La Voce 30

11 - Clandestinità, lotta al legalitarismo, difensiva strategica e tattica offensiva

sabato 1 novembre 2008.
 

Premessa

“Il criterio generale d’azione in questa fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata condotta dal (n)PCI [la fase della difensiva strategica, ndr] è: essere strategicamente sulla difensiva, ma tatticamente all’offensiva, avere l’iniziativa in mano.

Cosa significa?

Per comprendere bene questo criterio bisogna analizzarlo alla luce delle “due gambe” (1. intervento nelle masse popolari e 2. intervento nelle contraddizioni del nemico). Esso infatti si traduce in:

1. utilizzare tutte le occasioni, tutti gli ambiti per sviluppare un nostro intervento nelle masse popolari per accumulare forze e far crescere il Nuovo Potere;

2. operare per impedire al nemico di concentrare tutte le sue forze contro di noi, evitare lo scontro frontale, sfruttare a nostro vantaggio il “tallone d’Achille” del regime di controrivoluzione preventiva (le masse popolari), sfruttare a nostro vantaggio le contraddizioni presenti nel campo borghese per ostacolare e rallentare l’unificazione delle varie formazioni intorno ad un’unica linea repressiva con cui fronteggiare il Nuovo Potere e, quindi, guadagnare tempo per accumulare forze rivoluzionarie”.

Questo passaggio è tratto dall’articolo pubblicato su La Voce n. 29 Difensiva strategica e tattica offensiva: criteri, principi e secondo fronte di lotta . In esso abbiamo analizzato l’importanza della tattica offensiva principalmente per quanto riguarda l’accumulazione delle forze rivoluzionarie intorno al Partito (ossia la costruzione del Fronte), seguendo il Piano Generale di Lavoro (PGL). Inoltre, unendo il generale con il particolare, abbiamo analizzato in maniera specifica l’intervento nel secondo fronte di lotta del PGL: l’irruzione nel “teatrino della politica borghese”.

Nel presente articolo approfondiremo ancor di più la dialettica tra la difensiva strategica e la tattica offensiva, data l’importanza che essa ricopre nella GPRdiLD. In particolare concentrerò l’attenzione sul ruolo e sulla funzione della clandestinità per quanto riguarda questa combinazione. Inoltre, unendo il generale con il particolare, affronteremo la necessità della lotta contro il legalitarismo presente nelle nostre file per avere l’iniziativa tattica sul nemico e avanzare nella costruzione del Partito e del Fronte.

 

1. La clandestinità è l’elemento decisivo per essere tatticamente offensivi

A differenza di quello che pensano i militaristi e i movimentisti, la costruzione del Partito è il centro della GPRdiLD. Un partito comunista per essere all’altezza della situazione e del suo ruolo storico di avanguardia della classe operaia nella lotta per il socialismo, deve essere in grado di operare con continuità quali che siano gli sviluppi della lotta di classe e gli attacchi del nemico. Deve essere un partito clandestino. Pensare di condurre la GPRdiLD con un “partito comunista nei limiti della legge” è ingenuità o imbroglio. I promotori di simile progetto se persisteranno nel loro proposito sono destinati a dividersi in due: o finiranno ammazzati o passeranno dall’altra parte della barricata. L’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria non lascia dubbi al riguardo.

La natura clandestina del partito è l’elemento decisivo per avanzare nel lavoro di accumulazione di forze rivoluzionarie durante tutta la GPRdiLD. Per quanto riguarda la fase attuale, la difensiva strategica in un regime di controrivoluzione preventiva, questo principio si traduce in cinque principali punti:

- primo , solo attraverso la clandestinità è possibile elaborare la linea, la strategia e la tattica andando veramente “a fondo” nell’analisi, nella trattazione e nella discussione delle questioni, senza farsi legare le mani dai limiti imposti della legalità borghese, liberi dal controllo vigile degli apparati repressivi e non ostacolati nella discussione (che è un metodo indispensabile per elaborare) da considerazioni di opportunità (“non dare armi al nemico che ci perseguita”);

- secondo , solo la clandestinità permette di mantenere la continuità del lavoro nonostante gli attacchi repressivi del nemico;

- terzo, solo la clandestinità permette di condurre delle operazioni tattiche cogliendo di sorpresa il nemico, perché liberi dal suo controllo;

- quarto , solo la clandestinità permette di sviluppare (senza essere provocatori o avventuristi, senza deviare in una propaganda demagogica che maschera una pratica legalitaria e che solo per questo è tollerata dal nemico - separazione teoria-pratica) una propaganda veramente libera, ossia una propaganda che entra nel merito delle questioni senza farsi legare le mani dalle leggi borghesi: questo permette di sviluppare, in proporzione con le forze a disposizione del Partito, un incisivo lavoro di orientamento, formazione e lotta ideologica tra le forze rivoluzionarie, tra gli elementi avanzati delle masse popolari, i sindacati, le associazioni, i comitati di lotta, ecc.;

