La Voce 3

Gli spontaneisti e la morte del marxismo

domenica 28 novembre 1999.
 

All’inizio del secolo che termina in questi mesi la morte del marxismo venne dichiarata e certificata da un capo all’altro dell’Europa. Da noi Benedetto Croce sintetizzò l’opinione della classe dominante nel titolo di un suo scritto Come nacque e come morì il marxismo teorico in Italia (1895-1900). Il secolo termina ora con dichiarazioni di morte del marxismo altrettanto categoriche risuonanti da un capo all’altro del mondo. L’estensione del campo di risonanza indica il grande progresso compiuto dal movimento comunista nel corso del secolo. Alcuni borghesi introducono l’ennesima confutazione del marxismo chiedendosi: “Come mai il comunismo ha suscitato durante questo secolo l’adesione e l’impegno senza riserve di centinaia di milioni di uomini e di donne?”. Sintetizzano così il ruolo che il marxismo dopo la sua “morte” ha avuto in questo secolo nella vita degli uomini e delle donne delle classi e dei popoli oppressi di tutto il mondo. L’analisi della situazione attuale ci fa sicuri che anche le odierne dichiarazioni e certificazioni di morte esprimono solo la lotta della borghesia contro una nuova ondata della rivoluzione proletaria, come quelle dell’inizio del secolo.

Qual è attualmente la fortuna del marxismo nel campo delle classi oppresse del nostro paese?

Tra le Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista che si dichiarano impegnate nella ricostruzione del partito comunista, oggi lo spontaneismo e il movimentismo si presentano come rifiuto di lavorare per definire il Manifesto Programma del partito e, in generale, come resistenza a dedicare al lavoro teorico e all’inchiesta le energie necessarie, come sottovalutazione della loro importanza. Per comprendere abbastanza esattamente l’importanza che la messa a punto del Manifesto Programma (quindi il lavoro sul Progetto esistente) ha nella ricostruzione del partito basta riflettere sull’imponente campagna, ora aperta ed esplicita ora implicita e subdola (direi quasi subliminare), ora denigratoria e forcaiola ora suadente e “comprensiva” che la classe dominante conduce contro il marxismo in ogni paese, capillarmente e su scala internazionale (in questo campo la mondializzazione vige da tempo!), da mille pulpiti, alte e basse cattedre (dall’asilo all’università), case editrici, schermi, reti telematiche, riviste, giornali, conferenze, riunioni e seminari, esercizi spirituali e forum regionali e mondiali, romanzetti, film e telefilm, fumetti e dotti trattati. Dobbiamo comprendere l’importanza politica (cioè ai fini della lotta per il potere) che hanno le centinaia di dichiarazioni e certificazioni di morte e di confutazioni del marxismo che la classe dominante ha proclamato, le censure operate dai suoi intellettuali quando fanno la rassegna delle “posizioni”, le deformazioni e le sprezzanti svalutazioni.

Non esiste nessuna dottrina che neanche alla lontana negli ultimi 100 anni sia stata oggetto di tante dichiarazioni di morte e di tante confutazioni come il marxismo. Anzi, nell’intera storia dell’umanità non esiste alcuna altra teoria su cui si siano riversate tante confutazioni quante ne sono state rovesciate sul marxismo nei suoi soli 150 anni di esistenza.

Dichiarazioni di morte e confutazioni sono state regolarmente smentite dai fatti e dalle stesse successive dichiarazioni di morte emesse dalla classe dominante. Quindi esse appaiono assurde a chi le considera dal punto di vista della “logica”, della “scienza pura” e simili. In realtà sono invece altamente razionali e funzionali agli interessi della borghesia imperialista. Se ne rende conto chi riflette alla luce del saggio detto popolare “ne uccide più la lingua che la spada”; chi riflette sul fatto che le parole e le idee o servono per guidare le azioni e unificare le attività di più individui o servono per confondere gli individui, deviare (neutralizzare) le loro attività, incanalarle secondo gli interessi di altri, impedire insomma che si unifichino attorno a una unica direzione e si tendano verso un comune obiettivo. Le dichiarazioni di morte e le confutazioni del marxismo rilasciate dalle classi dominanti insomma sono razionali e significative per chi considera che “le idee una volta assimilate dalle masse diventano una forza materiale che trasforma il mondo”.

