La settima discriminante - Quale partito comunista?

Sulla forma della rivoluzione proletaria

Un partito che sia all’altezza del compito che il procedere della seconda crisi generale del capitalismo e la conseguente situazione rivoluzionaria in sviluppo pongono ad esso e che tenga pienamente conto dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria
mercoledì 4 agosto 1999.
 

INDICE 


 

 

Sulla forma della rivoluzione proletaria

 

Incominceremo dalla forma della rivoluzione proletaria, dal modo in cui la classe operaia prepara e attua la conquista del potere, da cui parte poi la trasformazione socialista della società.(10)

Alla fine del secolo scorso, all’inizio dell’epoca imperialista del capitalismo, i partiti socialdemocratici nei paesi più avanzati avevano già compiuto la loro opera storica di costituire la classe operaia come classe politicamente autonoma dalle altre. Avevano posto fine all’epoca in cui molte persone di talento o inette, oneste o disoneste, attratte dalla lotta per la libertà politica, dalla lotta contro il potere assoluto dei re, della polizia e dei preti, non vedevano il contrasto fra gli interessi della borghesia e quelli del proletariato. Costoro non concepivano neanche lontanamente che gli operai potessero agire come una forza sociale autonoma. I partiti socialdemocratici avevano posto fine all’epoca in cui molti sognatori, a volte geniali, pensavano che sarebbe bastato convincere i governanti e le classi dominanti dell’ingiustizia e della precarietà dell’ordine sociale esistente per stabilire con facilità sulla terra la pace e il benessere universali. Essi sognavano di realizzare il socialismo senza lotta della classe operaia contro la borghesia imperialista. I partiti socialdemocratici avevano posto fine all’epoca in cui quasi tutti i socialisti e in generale gli amici della classe operaia vedevano nel proletariato solo una piaga sociale e constatavano con spavento come, con lo sviluppo dell’industria, si sviluppava anche questa piaga. Perciò pensavano al modo di frenare lo sviluppo dell’industria e del proletariato, di fermare la “ruota della storia”.(11) Grazie alla direzione di Marx ed Engels i partiti socialdemocratici avevano invece creato nei paesi più avanzati un movimento politico, con alla testa la classe operaia, che riponeva le sue fortune proprio nella crescita del proletariato e nella sua lotta per l’instaurazione del socialismo e la trasformazione socialista dell’intera società. Iniziava l’epoca della rivoluzione proletaria. (12) Il movimento politico della classe operaia era il lato soggettivo, sovrastrutturale della maturazione delle condizioni della rivoluzione proletaria, mentre il passaggio del capitalismo alla sua fase imperialista ne era il lato oggettivo, strutturale.

La classe operaia aveva già compiuto alcuni tentativi di impadronirsi del potere: in Francia nel 1848-50 (13) e nel 1871 con la Comune di Parigi(14), in Germania con la partecipazione su grande scala alle elezioni politiche. (15) Era ormai possibile e necessario capire come la classe operaia sarebbe riuscita a prendere nelle sue mani il potere e avviare la trasformazione socialista della società. Erano riunite le condizioni per affrontare il problema della forma della rivoluzione proletaria. Nel 1895, nella Introduzione alla ristampa degli articoli di K. Marx Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, F. Engels fece il bilancio delle esperienze fino allora compiute dalla classe operaia ed espresse chiaramente la tesi che “la rivoluzione proletaria non ha la forma di un’insurrezione delle masse popolari che rovescia il governo esistente e nel corso della quale i comunisti, che partecipano ad essa assieme agli altri partiti, prendono il potere”. La rivoluzione proletaria ha la forma di un accumulo graduale delle forze attorno al partito comunista, fino ad invertire il rapporto di forza: la classe operaia deve preparare fino ad un certo punto “già all’interno della società borghese gli strumenti e le condizioni del suo potere”. Lo sviluppo delle rivoluzioni nel nostro secolo ha confermato, precisato e arricchito la tesi di F. Engels.(16)

Il processo della rivoluzione socialista è complesso, ha le sue leggi, si svolge nel corso di un certo tempo.

Chi dice che la classe operaia non può vincere, rovesciare la borghesia imperialista e prendere il potere, sbaglia (i pessimisti e gli opportunisti sbagliano). I successi raggiunti dal movimento comunista nella prima ondata della rivoluzione proletaria (1914-1949) hanno confermato praticamente ciò che Marx ed Engels avevano dedotto teoricamente dall’analisi della società borghese.

