La Voce 12

Che i comunisti dei paesi imperialisti
uniscano le loro forze per la rinascita
del movimento comunista!

sabato 6 gennaio 2007.
 



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Che i comunisti dei paesi imperialisti

uniscano le loro forze per la rinascita

del movimento comunista!


  Risoluzione approvata dalla quarta riunione della CP allargata ad alcuni fiduciari

 

  La crisi del capitalismo e la resistenza delle masse popolari

 

  Errori di dialettica

  1. Le formazioni economico-sociali imperialiste

  2. Le crisi generali del capitalismo

  3. Il bilancio del movimento comunista

  4. La lotta tra le due linee nel partito

  5. Il bilancio dei paesi socialisti

  6. La rivoluzione socialista nei paesi imperialisti

  7. Il metodo della linea di massa

 

  Conclusione

 

  Elenco degli scritti programmatici dei partiti e organizzazioni delle quali si è tenuto conto per la stesura di questo appello


 

 

Risoluzione approvata dalla quarta riunione della CP allargata ad alcuni fiduciari

 

Proletari di tutto il mondo, unitevi! Poco più di 150 anni fa Marx ed Engels, i fondatori del movimento comunista come movimento cosciente e organizzato, lanciavano con il Manifesto del partito comunista questo appello e, nonostante tutti i cambiamenti intercorsi da allora a oggi, esso resta pienamente valido e indica la condizione della vittoria della classe operaia e delle masse popolari sulla borghesia imperialista. Esattamente 100 anni fa Lenin, il dirigente della prima rivoluzione proletaria vittoriosa, indicava con la sua opera Che fare? le caratteristiche generali dei partiti comunisti di cui la classe operaia aveva bisogno per dare inizio all’epoca socialista. Sulla base di questi precedenti, la Commissione Preparatoria (CP) del congresso di fondazione del (nuovo) Partito Comunista Italiano si rivolge ai partiti comunisti, alle organizzazioni comuniste, ai comunisti non ancora organizzati e alle organizzazioni che lottano per instaurare il socialismo (cioè a tutte le Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista - FSRS) dei paesi imperialisti perché mobilitino e uniscano le loro forze per fare in modo che la classe operaia e le masse popolari di ognuno dei paesi imperialisti abbiano al più presto un partito comunista che tenga pienamente conto dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e sia all’altezza del compito che il procedere della seconda crisi generale del capitalismo e la conseguente situazione rivoluzionaria in sviluppo pongono ai comunisti. A questo fine espone e sommariamente motiva le proprie concezioni e i propri propositi rispetto a questo compito internazionalista. Il compito per cui la CP è sorta e che la CP intende portare a termine è la convocazione del congresso di fondazione del (nuovo)Partito Comunista Italiano. Proprio il lavoro per realizzare questo obiettivo mostra sempre più chiaramente ad ogni passo che la rinascita del movimento comunista nel nostro paese è legata da mille fili alla rinascita del movimento comunista nel resto del mondo: in particolare alla sua rinascita negli altri paesi imperialisti e in modo speciale alla rinascita nei paesi imperialisti europei a cui il nostro paese è strettamente legato. Riteniamo che sia una concezione sbagliata per nazionalismo ritenere che la rinascita del movimento comunista possa procedere illimitatamente in un singolo paese anche se essa non si sviluppa, almeno in una certa misura, in altri paesi. Noi non ci rivolgiamo ai comunisti degli altri paesi per presunzione o per mancanza di riguardo e stima per la loro esperienza e il lavoro che essi stanno svolgendo. Al contrario, intendiamo sottoporre ai comunisti di altri paesi le nostre concezioni e i nostri propositi per stabilire con essi dei legami basati sulla critica e l’autocritica che aiutino ognuno a realizzare meglio e più celermente i suoi obiettivi. L’avanzamento di ognuno di noi è condizionato dall’avanzamento degli altri. Ciò configura e delimita un campo di lavoro comune, a conferma del carattere internazionale della trasformazione a cui lavoriamo: la vittoria della rivoluzione proletaria, l’instaurazione del socialismo e la marcia verso il comunismo.

 

La crisi del capitalismo e la resistenza delle masse popolari

 

* Giorno dopo giorno si vanno acuendo le contraddizioni tra la borghesia imperialista e le masse popolari dei paesi oppressi e degli stessi paesi imperialisti. Contemporaneamente si acuiscono le contraddizioni tra i gruppi imperialisti e i loro Stati. La contraddizione tra il carattere collettivo raggiunto dalle forze produttive materiali e spirituali degli uomini da una parte e dall’altra la sopravvivenza dei rapporti di produzione capitalisti diventa sempre più antagonista e si manifesta su piani via via più numerosi (la devastazione dell’ambiente e la messa in discussione dell’integrità della stessa specie umana sono degli esempi) e in misura via via più forte. La sopravvivenza dei rapporti di produzione capitalisti miete sempre più vittime tra le masse popolari degli stessi paesi imperialisti oltre che sprofondare le masse popolari dei paesi oppressi e degli ex paesi socialisti in un baratro senza fondo. All’inizio negli anni ’70 del secolo scorso è finito il periodo di ripresa dell’accumulazione del capitale e di sviluppo dell’attività economica seguito alla Seconda Guerra Mondiale ed è iniziata la seconda crisi generale del capitalismo. La crisi indotta nel movimento comunista dal prevalere del revisionismo moderno è arrivata fino al crollo del campo socialista, alla liquidazione di gran parte dei partiti creati nell’ambito della prima Internazionale Comunista e alla scomparsa di gran parte delle istituzioni (Stati, partiti, organizzazioni di massa) create dalla prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale. Il declino del vecchio movimento comunista ha permesso al capitalismo di dispiegarsi di nuovo in tutta libertà in ogni campo e in ogni angolo del mondo secondo la sua vera natura. È ritornato in primo piano il carattere reazionario, antipopolare e distruttivo del capitalismo nella sua fase imperialista. Il risultato è che a partire dall’inizio degli anni ’90 la crisi generale del capitalismo procede più celermente su grande scala e a livello mondiale, a conferma che il capitalismo è storicamente superato.

Ciò spinge la borghesia imperialista a intensificare la guerra di sterminio che di fatto essa conduce contro le masse popolari dei paesi imperialisti e dei paesi oppressi per creare condizioni di sfruttamento adeguate alla valorizzazione della massa di capitale accumulato. Nello stesso tempo i gruppi e gli Stati imperialisti sono spinti dalle necessità della valorizzazione del capitale a una nuova guerra interimperialista. In particolare i gruppi imperialisti europei possono far valere i loro interessi economici e politici contro la rapina e l’arroganza dei gruppi imperialisti USA solo costituendosi come potenza politica e militare contrapposta agli USA. Per i gruppi imperialisti regolare i conti tra loro diventa per ognuno di loro una questione di vita o di morte sempre più pressante: nel capitalismo non esiste altro modo per affermarsi. Solo incamminandosi su questa strada l’UE può sopravvivere e svilupparsi. Questa è la strada che ineluttabilmente e spontaneamente la borghesia imperialista segue e per seguirla deve con le buone o con le cattive indurre le masse popolari e anche la classe operaia a marciare con lei.

Lo sviluppo della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti consiste nel trasformare la guerra di sterminio che oggi le masse popolari subiscono, in una guerra che esse combattano in modo organizzato, prendendo l’iniziativa nelle loro mani con una strategia e delle tattiche adeguate a portarla fino alla vittoria. Solo lo sviluppo della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti può impedire una nuova guerra interimperialista prevenendola o trasformarla in guerra rivoluzionaria. La rinascita del movimento comunista è quindi una necessità.

 

* La resistenza che le masse popolari oppongono al procedere della crisi generale del capitalismo da anni si sviluppa non solo nei paesi oppressi e nei paesi ex socialisti, ma anche nei paesi imperialisti. Ma sinora essa, soprattutto nei paesi imperialisti, non agisce che marginalmente come scuola di comunismo perché non è orientata e diretta dalla classe operaia tramite i suoi partiti comunisti. Al contrario essa si è sviluppata in forma spontanea e in ordine sparso.