Perché il marxismo non è che il riflesso nel cervello dei comunisti del processo reale della trasformazione in corso dello stato presente delle cose; è solo la coscienza del processo pratico che la classe operaia e, al suo seguito, le altre classi oppresse dal capitalismo stanno conducendo; è la coscienza che i comunisti, che in questo senso sono gli intellettuali della classe operaia, hanno elaborato dall’esperienza di questo processo pratico. Il marxismo è la forma ideologica che permette alle classi oppresse dal capitalismo di concepire e di combattere il conflitto di cui sono protagoniste. Ecco spiegato quindi anche perché il marxismo continua a progredire nonostante ogni certificazione di morte e ogni confutazione emanate dai capitalisti, dai loro intellettuali e dai loro preti e perché risorge più forte a nuova vita ogni volta che le alterne vicende della lotta pratica che la classe operaia conduce contro la borghesia ne offuscano temporaneamente l’influenza nella classe operaia, come in questo periodo.

Contro il marxismo la borghesia ha condotto, conduce e condurrà finché avrà vita una lotta lunga, multiforme, ostinata, capillare e senza alcun “vincolo cavalleresco di lealtà alla verità e di riconoscimento del valore”, perché il marxismo è il risvolto spirituale, sovrastrutturale della lotta che la classe operaia conduce e condurrà contro il capitale fino alla sua eliminazione, perché indica gli obiettivi che quella lotta persegue, le leggi che la regolano, le forme in cui si sviluppa. Sarà una lotta senza quartiere, tanto più accanita e implacabile, quanto più la sua conclusione sarà vicina: è una verità che la storia e il presente confermano.

Il marxismo è uno strumento indispensabile di lotta per la classe operaia. Senza di esso non potrebbe condurre la sua lotta oltre un livello elementare, spontaneo, che la lascia relegata al ruolo di ingranaggio essenziale del sistema produttivo capitalista, di venditrice di forza-lavoro e di classe oppressa. D’altra parte questa lotta elementare e spontanea, che è conseguenza inevitabile del ruolo che essa ha nella società borghese, spinge continuamente e da ogni lato la classe operaia verso l’elaborazione del marxismo, come normalmente la vita spinge gli uomini a cercare il senso delle cose che essi vivono, a conoscerle, a capirne la ragione e a servirsi di questa comprensione per venirne a capo. Gli intellettuali della classe operaia non sono “quelli che hanno studiato”, quelli che si dicono o si credono intellettuali, quelli che leggono e scrivono libri e riviste, ma sono precisamente quelli che si appropriano dei risultati, dei metodi e degli strumenti più avanzati del pensiero (in larga misura elaborati dalle classi dominanti e conformati per il loro uso) e trattano con essi l’esperienza della lotta della classe operaia contro la borghesia e ne ricavano la teoria che illumina e guida la sua lotta.

Il marxismo, nella misura in cui è stato assimilato e arricchito dall’elaborazione delle nuove esperienze, ha trasformato la lotta della classe operaia da una lotta spontanea e condotta alla cieca o guidata da immaginazioni più o meno approssimative della realtà, in una campagna condotta con scienza e imparando dall’esperienza. Per questo il marxismo ha potentemente accelerato e rafforzato il movimento pratico della classe operaia e si è attirato l’ostilità della borghesia che cerca in ogni modo, sia spontaneamente sia consapevolmente, di cancellarne l’esistenza e di travisarlo.

Il marxismo ha avuto un periodo di gestazione piuttosto lungo che è durato dalla seconda metà del Settecento alla prima metà dell’Ottocento: un periodo ricco di teorie (le numerose teorie dei socialisti premarxisti) che in modo ingenuo, fantasioso o geniale cercavano o di spiegare la condizione del nuovo proletariato o di indicare la strada da seguire per porre fine alla sua condizione o entrambe le cose assieme.

L’elaborazione del marxismo è entrata nella sua fase finale nel 1843: “il primo lavoro intrapreso per sciogliere i dubbi che mi assillavano fu una revisione critica della filosofia del diritto di Hegel”, dirà più tardi lo stesso Marx. Possiamo fissare la data di nascita del marxismo nel 1848 quando fu pubblicato il Manifesto del partito comunista.