- quinto , la clandestinità è una tutela per le organizzazioni legali presenti nel nostro paese. L’esistenza del partito clandestino crea infatti nella borghesia incertezze rispetto alla linea da adottare contro il movimento comunista e progressista e rispetto allo sviluppo della mobilitazione rivoluzionaria, poiché la clandestinità permette di trasformare ogni attacco repressivo nel suo contrario: in un contributo alla mobilitazione rivoluzionaria. La borghesia è cosciente del fatto che se mette fuori legge il comunismo oppure se intensifica la repressione nei confronti delle organizzazioni comuniste o progressiste legali, crea le condizioni per rafforzare la costruzione del partito clandestino e alimentare le sue fila. L’esperienza fatta con il fascismo e con la Resistenza (trasformazione della mobilitazione reazionaria in mobilitazione rivoluzionaria) ha marchiato a fuoco la pelle della classe dominante: ci sono diverse tendenze al suo interno sulla linea da adottare e ancora le varie componenti borghesi non hanno raggiunto un’unità di vedute. Lo sviluppo dell’attività del Partito nei quattro fronti del PGL influenza sempre di più queste contraddizioni interne al campo borghese. [1] Questo permette di guadagnare tempo per accumulare forze, attuando il PGL e sfruttando al meglio anche il lavoro legale, in vista della guerra civile che la borghesia inevitabilmente scatenerà contro il movimento comunista, rompendo la sua stessa legalità (passaggio dalla prima alla seconda fase della GRPdiLD). 

Questi cinque punti mostrano in maniera chiara che la clandestinità è l’elemento decisivo per avere sempre in mano l’iniziativa durante la GPRdiLD, per essere tatticamente offensivi anche in una situazione di difensiva strategica.

 

2. Chi non gioca d’iniziativa sul nemico, subisce la sua iniziativa

La natura clandestina del partito sarà l’elemento decisivo anche per non disperdere le forze accumulate durante la prima fase della GPRdiLD e continuare ad accumularne quando la borghesia imperialista romperà la sua stessa legalità e scatenerà la guerra civile contro il movimento comunista (passaggio alla seconda fase della GPRdiLD).

Più volte abbiamo detto e ribadito che la clandestinità non si improvvisa con lo scoppio della guerra civile. Per giocare infatti d’iniziativa sul nemico anche quando scoppierà la guerra civile, bisogna lavorare fin dalla fase attuale per creare e accumulare le condizioni per affrontare il cambiamento di situazione. L’impreparazione e lo spontaneismo, il navigare a vista, di norma aprono le porte a una regressione e spesso anche alla disfatta se non si corregge il tiro per tempo facendo il bilancio dell’esperienza.

Bisogna quindi lavorare fin da subito per costruire un partito clandestino e avanzare nel suo consolidamento e rafforzamento.

Questo significa:

- avanzare nella costruzione dell’unità ideologica nel Partito, utilizzando al meglio il Manifesto Programma , che sintetizza e illustra il nostro piano strategico: un’armata vincente è un’armata che è unita dalla stessa concezione e visione strategica;

- sperimentare lo stile di lavoro e il funzionamento clandestino, facendo tesoro dell’esperienza accumulata dal movimento comunista e operando concretamente nella clandestinità (e non come fanno ancora alcune FSRS “iper-rivoluzionarie” che spacciano per clandestinità la semi-clandestinità, una “clandestinità nei limiti della legge sotto l’occhio vigile della borghesia”, senza tirare le dovute conclusioni politiche dalle varie inchieste giudiziarie che si moltiplicano nel nostro paese - e che sono solo un assaggio della repressione su larga scala che la borghesia metterà in campo in futuro e per la quale si sta preparando); [2]

- attraverso l’esperienza e il suo bilancio elaborare criteri e principi via via superiori per la clandestinità e forgiare un corpo di rivoluzionari di professione in grado di operare clandestinamente, come indicava già Lenin nel Che fare? (che, per molti versi, può essere considerato il manuale per l’accumulazione delle forze rivoluzionarie nella prima fase della GRPdiLD in un paese imperialista );

- dotarsi di canali economici sconosciuti alla borghesia e su cui quindi essa non può intervenire;

- sviluppare il lavoro di reclutamento;

- sviluppare la costruzione dei Comitati di Partito clandestini;

- formare allo stile di lavoro clandestino il più vasto numero di quadri e militanti;

- rafforzare il legame del partito con le masse attraverso il PGL.


