Comunicato dell’8 settembre 2007

Il “referendum del TFR”: il significato, l’esito e le lezioni che dobbiamo tirarne

sabato 8 settembre 2007.
 

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Il testo del comunicato

impaginato con Open Office

 

 

 


(nuovo)Partito comunista italiano
Commissione Provvisoria del Comitato Centrale
Sito: http://lavoce-npci.samizdat.net
Email: lavocenpci40@yahoo.com
Delegazione: BP3 4, rue Lénine 93451 L’Île St Denis (Francia)

 

I lavoratori hanno votato in massa contro il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti!

 

Circa 85 lavoratori su cento avrebbero esplicitamente votato contro la proposta del governo, dei padroni e della destra dell’aristocrazia operaia che dirige i sindacati di regime! Meno del 6 per cento dei lavoratori (circa 700 mila su più di 12 milioni) ha esplicitamente approvato la loro proposta!

 

La crisi finanziaria esplosa in luglio ha confermato che la proposta del governo, dei padroni e della destra sindacale era una truffa anche dal punto di vista economico!

 

L’esito del “referendum del TFR” conferma che le masse popolari non hanno alcuna fiducia nella borghesia, nel clero, nelle altre classi dominanti!

 

Il terreno è favorevole alla rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato: perché la rinascita procede così lentamente?

 

Il 30 giugno è scaduto il periodo entro il quale i lavoratori dipendenti del privato dovevano dichiarare di rifiutare la trappola loro tesa dal governo Berlusconi-Bossi-Fini e dal governo Prodi-D’Alema-Bertinotti, dai padroni e dalla destra dell’aristocrazia operaia che dirige i sindacati di regime.

Il governo BBF aveva predisposto la trappola. A partire dal 2008 i soldi che per legge i padroni accantonano per la liquidazione (ribattezzata TFR - Trattamento di Fine Rapporto) sarebbero stati conferiti a fondi gestiti dagli speculatori della finanza, a meno che ogni lavoratore avesse individualmente dichiarato per scritto che non voleva il conferimento. I lavoratori interessati alla trappola erano tra i 12 e i 13 milioni. La massa di denaro in gioco arrivava a circa 19 miliardi di euro l’anno: miliardi che avrebbero ingrossato il mare del capitale finanziario che domina, sfrutta e condiziona l’intera vita sociale, alle cui correnti e mareggiate è esposta l’intera vita sociale, come mostra la crisi finanziaria scoppiata in luglio e ancora in corso. Le aziende avrebbero perso il finanziamento costituito dalla liquidazione che trattenevano, ma il governo aveva assicurato loro una compensazione in termini di credito agevolato (quando va a vantaggio dei padroni il governo - di destra o di sinistra che sia - non esita ad aumentare la Spesa Pubblica): quindi anche per questo verso veniva rafforzato il dominio del capitale finanziario sull’attività di produzione di beni e servizi (detta economia reale).

Puntualmente il nuovo governo PAB, insediato in maggio 2006, ha raccolto l’opera iniziata dal governo BBF e anzi ha cercato di anticiparla. Non a partire dal 2008, ma dal 2007. I lavoratori avevano tempo fino al 30 giugno 2007 per opporsi al conferimento. Passata quella data, chi non aveva fatto la dichiarazione di opposizione, era fregato.

 

Il Partito ha spiegato sia nella rivista La Voce (n. 25 di marzo 2007) sia in un Comunicato a grande diffusione del 1° giugno 2007 (reperibili entrambi sul sito http://lavoce-npci.samizdat.com) quanto la trappola fosse velenosa per i lavoratori, sul piano economico e sul piano politico.

1. Sul piano economico individuale e diretto. Il lavoratore non avrebbe più potuto disporre della liquidazione per spese di emergenza e quando (per licenziamento, per dimissione o per pensionamento) lasciava un’azienda. Prima o poi i pescecani della finanza avrebbero mangiato i suoi soldi, in occasione di qualche crisi finanziaria. La pensione che i finanzieri avrebbero dovuto corrispondere dipendeva tutta dalla loro buona volontà, il che è tutto dire!

2. Sul piano economico generale e degli effetti indiretti. Il capitale finanziario avrebbe aumentato il suo dominio sull’intera economia. Si faceva un altro passo verso l’eliminazione delle pensioni della Previdenza Sociale.