Da una parte singoli proletari ed elementi delle masse popolari "lottano uno ad uno contro la borghesia". La loro resistenza sfocia e si disperde nel ribellismo individualista, nell’abbrutimento individuale, in tentativi di salvarsi individualmente e aprirsi individualmente una strada, in comportamenti genericamente antisociali di individui e di piccoli gruppi, in aggressioni e vandalismi senza distinzione di classe, in criminalità generica anarchica e individualista che imita il comportamento dei capitalisti, in attività sovversive di individui e di piccoli gruppi slegati tra loro.

Dall’altra parte i lavoratori "di una data categoria in un dato luogo lottano contro il singolo borghese che li sfrutta direttamente", la loro resistenza resta confinata alle lotte sindacali e rivendicative, intrisa di illusioni riformiste e di deviazioni spontaneiste e avventuriste; in vari casi la resistenza si sviluppa sotto la direzione di organizzazioni asservite alla borghesia imperialista, di sindacati di regime e di residue organizzazioni di massa del vecchio movimento socialista e comunista oramai succubi della borghesia o addirittura manovrate da essa.

In altri casi i lavoratori, anziché lottare contro i rapporti borghesi di produzione e la classe che a forza ne impone la conservazione, lottano contro altri lavoratori. Di fatto succede che borghesia imperialista trasforma la contraddizione tra sé e le masse popolari in mille contraddizioni tra parti delle masse popolari e la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi del capitalismo si sviluppa sotto la direzione di forze apertamente reazionarie, fasciste e razziste.

 Tutte queste manifestazioni della resistenza non sono cose nuove: i fondatori del movimento comunista ce le hanno già descritte nel Manifesto del partito comunista del 1848 (cap. 1), perché esse sono tipiche dei periodi in cui il movimento comunista, come movimento cosciente e organizzato, è debole. Solo che oggi esse si presentano a un livello più alto e sotto vesti nuove e molti di noi non le riconoscono. Mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria si confondono e nella confusione prevale la borghesia imperialista che ha potere, esperienza, organizzazione e collaudate prassi e istituzioni di controrivoluzione preventiva.

 

* È giusto e necessario che noi comunisti, in particolare noi comunisti dei paesi imperialisti, ci chiediamo perché nei paesi imperialisti la rinascita del movimento comunista che si vuole libero dal tumore del revisionismo moderno procede così lentamente e perché il movimento comunista ha ancora un’influenza così limitata sulla classe operaia e sulle masse popolari, benché la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi generale del capitalismo si sviluppi su grande scala. In molti paesi imperialisti ancora neanche esistono partiti comunisti. Anche in quelli in cui da anni esistono partiti che si dichiarano marxisti-leninisti e persino marxisti-leninisti-maoisti, i progressi compiuti nell’accumulazione di forze rivoluzionarie sono scarsi o addirittura nulli. Al punto che alcuni compagni, soprattutto di partiti di paesi oppressi ma anche di partiti di paesi imperialisti, arrivano a sostenere che nei paesi imperialisti è oggi impossibile accumulare forze rivoluzionarie, che la rivoluzione proletaria deve prima svilupparsi su grande scala nei paesi oppressi, che i comunisti dei paesi imperialisti non possono fare altro che resistere come piccoli gruppi in attesa di situazioni più favorevoli che lo sviluppo della rivoluzione nei paesi oppressi e l’acuirsi delle contraddizioni dei gruppi e Stati imperialisti tra loro e con le masse popolari, prima o poi creeranno. Ma si tratta di concezioni sbagliate. L’una è delega di responsabilità al movimento indotto nelle masse popolari dagli avvenimenti e di sopravvalutazione del ruolo dei loro movimenti spontanei (in definitiva di un errore di spontaneismo). L’altra è una giustificazione dell’arretratezza del movimento comunista dei paesi imperialisti di cui non si riconoscono le cause vere e della rassegnazione ad essa. L’esperienza non insegna solo che il socialismo può consolidarsi a livello mondiale solo se la rivoluzione socialista vince anche nei più importanti paesi imperialisti, benché nel contesto di una situazione rivoluzionaria a livello mondiale la rivoluzione socialista possa incominciare da qualunque paese. Essa insegna anche che senza un forte movimento comunista nei paesi imperialisti, e quindi senza forti partiti comunisti nei paesi imperialisti, il movimento comunista non si sviluppa a livello mondiale oltre certi limiti. Neanche la Rivoluzione Culturale Proletaria lanciata nel 1966 dal Partito Comunista Cinese sotto la direzione di Mao Tse-tung è riuscita a invertire la decadenza del movimento comunista. Non vi sono riuscite le notevoli vittorie della rivoluzione proletaria conquistate ancora negli anni ’70 in alcuni paesi oppressi (Vietnam, Laos, Cambogia, Yemen del Sud, Nicaragua, Angola, Mozambico, Etiopia). Nei paesi oppressi dove la resistenza delle masse popolari all’imperialismo è più diffusa e forte, essa è sempre più spesso guidata da forze reazionarie e ripropone il singolare contrasto tra l’eroismo con cui le masse popolari combattono e il carattere reazionario delle forze politiche che le dirigono già manifestatosi nel passato dove l’influenza del movimento comunista mondiale, come movimento cosciente e organizzato, era più debole. La debolezza del movimento comunista nei paesi imperialisti frena e limita anche lo sviluppo del movimento comunista nei paesi oppressi dall’imperialismo. Essa ha cause interne al movimento comunista dei paesi imperialisti e non sarà automaticamente sanata né dall’acuirsi delle contraddizioni e neanche da un eventuale maggiore sviluppo del movimento comunista nei paesi oppressi. Questo certamente sta dando un contributo importante alla rinascita del movimento comunista nei paesi imperialisti, basti considerare il ruolo svolto dal Partito Comunista del Perù nel passato prossimo, ma non è la forza risolutiva. Sta a noi comunisti eliminare le cause che ci impediscono di essere alla testa della resistenza che nei paesi imperialisti le masse popolari oppongono allo sviluppo della crisi del capitalismo.

Da dove vengono le difficoltà che noi comunisti dei paesi imperialisti incontriamo nell’accumulazione di forze rivoluzionarie?

 

 

 

Errori di dialettica

 

* Alcuni rispondono che queste difficoltà provengono dalla forza economica, politica e culturale della borghesia imperialista e dalla ferocia e mancanza di scrupoli dei sistemi di controrivoluzione preventiva che essa ha elaborato e perfezionato prima, durante e dopo la prima ondata della rivoluzione proletaria (1900-1950). Ma è evidente che questi fattori esistono e continueranno ad esistere finché non prevarranno le forze rivoluzionarie. Essi non sono quindi l’ostacolo allo sviluppo delle forze rivoluzionarie, ma il bersaglio che le forze rivoluzionarie devono abbattere. Quando e dove mai i comunisti sono riusciti ad accumulare forze rivoluzionarie perché la classe dominante ha ceduto loro facilmente il terreno? Quale sarebbe il compito dei comunisti se la classe dominante non opponesse la più accanita, cinica e feroce resistenza all’avanzata del socialismo? Il fondatore del movimento comunista ci ha al contrario insegnato che la rivoluzione si fa strada facendo sorgere una controrivoluzione potente solo combattendo la quale il partito della rivoluzione raggiunge la maturità di un vero partito rivoluzionario (K. Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 ). Alcuni decenni dopo, Stalin ci ha indicato che l’esperienza confermava l’insegnamento di Marx: la lotta di classe diventa più acuta man mano che la rivoluzione proletaria si espande. La forza, il cinismo e la ferocia della controrivoluzione sono solo un segnale che la borghesia imperialista ha sempre più difficoltà a far sopravvivere il suo potere e quindi sono un segnale e una conferma delle grandi potenzialità di sviluppo e di successo per il movimento comunista.