Chi dice che la classe operaia può facilmente e in breve tempo vincere, rovesciare la borghesia imperialista e prendere il potere, sbaglia (gli avventuristi sbagliano: da noi abbiamo visto all’opera i soggettivisti e i militaristi). Le sconfitte subite dal movimento comunista nella prima ondata della rivoluzione proletaria (tra cui in Italia quella del “biennio rosso” di cui ricorre quest’anno lo 80° anniversario), le rovine prodotte dal revisionismo moderno dopo che negli anni ‘50 ha preso la direzione del movimento comunista e la sconfitta subita in Italia dalle Brigate Rosse all’inizio degli anni ‘80 hanno confermato praticamente anche questa tesi.

La classe operaia può vincere, rovesciare la borghesia imperialista e prendere il potere, ma attraverso un lungo periodo di apprendistato, di dure lotte, di lotte dei tipi più svariati e di accumulazione di ogni genere di forze rivoluzionarie, nel corso del processo di guerre civili e di guerre imperialiste che durante la crisi generale del capitalismo sconvolgono il mondo fino a trasformarlo. Per condurre con successo questa lotta, per ridurre gli errori che si compiono, bisogna capire la natura del processo, le contraddizioni che lo determinano, le leggi secondo cui si sviluppa.

Non per nostra scelta ma per le caratteristiche proprie del capitalismo, il processo di sviluppo dell’umanità si è posto in questi termini: o guerre tra masse popolari dirette da gruppi imperialisti o guerre tra classe operaia e borghesia imperialista. È un dato di fatto, un fatto a cui non possiamo sfuggire per forza dei nostri desideri o della nostra volontà se non ponendo fine all’epoca dell’imperialismo; (17) è un fatto reso evidente dallo studio dei 100 anni dell’epoca imperialista già trascorsi e dallo studio delle tendenze attuali della società. La situazione è resa ancora più complessa dal fatto che nella sua guerra contro la borghesia imperialista la classe operaia deve sfruttare le contraddizioni tra gruppi imperialisti. I due tipi di guerre (la guerra della classe operaia contro la borghesia imperialista e le guerre tra gruppi imperialisti) in sostanza si sviluppano entrambi e si intrecciano. (18) Il problema è quale prevale. I comunisti devono fare in modo che gli antagonisti nella guerra siano la classe operaia e la borghesia imperialista in modo che alla sua conclusione la classe operaia possa emergere come nuova classe dirigente, come la classe che ha vinto la guerra. D’altra parte devono condurre la guerra in modo tale che i gruppi imperialisti si azzuffino tra loro onde non uniscano e concentrino le loro forze, all’inizio prevalenti, contro la classe operaia. Questo è un problema della relazione tra strategia e tattica nella rivoluzione proletaria.

In contrasto con la tesi di Engels (che la classe operaia può arrivare alla conquista del potere solo attraverso un graduale accumulo delle forze rivoluzionarie), alcuni presentano la rivoluzione russa del 1917 come un’insurrezione popolare (“assalto al Palazzo d’Inverno”) nel corso della quale i bolscevichi hanno preso il potere. In realtà l’instaurazione del governo sovietico nel novembre del 1917 è stata preceduta da un lavoro sistematico di accumulazione delle forze diretto dal partito che a partire dal 1903 si era costituito come forza politica libera, che esisteva e operava con continuità in vista della conquista del potere nonostante che l’avversario mirasse a distruggerla e quindi come forza politica indistruttibile dall’avversario; è stata preceduta dal lavoro più specifico fatto tra il febbraio e l’ottobre 1917 ed è stata seguita da una guerra civile e contro l’aggressione imperialista conclusa nel 1921 e conclusa solo in un certo senso perché lo sforzo della borghesia imperialista per soffocare l’Unione Sovietica è proseguito nelle lunghe e molteplici manovre antisovietiche degli anni ‘20 e ‘30 e nell’aggressione nazista del 1941-1945. La rivoluzione russa del 1905 aveva avuto più la forma di un’esplosione popolare non preceduta dall’accumulo delle forze attorno al partito comunista; ma non a caso non aveva portato alla vittoria. (19)