Il significato del 17 ottobre

Centinaia di migliaia di lavoratori hanno scioperato e sono scesi in piazza rispondendo all’appello lanciato da Confederazione Cobas, RdB, SdL e altri sindacati di base. Hanno segnato una nuova tappa nel rinnovamento del movimento sindacale. Nei sindacati di regime la destra (capitanata da Epifani, Bonanni e Angeletti) spadroneggia ancora, ma è sempre più in difficoltà. La sinistra acquista forza. Bisogna che il sindacalismo alternativo e la sinistra dei sindacati di regime si uniscano e facciano fuori la direzione della destra.
La crisi si aggrava. I lavoratori hanno bisogno di lottare su scala più grande e con più forza per salari, pensioni, posti di lavoro, riduzione dei mutui, degli affitti, delle tariffe, delle tasse e dei ticket. Organizzazioni sindacali e comitati di resistenza devono unirsi e attaccare padroni, clero e autorità. Bisogna far valere il diritto non solo alla vita, ma anche a una vita dignitosa per tutti i lavoratori e il diritto al lavoro.
Bisogna rafforzare in ogni azienda l’organizzazione sindacale, estromettendo la destra dalla direzione dei sindacati. Bisogna rafforzare nelle città, nei quartieri e nei paesi gli organismi e i comitati di resistenza.
Ma soprattutto bisogna rafforzare il Partito comunista, il movimento comunista cosciente e organizzato, la lotta per instaurare il socialismo. Padroni, autorità e clero cederanno terreno solo se avranno paura di perdere tutto. Avranno paura di perdere tutto, se i lavoratori saranno decisi a prendere tutto, a instaurare il socialismo.
Dopo lo sciopero e le manifestazioni del 17 ottobre i capi dei sindacati promotori si sono detti spaventati del successo che andava oltre ogni previsione. La loro paura non è una debolezza personale. È una questione di linea politica, di mancanza di prospettiva. Senza la prospettiva di instaurare il socialismo, la lotta sindacale non ha sbocco: non sanno cosa fare. I padroni, il clero e le Autorità lo sanno e manovrano. Anche i lavoratori in qualche modo lo sentono.
Bisogna rafforzare e organizzare meglio le lotte sindacali e le rivendicazioni. Il fattore decisivo è rafforzare la lotta per instaurare il socialismo. Fare di ogni lotta una scuola di comunismo! Rafforzare le organizzazioni che lottano per instaurare il socialismo. 

Riccardo A.

Tutto questo lavoro non si improvvisa e non si può improvvisare con lo scoppio della guerra civile.

Il sacrificio di Gramsci, Liebknecht, Rosa Luxemburg e Thälmann, frutto dell’impreparazione del vecchio PCI e del KPD ad affrontare il passaggio alla guerra civile, stanno lì a dimostrarlo. È necessario però aggiungere una cosa, che spesso non viene considerata nel dovuto modo da numerose componenti del movimento comunista, sia nel nostro paese sia su scala internazionale (tra cui i compagni del Partito Marxista Leninista Tedesco - MLPD): il vecchio PCI e il KPD riuscirono a riorganizzarsi subito dopo il durissimo colpo repressivo (anche se durante la lotta al nazismo il KPD non riuscì mai a raggiungere i livelli politici e organizzativi che raggiunse il PCI), principalmente grazie al sostegno politico e logistico dell’URSS, “base rossa” della rivoluzione proletaria mondiale. Oggi che l’URSS non esiste più, la necessità della clandestinità per giocare d’iniziativa sul nemico anche quando scatenerà la guerra civile, si ripresenta quindi ad un livello superiore. Detta in altre parole: oggi più di ieri bisogna lavorare fin da subito per costruire il partito clandestino, rompendo con l’attendismo, lo spontaneismo e anche con l’errata tendenza che porta a confondere clandestinità e semi-clandestinità.

Una delle principali lezioni che emergono dal bilancio storico del movimento comunista internazionale infatti è: chi non gioca d’iniziativa sul nemico, subisce la sua iniziativa.

 

3. Lotta al legalitarismo e difesa del Partito

La conseguenza politica di quanto detto fin qui è: il compito principale di tutti i membri del Partito è tutelare la struttura clandestina e, in particolare, il Centro clandestino. Questo significa principalmente due cose:

- adottare una concezione e un metodo di lavoro adeguato alla natura clandestina del Partito;

- tenere alta la vigilanza rivoluzionaria contro spie, infiltrati e polizia politica.

