del movimento comunista, che al contrario hanno sempre e ostinatamente negato di aver elaborato un progetto di "società migliore" da proporre in alternativa alla società reale e hanno sempre ostinatamente dichiarato di avere solo decifrato il cammino che la società reale stava seguendo. La concezione del comunismo-progetto crea il terreno adatto anche alla proclamazione della "morte del comunismo" che a gran voce e con sollievo altrettanto grande la borghesia ha annunciato dopo che negli anni 1989-91 sono crollate gran parte delle istituzioni create dalla prima ondata della rivoluzione proletaria. Questa concezione infatti nega che il comunismo sia lo sbocco della strada che la società attuale sta percorrendo, il filo conduttore delle trasformazioni (più o meno traumatiche o graduali) che essa sta compiendo, la china lungo la quale l’umanità si muove (una china da favorire o a cui resistere). Invece presenta il comunismo come una opzione, un ideale per cui combattere o da rifiutare. Il corso delle cose di questi ultimi anni favorisce questa concezione idealista, la rende credibile. A partire circa dalla metà degli anni ‘70 in tutto il mondo (nei paesi imperialisti, nei paesi oppressi e nei paesi socialisti) è iniziato, con la seconda crisi generale del capitalismo e il ripiegamento del movimento comunista, un generale e temporaneo regresso. Condizioni di civiltà e di benessere che le masse popolari avevano strappato nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria sono gradualmente distorte, ridotte o eliminate. La barbarie capitalista rioccupa gradualmente anche quei pochi spazi della vita individuale e sociale da cui la prima ondata della rivoluzione proletaria l’aveva almeno in qualche misura scacciata. Cose che, come l’assistenza sanitaria, l’istruzione e il diritto per i lavoratori di organizzarsi, avevano cessato di essere merci o autorizzazioni delle autorità ed erano state entro certi limiti resi accessibili a ogni lavoratore e ai suoi familiari secondo i loro bisogni e le loro capacità, sono nuovamente trasformati in merci o concessioni delle autorità, in beneficenza di cui lavoratori possono nel migliore dei casi godere sotto il controllo dell’autorità. Questo generale arretramento del benessere e della civiltà della massa della popolazione, questo ritorno in forza della vecchia barbarie capitalista, benché in condizioni largamente mutate che la rendono più intollerabile di quanto lo fosse 100 anni fa e di fatto neanche totalmente restaurabile (una semplice epidemia come la polmonite atipica basta a ricordarlo), ha offerto e offre una certa credibilità, presso chi osserva il movimento della realtà al modo degli empiristi, (1) alla concezione che l’umanità ha di fronte a sé due o più strade divergenti tra le quali scegliere: il socialismo o la barbarie. Ma allora perché no anche l’Armageddon dei correligionari di G.W.Bush o il paradiso di Karol Woityla o qualche altro sogno visionario? 

Tutte queste cose si basano su una concezione del mondo e della storia umana assolutamente aliena al marxismo e inconciliabile con esso. 

Il marxismo sostiene che "la fine della borghesia e la vittoria del proletariato sono entrambe inevitabili" (Manifesto del partito comunista, 1848). La storia umana mostra un lungo e costante sviluppo, non privo di temporanei o locali arretramenti, verso un maggiore dominio degli uomini sulla natura e sulle condizioni della loro riproduzione, conseguito tramite lo sviluppo della loro organizzazione sociale, delle loro forze produttive materiali e intellettuali e della loro coscienza. Questo sviluppo ha portato negli ultimi secoli alla nascita della produzione mercantile, del modo di produzione capitalista e della corrispondente società borghese. Questa per le sue proprie condizioni, per la sua propria natura, per le sue proprie leggi non può "restare in se stessa", ma porta inevitabilmente alla società comunista. Essa ha già creato in se stessa anche la classe che lotta per l’avvento della società comunista e che trova solo nella società comunista la sua emancipazione dalla soggezione ai capitalisti, soggezione che implica i malanni contro cui i suoi membri, bene o male, con più successi o più sconfitte, individualmente o collettivamente, lottano quotidianamente. La marcia degli uomini e delle donne verso la società comunista è quindi inevitabile, come il parto di una donna incinta e lo scioglimento delle nevi all’avvicinarsi dell’estate. Anche se, d’altra parte, è impossibile prevedere quando e in quali forme sorgerà la società comunista. (2)

Per la sua natura la società comunista per venire al mondo deve diventare anche un ideale perseguito coscientemente almeno da una parte importante del proletariato. Il comunismo è il movimento pratico di superamento della società borghese, ma questo superamento può completarsi solo come atto di volontà della classe operaia. Esso è infatti la gestione della società da parte dei lavoratori associati. 