Una conferma esemplare della giustezza e della profondità della teoria di Engels è data dalla storia del “biennio rosso” (1919-1920) in Italia. La mancata accumulazione delle forze rivoluzionarie nel periodo precedente, la “insufficienza rivoluzionaria” del PSI come venne chiamata, impedirono di trasformare in rivoluzione socialista la mobilitazione delle masse che pure era in larga misura orientata dal PSI (aderente alla Internazionale comunista) e dalla Rivoluzione d’Ottobre e nella quale molti erano gli uomini che nel corso della Prima guerra mondiale, appena finita, erano stati addestrati all’uso delle armi e alla guerra. Alcuni sostengono che la colpa del mancato successo va attribuita ai capi riformisti (Turati, Treves, Modigliani, D’Aragona, ecc.) presenti nel PSI e alla testa della CGL. Altri sostengono che in generale mancarono i capi rivoluzionari. Altri ancora sostengono che la mobilitazione delle masse non era sufficientemente ampia e rivoluzionaria ... da poter fare a meno di capi. Il fatto è che tutto il movimento socialista e sindacale italiano si era sviluppato in tutti e solo in quei campi a cui i revisionisti e riformisti anche teoricamente e nei fatti il grosso della maggior parte dei partiti della Seconda internazionale riducevano il lavoro socialista e non aveva sviluppato negli altri campi che grandi e generose aspirazioni e magniloquenti dichiarazioni e programmi. Era un movimento capace di moltiplicare e migliorare i voti nelle elezioni, il numero dei rappresentanti eletti, i periodici, le cooperative, le organizzazioni sindacali, le associazioni culturali, ecc. ma incapace di avere anche un solo distaccamento di uomini armati o alcuni degli altri strumenti di potere di cui la classe dominante si avvale per il suo dominio e di cui tutela per legge il monopolio. Tutto il movimento socialista e sindacale italiano era ricco di esperienze nelle lotte rivendicative e nelle iniziative consentite dalla legge, ma incapace di accumulare qualsiasi esperienza nei campi di cui la classe dominante si riservava il monopolio. Esso fuoriusciva dai limiti delle leggi dello Stato borghese solo per iniziative episodiche, estemporanee, istintive e circoscritte, nei tumulti e negli scontri di piazza prodotti dall’indignazione delle masse o dalle provocazioni delle forze della repressione, episodi che coinvolgevano parti più o meno ampie del movimento socialista, ma a cui restava estranea la sua direzione che così non veniva educata a svolgere il suo compito specifico né sul piano strategico né sul piano tattico. I riformisti non volevano la rivoluzione e cercavano di evitarla con tutte le loro forze e i massimalisti (G. Menotti Serrati, ecc.) non sapevano cosa fare per passare dalla rivendicazione alla rivoluzione e più volte si mostrarono disposti a farsi da parte. Ma neanche i comunisti (Gramsci, Bordiga, Terracini, Tasca, ecc.) sapevano cosa fare. Questi alimentavano e spingevano avanti il movimento delle masse e chiedevano che “il partito”, che essi non dirigevano né aspiravano a dirigere, desse il via a una rivoluzione di cui nessuno aveva mai pensato e tanto meno sperimentato i passaggi attraverso i quali doveva svolgersi e approntato gli strumenti. (20) Quando nella riunione del 9-10 settembre 1920 a Milano della Direzione del PSI e del Consiglio Generale della CGL venne chiesto a Tasca e a Togliatti (che vi partecipavano come rappresentanti degli operai torinesi che occupavano le fabbriche) se i torinesi erano in grado di incominciare con una sortita offensiva dalle fabbriche, essi dovettero convenire che no, non erano in grado. In modo analogo erano andate le cose anche durante lo sciopero generale e la serrata nell’aprile 1920 quando al Consiglio Nazionale del PSI riunito a Milano il 20-21 aprile come portavoce degli operai torinesi avevano partecipato Tasca e Terracini. Più volte negli anni successivi A. Gramsci dovette riconoscere che essi non erano in alcun modo preparati a una offensiva che avesse probabilità di successo, non sapevano da dove incominciare un’azione per la conquista del potere e chiedevano ... che lo facesse “il partito”. Tutto il movimento socialista italiano si connotava da una parte per l’estremismo e il massimalismo sul piano tattico, nelle iniziative singole spesso frutto dell’improvvisazione e dell’indignazione di individui e gruppi a cui il partito non dedicava né addestramento pratico né orientamento politico e ideologico e tanto meno direzione e dall’altra parte per il riformismo nella strategia per cui gli obiettivi generali del movimento si configuravano sempre come richieste che la direzione rivolgeva al governo o allo Stato borghesi che per loro natura né volevano né potevano soddisfarle. Non vi erano nel PSI alcuna iniziativa di partito né alcuna direzione relativa all’armamento e all’addestramento all’uso delle armi e ad operazioni militari: tutto quanto fu fatto sul piano dell’armamento era frutto di iniziative individuali e l’addestramento o era frutto di iniziative individuali o derivava dal servizio militare che i lavoratori prestavano nelle forze armate della borghesia: ciò tra l’altro comportava che il partito non svolgeva alcuna elaborazione di concezioni militari tattiche e strategiche appropriate al carattere della classe operaia e delle altre classi popolari, distinte da quelle della borghesia e derivate dall’elaborazione della esperienza militare che le masse facevano nel corso dei tumulti, delle rivolte, degli scontri di strada. Giova infine ricordare che entrambe le maggiori prove di forza del biennio (lo sciopero di aprile e l’occupazione di settembre 1920) iniziarono per iniziativa dei padroni e che la risposta alla loro iniziativa venne decisa dagli organismi dirigenti della FIOM, a conferma della impreparazione del PSI a ogni azione rivoluzionaria.(21)

