La Voce 2

La concezione della società di Ciriaco De Mita e la nostra

lunedì 12 luglio 1999.
 

 

Colpendo il prof. Ruffilli le Brigate Rosse “vollero colpire, con l’uomo, l’ossatura di un progetto che avrebbe consentito la formazione di coalizioni capaci di alternarsi alla guida del paese dandogli forte stabilità. Che avrebbe garantito una maggioranza forte e un esecutivo stabile in grado di dare risposte ai movimenti dell’economia e prendere decisioni consone all’instabilità del quadro politico internazionale” ( Corriere della sera , aprile ‘98). È De Mita che parla e in queste brevi parole riassume una concezione della società e della crisi attuale che è tipica dell’ala conservatrice della borghesia imperialista ma che di fatto è ampiamente condivisa anche da alcune Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista (FSRS). Per quanto ci interessa, essa si riassume in due punti: 1. le istituzioni e le regole della vita sociale che abbiamo ereditato sono inadeguate alla “nuova situazione”: da qui la crisi attuale; 2. per mettere fine alla crisi in corso, bastano appropriate soluzioni istituzionali e regole: alla borghesia imperialista quindi occorrono persone intelligenti e attive per escogitarle e attuarle. Ovviamente a questo punto cessa l’accordo tra l’ala conservatrice della borghesia imperialista e le FSRS. De Mita & C sostengono che bisogna escogitare e mettere in opera quelle soluzioni istituzionali e quelle misure. Le FSRS invece cercano di impedire che esse siano escogitate e, peggio ancora, messe in opera o perlomeno, le FSRS inficiate da attendismo e opportunismo di destra, auspicano qualcosa che lo impedisca.(1)

Il documento a firma BR-PCC diffuso come rivendicazione dell’esecuzione di via Salaria afferma che quell’attentato è “un attacco che spezza la mediazione politica neocorporativa su cui questo esecutivo [il governo D’Alema] tenta di attestare un consolidamento del dominio della borghesia imperialista”. Tesi che ricorre da anni in documenti di origine BR-PCC (v. ad esempio Il bollettino dell’ASP, n. 53/54 e 55/56). Di conseguenza secondo le BR-PCC l’obiettivo principale in questa fase sarebbe impedire la stabilizzazione del regime attaccando con le forze disponibili personaggi chiave dell’azione di mediazione neocorporativa svolta dall’ala conservatrice della borghesia imperialista.

Nel n. 1 di questa rivista (pag. 17 e segg.) abbiamo parlato della concezione esposta da un dirigente della CCA (Confederazione dei Comunisti/e Autorganizzati) al Coordinamento Nazionale del 15 novembre ‘98. Egli additava lo spauracchio della “stabilizzazione di questo potere politico” e della “concertazione neocorporativa [che] rischia di funzionare regolarmente e di stabilizzarsi in assenza di soggetti politici e sindacali che rifiutano e combattono l’accettazione dei parametri economici, politici e istituzionali imposti dagli accordi di Maastricht”. Anche secondo lui la borghesia avrebbe a portata di mano una soluzione (la “concertazione neocorporativa”) che se attuata metterebbe fine alla crisi economica, politica e culturale a spese di un peggioramento delle condizioni delle masse popolari. Contro questo pericolo egli da buon attendista auspicava che le masse formassero un nuovo blocco sociale contro la concertazione neocorporativa. In pratica rinviava tutto a quando “le masse” sarebbero scese in campo.

I nostri lettori non avranno difficoltà a trovare agitato lo spauracchio della stabilità e della forza del regime attuale in altri programmi e professioni di fede, su su fino alla “sussunzione globale totaledegli autori di Gocce di sole nella città degli spettri nei primi anni ‘80. Destabilizzare o impedire la stabilizzazione del regime sarebbe di conseguenza l’obiettivo dell’attività delle organizzazioni rivoluzionarie.

È realistica la concezione della società esposta da De Mita e condivisa da alcune FSRS?