A differenza delle società che si sono finora succedute nella storia, la società comunista per sua natura non può quindi venire al mondo all’insaputa dei suoi protagonisti, "alle loro spalle" per così dire: gli uomini non possono "farla" senza saperlo. Gli uomini si sono fatti una coscienza della società capitalista, mercantile, feudale, schiavista solo dopo averle realizzate o addirittura superate nella pratica. Al contrario la società comunista viene al mondo solo dopo che, in qualche misura, si è imposta anche come aspirazione e progetto nella mente e nei sentimenti dei lavoratori ed è diventata l’obiettivo perseguito da un movimento cosciente e organizzato. Ma è la sua necessità pratica, come sbocco inevitabile del capitalismo e superamento delle sue contraddizioni da cui siamo lacerati nella pratica quotidiana, che fa sorgere negli uomini e nelle donne l’aspirazione al comunismo e le concezioni e i sentimenti adatti e necessari al suo avvento, che pone il comunismo anche come oggetto della mente e del cuore delle masse della popolazione e anzitutto della classe operaia - cioè della massa dei lavoratori. 

Se l’avvento del comunismo è certo e inevitabile, al contrario sono ancora in gran parte (cioè salvo che per la parte già messa in luce dalla breve esperienza del movimento comunista e in particolare dei primi paesi socialisti) ignote le forme, i tempi, i modi, gli istituti e le istituzioni, le lotte e le vicissitudini attraverso cui si realizzeranno 1. la trasformazione in massa dei proletari dal loro attuale stato di asservimento ai capitalisti allo stato di lavoratori intellettualmente e moralmente capaci di costruire una associazione che diriga la società e 2. l’eliminazione prima della direzione attuale che su di loro esercita la borghesia imperialista e poi anche della direzione della loro stessa avanguardia comunista. Questo e solo questo è l’oggetto del contendere della lotta tra le classi in questa epoca. Il risultato di questa lotta è invece già definito dai presupposti esistenti nella società attuale e che determinano la lotta stessa. Gli uomini e le donne non hanno davanti a sé due o più destini egualmente possibili tra cui essi dovrebbero e potrebbero scegliere: il socialismo, la barbarie, Armageddon o che altro. La concezione secondo cui il socialismo o la barbarie sarebbero ugualmente possibili deriva semplicemente dalla relativa soddisfazione della società attuale, dalla soddisfazione per le conquiste di civiltà e benessere che le masse popolari hanno strappato durante la prima ondata della rivoluzione proletaria; riflette lo stato d’animo della parte delle masse popolari che più ha goduto di quelle conquiste; riflette la mancanza di senso storico dei suoi portavoce e il suo panico di fronte al progredire della nuova crisi generale del capitalismo con la connessa eliminazione delle vecchie (benché recenti) conquiste. È la mentalità dei partigiani del "meno peggio" e della difesa dello stato attuale. 

Lo studio della storia umana e la comprensione del filo conduttore, della "ragione" del suo sviluppo ha al contrario portato noi comunisti alla conclusione che "con il superamento della società capitalista ha termine la preistoria della società umana" (Marx - prefazione a Per la critica dell’economia politica - 1859). È la fine della barbarie, del regno della necessità, dell’epoca dello sviluppo inconsapevole e spontaneo dell’umanità e l’inizio del regno della libertà. Secondo i marxisti non sono la cultura e la morale degli uomini che esigono il comunismo come realizzazione storica e materiale di esse. Al contrario è l’avvento del comunismo come stadio necessario dello sviluppo pratico degli uomini e delle donne che suscita in essi la cultura e la morale del comunismo - come F. Engels bene illustra nel suo Anti-Duhring (1876-1878). 

Queste tesi sono state enunciate da Marx ed Engels più di 150 anni fa. Per alcuni decenni esse furono solo deduzioni tratte dallo studio scientifico (quindi non dalla semplice osservazione empirica) della natura del modo di produzione capitalista e della società borghese e delle contraddizioni che determinavano il loro sviluppo. Come l’esistenza e il passaggio della Cometa di Halley ed altre tesi dell’astronomia e della fisica furono enunciate prima di essere confermate sperimentalmente, a dispetto degli empiristi, perché lo studio scientifico della realtà sperimentale ne indicava l’esistenza anche se essa non cadeva ancora nel raggio di azione dei sensi e degli strumenti di osservazione. Da quando è iniziata l’epoca imperialista del capitalismo, l’epoca del suo declino e delle prime rivoluzione socialiste, queste tesi sono diventate anche un dato sperimentale. Esiste ormai una abbondante massa di dati sperimentali che confermano inequivocabilmente che gli uomini stanno andando verso il comunismo, sul piano pratico e sul piano dei loro sentimenti, della loro cultura e della loro morale. Non solo. 