La mancanza di una accumulazione delle forze rivoluzionarie, di un processo nel corso del quale la classe operaia avesse preparato fino ad un certo punto già all’interno della società borghese gli strumenti e le condizioni del suo potere, risalta evidente come causa della sconfitta anche nelle rivoluzioni tedesca, austriaca, finlandese, ungherese del 1918-1919: rivoluzioni popolari che portano alla dissoluzione del vecchio Stato, ma non portano all’instaurazione di un nuovo Stato fino a quando non lo fa la borghesia. Lo stesso confermano le vicende delle altre acute crisi politiche (Polonia, Bulgaria, Romania, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Turchia, USA, Inghilterra, Francia, ecc.) che segnano la fine della Prima guerra mondiale e gli anni immediatamente successivi.

Anche la successiva storia europea di questo secolo conferma l’indicazione di Engels. Fondamentalmente è la storia della guerra tra classe operaia e borghesia imperialista. Tutte le crisi politiche borghesi e i contrasti tra gruppi e Stati imperialisti sono condizionati da questa guerra sottostante. Ma i partiti comunisti non affrontano la situazione in questi termini.

Negli anni ‘30 e ‘40 “Meglio Hitler che i comunisti” fu la parola d’ordine dei gruppi imperialisti francesi di fronte al sorgere del nazismo in Germania e alla sua espansione in Spagna, in Cecoslovacchia, ecc. “Meglio Hitler che il bolscevismo”, “meglio i giapponesi che i comunisti” fu la regola dei gruppi imperialisti inglesi e americani. Lo schieramento degli “Stati democratici” (USA, Inghilterra, Francia) contro il governo repubblicano durante la guerra civile spagnola (1936-1939) fu determinato dallo stesso motivo. La borghesia imperialista infine, nonostante la guerra in corso tra gruppi imperialisti, condusse la Seconda guerra mondiale in funzione anticomunista, con l’obiettivo di stroncare il movimento comunista in Europa e il movimento antimperialista di liberazione nazionale nelle colonie e nelle semicolonie e di soffocare l’Unione Sovietica. Strategicamente la contraddizione tra la borghesia imperialista e la classe operaia era antagonista, la contraddizione tra gruppi imperialisti era secondaria benché anch’essa antagonista. Sul piano tattico il rapporto tra le due contraddizioni fu variabile durante l’intera Seconda guerra mondiale.

Se cerchiamo oggi una risposta alla domanda: “Perché durante la prima crisi generale del capitalismo i partiti comunisti dei paesi imperialisti non sono riusciti a guidare le masse popolari fino alla conquista del potere e all’instaurazione del socialismo?”, la risposta che ci viene dal bilancio dell’esperienza è: “Perché non compresero che la forma della rivoluzione socialista era la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata”. A causa di questa incomprensione essi o dispersero le loro forze in insurrezioni sconfitte (Amburgo - ottobre 1923, Tallin - dicembre 1924, Canton - dicembre 1926, Shangai - ottobre 1926, febbraio 1927, marzo 1927) o subirono l’iniziativa della borghesia e le sue provocazioni (Germania 1919, Ungheria 1919, Italia 1920, Austria 1934, Asturie 1934) o ebbero una linea incerta e contraddittoria (Germania 1933, Spagna 1936-1939).