A partire da allora il comunismo non è più stato solo il movimento pratico di trasformazione della stato presente delle cose, ma è diventato anche una concezione del mondo e un metodo di conoscenza e di lotta, in una parola una teoria. 150 anni di movimento pratico hanno grandemente arricchito il marxismo. Oggi il marxismo è un corpo di dottrine sulla natura delle cose e di indicazioni sul metodo per conoscerla e trasformarla, un corpo di dottrine tratto dalla elaborazione dell’esperienza storica e internazionale del movimento comunista. Per ogni comunista non si pone più solo il compito di imparare dalla sua esperienza diretta (pratica-teoria-pratica), ma si pone anche il compito di assimilare quella concezione e di imparare quel metodo, applicarli e arricchirli (teoria-pratica-teoria). Ma il compito di dirigere il movimento pratico della classe operaia e delle altre classi oppresse non può essere assolto da individui sia pure combinati in qualche maniera; può essere assolto solo da un partito, con le sue organizzazioni, i suoi membri e le sue relazioni. Quindi è elemento essenziale, costitutivo del partito comunista avere assimilato questa concezione e aver imparato ad usare quel metodo nel movimento pratico del suo paese, cioè avere elaborato un suo programma.

150 anni di lotta furibonda in campo teorico hanno accumulato ma anche vagliato centinaia di pregiudizi, deformazioni, incrostazioni, ingenuità ed errori. Quindi per unirci è inderogabile che noi esprimiamo chiaramente le nostre posizioni su tutte le questioni più generali e su tutti i problemi teorici importanti per il movimento pratico. Non serve a nulla richiamarsi genericamente al marxismo, al comunismo scientifico, come se fosse un corpo di dottrine noto, indiscusso e omogeneo. Su ogni problema importante è stato detto una cosa e anche il contrario, dichiarandolo marxismo. “Esistono più marxismi” dice Fidel Castro e Il futuro , organo ufficioso del MPA, gli fa eco. Ecco perché il nuovo partito comunista deve esporre in un documento costitutivo il comunismo scientifico separandolo da tutto il resto.

Fa parte del partito chi condivide il suo programma ...”. Condividere il programma è la prima delle condizioni per aderire al partito comunista. Avere un programma e chiedere a chi vuole far parte del partito di conoscerlo e condividerlo oggi è un principio costitutivo di ogni partito comunista. Senza programma non può esistere un partito al livello storicamente già raggiunto dai partiti comunisti e, viceversa, il programma deve indicare tutta la scienza che tutti i membri del partito devono condividere per far parte del partito. Pensare un partito comunista senza programma è regredire rispetto alla scienza già raggiunta dal movimento comunista, alla necessità già dimostrata dal movimento comunista. La riscossa , organo di Iniziativa Comunista, nel n. 2 definisce il partito comunista la “avanguardia di lotta della classe operaia”. Giusto! Ma tra le varie giuste definizioni che si danno del partito comunista a secondo degli aspetti che nella situazione concreta occorre mettere in luce, questa non mette in luce i punti deboli che nella nostra situazione concreta dobbiamo chiarire e su cui dobbiamo concentrarci per uscire dal pantano attuale. Il partito è anche lo “Stato Maggiore” della classe operaia che elabora e porta la linea giusta alla classe operaia e al resto delle classi rivoluzionarie. L’articolista di La riscossa che nello stesso articolo volge in caricatura questo altro aspetto del partito e mugugna contro gli intellettuali non operai (anche se comunisti) non mette in luce l’anello della catena che oggi “tutte quelle forze che si dichiarano impegnate nella ricostruzione del partito comunista” devono afferrare per assolvere al loro compito. Il ruolo del partito comunista non è solo incitare alla lotta, trascinare alla lotta, guidare i reparti negli attacchi e nelle ritirate. È suo compito anche conoscere gli obiettivi, elaborare e possedere la strategia, elaborare in ogni circostanza la tattica adeguata, raccogliere, formare e accumulare le forze di combattimento, distribuirle sui vari obiettivi: quindi possedere gli strumenti necessari per adempiere a questi compiti. Se il partito non è “Stato Maggiore”, non riesce neanche ad essere “combattente d’avanguardia”. “Solo un partito guidato da una teoria d’avanguardia può adempiere la funzione di combattente di avanguardia” (Lenin). La storia di questi anni lo conferma. Tutti i tentativi di condurre alla lotta la classe operaia senza Stato Maggiore, sono stati vanificati dal buon senso degli operai.