La storia dell’epoca imperialista, cioè dei circa 130 anni che abbiamo alle spalle, mostra chiaramente che gli uomini e le donne stanno compiendo e quindi possono compiere i loro primi passi verso il comunismo per due vie sostanzialmente diverse. Si tratta di due vie che portano inequivocabilmente nella stessa direzione ma in modo molto diverso: due vie che però prima o poi dovranno confluire in una sola via. La lotta tra queste due vie è ancora oggi l’oggetto della lotta tra la classe operaia e la borghesia imperialista. Questa è la tesi che si vuole illustrare e sostenere in questo articolo.

Quali sono le due vie al comunismo? 

1. Una è la via oggi ancora minoritaria. È la via della creazione di paesi socialisti, cioè di paesi diretti dalla classe operaia tramite il suo partito comunista e le sue organizzazioni di massa. Tramite una guerra popolare rivoluzionaria vittoriosa, la classe operaia, alla testa delle masse popolari, distrugge lo Stato della borghesia imperialista, toglie il potere ad essa e alle altre classi reazionari sue alleate, instaura un nuovo tipo di Stato (che noi comunisti abbiamo chiamato "dittatura del proletariato" e che è stato a priori ben illustrato dall’opuscolo Stato e rivoluzione di Lenin e mostrato nella pratica dall’esperienza dei primi paesi socialisti), instaura la proprietà pubblica dei mezzi e delle condizioni della produzione che la borghesia imperialista ha già concentrato nelle sue mani come proprietà personale dei capitalisti o come proprietà delle loro organizzazioni, attua quelle misure che per il nostro paese abbiamo riassunto nelle Dieci Misure Immediate. Con ciò la classe operaia avvia un periodo di trasformazione dei rapporti di produzione, del resto dei rapporti sociali, delle idee, dei sentimenti e dei comportamenti degli uomini e delle donne. Questo periodo di trasformazione prima o poi sfocerà nella società comunista.

Questa è la via che più abbrevia e attenua i dolori del parto della società comunista. I primi paesi socialisti costituiti durante la prima ondata della rivoluzione proletaria a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre (1917) e dalla creazione della Unione Sovietica sono state le prime manifestazioni, quanto si vuole rozze e ingenue, di questa via al comunismo. La seconda ondata della rivoluzione proletaria che oggi, benché ancora con fatica, si apre la strada in tutto il mondo, edificherà nuovi e più avanzati paesi socialisti. Il nostro obiettivo è che i nuovi paesi socialisti, che saranno creati nel corso della seconda ondata della rivoluzione proletaria, proseguano la loro vita con continuità fino all’avvento della società comunista, senza gli arretramenti che i primi paesi socialisti hanno subito a partire dalla metà degli anni ‘50 del secolo scorso fino al crollo del 1989-91.

2. L’altra via è quella che hanno finora seguito la maggior parte dei paesi e in particolare i paesi imperialisti. È la via ancora oggi prevalente. La borghesia imperialista mantiene nelle sue mani la direzione della società, ma è costretta dall’azione combinata 1. delle lotte della classe operaia e del resto delle masse popolari, 2. del carattere sempre più collettivo delle forze produttive e della complessiva attività economica, 3. del carattere sempre più organico della società costituita dalla popolazione dell’intero pianeta, a creare istituti e istituzioni che tengono conto delle nuove condizioni sociali in cui oggi vivono gli uomini e le donne conciliandole in qualche modo con la sopravvivenza della proprietà capitalista delle forze produttive, con la direzione della borghesia imperialista sulla società intera e con l’antagonismo di interessi proprio della società borghese. Marx ha intravisto la nascita di quegli istituti e di quelle istituzioni studiando la dialettica del modo di produzione capitalista e della società borghese e li ha chiamati Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS). (3)