I limiti dei partiti comunisti nei paesi imperialisti durante la prima crisi generale (1910-1945) in sintesi si riducono alla incomprensione della forma della rivoluzione socialista, a non aver compreso (e tradotto in azione politica la comprensione) che la guerra civile tra classe operaia e borghesia imperialista era la forma principale assunta dalla lotta di classe in quegli anni. I partiti comunisti dei paesi imperialisti non si posero mai su questo terreno come loro terreno strategico principale, dal quale e in funzione del quale sviluppare tutto il loro lavoro, anche quello pacifico e legale. Affrontarono con forza e con eroismo la clandestinità e la guerra quando l’avversario le impose (in Italia e in Jugoslavia nel 1926, in Portogallo nel 1933, in Germania nel 1933, ecc.) ma come un evento straordinario, una pausa in un processo che “doveva” svolgersi altrimenti. Allora anche i comunisti ritenevano che la rivoluzione proletaria assumeva la forma principale della guerra nelle colonie e nelle semicolonie, non nei “civili” paesi imperialisti, benché la borghesia nei “civili” paesi imperialisti avesse a più riprese mostrato che era capace di radere al suolo città e paesi, di passare per le armi decine di migliaia di uomini disarmati, di ricorrere a ogni mezzo pur di conservare il proprio potere, di preferire l’occupazione straniera (“meglio Hitler che il comunismo”) al potere della classe operaia. La storia della Francia nel 1935-1940 è esemplare. Eppure J. Duclos, uno dei maggiori esponenti del PCF di quegli anni assieme a M. Thorez, riassume così i compiti del partito comunista nel 1935 in Francia “porre come obiettivo del movimento operaio la lotta per la difesa e l’ampliamento delle libertà democratiche di fronte al fascismo”.(22) La linea del Fronte unico proletario e del Fronte popolare antifascista (approvata dal VII Congresso dell’Internazionale Comunista, agosto 1935) nei paesi imperialisti fu applicata come linea di alleanza con forze politiche e sindacali e con classi senza l’autonomia del partito e senza la direzione del partito comunista nel Fronte. Quindi portò il partito comunista a essere continuamente ricattato dai partiti socialdemocratici e borghesi, a dipendere, in una certa misura e in certi periodi, nella sua azione verso le masse popolari dalla collaborazione dei dirigenti e dei partiti socialdemocratici e riformisti, a subordinare al loro consenso la sua iniziativa, a porsi compiti la cui attuazione dipendeva dal loro concorso, a non assumere in prima persona la direzione e a non concepire il movimento come guerra.

Il crollo dello Stato francese del maggio-giugno 1940, la liquefazione di vari Stati nazionali davanti all’avanzata di Hitler dopo il 1938 (Cecoslovacchia, Austria, Polonia, Belgio, Olanda, Danimarca, Norvegia, Jugoslavia, Grecia, ecc.), il crollo del fascismo nel luglio 1943 in Italia, ecc. non solo non portarono all’instaurazione della dittatura del proletariato, ma il partito comunista non fu neanche in grado di dare una direzione alle forze popolari che il crollo del vecchio Stato liberava: perché non si era posto in condizioni tali da poter prendere la testa del movimento politico nella nuova situazione, non si era preparato e non aveva accumulato esperienza e strutture per dirigere la guerra, non aveva concepito la forma della rivoluzione proletaria secondo la sua reale natura, non si era abbastanza liberato, nella realtà e non solo nelle dichiarazioni, dalla concezione valida al tempo della Seconda internazionale (di partito più a sinistra tra i partiti della società borghese, di partito che lotta per far valere gli interessi della classe operaia nella società borghese, di portavoce nella società borghese della sua parte più avanzata). Sarà solo successivamente, nel corso della Seconda guerra mondiale che un po’ alla volta i partiti comunisti assumeranno in una certa misura la direzione delle masse popolari nella guerra contro il nazifascismo, nella Resistenza.