È una concezione campata in aria che esprime le illusioni e le aspirazioni della borghesia e, per quanto riguarda le FSRS che la condividono, distoglie forze dal lavoro principale. La crisi attuale non ha la sua fonte nel campo sovrastrutturale (politico, istituzionale), non deriva da difetti degli ordinamenti politici o da difetti nelle strutture in cui la società attuale è ripartita (società produttive, banche, assicurazioni, sistema monetario, borse, mercato del lavoro, ecc.) o da difetti delle regole e delle istituzioni che per un po’ di anni hanno conciliato il carattere collettivo della vita economica con la proprietà individuale capitalista delle forze produttive.(2) La crisi attuale deriva dalla sovrapproduzione assoluta di capitale e nessuna riforma istituzionale può mettervi rimedio.(3) Essa rende precari e instabili tutti i regimi esistenti. Nessuna riforma istituzionale o strutturale (come dicono i sostenitori della teoria della “crisi strutturale”) può porre fine a questa instabilità e precarietà dei regimi politici che al contrario ha continuato e continuerà ad accentuarsi per motivi propri del modo di produzione e principalmente interni alla classe dominante. La crisi attuale porta inevitabilmente alla fine degli attuali regimi o tramite la mobilitazione rivoluzionaria delle masse che vincendo eliminerà il capitalismo e instaurerà una nuova società (la società socialista, primo stadio della società comunista, transizione alla società comunista) o tramite la mobilitazione reazionaria delle masse (mobilitazione delle masse diretta da alcuni gruppi della borghesia imperialista) che attraverso guerre e sconvolgimenti vari eliminerà una parte del capitale accumulato in eccesso e darà il via a un nuovo periodo di ripresa dell’accumulazione capitalista (come quello 1945-1975) che durerà per un tempo che noi oggi non possiamo né ci interessa prevedere.

La concezione della società e della sua crisi attuale esposta da De Mita nella citazione riportata all’inizio conferma solo 1. che per il ruolo che svolge nella società la borghesia non comprende la natura della crisi generale in corso: essa traduce in teoria le sue speranze e aspirazioni; 2. che alcune FSRS in campo teorico, nel campo della concezione del mondo e dell’analisi della situazione, sono succubi della borghesia.

Di fronte al procedere della crisi generale del capitalismo, nella borghesia (in tutti i paesi e a livello internazionale) si formano due correnti principali: una conservatrice e una eversiva. La prima corrente è formata da quelli che credono di poter salvare nelle sue linee generali il regime esistente o almeno le forme attuali del dominio della borghesia imperialista con qualche astuto e appropriato aggiustamento istituzionale, strutturale (vedasi ad esempio il mito della “seconda repubblica”). È l’ala conservatrice della borghesia imperialista; essa spera e cerca di conservare lo stato delle cose esistente, di fronte alla guerra invoca l’ONU e dipinge a tinte rosa il passato. La seconda corrente è composta da quelli che sono oramai convinti che gli attuali regimi e il loro sistema di relazioni internazionali sono condannati, che gli sforzi per conservarli sono inutili, che l’unica salvezza per se stessi sta nel porsi alla testa della mobilitazione delle masse popolari per fondare un nuovo ordine, un nuovo regime, basato ancora sul capitalismo e quindi sul dominio della borghesia imperialista. È l’ala eversiva della borghesia imperialista composta dai gruppi imperialisti che promuovono la mobilitazione reazionaria delle masse. La crisi generale del capitalismo rende impossibile alle masse popolari di vivere alla maniera da anni abituale e le costringe quindi a cercare nuove forme: questi gruppi imperialisti cercano di mobilitare sotto la propria direzione una parte delle masse contro un’altra, un popolo contro un altro, una nazione contro un’altra, una razza contro un’altra: a questo fine ogni divisione ereditata dalla storia è buona. La mobilitazione reazionaria delle masse e la guerra sono le forme generali dell’affermazione di questa corrente. Mussolini, Hitler, Roosevelt sono stati gli esponenti più noti di questa corrente durante la prima crisi generale del capitalismo (1910-1945), corrente che ha avuto i suoi autorevoli esponenti in tutti i maggiori paesi capitalisti.