Questi due aspetti presentano delle caratteristiche specifiche, ma sono strettamente legati tra loro. In particolare, l’elemento comune che li unisce è che, per svilupparli, occorre lottare contro il legalitarismo presente nelle nostre fila.

Per lottare in modo incisivo contro questa tendenza negativa bisogna innanzi tutto liberare il campo dalla concezione soggettivista che porta a pensare che basta riconoscere l’importanza della natura clandestina del Partito e far parte di uno dei suoi organismi per diventare “immuni” dal legalitarismo.

Certo, la condivisione della clandestinità e l’appartenenza al Partito sono indice di un certo livello di emancipazione dal legalitarismo e dall’influenza ideologica della classe dominante. Ma con la condivisione della clandestinità e l’appartenenza al Partito non si diventa “immuni” dal legalitarismo o più in generale dall’influenza della borghesia. Pensarlo significa riprodurre, anche se in forme e modi diversi, lo stesso errore che commettevano molti compagni negli anni ’70 (e che alcune FSRS commettono ancora oggi): secondo loro decidere di imbracciare le armi voleva dire aver raggiunto un livello di assoluta e irreversibile autonomia ideologica dal nemico di classe. L’esperienza poi ha mostrato che non era così, anche a caro prezzo (deriva militarista, dissociazione, pentitismo). L’influenza della borghesia esisterà, in forme e modi diversi, fin quando esisteranno le classi sociali. Essa è un prodotto storico che si estinguerà solo con l’estinzione di ciò che lo produce, le classi sociali. Il Partito non può eliminarla, ma può combatterla e contenerla. Lo fa attraverso la lotta tra le due linee e la Critica-Autocritica-Trasformazione (CAT).

I compagni del Partito che svolgono anche un’attività legale (siano essi rivoluzionari di professione o compagni in produzione) sono più influenzati dal legalitarismo rispetto ai rivoluzionari di professione che vivono e operano in clandestinità. Questa dinamica non è prodotta dalle “caratteristiche personali”, soggettive degli uni o degli altri (teoria soggettivista del super-uomo). È prodotta dalle condizioni oggettive in cui essi operano. Sono queste che influenzano la loro concezione e la loro formazione. Nella clandestinità infatti la lotta contro la tendenza legalitarista si sviluppa ad un livello superiore principalmente per due motivi:

- i compagni che vivono ed operano nella clandestinità, strutturano la loro vita intorno a dei criteri e principi finalizzati alla lotta contro la polizia politica (utilizzo di documenti falsi, compartimentazione, canali di comunicazione e finanziamento segreti, tecniche per realizzare incontri sicuri con i compagni che operano nella legalità, ecc.);

- come abbiamo visto precedentemente, nella clandestinità si va “più a fondo” nelle analisi e nel confronto (liberi dal controllo della borghesia e dalle limitazioni della legalità borghese) e questo rafforza la propria formazione e autonomia ideologica.

È la combinazione di questi due aspetti che permette di affrontare ad un livello superiore la lotta contro il legalitarismo nella clandestinità. Ciò non significa però che i rivoluzionari di professione che vivono ed operano nella clandestinità sono “immuni” dal legalitarismo e che quindi non è necessario sviluppare il processo di Critica-Autocritica-Trasformazione (CAT). Non bisogna ragionare con la concezione schematica del “o bianco o nero”.

Il legalitarismo si manifesta in diversi modi nelle nostre fila. Indichiamo alcuni degli esempi più frequenti o, comunque, più gravi:

- non rispettare la compartimentazione, la divisione dei compiti e le gerarchie all’interno del Partito e del proprio collettivo e tendere all’assemblearismo e al liberalismo con gli altri compagni del Partito (tendere cioè a parlare di tutto con tutti);

- parlare con i propri figli, coniugi, genitori, fidanzate/i o amici di cose riservate, senza l’autorizzazione del Partito;

- non raccogliere informazioni dettagliate (sia sul presente che sul passato) sugli elementi della masse popolari che vogliono entrare nel Partito o su cui vogliamo intervenire;

- non prestare la dovuta attenzione alla puntualità negli appuntamenti clandestini;

- non prestare la dovuta attenzione, tempo e risorse per verificare se si è “puliti” prima di recarsi ad un appuntamento clandestino;

- fare le riunioni clandestine con il telefonino in tasca (poco conta se si toglie la batteria: il criterio generale deve essere di non portarselo mai dietro durante gli appuntamenti e le riunioni clandestine);

- non usare pseudonimi per indicare questo o quel compagno nei rapporti scritti delle riunioni clandestine oppure nell’agenda dove scriviamo gli appuntamenti clandestini;