 

* Altri rispondono che le difficoltà che il movimento comunista incontra attualmente nei paesi imperialisti provengono dalla diffusione dell’opportunismo. L’opportunismo è rassegnazione al dominio della borghesia, accordo con la borghesia e assoggettamento ad essa perché soddisfi le necessità immediate individuali o di piccoli gruppi o di alcune categorie, trovare con la borghesia accomodamenti che preservano il suo potere, nutrire illusioni nella borghesia, esitare e tentennare nella lotta contro la borghesia. Ma noi potremo eliminare l’opportunismo solo nel corso dello sviluppo della rivoluzione, non come premessa della rivoluzione. Infatti l’opportunismo è alimentato principalmente da due fonti. Una fonte è l’influenza (l’influenza ideologica, i ricatti e la corruzione) che la borghesia imperialista esercita nelle fila dei rivoluzionari: un’influenza che possiamo contenere ma che non potremo eliminare completamente finché non avremo eliminato la borghesia stessa. L’altra fonte è l’influenza che la borghesia, come vecchia classe dominante, ha strutturalmente sulle masse popolari non ancora mobilitate o solo in piccola misura mobilitate alla lotta rivoluzionaria: un’influenza che eliminiamo man mano che il movimento comunista coinvolge le masse popolari. È quindi evidente che la diffusione dell’opportunismo non è la fonte delle nostre difficoltà: essa è invece la manifestazione delle nostre difficoltà, un aspetto di esse.

 

* L’ostacolo principale alla rinascita del movimento comunista nei paesi imperialisti è interno ad esso e quindi la sua rimozione è interamente nelle mani di noi comunisti dei paesi imperialisti. L’ostacolo principale è il dogmatismo di coloro che si dichiarano comunisti e che sinceramente cercano di operare da comunisti, è la concezione poco dialettica che li guida e il metodo poco dialettico con cui conoscono il mondo e cercano di trasformarlo. Il dogmatismo ostacola sia la costruzione dei partiti comunisti sia il loro rafforzamento.

Noi comunisti non aderiamo sufficientemente alle leggi proprie del movimento pratico che trasforma lo stato presente delle cose, cioè alle leggi del comunismo come già lo definivano Marx ed Engels in L’ideologia tedesca (1846). Per questo non riusciamo a dirigerlo. Alcuni negano addirittura che esista un movimento pratico che trasforma lo stato presente delle cose e lo riducono a quello che essi determinano, riducono il movimento pratico al movimento cosciente e organizzato. È una posizione idealista secondo cui è il movimento cosciente e organizzato che crea il movimento pratico. Sviluppata con coerenza porta alla conclusione che per essere comunisti non v’è più nulla da conoscere e ciò conforta l’indifferenza per l’inchiesta e l’elaborazione dell’esperienza che effettivamente permea tanti comunisti. In realtà esiste un movimento pratico che trasforma lo stato presente delle cose: compito di noi comunisti è comprenderne le leggi per dirigerlo. È forse codismo aderire alle leggi proprie del movimento pratico che trasforma il mondo? No! Codismo è andar dietro alle masse popolari ancora influenzate dalla borghesia, cioè indirettamente subire l’influenza della borghesia. Il movimento pratico trasforma la società attuale, la sospinge verso il comunismo.

Noi comunisti dobbiamo comprendere le leggi di questa trasformazione, diventare coscienti della necessità insita nelle cose e diventare promotori attivi e coscienti della trasformazione. La trasformazione della società capitalista in società comunista per sua natura è passaggio da un movimento che gli uomini subiscono per necessità e che compiono senza esserne consapevoli a un movimento consapevole e pianificato. Già nel Manifesto del partito comunista del 1848 Marx ed Engels ci hanno insegnato che il ruolo dei comunisti rispetto alla restante massa dei lavoratori consiste nel conoscere le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario e nell’essere la parte più risoluta del proletariato, quella che spinge sempre in avanti (cap. 2). La trasformazione della società capitalista in società comunista è un movimento oggettivo e necessario che può compiersi solo diventando anche movimento soggettivo e consapevole. Senza coscienza e direzione si disperde in mille direzioni, ristagna e alcune volte e per un certo tempo si trasforma persino nel suo contrario. Senza teoria rivoluzionaria il movimento rivoluzionario non può svilupparsi oltre un livello elementare e spontaneo ed è in mille forme esposto alle manovre della sperimentata classe dominante che lo influenza, lo infiltra, lo devia, lo distoglie dal suo percorso, lo avviluppa in contraddizioni inestricabili, lo estenua, lo frammenta, lo disperde e contrappone una parte del movimento pratico all’altra. La borghesia imperialista in particolare trasforma sistematicamente, persino spontaneamente oltre che consapevolmente, le contraddizioni tra se stessa e le masse popolari in contraddizioni tra parti delle masse popolari e in questo modo prolunga la sua esistenza, rende miserabile la sorte delle masse popolari e le abbrutisce moralmente e intellettualmente. Così la mobilitazione delle masse popolari contro il procedere della crisi generale del capitalismo non diventa mobilitazione rivoluzionaria, ma diventa mobilitazione reazionaria, mobilitazione diretta da gruppi della borghesia imperialista.

L’ostacolo principale alla rinascita del movimento comunista consiste nel fatto che i comunisti sinceramente dediti alla causa della rivoluzione hanno una concezione del mondo e un metodo di lavoro che non tengono sufficientemente conto né delle trasformazioni che la società borghese ha avuto né dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria. Stando ai programmi della maggior parte dei partiti e gruppi comunisti dei paesi imperialisti, quando analizzano il movimento economico, politico e culturale della società attuale, è come se la prima ondata della rivoluzione proletaria, che ha sconvolto il mondo intero da cima a fondo, fosse passata senza lasciare traccia, solo perché sono crollati gli Stati, i partiti e le organizzazioni di massa che essa aveva creato. Il comunismo è veramente morto e cancellato dalla storia, mai esistito, anche in questi programmi! Questa è ancora influenza ideologica della borghesia, illusioni e scongiuri della borghesia. La realtà è ben diversa.

Rompere con il dogmatismo che rende sterili i nostri sforzi, elaborare una teoria rivoluzionaria che rifletta la realtà della trasformazione verso il comunismo che dobbiamo dirigere e dare sulla base di essa soluzioni rivoluzionarie ai compiti della rivoluzione proletaria: tutto ciò si riassume nella tesi che i nuovi partiti comunisti devono essere fondati sul marxismo-leninismo-maoismo. Nei sette punti che seguono illustriamo più in dettaglio questa nostra tesi.

 

1. Le formazioni economico-sociali imperialiste

Quanto al movimento economico e politico delle società imperialiste, la concezione che ne hanno oggi gran parte dei sinceri comunisti è una combinazione 1. di formule del marxismo-leninismo ripetute senza l’arricchimento e senza la specificazione che gli sviluppi della realtà richiedono e quindi trasformate in formule vuote e 2. di analisi arrangiate dai revisionisti sovietici che, asserviti alla borghesia imperialista nel campo della politica, della gestione della società e della cultura, hanno lasciato sopravvivere a lungo un settore mummificato dell’ideologia che ripeteva e adattava in modo opportunista il marxismo-leninismo e tanto bene serviva loro di copertura: i più anziani ricordano bene Suslov e i suoi vuoti discorsi. Per convincersi che questa affermazione è vera basta studiare gli attuali programmi dei partiti comunisti dei paesi imperialisti o studiare la concezione del mondo sottintesa dalle loro analisi politiche.

Le società imperialiste presentano importanti caratteristiche che si sono formate a seguito 1. del progredire del carattere collettivo delle forze produttive, 2. della formazione da parte della stessa borghesia imperialista di una serie di Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS), 3. della prima ondata della rivoluzione proletaria (in cui si sono combinate rivoluzioni socialiste e rivoluzioni di nuova democrazia) con la costituzione dei primi paesi socialisti e la formazione in tutto il mondo di un forte movimento comunista, inteso come movimento cosciente e organizzato.