3. Sul piano politico. I lavoratori venivano messi in conflitto con se stessi, i pensionati venivano messi in conflitto con i lavoratori. Come intestatari di titoli finanziari e come pensionati sarebbero stati interessati non alla difesa dei posti di lavoro, dei salari, delle condizioni di lavoro, ma alle speculazioni finanziarie, alle ristrutturazioni aziendali (con connessi licenziamenti, delocalizzazioni, esternalizzazioni, precarizzazioni, ecc.) con le plusvalenze che ne derivano ai gestori del capitale finanziario, non sarebbero stati neanche più interessati ai profitti aziendali ma addirittura alla crescita delle quotazioni dei titoli di borsa. All’alleanza d’interesse pensionati-salariati connessa con il sistema per ripartizione della Previdenza Sociale, subentrava l’alleanza d’interessi pensionati-speculatori. La lotta dei lavoratori contro i padroni veniva ostacolata da un nuovo contrasto tra gli interessi dei lavoratori come salariati e i loro interessi come intestatari di titoli finanziari, sia pure intestatari destinati a essere comunque per lo più fregati. Inoltre i sindacati di regime avrebbero amministrato una parte dei fondi e quindi sarebbero diventati economicamente meno dipendenti dalle quote sindacali che, sia pure con alcuni ostacoli, ogni lavoratore iscritto può disdire.

In sostanza si trattava di una truffa economica da sconfiggere e di un referendum politico da vincere.

 

Il Partito aveva spiegato l’importanza economica e politica della partita, aveva chiamato i suoi organismi e tutte le organizzazioni direttamente o indirettamente influenzate dal Partito a promuovere e sostenere la campagna contro la trappola padronale, a denunciarla, ad allertare i lavoratori perché votassero contro la proposta del governo PAB, dei padroni e della destra sindacale.

Molte organizzazioni e sindacati hanno lanciato lo stesso allarme lanciato dal Partito e si sono impegnate nella campagna contro la truffa promossa dal governo PAB.

Governo, padroni e destra sindacale hanno minimizzato l’importanza economica e politica dell’operazione, hanno condotto una campagna subdola.

 

Che esito ha avuto il “referendum del TFR”?

 

A due mesi dalla conclusione il governo non ha ancora diffuso i risultati ufficiali. Questa discrezione del governo e i pochi dati disponibili inducono a ritenere che il referendum è andato molto male per il governo, i padroni e la destra sindacale. Raccogliendo e confrontando le cifre comparse qua e là (Ministero del Lavoro retto dal famigerato Cesare Damiano, sondaggi, ecc.) risulta quanto segue.

Durante i sei mesi da gennaio a giugno ‘07 solo 727.000 lavoratori (dato ministeriale) avrebbero scelto apertamente di aderire ai fondi. Sempre secondo fonti ministeriali, confermate dai sondaggi, circa il 10% dei lavoratori coinvolti sarebbero caduti nella trappola del silenzio-assenso: quindi tra 1.2 e 1.3 milioni. Tirando le somme solo tra 1.9 e 2 milioni di lavoratori avrebbero in un modo o nell’altro “votato” a favore della proposta governativa, al massimo il 15.5 dei lavoratori chiamati a votare.

Guardiamo le cose da un altro punto di vista. Alla fine del 2006 circa 2.3 milioni di lavoratori dipendenti aderivano già a fondi pensione. Ammesso anche che tutti appartenessero alla massa dei lavoratori chiamati a votare nel “referendum”, si trattava al massimo del 18 per cento. È ragionevole pensare che si trattava dei lavoratori più benestanti, più corporativi, più abbrutiti, più arretrati, più corrotti, meglio pagati, più succubi della borghesia o dei sindacati di regime. Questi già gestivano fondi-pensione: Cesare Damiano, l’attuale ministro del lavoro nel governo PAB, era dirigente di uno di questi, il Fondo Cometa. D’altra parte è ragionevole pensare che tutti o gran parte dei 727.000 che hanno conferito il loro TFR ai fondi (372.000 ai fondi sindacali, 200.000 ai fondi privati, 155.000 a polizze vita) rientrino tra i 2.3 milioni che già aderivano a fondi pensione indipendentemente dalla truffa organizzata ora sul TFR. Infatti chi aderiva apertamente alla truffa aveva alcuni vantaggi fiscali rispetto a chi veniva fatto aderire con la clausola del silenzio-assenso (i cosiddetti “silenti”). Certo è che anche tra i 2.3 milioni di lavoratori che già avevano un contratto di pensione integrativa con i fondi, solo una minoranza ha aderito alla truffa della borghesia e della destra sindacale.

Ovviamente resta la riserva di conoscere i dati definitivi. Ma è pressoché impossibile che il quadro definitivo si discosti molto da quello fin qui indicato. Se i dati definitivi confermano quello che finora si è riusciti a sapere, l’esito ha un importante significato politico. Quale? Che la grande, enorme maggioranza dei lavoratori non si fida del governo, delle autorità, dei padroni, della destra sindacale. Che ha avuto pieno successo la campagna condotta dal Partito e da altre organizzazioni che si oppongono alla politica antipopolare del PAB, contro la rapina del TFR e la truffa organizzata da governo, padroni e destra sindacale. È un dato di cui tener conto quando si sentono depressi, disfattisti, liquidatori e borghesi proclamare che i comunisti e in generale le FSRS non hanno alcuna influenza sui lavoratori, che la borghesia e il clero (che controllano i grandi mezzi di comunicazione e i canali di formazione delle coscienze) hanno il dominio assoluto della coscienza e del comportamento delle masse, che le masse sono arretrate, che le masse appoggiano la destra e altre simili teorie anticomuniste.