- non prestare una sistematica attenzione a quello che si scrive nei rapporti o nei resoconti che si fanno per le organizzazioni legali di cui si fa parte, inserendo in essi anche aspetti che riguardano l’attività clandestina (durante un’iniziativa, un incontro bilaterale, ecc. a volte si svolgono attività inerenti sia al lavoro legale che a quello clandestino - l’errore qui indicato consiste nello scrivere nel rapporto o nel resoconto destinato alle organizzazioni legali di cui si fa parte, anche aspetti che riguardano il lavoro clandestino, per superficialità e non netta divisione nella nostra testa dei due ambiti di lavoro);

- parlare nelle sedi pubbliche o in casa di cose riservate (magari sottovoce o per sottintesi pensando così di non essere compresi dai poliziotti che ascoltano - il criterio generale deve essere: evitare sempre, in qualsiasi modo o situazione, di parlare nelle sedi pubbliche o in casa di cose riservate);

- tenere documenti riservati in casa;

- tenere in casa o in banca i soldi destinati all’attività clandestina (la polizia li può sequestrare durante una perquisizione o bloccare attraverso un intervento sulla banca);

- non verificare sistematicamente di essere “puliti” prima di recarsi in un internet point ad inviare un comunicato dell’organismo clandestino a cui si appartiene;

- inviare i comunicati dell’organismo clandestino a cui si appartiene quasi sempre (o comunque con una certa frequenza) dallo stesso internet point;

- usare lo stesso computer personale sia per l’attività legale che per l’attività clandestina e connettersi con esso ad internet (attraverso la connessione internet gli apparati repressivi possono infatti entrare nel computer e verificarne il contenuto);

- non utilizzare sistematicamente il programma TOR o altro equivalente quando si va su internet; 

- parlare al telefono o via e-mail in chiaro di cose riservate o utilizzare sottintesi pensando così di non essere compresi dai poliziotti che ci controllano;

- non “pulire” sistematicamente il computer dopo aver realizzato documenti riservati, cancellandone le tracce con l’utilizzo di programmi adeguati;

- durante gli interrogatori collaborare, in buona fede, con la polizia dando alcune informazioni oppure cercare di convincere gli sbirri che la nostra lotta è giusta, anziché avvalersi sempre e comunque (salvo diversa indicazione del Partito) della facoltà di non rispondere oppure se questo non è possibile (ossia quando si è interrogati in qualità di testimoni e non si ha la facoltà di non rispondere) rispondere alle domande facendo delle dichiarazioni politiche concordate precedentemente con il proprio collettivo, senza farsi legare le mani delle domande che ci vengono fatte e/o dalle reazioni degli sbirri;

- non richiamare i compagni che commettono uno o più di questi errori, mostrandogli l’origine ideologica dell’errore commesso e il potenziale pericolo che può costituire per il Partito e, su questa base, impostare un percorso di CAT.

Questi sono alcuni degli esempi più frequenti o, comunque, più gravi di legalitarismo. Emerge che il legalitarismo spesso produce superficialità, liberalismo e in alcuni casi anche assemblearismo. Ogni errore è una potenziale informazione che diamo, involontariamente, agli organi della controrivoluzione preventiva che fanno dell’accumulazione e dello studio delle informazioni il loro principale strumento per cercare di ricostruire il funzionamento del Partito, individuare i militanti, la fonte delle risorse economiche, la struttura logistica, scovare e mettere “fuori gioco” il Centro clandestino. Per costruire un Partito all’altezza della situazione dobbiamo rompere con la superficialità, il liberalismo e l’assemblearismo prodotte dal legalitarismo e passare da uno stile di lavoro artigianale e approssimativo ad uno stile di lavoro di alto livello e professionale, attraverso la CAT.

Non bisogna lasciare alla buona volontà di ogni singolo compagno l’attuazione dei criteri e principi della sicurezza e della clandestinità. Al contrario, ogni dirigente deve dirigere, ha il compito di dirigere il proprio collettivo per:

- formare i compagni al funzionamento clandestino, unendo l’illustrazione dei criteri e principi (anche attraverso un percorso di studio degli articoli fatti al riguardo su La Voce - indicati nell’Indice Analitico nella rubrica “clandestinità”) con l’esperienza e il suo bilancio;

- affrontare e superare, attraverso la CAT, i vari limiti ed errori prodotti dal legalitarismo;

- ammonire, sospendere, espellere (consultandosi con l’istanza superiore) i compagni che persistono nell’indisciplina anarcoide e nella superficialità, mettendo a rischio il proprio collettivo e il Partito tutto;

- concordare con l’istanza superiore come mettere le spie e gli infiltrati in condizione di non nuocere al Partito.