Persino nel settembre 1943 in Italia manca ancora una linea di partito per spostare l’attività sul piano della guerra. Dalle caserme che restano per alcuni giorni abbandonate o scarsamente presidiate i singoli comunisti recuperano armi ma per iniziativa individuale; ai soldati, che a causa della vergognosa diserzione del re e di gran parte degli ufficiali si sbandano, il partito per alcune settimane non dà direttive né fornisce organizzazione e direzione. Solo nel corso del mese il partito incomincia a svolgere il suo compito di promotore, organizzatore e dirigente della guerra antifascista con i grandi risultati che conosciamo. Per la prima volta nella loro storia le masse popolari italiane vedono all’opera un partito comunista che dirige sul piano strategico e sul piano tattico una vasta azione politica (che comprende anche il suo aspetto militare): per questo giustamente abbiamo detto che la Resistenza è stata a tutt’oggi “il punto più alto raggiunto finora nel nostro paese dalla classe operaia italiana nella sua lotta per il potere”.

Facendo il bilancio dell’esperienza della guerra civile spagnola (1936-1937), il Partito Comunista di Spagna (ricostruito) è arrivato alla conclusione di “indicare la via della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata come la via verso la quale conduceva l’esperienza del PCE, ma che il PCE non scoprì”. E in questo limite, che il PCE non riuscì a superare, il PCE(r) vede la causa principale della sconfitta delle masse popolari spagnole.(23)

Perché il crollo di uno Stato porti all’instaurazione della dittatura del proletariato occorre che essa sia preceduta da un periodo di “accumulazione delle forze rivoluzionarie attorno al partito comunista” e che il crollo dello Stato borghese avvenga nel corso di un movimento diretto dal partito (l’avanzata dell’Armata Rossa in Europa Orientale nel 1944-45; la Cina del 1949; Cuba nel 1959; i tre paesi dell’Indocina nel 1975).

Mao Tse-tung ha sviluppato in modo approfondito gli aspetti universalmente validi dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie attorno al partito comunista nel partito stesso, nel fronte delle classi rivoluzionarie e nelle forze armate rivoluzionarie e ha chiamato guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata questo processo in cui le forze che il corso della vita sociale gradualmente suscita, vengono via via raccolte dal partito comunista che le educa impiegandole nella lotta (secondo il principio di “imparare a combattere combattendo”), le organizza, le unisce in modo che crescano fino a prevalere sulle forze della borghesia imperialista.(24)

Mao ha studiato e indicato anche le grandi fasi attraverso cui si sviluppa la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.

La fase della difensiva strategica: le forze della borghesia sono preponderanti, le forze rivoluzionarie deboli; il compito del partito è quello di raccogliere, addestrare e organizzare forze impiegandole nella lotta evitando però di essere costretto a uno scontro frontale e decisivo e mirare a preservare e accumulare le sue forze; la borghesia cerca lo scontro risolutivo, il partito lo evita mantenendo l’iniziativa sul piano tattico.

La fase dell’equilibrio strategico: le forze rivoluzionarie hanno raggiunto le forze della borghesia imperialista.

La fase dell’offensiva strategica: le forze rivoluzionarie hanno raggiunto la superiorità rispetto alle forze della borghesia; il compito del partito è quello di lanciare le forze rivoluzionarie all’attacco per eliminare definitivamente le forze della borghesia e prendere il potere.

Ovviamente sta a noi comunisti italiani trovare, con la riflessione e con la verifica nella pratica, i passaggi e le leggi concrete della rivoluzione nel nostro paese. Ma noi troviamo illustrate nelle opere di Mao Tse-tung le leggi universali della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, elaborate sulla base dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e confermate dai vari episodi che la compongono.

Il maoismo non è il marxismo-leninismo applicato alla Cina o alle semicolonie o alle colonie e semicolonie. È la terza superiore tappa del pensiero comunista, dopo il marxismo (Marx-Engels) e il leninismo (Lenin-Stalin). Giustamente Stalin in Lezioni sul leninismo (1924) aveva mostrato che il leninismo non era l’applicazione del marxismo alla Russia o ai paesi arretrati, ma era il marxismo dell’epoca in cui la rivoluzione proletaria incominciava. Non era più possibile essere marxisti senza essere leninisti. Analogamente oggi non si può più essere marxisti-leninisti senza essere maoisti: vorrebbe dire non tenere conto dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, di cui ovviamente Lenin non ha potuto fare il bilancio. Ma tutti i tentativi di affermare il maoismo come terza superiore tappa del pensiero comunista si impantanano in discorsi e riflessioni fumosi se non poggiano sulla tesi che “la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è la forma universale della rivoluzione proletaria”. Questa tesi emerge chiaramente dagli articoli Per il marxismo-leninismo-maoismo. Per il maoismo e Sulla situazione rivoluzionaria in sviluppo pubblicati in Rapporti Sociali n. 9/10 (1991) a cui rimandiamo per alcuni sviluppi particolari.