In ogni paese il partito comunista è depositario del patrimonio teorico del movimento comunista di tutto il mondo, lo utilizza per la direzione del movimento pratico del suo paese e contribuisce con le esperienze del movimento pratico del suo paese ad arricchire il patrimonio teorico di tutto il movimento comunista, del movimento comunista internazionale. Da 150 anni in qua ogni vero partito comunista ha contribuito ad arricchire il patrimonio teorico del movimento comunista e ogni rivoluzione (vittoriosa o vinta) ha contribuito a rafforzare questo patrimonio perché ha fornito nuove esperienze con cui il patrimonio teorico è stato alimentato. Questo è un aspetto sostanziale dell’internazionalismo proletario, riflesso del carattere internazionale, mondiale che per sua stessa natura ha il movimento di trasformazione dello stato presente delle cose.

Un compito irrinunciabile di ogni partito comunista consiste nell’introdurre nel movimento spontaneo delle masse le idee, le concezioni e gli obiettivi comunisti; nel legare ideologicamente e organizzativamente il movimento spontaneo delle masse alla lotta organizzata per la conquista del potere, per il socialismo, per il comunismo; nel realizzare la fusione tra il movimento operaio e il comunismo scientifico. Per fare questo, il partito deve assimilare la concezione e il metodo comunisti, elaborarli in relazione alla situazione e al momento concreti e portarli nel movimento pratico delle masse per rendere più facile il suo svolgimento, per porre chiaramente e praticamente alle parti più avanzate di esso il loro vero obiettivo: la conquista del potere, il socialismo, il comunismo.

Questa è la nostra concezione del rapporto tra la teoria e il movimento pratico (la lotta politica ed economica) e tra il partito e il movimento spontaneo delle masse.

Ebbene quali sono nel nostro paese, di fronte ai nostri compiti concreti di questo periodo, le posizioni spontaneiste, movimentiste?

Quanto siano razionali e conformi ai suoi interessi le confutazioni, le deformazioni, le censure e le dichiarazioni di morte emesse dalla borghesia imperialista appare chiaramente se si riflette sullo stato del marxismo tra le FSRS e sugli ostacoli che ciò crea alla ricostruzione del partito comunista, che attualmente nel nostro paese è il centro dello scontro tra classe operaia e borghesia imperialista.

Teniamo presenti i tratti specifici che il revisionismo moderno ha assunto nel nostro paese, le sue caratteristiche nazionali, per così dire. Mentre sabotavano, erodevano e infine liquidavano il carattere comunista del partito (il suo essere Stato Maggiore della classe operaia nella sua lotta per il potere, per il socialismo, per il comunismo), i revisionisti moderni limitavano la lotta delle masse alla lotta per le riforme (cioè alle lotte economiche e alle lotte politiche rivendicative), ma continuavano a professare fedeltà al marxismo, al leninismo, all’Unione Sovietica e, se il PCC non avesse condotto con forza la sua lotta a difesa del marxismo, anche alla Repubblica Popolare Cinese (come Togliatti auspicava ancora nel Memoriale di Yalta del 1964). Essi riducevano il marxismo a formule dogmatiche e a frasi vuote, mentre tutto il lavoro intellettuale veniva indirizzato e subordinato a concezioni borghesi. Non c’è stata scuola borghese che non sia stata dai revisionisti “combinata” col marxismo: dalla psicanalisi a Keynes, dal “compromesso fordista” alla economia sociale di mercato. Teniamo presente i tratti delle organizzazioni della nuova sinistra (da Lotta Continua alle Brigate Rosse) che si schieravano contro il revisionismo moderno e in una certa misura (non interessano qui le differenze tra loro che pur sono state grandi) effettivamente hanno lottato contro il revisionismo moderno. Ma il loro comune limite è stato quello di restare organizzazioni di lotta. Certo lotta inconseguente, incostante, effimera: ma proprio perché, come ci insegna Lenin, solo un partito guidato da una teoria di avanguardia può adempiere la funzione di combattente di avanguardia e le organizzazioni della nuova sinistra non erano guidate da una teoria di avanguardia, erano anzi succubi della cultura borghese di sinistra.

Quindi la corruzione graduale della teoria, l’abbandono della teoria, l’indifferenza per la teoria e il camuffamento di questo lavorio e di questa indifferenza con l’esaltazione delle lotte, della pratica, delle rivendicazioni sono stati il tratto caratteristico del revisionismo moderno in Italia. È innegabile che questo tratto persiste ancora oggi largamente tra le FSRS. Oggi è ancora “normale” tra i membri delle FSRS credersi e dirsi comunisti, del tutto sinceramente, con la massima “onestà”, pur ritenendo che il loro lavoro consiste solo o principalmente nel sostegno (pacifico o armato non importa per quello di cui stiamo qui occupandoci) alle lotte economiche e alle lotte politiche rivendicative dei lavoratori.