Emerge chiaramente che senza la lotta contro il legalitarismo non è possibile proteggere il Partito dagli attacchi del nemico e riuscire ad avere sempre l’iniziativa tattica su di esso: il legalitarismo ci porta infatti a fare il suo gioco, a subire la sua iniziativa, a dargli informazioni per colpirci!

 

4. Lotta al legalitarismo nei quattro fronti del PGL: innalzare la bandiera “è illegale ma legittimo!” e fare di ogni esperienza una scuola di comunismo

Il legalitarismo però si manifesta anche in altri modi, che non sono strettamente legati alla difesa del Partito clandestino dagli organi repressivi dello Stato borghese, ma che riguardano principalmente il lavoro nei quattro fronti di lotta del PGL. Indichiamo alcuni esempi, che riteniamo rendano bene l’idea e che forniscono elementi di riflessione utili per permettere ai compagni di analizzare, con senso critico e autocritico e nell’ottica della trasformazione, la loro attività o l’attività di altre organizzazioni:

- durante i processi accettare il ruolo di imputati che devono giustificarsi e convincere la Corte della propria innocenza o buona fede anziché giocare d’attacco, passare da accusati ad accusatori, chiamare sul banco degli imputati la borghesia e unire la lotta nell’aula del tribunale con la mobilitazione fuori, sia prima che durante l’udienza, muovendosi su “due gambe” (processo di rottura);

- durante un procedimento giudiziario farsi dirigere dagli avvocati e subordinare alla loro autorizzazione le nostre azioni e decisioni, anziché operare in piena autonomia nel condurre la battaglia processuale e cercare, sulla base di questa nostra autonomia, di creare con i nostri avvocati una sinergia;

- avere delle resistenze a condurre la lotta contro spie, infiltrati e polizia politica (oppure mantenere le informazioni nel giro degli “addetti ai lavori”) anziché denunciare subito e a gran voce tizio o caio come spia, infiltrato e poliziotto facendo dei comunicati, volantini, manifesti con foto, corpo di appartenenza, zona in cui operano, nome e cognome, indirizzo di casa, numero di telefono;

- trascurare il fatto che la polizia normale, le agenzie investigative private, il clero e altri funzionari collaborano normalmente con la polizia politica che di essi si avvale;

- fare i “buoni candidati” durante la campagna elettorale o i “buoni eletti” dopo le elezioni, anziché utilizzare la campagna elettorale e il ruolo di consigliere, deputato o senatore per rompere le regole, scritte e non scritte (gli usi e i costumi), del “teatrino della politica borghese”, fare delle incursioni, creare scompiglio nelle fila nemiche ricavandone tutto il possibile per alimentare e potenziare la lotta delle masse popolari per i propri interessi immediati e per il socialismo, mettere alle strette i teatranti e limitare la loro agibilità nel teatrino, rompendo il segreto che circonda le istituzioni e rendendole ingestibili per la borghesia;

- rifiutare a priori di utilizzare escamotage per aggirare, quando si è in difficoltà, i limiti burocratici o pecuniari che la borghesia ha posto appositamente per evitare la presentazione di liste comuniste o popolari alle elezioni; 

- fidarsi della parola data da terzi, senza cautelarsi di fronte al fatto che può trattarsi di una trappola per farci perdere tempo e scadere i termini, che ci possono essere ripensamenti, che chi ci ha dato la sua parola può essere sottoposto a pressioni e ricatti;

- pensare che non sia necessario sviluppare e promuovere il controllo popolare nei seggi elettorali durante lo spoglio dei voti: insomma, affidarsi alla “buona morale” dei politicanti borghesi. L’esperienza di controllo popolare durante lo spoglio fatta a Priverno nelle scorse elezioni dal P-CARC è un esempio da seguire ed estendere su larga scala (al riguardo vedere Resistenza di maggio ’08);

- parlare al telefono di cose che riguardano l’attività politica legale senza selezionare cosa dire e cosa non dire per evitare di dare agli apparati repressivi informazioni in più o conferme rispetto al collettivo e al partito legale, al sindacato, ecc. di cui si fa parte (spettegolare, fare telefonate lunghe in cui si dice di tutto e di più, fare degli “sfoghi” telefonici, ecc.). Spesso si pensa infatti che, poiché la borghesia controlla l’operato delle organizzazioni legali, non è il caso di prendere delle contro-misure, per evitare di dare conferme o informazioni in più (“la borghesia tanto già sa”) oppure si pensa che, dato che si svolge un’attività legale, non “abbiamo nulla da nascondere”;

- la stessa cosa vale anche, ad esempio, per l’invio postale della stampa del proprio partito, organizzazione, sindacato, ecc.: spesso non si utilizzano guanti per evitare di lasciare delle impronte sui pacchi postali “perché tanto non è roba clandestina” oppure “tanto la borghesia sa chi invia questa roba”; [3]