Ritorniamo ora alla prima corrente, alla corrente conservatrice. Essa è forte all’inizio della crisi, quando i problemi sembrano ancora facilmente risolvibili, ma conserva una certa forza lungo tutto il corso della crisi perché la soluzione promossa dalla corrente eversiva sacrifica anche gli interessi di una parte della borghesia, sembra aggravare la crisi e allargare la mobilitazione delle masse con il rischio che si trasformi in mobilitazione rivoluzionaria (ed effettivamente si trasforma se l’azione del partito comunista è all’altezza dei compiti che la situazione rivoluzionaria in sviluppo pone ad esso). La corrente eversiva può affermarsi solo man mano che la crisi si aggrava.

Stabilizzare” è la parola d’ordine degli esponenti della corrente conservatrice, di fronte ad un regime che frana. Alcuni pensano che la chiave della stabilizzazione stia in riforme delle istituzioni politiche (riforme costituzionali, bipolarismo, federalismo, referendum, ecc.), altri che stia in riforme delle Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS) (regole del mercato del lavoro, sistema pensionistico, sistema sanitario, privatizzazioni, ecc.), altri che stia nella riforma delle forme societarie, dei meccanismi monetari e finanziari, della ripartizione dei ruoli tra le diverse strutture della società attuale, altri combinano le une e le altre. Ma li uniscono la fiducia che si possa evitare la rovina del regime e stabilizzare o risanare la situazione esistente e la ricerca dei modi per stabilizzare.

De Mita fu il promotore della seconda Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali, che non diede risultati come non ne hanno dati la prima e la terza perché la crisi generale del capitalismo mette l’uno contro l’altro i gruppi imperialisti e rende difficili gli accordi. Ma la stessa crisi generale del capitalismo è la causa dell’instabilità dei regimi politici di tutti i paesi e del sistema delle loro relazioni internazionali. E alla crisi generale del capitalismo non c’è riforma costituzionale che possa porre rimedio. Le riforme costituzionali se anche vanno in porto non pongono fine alla crisi.

Parimenti le riforme del mercato del lavoro, le riforme dei sistemi pensionistici e sanitari e ogni eliminazione delle conquiste già strappate dalle masse (in breve le riforme delle FAUS), non pongono fine alla crisi; aprono solo il passo a una successiva riforma. Dopo una ristrutturazione, ne arriva una seconda ancora più grave e così via. Eliminate le pensioni-baby, è diventato necessario eliminare le pensioni di anzianità, eliminate queste è diventato necessario eliminare le pensioni future (ossia creare i fondi-pensioni); fatto questo, diventerà necessario ridurre le pensioni già in corso (contributi di solidarietà e altre innovazioni che D’Alema e il trio Larizza & C hanno già incominciato a giurare che “non ci saranno mai”). Le misure che premiano i capitalisti che assumono giovani, aumentano la disoccupazione degli adulti. Quelle che premiano i capitalisti che assumono disoccupati di lunga durata, aumentano la disoccupazione dei giovani. Cose analoghe si presentano in ogni campo che consideriamo. Questa è la lezione degli avvenimenti che si succedono dagli anni ‘70 in qua in tutti i maggiori paesi imperialisti e a livello internazionale.

Non è vero che nella situazione attuale la borghesia imperialista può consolidare il suo dominio tramite una qualche “mediazione politica neocorporativa”. Con la concertazione delle “parti sociali”, ossia con la collaborazione dei sindacati di regime la borghesia riesce, se gli va bene, a frammentare la resistenza dei lavoratori alla eliminazione delle conquiste e alle mille misure che rafforzano lo sfruttamento. Elaborando e mettendo in opera mille misure (e in questo sta il ruolo dei tipi come Giugni, Tarantelli, Da Empoli, D’Antona, ecc.), essa distribuisce e ridistribuisce continuamente ora su una o ora su un’altra parte delle masse popolari il peso maggiore della rapina e degli appetiti della borghesia imperialista, onde rendere più difficile l’aggregazione delle masse. Ma gli appetiti e la rapina dei capitalisti non possono saziarsi, perché sono nella natura stessa della crisi: maggiori profitti oggi significano capitali più grandi domani che quindi richiederanno profitti ancora maggiori. Solo degli ingenui o degli imbroglioni possono affermare che per risolvere la crisi basta aumentare di un po’ i profitti: in realtà ogni aumento ne rende necessario un successivo. Solo degli ingenui o degli imbroglioni possono proclamare che la crisi è risolta perché per un po’ di tempo il capitale di un’economia ormai mondiale affluisce abbondante nel proprio paese (come succede in questi mesi in Irlanda, in Inghilterra, negli USA e in alcuni altri paesi), dove si sono create condizioni più favorevoli per i padroni (e quindi peggiori per i lavoratori) che saranno nel giro di un po’ di tempo superate da quelle di un altro paese. È come se in un gruppo di naufraghi uno gridasse di essere in salvo perché è riuscito a montare sulle spalle degli altri.(4)