A partire dai primi secoli del secondo millennio dopo Cristo, si è determinato in Europa una evoluzione della società che ha portato uomini e donne a dipendere non più (quasi ancora come gli altri animali) dalle condizioni naturali immediatamente disponibili nell’ambiente in cui le singole piccole comunità risiedono, bensì a dipendere sempre più strettamente e sempre più profondamente l’uno dall’altro a livello di grandi regioni e infine planetarie, nell’ambito però di un ordinamento sociale (come quello capitalista e, più in generale e prima ancora, quello mercantile) che esclude legami di dipendenza personale (come quelli che invece esistono nella società schiavista e nella società feudale) e dissolve i legami diretti e tradizionali di solidarietà delle comunità primitive e "naturali" (come quelli tra i membri della stessa famiglia, clan, tribù o vicinato). Ma quanto fin qui detto lascia ancora in ombra l’aspetto principale della situazione che quell’evoluzione ha determinato, e precisamente il suo aspetto nuovo, proprio quello che è il presupposto già oggi esistente del futuro ordinamento sociale verso cui è incamminata l’attuale società. Nell’ambito della produzione mercantile uomini e donne non dipendono genericamente l’uno dall’altro, come membri di pari dignità di una società i cui membri producono e riproducono le condizioni della propria esistenza tramite la produzione individuale di merci (cioè in una economia mercantile semplice). Uomini e donne dipendono invece precisamente dalle condizioni sociali della produzione, dallo "andamento generale degli affari", dallo "andamento generale dell’economia". Non si tratta né della dipendenza personale da questo o quel vicino, né della dipendenza dall’insieme dei vicini, né della dipendenza da questo o quel signore o padrone. Bensì si tratta della dipendenza universale da un processo sociale. "Non esiste più il cuore dello Stato", "il sistema è diventato anonimo e inafferrabile" cinguettano i fautori dell’abbandono di una lotta di classe che invece prosegue implacabile. Come se il carattere impersonale del modo di produzione capitalista fosse una novità sopravvenuta or ora a giustificare la loro personale defezione o addirittura il loro personale passaggio al nemico. In realtà il modo di produzione capitalista è anonimo fin dalle sue origini: sia perché fin dalle sue origini è per sua natura affidato a una pluralità di capitalisti ognuno dei quali è sostituibile ed è sostituito anche se la sua intera schiatta è eliminata; sia perché esso appoggia e si sviluppa sulla base di una economia mercantile sempre più ampia e diffusa che, essa stessa, crea un legame sociale sempre più anonimo e nello stesso tempo sempre più ramificato e ferreo. Il grande ruolo svolto dal modo di produzione capitalista nello sviluppo dell’umanità consiste nell’aver portato alle estreme conseguenze il carattere mercantile dell’attività economica degli individui, nell’avere, in più, espropriato i singoli individui delle condizioni e dei mezzi necessari per svolgere la loro attività produttiva e nell’averle concentrate paese per paese e infine anche a livello mondiale nelle mani di pochi individui (i membri della borghesia) e, infine, nell’aver reso sociale anche il processo diretto di lavorazione: le merci (beni e servizi) non sono più prodotti del lavoro di singoli individui (artigiani), ma prodotti di un lavoro suddiviso tra i componenti di collettivi (di stabilimento o di società). La divisione sociale del lavoro (per cui unità distinte e indipendenti producono beni e servizi come merci) è duplicata dalla divisione tecnica del lavoro (per cui più salariati dello stesso capitale contribuiscono ognuno con una sua mansione alla produzione della stessa merce che quindi non è più per nessun verso un prodotto individuale di nessuno dei lavoratori che ha contribuito a produrla). 

Quanto all’andamento di questo processo sociale, ogni capitalista si arroga la padronanza su parti ed aspetti più o meno importanti di esso. Ognuno dei membri della classe borghese svolge con la sua personale iniziativa un ruolo più o meno importante nell’animarlo e orientarlo. Ma per quanto le condizioni e i mezzi necessari all’intera società per produrre siano concentrati (a livello di paese e a livello mondiale e) in poche mani, nessun capitalista individualmente domina in modo completo e duraturo il loro impiego, né lo domina alcuna associazione di capitalisti, neanche la più comprensiva, estesa e vincolante che è lo Stato, nonostante tutti i suoi poteri e strumenti coercitivi. L’impossibilità del dominio completo e duraturo sorge da due lati. Da un lato ogni capitalista (e i capitalisti singoli o associati non sono altro che "funzionari del loro capitale") per valorizzarsi - cioè per produrre e accumulare prodotti - deve produrre e vendere merci, quindi deve contrapporsi come venditore e compratore ad altri capitalisti rispettivamente compratori e venditori. Dall’altro lato ogni capitale deve contrapporsi ai proletari come compratore della forza-lavoro di cui quelli sono venditori liberi da vincoli personali con alcun singolo capitalista; in più una parte importante dei capitali devono contrapporsi anche come venditori ai proletari in quanto compratori di merci anche in questa veste liberi da vincoli personali con alcun singolo capitalista. 