- legato ai due punti appena visti: scrivere sulla lista elettorale che il compagno x o y è un “funzionario del Partito dei CARC”, pensando che, poiché si è funzionari di un partito che non è clandestino, non occorra adottare degli accorgimenti e, quindi, la dicitura di “rivoluzionario di professione”. La differenza tra “funzionario” e “rivoluzionario di professione” consiste nel fatto che il primo è stipendiato dal partito e il secondo invece può vivere anche perché mantenuto dai suoi genitori, dal suo coniuge, grazie ad una eredità o all’affitto di un appartamento di sua proprietà o ad una pensione, a contributi di amici e conoscenti, ecc. Perché dare delle informazioni gratuite alla borghesia, che poi può utilizzare per montare i suoi procedimenti giudiziari (l’Ottavo Procedimento Giudiziario da questo punto di vista è un esempio da manuale)? Rispetto al rapporto con le masse, infine, l’adozione della dicitura di “rivoluzionario di professione” non sminuisce il concetto espresso dal termine “funzionario”: ossia una persona che lavora a tempo pieno per la causa; 

- durante le lotte rivendicative (ma anche presidi, manifestazioni, ecc.) avere delle resistenze a trasformarle in un problema di ordine pubblico, se la situazione lo richiede;

- farsi “problemi morali” davanti all’esproprio di un supermercato o autogrill da parte di proletari o sottoproletari, anziché sostenerli perché “quando un ordine sociale è ingiusto la ribellione è un primo passo per fare giustizia” e intervenire su questo loro slancio per elevare e sistematizzare la loro concezione anti-legalitaria e unire i migliori a noi, senza essere avventuristi e faciloni, senza creare situazioni favorevoli al nemico e facendo sempre distinzione tra le classi;

- farsi “problemi morali” davanti a degli ultras che attaccano la polizia, anziché sostenerli e allo stesso tempo pensare a come possiamo intervenire per mobilitarli contro i fascisti, ecc. organizzando ronde popolari.

Questi limiti ed errori, come detto precedentemente, non racchiudono tutte le varianti del legalitarismo che si presentano nel lavoro legale, ma sicuramente indicano alcune delle principali forme con cui esso si manifesta e forniscono spunti di riflessione per analizzare scientificamente, nell’ottica della trasformazione, anche altre manifestazioni del legalitarismo che non sono state qui indicate.

Questi limiti ed errori si presentano (o si possono presentare) sia quando noi svolgiamo l’attività legale seguendo il PGL, sia nell’operato di altre organizzazioni, partiti, comitati, collettivi, sindacati, ecc. che svolgono solo attività legale o anche semi-clandestina. 

Per quanto riguarda il nostro lavoro legale, è necessario condurre una lotta tra le due linee e la CAT per rettificare il tiro e contrastare il legalitarismo. Esso infatti frena e ostacola l’accumulazione delle forze per costruire il Fronte intorno al Partito. Infatti non ci permette di volgere a nostro favore tutte le situazioni e, allo stesso tempo, non ci permette di condurre un adeguato lavoro di “scuola di comunismo” per far avanzare ideologicamente e organizzativamente le masse popolari su cui interveniamo.

Per quanto riguarda invece la lotta contro il legalitarismo presente tra le organizzazioni legali, questo lavoro è molto importante per contrastare e superare (attraverso la critica costruttiva, il dibattito franco e aperto e il bilancio dell’esperienza) la resistenza che esiste ancora nei confronti della natura clandestina del Partito tra le sezioni dissidenti del PRC e PdCI, tra i compagni (giovani o vecchi) che aspirano al comunismo ma che non fanno parte di collettivi, organizzazioni o partiti, tra i collettivi studenteschi rivoluzionari, tra i frammenti in libertà della sinistra borghese, tra le FSRS. La parola d’ordine da utilizzare e rendere popolare nel condurre la lotta contro il legalitarismo presente tra le organizzazioni legali e fare di ogni esperienza una scuola di comunismo è: “è illegale ma legittimo!”. Dove legittimo significa “conforme agli interessi delle masse popolari”, “utile alle masse popolari”, “necessario alle masse popolari”. Quindi “non legale” solo perché le leggi le fa la classe dominante su misura dei suoi interessi.

 

Conclusioni

Da quanto sin qui detto, emerge la centralità della lotta al legalitarismo sia per avanzare nel consolidamento e rafforzamento del Partito clandestino (centro della GPRdiLD), sia per avanzare nella costruzione del Fronte delle forze rivoluzionarie intorno ad esso.