Nella società borghese si sono formate una serie di FAUS: istituti, procedure e istituzioni con cui la borghesia cerca di far fronte al carattere collettivo assunto dalle forze produttive restando però nell’ambito di rapporti di produzione e di rapporti sociali borghesi che lo negano. Alle FAUS appartengono la moneta fiduciaria di cui da più di 50 anni si serve il movimento economico a livello mondiale e in cui si materializza gran parte del "potere sociale" di ogni individuo, le politiche economiche pubbliche, la contrattazione collettiva a livello di categoria, di paese e mondiale del salario e delle condizioni di lavoro, gli istituti previdenziali e i servizi pubblici, le politiche demografiche e di formazione della forza-lavoro, le reti di comunicazione unificate a livello mondiale, l’edilizia pubblica, le politiche ambientali e delle infrastrutture, gli altri istituti che si riassumono nell’espressione "Stato sociale" e intesi, per usare un’espressione della pubblicistica borghese, a promuovere o mantenere la "coesione sociale" e a evitare la paralisi e il caos a cui "il libero mercato e la smodata ricerca del profitto", cioè il modo di produzione capitalista, condurrebbero rapidamente. Insomma tutti gli istituti, le procedure e le istituzioni con cui la borghesia cerca di governare il movimento economico della società e tutta la vita sociale pur mantenendo rapporti di produzione capitalisti. Certamente la borghesia non arriva con le FAUS a governare il movimento economico e ad indirizzarlo secondo un piano e verso obiettivi predefiniti. I rapporti tra gruppi capitalisti e i rapporti tra la borghesia e la classe operaia e il resto delle masse popolari restano fondamentalmente antagonisti ed escludono che il movimento economico della società sia governabile. Siccome non governa il movimento economico, la borghesia imperialista non governa neanche il movimento politico e culturale della società, "le cose scappano di mano". Ma le forme in cui si sviluppa il movimento economico, politico e culturale non sono neanche comprensibili senza tener conto di quelle trasformazioni.

La sostanza del modo di produzione capitalista messa in luce da Marx permane lungo tutta l’epoca capitalista, ma essa non è mai esistita allo stato puro. Essa è esistita solo in formazioni economico-sociali concrete che sono cambiate profondamente nel corso dell’epoca capitalista, proprio perché la società capitalista deve sfociare nella società comunista. Questa non sorge di colpo e all’improvviso, ma si forma per decomposizione della società capitalista e ristretta nel suo involucro finché non lo spezza. La sostanza del capitalismo si esprime in forme diverse a secondo del grado di capitalizzazione della società, del livello a cui sono giunte la sussunzione formale e la sussunzione reale delle attività umane nel capitalismo, della sopravvivenza in ogni concreto paese di forme e istituzioni della sua società precapitalista con cui il modo di produzione capitalista si è combinato trasformandole, delle forme e istituzioni in cui si è espresso il movimento comunista in ogni concreto paese, delle FAUS che concretamente la classe dirigente ha messo in campo. Le formazioni economico-sociali dell’epoca imperialista, e in particolare dell’epoca imperialista dopo la prima ondata della rivoluzione proletaria, hanno caratteristiche specifiche di cui dobbiamo tenere conto per dirigere la loro trasformazione.

Il capitalismo ha preso possesso, ha sussunto attività che nel secolo XIX non aveva ancora sussunto. Attività che da sempre ogni individuo o gruppo familiare svolgeva come proprie attività "naturali", spontanee e diffuse, il capitalismo le ha trasformate in attività commerciali: la preparazione del cibo, la confezione e la manutenzione dei vestiti, la cura del proprio corpo e della propria mente, i rapporti sessuali, la procreazione, l’educazione e la custodia dei bambini, l’istruzione, la cura delle malattie, l’assistenza degli anziani, la sepoltura dei morti, le attività ricreative, ecc. Il capitalismo si è impadronito di queste e di altre attività e le ha ripensate e ristrutturate in funzione della sua propria natura.

Il capitalismo ha scorporato alcune vecchie attività in distinte attività produttrici di merci erigendo ognuna di esse in nuovi settori produttivi. Ha profondamente distinto la conoscenza, la progettazione, la previsione, l’organizzazione e la direzione dall’esecuzione, ha fatto di ognuna di queste attività un’attività commerciale a se stante (un distinto settore dell’attività economica) e l’ha profondamente trasformata e arricchita.

Lo sviluppo dell’urbanesimo, delle relazioni sociali e della civiltà ha comportato nuove attività produttrici di merci. Lo stesso funzionamento del capitalismo con le sue attività finanziarie, commerciali, assicurative e pubblicitarie ha generato attività produttive di merci e settori produttivi a se stanti.

Queste tre trasformazioni hanno fatto sorgere una classe operaia enorme per numero, ma con caratteristiche che non sono quelle a cui sono affezionati i dogmatici, le cui analisi di classe sono rimaste ai ricordi di tempi andati. Marx ci ha chiaramente insegnato fin dalle prime pagine di Il capitale che una merce può essere un bene ceduto o un servizio prestato, che la natura del suo valore d’uso è secondaria, benché nella sua esposizione Marx si sia riferito come esempi soprattutto a merci-beni, in conformità alle caratteristiche della società del suo tempo, di 150 anni fa. Ma i dogmatici restano fermi agli esempi storici oramai superati e chiudono gli occhi di fronte al fatto tuttavia evidente che oggi la maggioranza delle merci prodotte dai capitalisti, la cui produzione è veicolo e supporto del processo di valorizzazione del capitale, specie nelle società imperialiste, è costituita da servizi e sarà sempre più così. Essi ignorano gran parte della effettiva classe operaia dei nostri paesi. Ed è esattamente quello che hanno insegnato i revisionisti sovietici che ancora alla fine degli anni ’80 contabilizzavano come produzione solo la "produzione materiale".

Solo studiando e comprendendo sufficientemente i meccanismi delle formazioni economico-sociali imperialiste quali esse sono oggi, riusciremo ad aprirci la strada verso la rivoluzione socialista. Si è realizzata una combinazione tra movimento economico e movimento politico della società che da una parte è, come diceva Lenin, l’anticamera del socialismo e dall’altra imprime sia al movimento economico sia al movimento politico, e in generale al movimento della società in ogni campo, caratteristiche di cui devono tener conto i comunisti pena il fallimento dei loro propositi di accumulare forze rivoluzionarie, mobilitare la classe operaia a prendere la direzione della società eliminando la direzione della borghesia imperialista e portare la società a marciare più consapevolmente e direttamente possibile verso il comunismo. Se consideriamo gli scritti programmatici della maggior parte dei partiti e gruppi comunisti dei paesi imperialisti, vediamo che i comunisti oscillano tra 1. caricature del marxismo che pretendono di far discendere ogni iniziativa politica e culturale direttamente dall’interesse economico immediato dei suoi promotori e 2. l’abbandono di fatto del marxismo che si manifesta in una descrizione stereotipata e quindi irreale del movimento economico e in una descrizione del movimento politico e culturale in cui pesa l’influenza delle categorie di moda della cultura borghese.

 

2. Le crisi generali del capitalismo

Le crisi che hanno sconvolto e sconvolgono la società nell’epoca imperialista sono di natura diversa dalle crisi descritte da Marx con riferimento all’Europa della prima metà del secolo XIX. Nell’epoca imperialista le crisi cicliche descritte da Marx, che avevano caratterizzato la fase preimperialista, sono attenuate e abbreviate dalle misure anticicliche che rientrano tra le FAUS, sono ridotte a cicli espansione-recessione relativamente brevi e dalle oscillazioni contenute rispetto agli sconvolgimenti effettivi delle società attuali. Le vecchie crisi cicliche sopravvivono con le loro caratteristiche descritte da Marx solo nei manuali di economia politica sfornati dai revisionisti sovietici fino alla fine degli anni ’80 e dai loro seguaci dogmatici. I revisionisti sovietici hanno continuato a basare la descrizione del movimento economico delle società imperialiste sulle crisi cicliche. I partiti comunisti ancora succubi ideologicamente dei revisionisti sovietici oscillano tra due tesi. Da una parte la tesi che la società borghese è riuscita a guarire dalle crisi: questa tesi di destra oggi è da pochi proclamata ad alta voce, ma nel recente passato ha alimentato molte concezioni soggettiviste del movimento rivoluzionario e oggi è il fondamento logico anche se non dichiarato delle concezioni che escludono che sia possibile accumulare forze rivoluzionarie nei paesi imperialisti e ripongono le loro speranze solo nello sviluppo del movimento rivoluzionario nei paesi oppressi e, genericamente, nello "aggravarsi delle contraddizioni" per effetto della "crisi storica del capitalismo" che è diventata un’attesa messianica, un "deus ex machina" per la soluzione delle contraddizioni logiche in cui i dogmatici si avvitano. Dall’altra l’esagerazione degli effetti economici e politici dei cicli espansione-recessione che si susseguono a breve distanza (tesi di sinistra).