Mao Tse-tung non ha criticato negli anni ‘30 e ‘40 la concezione della rivoluzione proletaria prevalente nei partiti comunisti dei paesi imperialisti, anzi ha indicato la loro linea di “allargamento della democrazia” (per la quale rimandiamo all’affermazione di J. Duclos sopra riportata) come linea normale nelle loro circostanze (salvo criticare quei comunisti cinesi che volevano adottare anche in Cina la parola d’ordine del PCF “Tutto attraverso il Fronte” negando così l’autonomia del Partito comunista cinese nel Fronte antigiapponese). Ciò attiene allo stesso ordine di questioni per cui Lenin ha difeso l’organizzazione strategica clandestina del partito russo in nome della particolarità russa fino a quando il crollo della Seconda internazionale nel 1914 dimostrò praticamente la necessità universale di essa. Il marxista trae dalla pratica gli insegnamenti che essa contiene, non inventa teorie. Le idee devono dar prova di sé nella pratica, al negativo e al positivo, prima di poter essere rigettate le une e valorizzate le altre. I partiti comunisti dei paesi imperialisti durante la prima crisi generale del capitalismo hanno compiuto grandi opere, hanno mobilitato grandi masse e hanno dato un contributo importante alla vittoria contro il nazifascismo. Bisognava che i limiti di tutto questo grande lavoro fossero mostrati dall’incapacità di valorizzare i frutti della vittoria sul nazifascismo e di assumere il potere, perché essi potessero essere compresi e criticati e la teoria maoista sulla forma universale della rivoluzione proletaria assurgesse a parte del patrimonio teorico del movimento comunista.

La realtà dello svolgimento della rivoluzione proletaria nel periodo 1914-1945 ha mostrato, anche nei paesi imperialisti, che i partiti comunisti hanno unito la classe operaia e hanno affermato la direzione della classe operaia sulle altre classi popolari quando e nella misura in cui hanno saputo organizzare le masse popolari nella guerra contro l’esistente regime della borghesia imperialista. Finché la loro azione aveva al centro il tentativo di convincere socialdemocratici, cattolici, ecc. a costituire un comune fronte di opposizione legale, un comune fronte rivendicativo, un comune fronte antifascista, la loro azione ha avuto scarsi risultati. Essi hanno diretto lavoratori cattolici, socialisti, senza partito ecc. e hanno costretto anche i loro dirigenti a seguirli, quando si sono messi alla testa della guerra cui le condizioni pratiche costringevano le masse.

 