I membri della classe dominante sono i funzionari, gli amministratori, i portavoce e i tutori di un processo sociale, del relativo ordinamento sociale e delle leggi di funzionamento che gli sono proprie. Ma nessuno di essi può indirizzarlo a suo arbitrio né lo può la loro unione o associazione, neanche lo Stato, perché - come sopra visto - esso è per sua natura, costituzionalmente, basato su interessi antagonisti e inconciliabili, e le sue leggi si fanno valere tramite lo scontro di interessi contrapposti, impersonati da individui che li ignorano e che comunque non possono sottrarsi alle leggi loro proprie, come il clero non può cessare di essere clero finché non scompare la chiesa, quali che siano il disagio e il comportamento dei singoli preti. Si tratta, come già visto, del contrasto di interessi della borghesia rispetto a quelli del proletariato e del contrasto tra gli interessi dei singoli borghesi (o delle loro "private" associazioni). 

Uomini e donne sono così venuti a dipendere non da altri uomini o donne, ma da un processo sociale che nessuno domina pienamente, che per sua natura non può essere dominato pienamente (la cultura borghese esprime questo con "leggi naturali dell’economia") né impedirsi di procedere per successive deviazioni di segno opposto (le vecchie crisi cicliche e gli attuali cicli ripresa/recessione), che obbedisce a una legge generale (l’accumulazione illimitata di capitali) che per sua natura prima o poi entra in contrasto inconciliabile con le sue condizioni materiali e sociali (il numero limitato di lavoratori, la devastazione dell’ambiente, ecc.) e con le stesse leggi particolari della sua attuazione: ciò che dà luogo alle "crisi generali per sovrapproduzione assoluta di capitale".(4) La classe dominante - la borghesia imperialista - impedisce di sostituire da cima a fondo il processo sociale che essa impersona con un processo sociale meditato, pensato, deciso e quindi consapevolmente realizzato. Un nuovo processo sociale che affida la riproduzione della società a una attività economica della società che si sviluppa secondo un piano e che distribuisce secondo un piano i suoi prodotti: il comunismo appunto. La borghesia ha creato le premesse e le condizioni di esistenza di questo nuovo processo sociale. Gli uomini delle donne hanno bisogno di questo nuovo processo sociale. I presupposti per dare vita a questo nuovo processo sociale già esistono in larga misura. Ma esso può essere imposto contro di interessi costituiti e i loro difensori solo dalla lotta della classe operaia alla testa del resto delle masse popolari. Una lotta che da una parte neutralizzi e soffochi l’opposizione accanita e senza limiti della borghesia imperialista e dall’altra diriga il processo di apprendimento e di invenzione che la stessa classe operaia e il resto delle masse popolari devono compiere per trovare e mettere a punto gli istituti e istituzioni adeguati al nuovo processo sociale e rendere le proprie idee, i sentimenti, i comportamenti e le relazioni degli individui adatti e conseguenti con esso.

I primi paesi socialisti sono stati per circa 40 anni (1917-1956) il primo cantiere su grande scala, su scala planetaria, di questa trasformazione dell’umanità; il primo passo del passaggio dalla preistoria alla storia, dal regno della necessità (dell’asservimento senza appello a un’entità astratta da ogni singolo individuo, da ogni associazione di individui, ma tremendamente reale e irresistibile almeno quanto il Dio delle vecchie religioni) al regno della libertà: dell’associazione degli uomini e delle donne che, associati, decidono delle proprie azioni e del proprio avvenire.

Ma forse che la società ancora dominata dalla borghesia imperialista non ha compiuto, a sua maniera, alcuni passi verso l’ordinamento futuro dell’umanità? Fosse che l’aurora del nuovo mondo non riverbera già in qualche misura i suoi colori sul nostro attuale mondo in modo sufficiente per rendere certo quale sarà il nuovo giorno che si sostituirà all’attuale barbarie? 

La società borghese dell’epoca imperialista ha effettivamente compiuto passi di questo genere. Ovviamente ognuno di essi, stante il perdurante dominio della borghesia e la sopravvivenza dell’ordinamento sociale capitalista, si presenta principalmente "negativo": come costrizione e limitazione alla tendenza e agli spiriti vitali dell’ordinamento borghese, anziché come avvio e come germe del nuovo e superiore ordinamento sociale. Ognuno di essi ovviamente, stanti i limiti dello sviluppo intellettuale e morale a cui lavoratori possono accedere nell’ambito della società borghese e senza l’ausilio dell’esperienza diretta del ruolo che eserciteranno nella nuova società e stante il dominio sociale della borghesia che riverbera la luce sinistra della sua barbarie in ogni campo della vita individuale e sociale, si presenta principalmente come licenza irresponsabile della massa dei lavoratori, anziché come iniziazione al nuovo ordinamento sociale. Ciò premesso, quali sono questi passi? Si tratta: 