Per quanto raffinate siano le capacità degli artisti della mediazione neocorporativa (dei D’Antona di turno), esse non cancellano l’esperienza quotidiana, capillare e diffusa degli operai, dei proletari, delle masse popolari: che la loro condizione economica e civile peggiora giorno dopo giorno sia nei paesi in recessione sia nei paesi in momentanea ripresa, sia in Italia e in Germania, sia in Inghilterra e negli USA. Questo le masse lo sperimentano, prima ancora di capirne le cause e di darsene una ragione. Con la mediazione neocorporativa i ministri della borghesia danno forma al procedere della crisi che prende l’una o l’altra delle due uniche strade possibili. Quale delle due strade la società imboccherà di fatto, dipende non dalla “mediazione neocorporativa”, ma dall’esito dello scontro politico tra le forze borghesi promotrici della mobilitazione reazionaria e il partito comunista della classe operaia che promuove la mobilitazione rivoluzionaria. Se prevarranno le prime, la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi si spezzerà in tante lotte contrapposte fin quasi a individualizzarsi e le masse popolari prenderanno la strada della mobilitazione reazionaria il cui sbocco è la guerra (guerre di aggressione o guerra imperialista). Se il partito comunista sarà all’altezza dei compiti che la situazione rivoluzionaria pone ad esso, la resistenza delle masse si aggregherà sempre più sotto la direzione della classe operaia e diventerà lotta contro la borghesia imperialista per il socialismo (guerra di classe).

La partita tra i gruppi fautori della mobilitazione reazionaria e il partito comunista della classe operaia non è che agli inizi e quindi è impossibile prevederne l’andamento e l’esito nel nostro paese. Ma di certo constatiamo che le riforme istituzionali e la “mediazione neocorporativa” sono continuate nonostante i colpi inferti ai loro “virtuosi”: Giugni nel 1983, Tarantelli nel 1985, Da Empoli nel 1986, Ruffilli nel 1988, ecc. Esse hanno partorito molti referendum, molte leggi elettorali, molte riforme dell’amministrazione pubblica, molti patti sociali, accordi d’area, patti territoriali, decreti per assunzioni a termine, per contratti di formazione-lavoro, ecc. ecc. Ma non hanno stabilizzato il regime, né i rapporti tra i gruppi imperialisti né i rapporti tra la borghesia imperialista e le masse popolari: nel ‘92 il regime DC è entrato nella fase della sua putrefazione, la guerra tra gruppi imperialisti si è accentuata (Tangentopoli, mafia, ecc.), la fiducia delle masse nel sistema è calata costantemente (indici: l’astensione nelle elezioni, gli spostamenti rapidi dei voti da un partito all’altro, la moltiplicazione dei partiti, il calo della militanza nei partiti di regime), il consenso e la collaborazione delle masse con i sindacati di regime è costantemente diminuita (indici: il numero degli iscritti, il numero degli attivisti), il malcontento è cresciuto a dismisura, la guerra imperialista ha incominciato a devastare direttamente il paese. Cioè la crisi del regime ha continuato ad aggravarsi nonostante la “mediazione neocorporativa”.