A somiglianza dei loro maestri, i revisionisti sovietici, i dogmatici si mettono in pace la coscienza parlando di una "crisi storica del capitalismo" che procederebbe onnipresente, immutabile, eguale a se stessa lungo tutta l’epoca imperialista, onnicomprensiva e immune da controtendenze. Essa riassumerebbe in sé tutte le manifestazioni delle società. Essi non distinguono e tanto meno spiegano l’origine, il decorso e la fine degli effettivi periodi di crisi che la società ha attraversato dall’inizio dell’epoca imperialista, i periodi di ripresa e sviluppo che li hanno interrotti e la loro successione. Neppure si preoccupano di spiegare come mai questa crisi perenne che sarebbe iniziata più di cento anni fa non è ancora arrivata al compimento della sua opera: come mai siamo ancora nell’epoca imperialista?

In realtà nell’epoca imperialista la società è sconvolta da crisi generali che sono crisi di lungo periodo che iniziano come crisi economiche causate da quella sovrapproduzione assoluta di capitale spiegata teoricamente da Marx nel capitolo 15 del terzo libro di Il capitale . Sovrapproduzione di capitale vuol dire che il capitale accumulato non può essere tutto impiegato a estrarre plusvalore allargando il processo di produzione capitalista vero e proprio fino ad assorbire in esso tutto il proletariato disponibile, perché se la borghesia così facesse produrrebbe una massa di plusvalore decrescente. Nelle condizioni date dalla prima ondata della rivoluzione proletaria e dalle FAUS già sviluppate, se ad esempio a partire dagli anni ’70 i capitalisti avessero continuato ad allargare il processo di produzione propriamente capitalista nella misura consentita dal capitale accumulato, essi avrebbero estratto un plusvalore eguale o minore di quello che i capitalisti estraggono impiegando nel processo produttivo solo una parte del capitale accumulato e solo una parte del proletariato disponibile.

Questa è la fonte sia del rinnovato slancio con cui i gruppi imperialisti si sono gettati come lupi famelici a impadronirsi in modo più profondo del mondo intero, sia della febbre di innovazioni produttive, tecnologiche e finanziarie e di creazione di nuovi settori di attività e campi di investimento, sia delle grandi bolle finanziarie e del rastrellamento e distruzione ad esse connessi di capitali e di risparmi, sia delle migrazioni su grande scala e di molti altri fenomeni degli ultimi 30 anni e degli sconvolgimenti politici e culturali in corso da alcuni decenni e di quelli che stanno sopravvenendo. Questo è quello che spinge gruppi e Stati imperialisti alla guerra tra loro e alla diffusa guerra di sterminio che di fatto la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari. È molto importante comprendere la combinazione di queste due guerre perché solo trasformando la seconda in rivoluzione socialista i comunisti potranno non solo prevenire la guerra interimperialista ma anche incanalare la resistenza delle masse popolari sulla via del socialismo.

Le crisi generali dell’epoca imperialista iniziano come crisi economiche ma si trasformano nel loro progredire in crisi politiche e culturali e trovano soluzione solo in campo politico e culturale: o con le rivoluzioni socialiste o con un nuovo assetto imposto dai più forti gruppi imperialisti che solo tramite la guerra interimperialista impongono la loro preminenza. Una prima crisi del genere subentrò nell’ultimo terzo del secolo XIX e si risolse con la spartizione di tutto il mondo tra le potenze imperialiste e l’ingresso nell’epoca imperialista. La prima crisi generale vera e propria si svolse nella prima metà del secolo XX e si concluse con la formazione del campo socialista e l’imposizione dell’egemonia dei gruppi imperialisti USA su quello che restava del mondo capitalista. Dopo 30 anni circa di ripresa dell’accumulazione capitalista, negli anni ’70 è iniziata la seconda crisi generale del capitalismo tuttora in corso. È in queste linee generali che si inseriscono e diventano comprensibili i grandi successi conseguiti dal movimento comunista nella prima parte del secolo XX e la sua successiva sconfitta per uscire dalla quale lottiamo attualmente.

F. Engels continuò fino alla fine della sua vita (1895) a studiare l’evoluzione della società capitalista nei paesi imperialisti e si rese conto della formazione oramai in atto delle FAUS (indicate teoricamente da Marx nei Grundrisse ) con cui la borghesia faceva fronte in una certa misura agli effetti più destabilizzanti che conseguono dall’anarchia della produzione capitalista quando questa ha sussunto su larga scala le attività economiche. Egli ripetutamente indicò che entro una certa misura la borghesia aveva trovato rimedi all’anarchia del suo modo di produzione. Engels si rese parimenti conto del sopravvenire di un nuovo tipo di crisi e ne parlò esplicitamente nella prefazione del 1886 all’edizione inglese del primo libro di Il capitale . Lenin con i suoi lavori sull’imperialismo ha dato grandi contributi alla comprensione della più avanzata "sovrastruttura" che il capitalismo si era costruito. Per dirigere il movimento di trasformazione delle società imperialiste è indispensabile che noi comunisti ci appropriamo di questi spunti, li sviluppiamo e colmiamo i limiti che lo sviluppo del movimento comunista durante la prima ondata della rivoluzione proletaria ha messo in luce, fino a comprendere il movimento della società attuale in misura sufficiente per dirigerlo.

 

3. Il bilancio del movimento comunista

Il mondo è andato e sta andando verso il comunismo. Nel senso preciso che sta elaborando, trovando, scoprendo e mettendo alla prova rapporti e istituti sociali adeguati al carattere collettivo assunto dalle sue forze produttive materiali e spirituali, al dominio conquistato dagli uomini sulla natura e sulla propria stessa vita. Il movimento pratico di trasformazione dello stato attuale delle cose non si arresta perché noi non lo comprendiamo. Ma ci sono due vie per andare verso il comunismo.

Una, quella consapevole, la più diretta e la meno tormentosa, passa attraverso l’instaurazione almeno nei maggiori paesi imperialisti del potere della classe operaia che lo toglie alla borghesia imperialista tramite una rivoluzione e guida se stessa e le altre classi delle masse popolari ad acquisire in massa coscienza delle proprie possibilità e dei propri compiti e ad adeguare i rapporti tra gli individui, i gruppi sociali, le nazioni e i paesi al carattere collettivo della attività economica e del complesso delle attività sociali imparando a governare se stesse e le proprie attività.

L’altra, la più tortuosa e tormentosa, si snoda attraverso crisi generali, periodi di ripresa, guerre interimperialiste, ondate successive della rivoluzione proletaria, costruzione di partiti comunisti, organizzazioni di massa e Stati socialisti e la loro corruzione e demolizione, sviluppo di FAUS sempre più avanzate e la loro distruzione. E ciò finché a livello mondiale le condizioni soggettive saranno più avanzate e sorgeranno finalmente paesi socialisti che marceranno con continuità verso il comunismo aprendo la strada anche agli altri.

Durante la prima ondata della rivoluzione proletaria (1900-1950) il movimento comunista ha conquistato grandi successi quali nessun altro movimento mai nella storia aveva conquistato e tantomeno in nemmeno cento anni di vita: un grande campo socialista che raccoglieva un terzo dell’umanità di allora, influenti partiti comunisti praticamente in ogni paese, la dissoluzione del sistema coloniale. Le masse popolari hanno conquistato condizioni di vita e di lavoro prima mai neanche immaginate, la borghesia imperialista ha dovuto elaborare FAUS che hanno spinto avanti la trasformazione della società su grande scala. Ma nella seconda metà del secolo passato il movimento comunista, come movimento cosciente e organizzato, è in gran parte crollato e molte sue conquiste sono state in una certa misura perse. Perché questo grande rovescio? Gli eserciti vittoriosi sono quelli che imparano dalle loro sconfitte. La sconfitta è madre della vittoria per chi, anziché lasciarsi demoralizzare, raccoglie i suoi insegnamenti. Ma quale è stata la causa della nostra sconfitta? Alcuni comunisti sorvolano su questa questione. Per loro la sconfitta è un caso, frutto di cause misteriose o imponderabili e adottano la linea: provandoci ancora, prima o poi arriverà la volta buona. Altri attribuiscono la sconfitta al tradimento di alcuni dirigenti, altri alla protervia della borghesia. Ma queste risposte sono inconsistenti, se appena le esaminiamo criticamente. Se fossero vere ci condannerebbero alla ripetizione delle sconfitte. Infatti cosa mai ci può assicurare che non ci saranno più dirigenti traditori? Chi si può procurare una borghesia bonaria e arrendevole?