1. dei mille istituti e delle mille misure, con il connesso apparato istituzionale, che attenuano e in qualche modo regolano i contrasti tra i singoli capitalisti e tra le loro "private associazioni" (tra i gruppi capitalisti), impongono alle attività volte ad accumulare capitali di mantenersi entro determinate regole e cercano di renderle congruenti con interessi e obiettivi di interesse pubblico: con la sopravvivenza delle condizioni naturali e sociali dello stesso processo di accumulazione del capitale;

2. dei mille istituti e delle mille misure, con il connesso apparato istituzionale, che attenuano i contrasti tra l’insieme della borghesia e le masse popolari (in particolare la classe operaia) e in qualche misura tutelano le masse popolari dalle manifestazioni più estreme delle tendenze distruttive del modo di produzione capitalista sulla loro vita e favoriscono il loro sviluppo culturale e morale e la diffusione dell’esperienza a organizzarsi e dirigersi. 

Appartengono al primo gruppo la moneta fiduciaria internazionale e il sistema monetario internazionale, i regolamenti nazionali e internazionali del sistema monetario, finanziario, commerciale e produttivo (gli standard di qualità e i sistemi di uniformazione), le norme igienico-sanitarie sui prodotti e sulle lavorazioni, i limiti posti alla concorrenza, la protezione dei brevetti, le norme per la protezione dell’ambiente dal saccheggio a cui tende l’accumulazione illimitata di capitale, gli incentivi pubblici per la ricerca e a sostegno di determinati settori produttivi, le politiche statali anticongiunturali e di sviluppo, gli ordinamenti per i servizi pubblici, per l’uso del territorio e per le costruzioni, le licenze per l’esercizio di attività produttive, l’introduzione di politiche economiche e industriali, il ruolo economico e sociale degli Stati e delle loro associazioni, ecc.

Appartengono al secondo gruppo i sistemi di contrattazione collettiva del salario e delle condizioni di lavoro, le norme relative alle prestazioni lavorative e a tutela della salute e in qualche misura anche dei diritti civili e politici dei lavoratori, sistemi nazionali che in qualche misura assicurano redditi minimi per i proletari privi di reddito (i disoccupati, gli emarginati, i malati, gli invalidi, i vecchi, gli orfani), i sistemi scolastici e sanitari più o meno gratuiti e pubblici, le norme di igiene e di ordine pubblico, le misure di protezione delle donne, dei bambini, delle minoranze, delle nazioni e dei popoli oppressi, le misure a protezione della maternità e della natalità, le politiche demografiche, le politiche di sicurezza sociale e di protezione sociale, ecc.

Tutte queste misure, istituti e istituzioni da una parte favoriscono la centralizzazione dei capitali, dall’altra si presentano ai capitalisti come limitazioni del loro diritto di proprietà, della loro libertà individuale di disporre dei mezzi e delle condizioni individuali e sociali della produzione e delle fonti della ricchezza, come condizioni sfavorevoli al successo della competizione con i capitalisti che ne sono esenti. In linea generale esse sono loro imposte dalla lotta della classe operaia e del resto delle masse popolari che in ogni paese capitalista avanzato e a livello internazionale sono largamente orientate dalla classe operaia che anche per questa via conferma di essere la classe dirigente della marcia verso il comunismo. La prima ondata della rivoluzione proletaria (grosso modo 1900-1950) - che è coincisa ed è stata l’altra faccia della prima crisi generale del capitalismo - ha causato la nascita di un gran numero di FAUS in ogni campo. Questo sviluppo è proseguito, sulla spinta che quell’ondata aveva impresso alle masse popolari di tutto il mondo, fino grosso modo la metà degli anni ‘70. La borghesia imperialista ha "subito", a livello nazionale e internazionale, queste limitazioni alla sua libertà sia a causa dei movimenti nazionali delle masse popolari sia a causa della minaccia che il campo socialista e il movimento comunista internazionale facevano pesare su tutta la borghesia imperialista. Ogni "concessione" fatta dalla borghesia imperialista di singoli paesi in quel periodo va vista, da chi vuole capire la ragione e la legge che la governa, alla luce dei rapporti di forza a livello internazionale tra la borghesia imperialista e il movimento comunista. Sia la differenza delle "concessioni" da paese a paese sia il movimento universale di eliminazione o almeno ridimensionamento di quelle "concessioni" che la borghesia imperialista ha iniziato da quando il movimento comunista non la incalza più, mostrano chiaramente che quelle "concessioni" non provenivano dal cambiamento della natura del capitalismo (come varie "teste d’uovo" sdottorano), ma dalle costrizioni cui la borghesia imperialista è stata sottoposta. Quelle "concessioni" erano in realtà conquiste strappate dalle masse popolari che lottavano (o minacciavano di scendere lotta) sotto la direzione di comunisti. "Impedire l’avvento del comunismo" è stato per circa 60 anni (1917-1975) l’imperativo supremo della borghesia imperialista cui essa ha subordinato anche le mosse scomposte dei singoli membri della sua classe. Per circa 60 anni il movimento comunista è stato una potenza mondiale che ha condizionato la vita di ogni paese, anche di quelli ancora diretti dalla borghesia imperialista, e le relazioni internazionali. 