In generale spontaneisti e movimentisti si nascondono oggi dietro i richiami alla pratica e agitano a sproposito la gloriosa bandiera “pratica-teoria-pratica”, benché il problema chiave della ricostruzione del partito oggi da noi consista invece nella elaborazione della teoria che deve guidare il nuovo partito, che deve guidarci a uscire dal pantano del revisionismo, che deve guidarci ad adempiere alla nostra funzione di “combattenti d’avanguardia” per il potere della classe operaia, per il socialismo, per il comunismo. Che elaborare questa teoria sia difficile è vero, che imponga di venir a capo della confusione che oggi esiste, nelle FSRS, nel campo teorico è altrettanto vero. E gli ostacoli spontanei sono pari a quelli che il nemico ci getta tra i piedi volutamente e intenzionalmente. Ma nonostante la sua difficoltà, questa impresa deve essere compiuta e sarà compiuta. Ma proprio perché è di per sé difficile, non può essere compiuta da uomini esitanti, incerti, che a ogni piè sospinto ritornano a dire: ci vuole la pratica! Volete dire che non abbiamo ancora una pratica sufficiente per ricavarne una teoria adeguata ai nostri bisogni, sufficiente per stendere un Manifesto Programma? Volete dire che il partito comunista deve ignorare l’esperienza dei 150 anni di movimento comunista internazionale e il patrimonio teorico che di questo movimento è il riflesso, che il nuovo partito deve attingere solo alla sua esperienza diretta? Certo che non basta un Manifesto Programma, che ci vuole anche una organizzazione che lavori coerentemente con esso, che lo metta in pratica: ma volete forse dire che riuscirete a costruire questa organizzazione indipendentemente dal Programma?

L’invocazione alla pratica è diventata l’alibi per chi vuole cancellare la pratica nostra e del movimento comunista e impedire che da essa traiamo il Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano, in sostanza l’alibi per mantenere l’attuale stato di pressappochismo e di confusione che noi con tutte le forze vogliamo invece cancellare.

I promotori dell’ultima scissione dai CARC, quelli che hanno rotto con i CARC quando la Segreteria Nazionale ha emesso la Dichiarazione (vedi Resistenza n. 6 del ‘99) a sostegno del lavoro della Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del nuovo partito comunista italiano, non fanno altro che gridare alla pratica. Ci auguriamo che tirino dalla pratica più di quello che hanno tirato finora!

Per questo verso non differiscono (ma per altri sì) dai promotori della scissione dei CARC del 1997, attuali dirigenti di Linearossa . Anche quelli giustificavano con la preminenza della pratica il rifiuto di compiere i passi possibili e necessari verso la ricostruzione del partito. Non imparavano dalla loro pratica che nonostante i loro sforzi manteneva un carattere limitato e artigianale e confermava che solo un partito guidato da una teoria d’avanguardia può adempiere alla funzione di combattente di avanguardia. Il carattere limitato che ha oggi la nostra pratica è accettabile finché la pratica serve come scuola e palestra per la costruzione del partito, ma chi assume questa pratica come lavoro principale dovrebbe preoccuparsene molto se ha realmente fiducia nel carattere “necessario e inevitabile” del comunismo.

Su Rossoperaio recentemente un articolista ha sentenziato giustamente che per fare il partito non basta un Progetto di Manifesto Programma . Non ha detto che non è necessario, quindi si può sperare bene.

Su La riscossa l’articolista già sopra citato se la prende con gli “intellettuali”, in un momento in cui mancano proprio gli intellettuali comunisti, in cui occorre incoraggiare ogni compagno a diventare un intellettuale della classe operaia, in cui abbiamo assoluto bisogno, come dell’aria che respiriamo, che i compagni che hanno una qualche attitudine per il lavoro intellettuale si impegnino in esso e, facendo tesoro delle inchieste condotte da tutti e dell’esperienza di tutti, esprimano in italiano, a uso del partito italiano e dei lavoratori italiani, quel “comunismo scientifico” a cui l’articolista di La riscossa rimanda come a un qualcosa di già bello e pronto e disponibile per l’uso. Infatti afferma che il partito “nasce dalla fusione tra movimento operaio e comunismo scientifico”. Con ciò non solo esclude la necessità di elaborare un nostro programma, non solo esclude che, stante la tradizionale indifferenza per la teoria del movimento comunista italiano e la devastazione compiuta in questo campo per 50 anni dai revisionisti moderni, occorre esporre ai lavoratori avanzati e agli aspiranti comunisti cosa intendiamo per comunismo scientifico noi oggi, ma postula anche che la fusione tra il comunismo scientifico e il movimento operaio sia la premessa, l’origine della costituzione del partito. L’esperienza internazionale dimostra che la fusione è un risultato del lavoro del partito, non il punto di partenza della sua esistenza. Lo conferma anche l’esperienza specifica del nostro paese: la Resistenza, che nel nostro paese fu il punto di massima fusione tra il movimento operaio e il comunismo scientifico, arrivò dopo più di venti anni di eroica e tenace lotta del partito fondato nel 1921.