È certamente indispensabile difendersi dalle operazioni della borghesia imperialista volte a peggiorare la condizione economica e civile delle masse e in specifico anche dalle operazioni della “mediazione neocorporativa” volte a creare e alimentare divisioni tra le masse. Ma la difesa può svilupparsi ampiamente ed efficacemente solo se si combina con una prospettiva e una pratica di attacco. La scarsa partecipazione delle masse alle lotte rivendicative, la sfiducia delle masse nelle iniziative di difesa non saranno superate predicando un nuovo blocco sociale né chiamando a un nuovo ciclo di lotte né denunciando le mille malefatte del regime e la catastrofe incombente. Solo un lavoro che sviluppa giorno dopo giorno la mobilitazione rivoluzionaria delle masse crea le condizioni necessarie perché la difesa cresca e si estenda. Di questo lavoro sono componenti indispensabili l’esistenza di un partito comunista libero dalla borghesia (clandestino), la ramificazione delle sue organizzazioni tra le masse, la propaganda del suo programma, la denuncia da parte di esso delle malefatte della borghesia in modo da alimentare in ogni lavoratore la coscienza del carattere collettivo della sua lotta, la direzione delle lotte rivendicative dei lavoratori e delle masse popolari, la promozione di movimenti di autorganizzazione delle masse, la direzione e lo sviluppo della attività combattente indirizzandola a sostenere il movimento delle masse e a contribuire a rafforzare le organizzazioni del partito e delle masse. Indebolire la mediazione neocorporativa che mira a dividere le masse e punire i responsabili delle sofferenze delle masse è cosa giusta, ma soprattutto occorre ricostruire un partito che con il suo lavoro multiforme raccoglie la resistenza delle masse popolari e dà ad essa unità di indirizzo e di linea, forma e rafforza le organizzazioni necessarie perché le mille azioni sparse confluiscano nella guerra popolare rivoluzionaria contro la borghesia imperialista condotta dalle masse popolari sotto la direzione della classe operaia e del suo partito. Non basta indebolire l’attività svolta dalla borghesia per creare divisioni tra le masse, occorre costruire il centro e le forme dell’unità delle masse popolari. Le stesse incertezze delle masse di fronte alla propaganda borghese che attribuisce attentati come quello di Roma contro D’Antona ora alle BR ora ai “servizi deviati”, ai partigiani della soluzione politica di Tangentopoli o ad altri, i dubbi delle masse circa la loro utilità per la propria causa possono essere superati solo se questi colpi diventano parti di una più vasta lotta diretta dal partito comunista della classe operaia, in primo luogo quindi se creiamo le condizioni per la ricostruzione del partito comunista.

Quelli che impiegano le loro forze contro la “mediazione neocorporativa” temendo che essa stabilizzi il regime attuale, si lanciano come don Chisciotte contro i mulini a vento che egli credeva cavalieri nemici e terribili. Usano le loro forze per destabilizzare quello che è già di per sé precario e che diviene di per sé ogni giorno più precario, nonostante tutti gli sforzi dell’ala conservatrice della borghesia imperialista. Sono però forze che si distolgono dal lavoro rivoluzionario realmente necessario. Lavoro che è quello di raccogliere le forze rivoluzionarie che si formano tra la classe operaia, nel proletariato e nelle masse popolari, educarle alla scuola della lotta rivoluzionaria a legarsi profondamente alle masse popolari imparando a condurre in un paese imperialista una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, valorizzando tutte le potenzialità di lotta che le masse via via esprimono e in questo modo man mano elevando al livello della lotta rivoluzionaria tutto quello che può essere elevato. L’ostacolo che la rivoluzione socialista deve superare nel nostro paese non è la stabilità del regime esistente, ma la mancanza del partito comunista, la mancanza della classe operaia che lotta per conquistare il potere per sé, la traduzione della linea generale del partito comunista in linee particolari che valorizzino tutte le potenzialità fase dopo fase, è la mancanza di un partito comunista che dalla clandestinità tessa e unisca i mille fili della resistenza delle masse popolari, di cui l’attività combattente è un aspetto importante, strategicamente principale, ma attualmente ausiliario. Il fattore decisivo del successo della nostra causa è la mobilitazione delle masse popolari sotto la direzione della classe operaia e del suo partito comunista. Il nostro compito in questa fase è compiere i passi necessari per arrivare ad essa.