Tutte quelle misure, istituti e istituzioni sono stati invece per le masse popolari, e in particolare per gli operai, conquiste minime di civiltà e di benessere strappate alla borghesia imperialista a favore della loro classe, delle altre classi delle masse popolari, dei popoli oppressi e delle donne delle masse popolari. Sono state misure che hanno creato condizioni materiali, intellettuali e morali migliori per le masse popolari, posizioni più avanzate e più solide da cui portare una guerra più forte e su più grande scala alla borghesia imperialista e al suo ordinamento sociale. Esse hanno introdotto e radicato abitudini e attitudini all’organizzazione e all’autorganizzazione, hanno reso "naturale" che ogni individuo disponesse di assistenza sanitaria, di corsi scolastici, di alcuni altri servizi sociali "secondo i suoi bisogni". Contraddittoriamente, stante la sopravvivenza e anzi la preminenza del capitalismo, esse sono anche diventate nuovi terreni per lo sviluppo di sistemi clientelari, per condurre operazioni di corruzione su larga scala, per fomentare l’opportunismo nella classe operaia e nelle masse popolari; terreni da cui la borghesia ha fatto leva sull’arretratezza delle masse popolari per promuovere la rassegnazione alla sopravvivenza dell’ordinamento sociale borghese. Le conquiste strappate si sono quindi combinate con gli errori e i limiti del movimento comunista come fattori che ne hanno arrestato la marcia in avanti, hanno determinato il suo ripiegamento e la sua regressione fino al crollo, nel 1989-91, di gran parte dei paesi socialisti, dei partiti comunisti e delle altre istituzioni che la prima ondata della rivoluzione proletaria aveva creato. 

La prima ondata della rivoluzione proletaria lascia tuttavia tracce importanti e indelebili nella società attuale, nella "costituzione materiale" del mondo e di ogni singolo paese: dal livello culturale delle masse popolari, all’esperienza organizzata e dirigente della classe operaia, al ruolo assunto dalle donne nella vita sociale, al crollo del sistema coloniale con l’ingresso dei popoli oppressi nel filone principale della storia mondiale, alla "popolarità del comunismo". I partiti comunisti che vengono costituendosi nell’ambito della rinascita del movimento comunista e della seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto un mondo (assieme alla seconda crisi generale del capitalismo e alla connessa situazione rivoluzionaria) non possono prescindere da queste tracce. Considerare e capire i passi che l’umanità ha compiuto e compie verso il comunismo nel percorso tormentato e pieno di rovine e di sangue della "seconda via" è quindi indispensabile per definire la strategia che ci deve guidare e per elaborare l’insieme delle tattiche che dobbiamo usare per avanzare nella lotta della fase attuale. 

Il comunismo non è morto! Al contrario l’umanità ha compiuto in tutto il mondo passi da gigante verso il comunismo, anche se si muove ancora in un ambiente dove il fetore del vecchio ordinamento sociale in decomposizione predomina sulla luce del nuovo mondo di cui l’umanità è gravida. Ma nessuno può negare che sotto l’incalzare delle sue proprie contraddizioni e della lotta di classe la borghesia imperialista ha enormemente centralizzato a livello mondiale i mezzi e le condizioni della produzione sottraendole ai singoli lavoratori e facendone quindi un patrimonio sociale. La proprietà privata di esso è anche, nella coscienza comune, sempre meno tollerabile e nella pratica sempre più causa di disordine e di distruzioni. Persino nei settori in cui neanche 50 anni fa i mezzi e le condizione della produzione erano ancora in larga misura individuali (agricoltura, servizi, commercio al dettaglio, edilizia, trasporti) la borghesia imperialista li ha fortemente centralizzati a livello dei singoli paesi e anche internazionalmente. Chi oggi in Italia lancerebbe ancora la parola d’ordine "la terra a chi la lavora"? Le aziende artigiane, familiari e di piccoli capitalisti che sopravvivono sono anch’esse largamente sottomesse al capitale tramite le banche, le assicurazioni, la ricerca, la fornitura, la commercializzazione, le imposte e i regolamenti. In molti settori produttivi meno di una decina di gruppi imperialisti dominano l’intero mercato mondiale. Dal lato opposto, nel campo delle masse popolari, il lavoro salariato è diventato di gran lunga predominante. Il ripetuto passaggio di un individuo, nel corso della sua vita, da un mestiere a un altro è diventato esperienza comune. Contemporaneamente si sono sviluppate, nella popolazione dei paesi imperialisti, le condizioni e l’abitudine a svolgere molteplici attività non produttive, che non rientrano direttamente nel campo dell’economia, che sono svolte a titolo ricreativo, di libera attività, come volontariato, per passione. L’esperienza dell’autorganizzazione, dell’organizzazione non promossa e diretta dall’agente del capitalista né dal funzionario del suo Stato, si è diffusa tra la massa dei lavoratori salariati.