Il revisionismo moderno ha preso la direzione del vecchio movimento comunista e lo ha portato alla rovina. Anche se per arrivare a tanto risultato i revisionisti moderni hanno dovuto erodere, corrodere e corrompere per alcuni decenni, tanta era comunque la forza del vecchio movimento comunista. Il revisionismo moderno è il prodotto dell’influenza della borghesia imperialista nel movimento comunista e noi non possiamo in assoluto impedire questa influenza finché esiste la borghesia: la borghesia influenza noi (il revisionismo) e noi influenziamo la borghesia (le FAUS). Ma il revisionismo è riuscito ad avere il sopravvento nel movimento comunista, a prenderne la direzione, a consolidare la sua direzione e a erodere e corrompere come un cancro il movimento comunista fino a farlo crollare perché la sinistra era convinta che le conquiste del movimento comunista fossero irreversibili, perché la sinistra non ha dato risposte rivoluzionarie ai problemi nuovi posti dai successi raggiunti dal movimento comunista, cioè perché la sinistra ha fatto errori di dogmatismo, di mancanza di dialettica: non ha visto il nuovo, non ha compreso in modo giusto le leggi delle formazioni economico-sociali socialiste che aveva creato né quelle delle formazioni economico-sociali imperialiste il cui rivoluzionamento doveva dirigere. Sono i limiti del vecchio movimento comunista che hanno permesso il successo del revisionismo moderno. Questo si è imposto perché, in mancanza di risposte rivoluzionarie, dava alle difficoltà del nuovo mondo vecchie risposte borghesi che passo dopo passo, di regressione in regressione, in alcuni decenni hanno portato il vecchio movimento comunista alla liquidazione.

Solo individuando e superando i limiti del vecchio movimento comunista noi mettiamo la rinascita del movimento comunista su basi che lo porteranno a nuovi e più duraturi successi. I limiti del vecchio movimento comunista riguardavano sia la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti che il vecchio movimento comunista non ha saputo condurre in porto, sia lo sviluppo dei nuovi paesi socialisti che il vecchio movimento comunista aveva instaurato ma non ha saputo far durare e prosperare. È in questi due campi che il nuovo movimento comunista deve dare le risposte elaborando l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e comprendendo le leggi delle formazioni economico-sociali attuali.

4. La lotta tra le due linee nel partito

Il primo limite del vecchio movimento comunista riguarda proprio i partiti comunisti, soggetti e promotori indispensabili della rivoluzione e della trasformazione. Il partito comunista è il partito della classe operaia rivoluzionaria ma è influenzato anche dalla borghesia imperialista sia direttamente sia indirettamente, tramite le altre classi sociali. Dai partiti comunisti dipende l’andamento della guerra tra la classe operaia e la borghesia imperialista. L’esperienza non solo ha mostrato che la classe operaia per riuscire a vincere la borghesia imperialista deve avere un partito comunista adeguato. Essa ha anche mostrato che la borghesia imperialista riesce a vincere la classe operaia solo se riesce a corrompere il partito comunista. Stante la centralità del ruolo dei partiti comunisti (che solo i movimentisti negano), in ogni partito comunista è inevitabile la lotta tra l’influenza delle due classi per determinare la linea del partito. Non possiamo evitare che la borghesia eserciti la sua influenza nelle nostre fila, ma possiamo impedire che quell’influenza diventi predominante, decida della nostra linea. In secondo luogo il mondo cambia e le nostre conoscenze vanno adeguate: la lotta tra le nuove idee ed esperienze e le vecchie idee ed esperienze è inevitabile per lo sviluppo di ogni partito. In terzo luogo la realtà non si riflette immediatamente nelle nostre coscienze, la sostanza delle cose non si rivela direttamente e immediatamente: la lotta tra il vero e il falso è un processo indispensabile in ogni partito per far prevalere la linea giusta. In conclusione l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria ci insegna che la lotta tra le due linee nel partito comunista è permanente ed è fonte di progresso del partito. Senza lotta non c’è vita. Centralismo democratico e lotta tra le due linee non sono incompatibili. L’esperienza dei due partiti comunisti che hanno diretto le più grandi rivoluzioni del secolo scorso, il Partito Comunista (bolscevico) di Russia e il Partito Comunista Cinese, hanno dato esempi su grande scala e in condizioni molto varie di applicazione sia del centralismo democratico sia della lotta tra le due linee. Non ne avevano ancora una coscienza chiara, ma per procedere fino alla vittoria e portare in porto le grandi rivoluzioni che hanno diretto hanno dovuto sia applicare il principio organizzativo del centralismo democratico sia condurre ripetute lotte tra due linee. La Storia del Partito Comunista (bolscevico) dell’URSS (1938) illustra alcune delle lotte condotte dal primo. La Risoluzione su alcune questioni della storia del nostro Partito (1945) illustra alcune delle lotte condotte dal secondo. Negare che nel partito comunista vi sia lotta tra le due linee, non fa scomparire questa lotta che è un fatto oggettivo: vuol solo dire che la sinistra la condurrà alla cieca e renderà la sua sconfitta più probabile. Il dogmatismo è stato la veste avvolgendosi nella quale la sinistra dei vecchi partiti comunisti ha lasciato che i revisionisti moderni se ne impadronissero e li conducessero alla morte.

 

5. Il bilancio dei paesi socialisti

I primi paesi socialisti hanno accumulato un patrimonio di esperienze prezioso sia durante il periodo della loro affermazione sia durante il periodo della loro decadenza sotto la direzione dei revisionisti moderni fino al crollo alla fine degli anni ’80. Gli insegnamenti che ne possiamo ricavare sono enormi e in gran parte ancora inesplorati dai nuovi partiti comunisti.

Essi hanno messo in luce che i rapporti di produzione presentano tre distinti aspetti: 1. la proprietà dei mezzi e delle condizioni della produzione, 2. le divisioni tra gli uomini nell’attività produttiva (divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, divisione tra dirigenti e diretti, divisione tra uomini e donne, divisione tra città e campagna, divisione tra zone e settori avanzati e zone e settori arretrati, ecc.), 3. i rapporti di distribuzione del prodotto. Solo se consideriamo tutti questi tre aspetti è possibile cogliere con sicurezza dove era la borghesia nei paesi socialisti. Essa era costituita dai dirigenti del partito, dello Stato e delle altre istituzioni sociali che patrocinavano soluzioni borghesi per i problemi di sviluppo della nuova società socialista. Se non si considerano tutti i tre aspetti dei rapporti di produzione è impossibile comprendere chiaramente in che cosa consiste la transizione dal capitalismo al comunismo, l’eliminazione graduale e per salti dei residui rapporti capitalisti e lo sviluppo graduale e per salti di rapporti comunisti, che è il compito storico della fase socialista. Se non si considerano tutti i tre aspetti dei rapporti di produzione è impossibile comprendere chiaramente la lotta tra 1. i rapporti capitalisti che continuano inevitabilmente ad esistere dopo la conquista del potere e l’instaurazione della dittatura del proletariato e 2. i germi di comunismo a cui la rivoluzione socialista ha dato vigore e che si sviluppano gradualmente e per salti cercando le loro forme adeguate. Se non si considerano tutti i tre aspetti dei rapporti di produzione è impossibile fare un’analisi di classe delle società socialiste. Diventa quindi impossibile dirigere la lotta delle classi oppresse nell’ambito delle nuove condizioni politiche e culturali specifiche della società socialista. La Rivoluzione Culturale Proletaria fu una manifestazione pratica della forza che la lotta di classe poteva sprigionare a favore del comunismo nella società socialista.