I due aspetti sono legati dialetticamente tra loro. Elevando il livello qualitativo del Partito rispetto alla concezione e al metodo della clandestinità nei suoi vari organismi e istanze, creiamo le basi per difenderlo con maggiore efficacia dagli attacchi repressivi del nemico. Allo stesso tempo, elevando la qualità della lotta che conduciamo all’interno del movimento comunista e progressista contro il legalitarismo, contro la fiducia nella borghesia, contro l’ignoranza della lotta multiforme e sistematica che la borghesia conduce contro il movimento comunista, rafforziamo la lotta contro le resistenze che esistono rispetto alla natura clandestina del Partito e, quindi, potenziamo il lavoro di reclutamento.

Dei due aspetti il principale in questa fase è il primo (la lotta interna al Partito contro il legalitarismo): solo innalzando il nostro livello qualitativo potremo infatti condurre un maggior numero di operazioni tattiche per contrastare il legalitarismo presente nel movimento comunista e tra il resto delle masse popolari, intervenendo così ad un livello superiore anche nelle contraddizioni presenti in campo borghese. In altre parole: giocare di iniziativa contro il nemico, essere tatticamente offensivi nella fase di difensiva strategica.

Il bilancio dell’esperienza e la CAT sono la strada per avanzare in questo processo. Tutti i compagni e gli organismi del Partito devono studiare e discutere questo articolo, individuando quali sono gli errori che singolarmente o collettivamente vengono commessi e, su questa base, tracciare un piano di rettifica. Un esercito che impara dei propri errori è un esercito destinato a vincere! È per questo motivo che propongo alla CP del (n)PCI di decidere che il 2009 sarà, in tutte le istanze, l’anno della rettifica dello stile di lavoro e della lotta al legalitarismo. Solo in questo modo potremo fare un deciso passo in avanti verso la creazione delle condizioni necessarie per fare il Congresso del Partito.

 

Compagni, il futuro è nelle nostre mani se eleveremo la nostra capacità di rettificarci e di correggere i nostri errori di metodo e di concezione!

 

L’avanzamento della GPRdiLD dipende dalla nostra trasformazione!

 

Avanti verso il Congresso del (n)PCI!

Claudio G.

[1] Vedere ad esempio quanto è successo con l’Ottavo Procedimento Giudiziario montato dal PM Paolo Giovagnoli contro la “carovana” del (n)PCI. Lo sviluppo della lotta condotta dal Partito e dalla “carovana” ha amplificato le contraddizioni presenti nel campo borghese e ha spinto il GUP Rita Zaccariello ad emettere il “non luogo a procedere”, rallentando così la messa fuori legge del comunismo e anche la mobilitazione reazionaria.

[2] Per semi-clandestinità intendiamo un’organizzazione pubblica che cerca di nascondere alcune delle sue attività, senza avere come retroterra un’organizzazione clandestina.

Questa critica alla semi-clandestinità non deve essere presa in maniera dogmatica. Mentre infatti la semi-clandestinità come strategia è perdente, può essere invece funzionale come strumento tattico. Anche il (n)PCI ha numerosi compagni che operano in condizione di semi-clandestinità. In altre parole la semi-clandestinità può essere funzionale alla GPRdiLD, se esiste però il partito clandestino.

C’è inoltre un altro aspetto che è opportuno trattare: numerosi sono gli operai, gli studenti, gli immigrati, le FSRS, ecc. che ricorrono alla semi-clandestinità per organizzare delle lotte o fare determinate attività. Noi dobbiamo valorizzare la loro tendenza positiva (la consapevolezza della necessità di sfuggire dall’occhio vigile della borghesia) per superare la loro tendenza negativa (pensare che basti la semi-clandestinità) e portarli ad una superiore coscienza circa l’importanza strategica della clandestinità, adottando lo strumento del dibattito franco e aperto e partendo dalla loro esperienza pratica.

[3] Per quanto riguarda questo punto e il precedente, bisogna evitare, in base alla situazione concreta, ma non agendo individualmente e arbitrariamente né cedendo alla fatica e al fastidio, ambedue gli estremi: 1. non fare il lavoro per non dare informazioni che la polizia comunque può reperire abbastanza facilmente perché non si tratta di attività clandestina; 2. non nascondere quello che si può nascondere senza rallentare od ostacolare gravemente il nostro lavoro, perché non si tratta di attività clandestina. Trattandosi di attività legale, pubblica, valgono entrambi i criteri: 1. meno informazioni diamo al nemico meglio è; 2. dobbiamo svolgere la nostra attività anche se il nemico vede e osserva. In ogni situazione concreta, il collettivo deve trovare la soluzione più conveniente per noi.