Tutti questi sono aspetti della futura società comunista, che per diventare fattori attivi della sua costruzione aspettano solo che la direzione generale della società sia tolta alla borghesia imperialista e assunta dalla classe operaia tramite la sua avanguardia organizzata in partito comunista: aspettano la rivoluzione socialista. 

Di contro a questi risultati raggiunti dal movimento pratico di trasformazione della società capitalista nella società comunista, stanno però l’attuale persistente debolezza del movimento comunista come movimento cosciente e organizzato e la tracotante ostentazione del proprio trionfo in campo politico e culturale da parte della borghesia imperialista. Per decifrare in modo giusto questo reale contrasto occorre ricordare la situazione in cui si trovò l’intera Europa dopo la restaurazione del 1815. Allora l’impresa della borghesia per prendere il potere nei paesi europei sembrò naufragata a seguito della conclusione imperiale della Rivoluzione francese e sotto i colpi delle armate dei monarchi europei e dello zar di tutte le Russie. Il tripudio delle forze feudali si trascinò per anni con tutto il connesso corteo di intellettuali pentiti (i grandi filosofi W.F.Hegel e F.W. von Schelling in testa), di traditori, di opportunisti, di liquidatori, di sconcertati e incerti. Una intera corrente culturale, il romanticismo, eresse il ritorno al passato feudale, perché "vera origine e fonte della nostra civiltà", come sua base. Tuttavia tutto questo trionfo delle forze reazionarie che si voleva eterno, finì circa 30 anni dopo nella loro sconfitta senza appello del 1848. Ma riusciranno a decifrare l’attuale contrasto in modo giusto solo quei compagni che afferreranno la realtà della "seconda via" attraverso cui l’umanità avanza verso il comunismo, per quanto questa via sia tortuosa, seminata di rovine e macchiata di sangue, e per quanto tormentosa sia la condizione degli uomini e delle donne che la percorrono. Dalla comprensione del presente, essi deriveranno allora preziosi insegnamenti sul che fare per saltare dall’attuale tormentosa "seconda via" alla via più semplice e diretta, meno dolorosa e distruttiva che consiste nella creazione di nuovi paesi socialisti. 

 

Tonia N.

 

Note

1. Gli empiristi rifiutano la scienza dei fatti sensibili, la ricostruzione nella nostra coscienza di legami di causa ed effetto, cioè dei rapporti genetici che esistono tra i fatti sensibili, della reciproca azione e reazione, delle circostanze che influenzano lo sviluppo di un fatto in un altro. Essi pretendono di limitarsi ai fatti sensibili. In realtà isolano ogni fatto dal contesto reale in cui esso è inserito. Invece noi comunisti di ogni fatto ci chiediamo il perché, la sua ragion d’essere. 

2. Una volta che si conoscono le leggi dell’evoluzione della società capitalista (ed esse sono esposte in Il Capitale, come Marx precisa nella prefazione della prima edizione tedesca del 1867), l’avvento della società comunista è prevedibile come una volta che si conoscono le leggi della astronomia è prevedibile il passaggio di una cometa. Con la sola differenza che noi non abbiamo alcun modo per interferire su movimento di una cometa, mentre la nostra azione consapevole è una delle condizioni necessarie dell’avvento della società comunista: quindi noi possiamo influire sui tempi e sulle forme del suo avvento, nel senso in cui possiamo influire sul decorso di un parto. 

Che dire di una persona che di fronte alla previsione della traiettoria di un proiettile obietta che però nessuno può escludere che un evento inatteso, sconosciuto ed eccezionale devii proprio quel proiettile dal suo percorso? Che dire di chi evoca la possibilità di un evento imprevedibile che impedisce di raggiungere la vittoria ormai certa per cui ci battiamo, se non che è l’espressione estrema dello scoraggiamento e del disfattismo?

3. Sulle FAUS vedasi anche Rapporti Sociali n. 4, pag. 15.

4. Sulla "crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale" vedasi Rapporti Sociali n. 17/18, pagg. 55-71.