Forse l’aggressione dei governi USA e NATO, compreso il governo italiano, alla Federazione Jugoslava e la tregua che ne è derivata basteranno almeno ad alcune delle FSRS finora neutralizzate dall’abbaglio della “mediazione neocorporativa che stabilizza il sistema” per convincersi che la concezione della società che esse mutuano dall’ala conservatrice della borghesia imperialista è campata in aria. La borghesia non ha modo di stabilizzare, consolidare l’attuale situazione. Le “leggi oggettive del sistema capitalista” la condannano a “mangiare sempre di più”, la condannano a strappare alle masse popolari (non solo alla classe operaia) sempre di più e contemporaneamente scatenano la lotta tra i gruppi imperialisti per portarsi via l’un l’altro il bottino che hanno rapinato alle masse. Tutto questo finisce inevitabilmente nella guerra imperialista, a meno che questa corsa alla guerra sia interrotta e sconvolta dall’esplosione della rivoluzione socialista in qualche grande paese.

Rosa L.

(30 maggio ‘99)

 

 

NOTE

 

1. Siccome quella concezione della società e della crisi è sbagliata (immagina che causa della crisi siano le istituzioni e le strutture obsolete: crisi istituzionale e crisi strutturale), sono di conseguenza sbagliate anche tutte le linee generali che da essa sono ispirate e che quindi restano rinchiuse nei limiti di “impedire che la concertazione neocorporativa funzioni regolarmente e si stabilizzi”, “spezzare la mediazione politica neocorporativa” o altre simili. Ben diverse però sono le possibilità di sviluppo che sono implicite nei gruppi che si assumono il compito di eliminare uno a uno i protagonisti della concertazione (i militaristi) e quelle implicite nei gruppi che si limitano a lanciare appelli ai lavoratori perché sviluppino pacifici movimenti sindacali e politici contro le singole misure neocorporative (i partigiani della via pacifica al socialismo). In definitiva il potere si conquista con le armi e l’uso delle armi da parte delle classi oppresse e di gruppi di esse è una conquista, un passo avanti nella lotta per la loro liberazione. Nella lotta della classe operaia per il potere è indispensabile usare varie forme di lotta, ma non tutte hanno la stessa importanza e lo stesso valore strategico. Uno dei tratti discriminanti del revisionismo e dell’opportunismo di destra è limitare le forme di lotta ai movimenti rivendicativi, all’attività parlamentare e al lavoro culturale: rinunciare perciò alla propria autonomia dalla borghesia e al possesso delle armi che è un aspetto essenziale di essa. In questa opera essi hanno dalla loro parte la forza, i mezzi e l’influenza della borghesia: ciò rende l’opportunismo di destra e il revisionismo moderno ostacoli ben più pericolosi del militarismo. Benché questo al fine della ricostruzione del partito comunista sia nefasto come i primi.

 

2. Queste regole e istituzioni sono sinteticamente indicate con l’espressione Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS). Per una migliore descrizione delle FAUS vedere Rapporti Sociali n. 4 (1989).

 

3. Per la natura e le cause della sovrapproduzione assoluta di capitale e della crisi generale che ne deriva si veda Per il dibattito sulla causa e sulla natura della crisi attuale , in Rapporti Sociali n. 17/18 (1996).

 

4. Un tempo c’erano le misure protettive e le svalutazioni competitive che limitavano l’importazione e favorivano l’esportazione di merci. Nella fase imperialista gli investimenti produttivi e gli investimenti finanziari sono diventati più importanti degli scambi commerciali. Misure protettive e svalutazioni competitive persistono, ma la competizione tra paesi si esercita principalmente creando condizioni di maggiore sfruttamento dei lavoratori e delle risorse naturali e condizioni più favorevoli per il capitale finanziario di quelle che esistono in altri paesi e manovrando il denaro mondiale che è moneta fiduciaria.

Nel considerare l’andamento della crisi generale nei singoli paesi occorre sempre tenere presente anche che ogni capitale può incassare profitti oltre che spremendo di più i “suoi” lavoratori, anche portando via il profitto estorto dagli altri capitalisti, che l’introduzione universale della moneta fiduciaria (l’abolizione dell’oro come denaro mondiale) ha aperto grandi (ma non illimitati) orizzonti alla moltiplicazione del denaro che è una delle vesti che il capitale può rivestire per un certo tempo. Attualmente i gruppi imperialisti USA fanno la parte del leone nella divisione del profitto complessivamente estorto ai lavoratori dai capitalisti di tutto il mondo e nella moltiplicazione della moneta fiduciaria (il dollaro).