Infine in questa rassegna delle varie manifestazioni dello spontaneismo, occorre far notare quanto insiste sulla parola d’ordine “pratica-teoria-pratica” l’autore del Comunicato emesso il 20 maggio 1999 a nome delle BR-PCC dopo l’attentato a M. D’Antona, mentre d’altra parte non compie alcun tentativo di fondare sull’esperienza del movimento comunista internazionale e sul suo patrimonio teorico le sue concezioni e la sua proposta. Ora è ben vero che è parte integrante e irrinunciabile del marxismo la tesi che non esiste uno sviluppo indipendente del pensiero, che non esiste un pensiero che si sviluppa da sé, che le idee giuste non cadono dal cielo, che le idee giuste vengono dall’elaborazione della pratica sociale, per usare la formula coniata da Mao Tse-tung. Ma da quando dei compagni, elaborando la pratica del movimento comunista, ne hanno tratto delle concezioni e dei metodi la cui bontà è stata confermata dalla pratica, da allora i comunisti non ripartono ognuno da zero, ma studiano quelle concezioni e quei metodi, li assimilano, li applicano alla loro realtà concreta. E nei casi in cui trovano che uno di essi non è adeguato, non buttano tutto quello che ha portato il movimento comunista a raggiungere i grandi successi raggiunti in soli 150 anni di vita, non si rifugiano nell’indifferenza alla teoria, nel rifiuto degli “ismi” ( Il futuro , n. 20), nel “pluralismo di interpretazione del marxismo” e nella tesi che “ci sono molti marxismi” ( Economia, etica e politica nel pensiero di Che Guevara , ed. Il papiro), nel fastidio per la confusione teorica imperante e nella sua accettazione ( La Rete dei Comunisti , n.0), ma verificano accuratamente la situazione, chiariscono in cosa la situazione è cambiata, qual è l’errore individuato e così contribuiscono ad arricchire la nostra dottrina a beneficio di tutto il movimento comunista. Quando trovano confusione e contrasti, come è attualmente il caso da noi, non si rifugiano nell’indifferenza della “pari dignità” di ogni opinione, nella libertà da ogni teoria coerente, nell’eclettismo e nella mancanza di principi, ma si impegnano con raddoppiata energia nella definizione delle concezioni e dei metodi che ci occorrono per la vittoria. Considerano che la confusione richiede di dedicare maggiori energie alla lotta teorica e di contrastare con più forza, in campo teorico, l’attacco della borghesia che fomentando la confusione teorica paralizza le nostre forze. Perché chi non individua e assimila la concezione comunista, nella sua pratica è guidato dalle concezioni della borghesia imperialista.

La lotta contro il movimentismo, lo spontaneismo, l’agitare a sproposito la bandiera della pratica consiste oggi nell’impegnarsi nell’elaborazione del Manifesto Programma del partito. È un impegno che non richiede chissà quali capacità, non richiede titoli universitari o di scuola superiore, ma richiede di studiare (non solo leggere, ma studiare) il Progetto, di analizzare criticamente alla luce delle proprie esperienze e delle proprie conoscenze ogni sua parte e ogni sua parola, di vedere di fronte a ogni problema corrente della lotta di classe se il Progetto offre una chiave di lettura soddisfacente ai fini della nostra lotta, di condurre più in profondità l’analisi di classe che il Progetto presenta a grandi linee.

Questo è il lavoro indispensabile per la ricostruzione del partito ed è il lavoro che sarà fatto e che contribuirà a rendere vane le certificazioni di morte del marxismo rilasciate dalla borghesia in questi anni di fine secolo, come lo furono quelle che rilasciò al suo inizio.

Nicola P.