Ma allora forse che noi comunisti dobbiamo proclamare una guerra che non esiste, per affermare nel corso di essa la direzione della classe operaia? Quando noi diciamo che la crisi generale attuale ha la sua soluzione nello scontro tra mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria delle masse, noi diciamo che lo scontro tra le classi e lo scontro tra i gruppi imperialisti si spostano sempre più sul terreno della guerra. Oltre alle guerre dichiarate, è in corso una guerra non dichiarata tra da una parte la borghesia imperialista che vuole e deve valorizzare il suo capitale e che a questo fine deve schiacciare e torturare milioni di uomini e donne e dall’altra le masse popolari che si difendono come possono e in ordine sparso. La borghesia la combatte a suo modo, usando gli strumenti di cui dispone (il denaro, le leggi “oggettive” dell’economia, i “normali” rapporti sociali, l’autorità morale dei padroni e dei preti, la pressione delle abitudini e della cultura corrente, le armi, i corpi ufficiali dello Stato, i corpi extralegali, le istituzioni dello Stato, ecc.) per cacciare milioni di uomini e donne nello stato di “esuberi”, per privare delle condizioni elementari di vita - il cibo, la casa, il vestiario, l’istruzione, le cure mediche, ecc. - milioni di uomini, per spogliare milioni di uomini di quanto avevano conquistato, per stroncare i tentativi di emancipazione e di organizzazione, per eliminare quei loro dirigenti che cercano di promuovere, organizzare e dirigere la resistenza. A livello mondiale le vittime di questa guerra diffusa e non dichiarata sono innumerevoli, maggiori di quelle di tutte le guerre dichiarate che si svolgono nello stesso tempo, se è vero che solo i morti per fame sono dell’ordine di 30 milioni all’anno. Anche nei ricchi paesi imperialisti le vittime di questa guerra sono le migliaia di uomini e donne emarginati come esuberi, distrutti moralmente e fisicamente, abbrutiti, depravati, prostituiti, in mille modi angariati e umiliati. È la famosa “lotta di classe che non esiste più” nelle interessate dichiarazioni della borghesia imperialista e dei suoi portavoce. Una lotta che noi comunisti dobbiamo assumere come nostra, riconoscere, scoprirne le leggi, attrezzarci per combatterla con successo portando sul campo di battaglia le forze che il corso della vita sociale e lo sviluppo stesso della lotta suscitano. A nostra volta dobbiamo combatterla a nostro modo: in conformità alla classe che la deve dirigere, alle classi che la devono combattere e da cui provengono le nostre forze, alle condizioni complessive dei rapporti tra le classi del nostro campo e alle influenze reciproche tra il nostro campo e il campo nemico.

Il problema quindi è di essere presenti e protagonisti sul terreno di questa guerra, di non farsi sorprendere dagli eventi, di orientare il nostro lavoro di oggi in vista di questo corso inevitabile, di avere l’iniziativa in mano anche se il rapporto delle forze oggi è largamente a favore dei nostri avversari e di capire le leggi particolari di questa guerra (che non sono quelle della guerra in generale né quelle delle guerre passate né quelle della guerra imperialista). Questo è il terreno di scontro reale. Su questo terreno si decidono le sorti. In funzione di questo terreno vanno condotte tutte le operazioni. Occorre stabilire una giusta gerarchia strategica tra le nostre operazioni e poi di passaggio in passaggio definire la gerarchia tattica. Non si tratta oggi principalmente di propagandare la guerra, di convincere con la nostra propaganda la classe operaia e le masse popolari a prepararsi alla guerra. Non si tratta di “elevare la coscienza” delle masse con la nostra propaganda. Si tratta principalmente di creare un partito che lavori e sia capace di lavorare in funzione della guerra e che da questa posizione diriga e promuova anche la lotta delle masse a favore della pace contro la guerra imperialista verso cui la borghesia imperialista, con tutte le sue misure concrete, ci sta trascinando anche se la teme e se ne ritrae, resa timorosa dalle esperienze passate. Ovviamente per riuscire in questo compito bisogna tra l’altro che noi impariamo a vedere che effettivamente la borghesia imperialista, con le sue misure concrete in campo economico, politico e culturale, sta portando verso la guerra imperialista (la mobilitazione reazionaria delle masse) e sta conducendo una guerra di sterminio contro le masse popolari. Chi non vede questo chiaramente, o ripiega su illusioni opportuniste e conciliatorie (“non ci sarà alcuna guerra”) o “proclama lui la guerra” .

A scanso di equivoci e visti i precedenti delle Brigate Rosse che dalla propaganda armata per riunire le condizioni per la ricostruzione del partito comunista sono passate a una “guerra dispiegata” che esisteva solo nella fantasia dei militaristi (dove quindi si sono trovate sole, abbandonate dalle masse, fino alla disgregazione e alla corruzione anche delle forze che avevano già accumulato), occorre dire che la guerra, in quanto forma principale della rivoluzione proletaria, è una guerra particolare, differente dalle guerre che l’umanità ha conosciuto nei secoli precedenti. Essa è una guerra di tipo nuovo perché ha un obiettivo diverso da tutte le guerre precedenti: la conquista da parte della classe operaia della direzione delle masse popolari nella loro mobilitazione contro la borghesia imperialista per l’instaurazione del potere della classe operaia e del socialismo. Essa si svolge in forme sue proprie. La comprensione delle forme particolari di questa guerra nel nostro paese, l’elaborazione e l’applicazione di linee e metodi conformi ad esse e la sua direzione costituiscono il compito specifico del nuovo partito comunista.

 

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