I programmi dei nuovi partiti comunisti individuano la borghesia nei paesi socialisti alcuni in quella parte delle vecchie classi sfruttatrici che ancora sopravviveva, altri negli intellettuali, altri nella malavita, altri nella burocrazia, altri ancora nei soci del settore cooperativo. Nessuna di queste analisi regge alla critica né rende comprensibili l’insieme della storia dei paesi socialisti né dà ai comunisti dei paesi socialisti armi per prevenire la restaurazione né fornisce ai comunisti degli ex paesi socialisti un orientamento giusto per mettersi alla testa della lotta di classe che sta svolgendosi nei loro paesi.

Un corollario è l’interpretazione corrente in alcuni partiti comunisti della natura delle società dei paesi socialisti diretti dai revisionisti. Essi le descrivono come società a "capitalismo monopolistico di Stato" sia pure "di tipo nuovo" o a "capitalismo burocratico". In particolare è diffusa l’indicazione della società sovietica diretta dai revisionisti moderni (cioè del periodo 1956-1991) come di una società socialimperialista. Anche in questo campo, ma questa volta in senso negativo, il Partito Comunista del Perù occupa una posizione di riguardo. Se è chiaro che la fase socialista è una fase di transizione, in cui gradualmente e per salti si liquidano i rapporti sociali capitalisti e si sviluppano i germi di comunismo, è anche chiaro che, una volta che la direzione del partito e dello Stato fu presa dai revisionisti moderni, esponenti e portavoce della borghesia tipica e specifica della società socialista, la natura dell’Unione Sovietica non poteva cambiare di colpo. In realtà vi fu un’inversione della direzione di marcia. In ogni campo passo dopo passo vennero gradualmente soffocati i rapporti comunisti già costruiti, vennero gradualmente rafforzati i residui rapporti capitalisti e richiamati di nuovo in vita quelli morti ma che potevano essere rianimati. Un conto era accusare i revisionisti sovietici di essere socialimperialisti nel senso che nelle loro relazioni con i partiti comunisti sotto il manto del socialismo seguivano una linea fatta di ingerenza, di ricatti e di arroganza. Un altro è sostenere che l’Unione Sovietica era diventata di colpo un paese imperialista. I comunisti che sostengono che l’Unione Sovietica era un paese socialimperialista non hanno mai spiegato in cosa è consistito a loro parere il salto del 1989-1991, che cosa lo ha causato e che cosa è in corso attualmente nei paesi che costituivano l’Unione Sovietica. Perché non ci provano? I comunisti degli ex paesi socialisti possono comprendere la lotta di classe che si sta conducendo nei loro paesi e quali sono i loro compiti solo se partono da una concezione materialista e dialettica di quello che sono stati i paesi socialisti prima dell’avvento dei revisionisti alla direzione e nei decenni seguiti al loro avvento.

 

6. La rivoluzione socialista nei paesi imperialisti

La rivoluzione proletaria mondiale è la combinazione delle rivoluzioni socialiste nei paesi dove il capitalismo è il modo di produzione predominante e di rivoluzioni di nuova democrazia nei paesi in cui i residui feudali (i rapporti di dipendenza personale e la questione agraria) e l’asservimento ai paesi imperialisti svolgono il ruolo predominante. La distinzione dei due tipi di rivoluzione è tutt’oggi, in vista della prossima ondata della rivoluzione proletaria, una premessa indispensabile per la loro giusta combinazione. I movimenti rivoluzionari dei paesi oppressi possono essere compresi nel loro sviluppo reale e nelle leggi che lo determinano solo se si tiene conto che in essi è in corso una rivoluzione democratica che potrà compiersi e trionfare solo se diretta dalla classe operaia tramite il suo partito comunista e quindi come rivoluzione di nuova democrazia. Questo rende ancora più chiaro quanto sia illusorio aspettarsi che lo sviluppo del movimento rivoluzionario nei paesi oppressi possa essere la causa principale della rinascita del movimento comunista nei paesi imperialisti.

Quanto alle rivoluzioni socialiste nei paesi imperialisti, già Engels (nell’introduzione del 1895 a Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 di Marx) aveva messo in chiaro che era impossibile instaurare il socialismo tramite la conquista del potere da parte dei comunisti nel corso di una insurrezione popolare a cui il partito comunista aveva partecipato come uno tra i vari partiti popolari. L’andamento delle rivoluzioni del 1918 e 1919 in Europa centrale e orientale ha pienamente confermato questa tesi che Engels aveva ricavato dal bilancio dell’esperienza della Comune del 1871. La rivoluzione socialista può vincere solo passando per un processo di accumulazione delle forze rivoluzionarie che doveva compiersi per sua natura e per forza di cose mentre in essi ancora dominava la borghesia imperialista.

 I tentativi fatti dai partiti della prima Internazionale Comunista per sviluppare la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti hanno mostrato e confermato che non è possibile che questa accumulazione avvenga né solamente né principalmente tramite l’inserimento del movimento comunista cosciente e organizzato (il partito comunista e le sue organizzazioni di massa) nella lotta che in ogni società borghese i partiti e altre organizzazioni conducono tra loro per accaparrarsi la direzione politica (benché in linea di massima questo inserimento sia necessario). Il bilancio dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e l’analisi dei regimi di controrivoluzione preventiva (in cui la sicurezza del regime passa davanti al rispetto dei diritti democratici, politici e civili) instaurati dalla borghesia imperialista portano alla conclusione che, in linea generale, l’accumulazione delle forze rivoluzionarie nei paesi imperialisti è la fase di "difensiva strategica" della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata di cui parla Mao Tse-tung. La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è la forma della rivoluzione proletaria anche per i paesi imperialisti. La teoria della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata che Mao ha elaborato nelle sue linee generali riflette anche lo sviluppo del processo rivoluzionario dei paesi imperialisti. La rivoluzione socialista nei paesi imperialisti consisterà con ogni probabilità in ogni paese nel rovesciamento della guerra di sterminio che la borghesia imperialista, spinta dalla seconda crisi generale del capitalismo, sta di fatto già conducendo contro le masse popolari dei paesi imperialisti in una guerra che le masse popolari condurranno in modo via via più sistematico e più organizzate, prendendo nelle loro mani l’iniziativa guidate dalla classe operaia diretta dal suo partito comunista. Essa sarà lo scontro tra la mobilitazione rivoluzionaria delle masse promossa dal partito comunista e la mobilitazione reazionaria delle masse che la borghesia deve promuovere per far fronte alla crisi politica e culturale e alla guerra interimperialista. Nel corso di essa si realizzerà la trasformazione della mobilitazione reazionaria delle masse in mobilitazione rivoluzionaria delle masse.

La direzione di quest’opera può essere assunta e svolta solo da partiti comunisti che assicurano la loro esistenza e la continuità del loro lavoro quali che siano i tentativi della borghesia imperialista di stroncarli, cioè da partiti comunisti clandestini come lo fu il partito di Lenin e come lo furono già i partiti comunisti dei paesi imperialisti ma solo nei periodi in cui la borghesia imperialista vietò ai comunisti di svolgere un’attività politica aperta.

 

7. Il metodo della linea di massa

I partiti comunisti anche se clandestini possono promuovere e dirigere una vasta mobilitazione delle masse se adottano come metodo principale di direzione la linea di massa nel senso illustrato da Mao Tse-tung. Esso consiste nell’individuare in ogni aggregato sociale, in ogni circostanza e a ogni livello la sinistra, la destra e il centro, nel mobilitare e organizzare la sinistra perché unisca a sé il centro e isoli la destra. La sinistra in ogni aggregato sociale e in ogni circostanza consiste in quella parte le cui aspirazioni e i cui obiettivi, se realizzati, favoriscono la causa della rivoluzione proletaria e che, sviluppandosi di fase in fase, portano quelle forze a confluire, nel modo appropriato alla loro natura, nel fiume della rivoluzione proletaria. Visto da un altro punto di vista, questo metodo consiste nel raccogliere le idee e i sentimenti che esistono tra le masse in forma sparsa e confusa, elaborarli e ricavarne linee, metodi e misure, portare questi tra le masse in modo che esse li riconoscano come propri e li mettano in pratica. Raccogliere le nuove idee e sentimenti nati tra le masse sulla base della nuova pratica da esse svolta, elaborarli in linee, metodi e misure e riportarli tra le masse e così via ripetutamente. Quei partiti comunisti che hanno guidato con successo le rivoluzioni nel secolo scorso hanno praticato la linea di massa come metodo principale di lavoro e di direzione, anche se non ne avevano una coscienza chiara. Sotto la loro direzione le masse popolari hanno sconfitto la borghesia imperialista, hanno respinto tutti i tentativi di rivincita e di restaurazione e le aggressioni della borghesia imperialista e hanno costruito paesi socialisti invincibili e capaci di realizzare grandi progressi, la cui influenza si irradiava in tutto il mondo e infondeva forza, fiducia e slancio nelle masse popolari di ogni paese: la borghesia imperialista ricorreva a ogni mezzo per difendersi dalla loro influenza sulle masse popolari. Solo dopo che nei partiti comunisti sono prevalsi i revisionisti moderni con le loro soluzioni borghesi dei problemi della società socialista e i partiti comunisti hanno preteso di dirigere le società socialiste non più come i veri comunisti le avevano dirette (partito comunista, organizzazioni di massa, linea di massa), ma come i borghesi dirigono i propri dipendenti (le relazioni industriali), le masse popolari (le politiche macroeconomiche e la politica generale) e se stessi (democrazia borghese e guerre interimperialiste), i paesi socialisti sono diventati instabili, hanno dovuto proteggersi con barriere e polizie dall’influenza della borghesia e i rapporti di forza si sono invertiti.

La linea di massa è la relazione adeguata e necessaria del movimento comunista inteso come movimento cosciente e organizzato con il movimento comunista inteso come movimento pratico che trasforma lo stato presente delle cose, di cui il primo è una parte e un aspetto.

 

Conclusione

 

Questi secondo noi sono le sette principali questioni di carattere universale che i nuovi partiti comunisti devono affrontare per definire un programma che li porti a superare l’attuale fase di stagnazione e ad accumulare forze rivoluzionarie. Noi siamo convinti che i comunisti che cercheranno di trovare una risposta a questi sette problemi, se non si arrenderanno finché non avranno trovato risposte soddisfacenti, approderanno alla nostra stessa conclusione: il maoismo è la terza superiore tappa del pensiero comunista dopo il marxismo e il leninismo, nello stesso senso, illustrato da Stalin in Principi del leninismo (1924), in cui il leninismo fu la seconda superiore tappa dopo il marxismo. I nuovi partiti devono essere fondati sul marxismo-leninismo-maoismo.

La rinascita del movimento comunista è una necessità storica e avverrà inevitabilmente. Noi siamo soltanto i portavoce e i promotori di essa. Adempiremo tanto meglio e più rapidamente al nostro compito se ci lasceremo alle spalle gli abiti dogmatici e uniremo la nostre forze per definire i tratti generali, universali, della concezione e del metodo adeguati ai compiti che abbiamo di fronte; se faremo del lavoro che i comunisti conducono nei vari paesi esperienza da elaborare per definire il programma e il metodo generali; se faremo di questo lavoro un campo in cui sperimentare la verità del programma e del metodo generali tramite l’applicazione concreta e la scoperta della verità particolare in cui si riflettono le caratteristiche specifiche di ogni paese che hanno a tutt’oggi un ruolo imprescindibile nella mobilitazione e nell’azione delle masse popolari.

È a questo scopo che tutti i partiti comunisti, le organizzazioni comuniste, i comunisti non ancora organizzati e le FSRS, ma in particolare quelli dei paesi imperialisti devono unire le loro forze creando un circuito basato su tre fattori: 1. la conoscenza reciproca e lo scambio delle esperienze, 2. il dibattito franco, basato sulla critica e l’autocritica, relativo all’analisi della situazione, al bilancio del movimento comunista, al programma, ai metodi e alle linee politiche generali, 3. la solidarietà a fronte della controrivoluzione preventiva (politica della sicurezza nazionale) che caratterizza l’attività politica della borghesia imperialista. Sono tre aspetti tutti indispensabili, che devono procedere tutti contemporaneamente e che si rafforzano reciprocamente. L’unità organizzativa può rafforzarsi solo man mano che si rafforza l’unità ideologica e politica. L’unità ideologica e politica può rafforzarsi solo tramite la lotta ideologica ed è sempre relativa. Senza dibattito franco e aperto sulle divergenze ideologiche e politiche, senza affrontare francamente le questioni controverse, anche lo scambio di esperienze resta in gran parte una formalità, è svuotato di gran parte dei suoi effetti positivi. Ciò che ci unisce e che nessuna divergenza distrugge è la comune lotta contro la borghesia imperialista e per il comunismo e la solidarietà che ci lega in questa lotta. Non dobbiamo temere la lotta ideologica né lo sfruttamento che certamente la borghesia imperialista cercherà di fare delle nostre divergenze. La lotta ideologica è la via attraverso la quale tracceremo un orientamento e una linea più giusti che ci permetteranno di diventare la parte organizzata e d’avanguardia della classe operaia e di giungere ad essere i portatori della sua direzione sulle masse popolari dei nostri paesi nella lotta contro la borghesia imperialista, il lato cosciente e organizzato di cui il movimento pratico che trasforma lo stato presente delle cose ha assolutamente bisogno per compiere il suo percorso.

È su questa base che la Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del (nuovo)Partito Comunista Italiano cercherà di stabilire e sviluppare rapporti internazionali, valorizzando per quanto ci sarà possibile le conferenze, i seminari e le aggregazioni internazionali di partiti e organizzazioni comuniste già regolarmente funzionanti e tutte le altre iniziative che già altri organismi comunisti promuovono. È su questa base che ci rivolgiamo a tutti i partiti comunisti, a tutte le organizzazioni comuniste, a tutti i comunisti non ancora organizzati e a tutte le FSRS, ma in particolare a quelli dei paesi imperialisti europei perché siano disposti a considerare le nostre posizioni e le nostre esperienze e a criticarle alla luce delle loro e a intensificare e migliorare le relazioni di unità e lotta tra noi tutti. Chi è più audace nell’autocritica, chi è più disposto a imparare dall’esperienza degli altri procederà meglio e più rapidamente e insegnerà agli altri. Noi dobbiamo tutti trasformarci e diventare la parte più cosciente e più decisa del grande esercito delle classi e dei popoli oppressi che marciano verso la vittoria della rivoluzione proletaria a livello mondiale.


 

Per questo appello la CP ha tenuto conto degli scritti programmatici dei seguenti partiti e organizzazioni:

 

1. Partito Comunista Rivoluzionario USA (PCR-USA) www.rwor.org

 

2. Partito Comunista Rivoluzionario (Comitati di Organizzazione) Canada pcrco_rcpoc@hotmail.com

 

3. Partito Marxista Leninista di Germania (MLPD) www.mlpd.de

 

4. Partito del Lavoro del Belgio (PTB) www.ptb.be

 

5. Partito Comunista di Spagna (ricostituito) (PCE(r)) www.antorcha.org

 

6. Organizzazione Comunista (marxista-leninista) Voie Proletarienne (Francia) vp.partisan@caramail.com

 

7. Comitati di Appoggio alla Resistenza - per il Comunismo (CARC - Italia) www.carc.it

 

8. Organizzazione Comunista Rossoperaio (RO - Italia) ro.red@libero.it

 

9. Conferenza Internazionale dei Partiti e delle Organizzazioni Marxiste-Leniniste (ICML) int.co@t-online.de

 

10. Movimento Rivoluzionario Internazionalista (MRI) awtw_uk@yahoo.co.uk

 

L’elenco non vuole escludere altri partiti e organizzazioni dall’appello né indica un’affinità particolare con le organizzazioni indicate. Si tratta di organismi di cui abbiamo potuto studiare gli scritti programmatici e con cui, allo stato delle nostre conoscenze, riteniamo utile un dibattito aperto e franco.