I risultati del “referendum del TFR” confermerebbero in realtà quello che risulta da altre fonti: tra i lavoratori esiste un terreno favorevole alla rinascita del movimento comunista. Non c’è fiducia nei padroni, nei loro portavoce politici e sindacali, nel clero. Non c’è un’adesione convinta alle loro proposte di vita e di società, alla loro concezione del mondo. Quanto al clero, a conferma ci sono anche numerosi altri sintomi, tra cui ad esempio il fatto che solo il 40 per cento di tutti i contribuenti dichiarano di voler devolvere alla Chiesa l’8 per mille delle tasse che comunque devono pagare; il fatto che la stragrande maggioranza anche di quelli che si dicono cattolici non rispettano i precetti che Chiesa vuole imporre in materia di relazioni sessuali. La soggezione ideologica, intellettuale, morale e politica delle masse popolari alla borghesia, al clero, alle altre classi dominanti è solo passività, rassegnazione, mancanza di alternative convincenti, disperazione, ignoranza, abbrutimento. Le masse popolari subiscono, ma non sono d’accordo, partecipano sempre meno a fare da claque e da supporto alle operazioni dei politicanti borghesi.

 

È allora necessario che noi comunisti ci poniamo la domanda: se questo è vero, perché la rinascita del movimento comunista procede così lentamente?

 

Cosa vuol dire concretamente rinascita del movimento comunista come movimento cosciente e organizzato? Rinascita del movimento comunista significa ricostruire quel tessuto di organizzazioni di massa anticapitaliste che rendevano forti i lavoratori e le altre classi delle masse popolari. Che contrapponevano la rete di solidarietà dei lavoratori alla forza economica, politica e culturale dei padroni e del clero. Che costituivano il veicolo e lo strumento per la crescita culturale delle masse popolari, per la loro emancipazione ideologica dalle classi dominanti, per la loro liberazione dall’oscurantismo clericale, per la formazione di una coscienza politica più avanzata. Quel tessuto di organizzazioni di massa che costituiva il terreno in cui si diffondevano l’influenza e la direzione dell’avanguardia della classe operaia, del partito comunista e da cui esso attingeva la sua forza, le sue risorse, le sue reclute. Insomma quel tessuto di organizzazioni che costituiva il sistema nervoso del nuovo potere dei lavoratori nato dalla Resistenza antifascista e che per anni ha innervato il complesso delle masse popolari e in qualche misura si contrapponeva al potere dei capitalisti e delle altre classi dominanti. Questo tessuto di organizzazioni popolari nel nostro paese ha raggiunto la sua massima espansione negli anni ’60 e ’70, per poi declinare nell’ambito della crisi generale del movimento comunista. Il (n)PCI parla di guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata e di creare nel paese un nuovo potere che si contrapponga al potere delle attuali classi dominanti. Ebbene parla di un potere che in qualche misura nel nostro paese per due volte si è già formato fino a un certo livello di forza. La prima all’inizio del secolo scorso: ma i suoi dirigenti non avevano una coscienza adeguata delle condizioni e delle forme del suo sviluppo, non riuscì quindi a passare dalla prima alla seconda fase della guerra popolare rivoluzionaria quando se ne crearono le condizioni e la borghesia, il clero e le altre classi reazionarie lo stroncarono tramite il fascismo. La seconda a metà del secolo scorso alla conclusione vittoriosa della lotta contro il fascismo: questa volta fu corroso e corrotto dall’interno dai revisionisti moderni fino a dissolversi. Rinascita del movimento comunista vuol dire ricostruire quel potere, ovviamente però con il proposito che questa volta, a differenza di quello che avvenne nelle due volte precedenti, questo nuovo potere sia pienamente animato dalla volontà di soppiantare completamente il potere della borghesia imperialista e di imporsi come unico potere in tutto il paese e sia fin da oggi guidato da una linea adeguata a questo obiettivo. Rinascita del movimento comunista vuole quindi dire una cosa chiara e semplice, pratica e del tutto possibile: ricostruire qualcosa che abbiamo già costruito due volte e della cui necessità ognuno può facilmente convincersi, ricostruirlo armati degli insegnamenti delle due sconfitte che abbiamo subito: un esercito che impara dalle sue sconfitte è destinato a vincere.

 

Se il terreno tra i lavoratori è favorevole alla rinascita del movimento comunista come tanti sintomi pratici, controllabili, inoppugnabili danno a vedere, perché la rinascita del movimento comunista è difficile e lenta come ben sa ogni compagno che vi dedica le sue energie?

 

I rivoluzionari si distinguono dai politicanti da una parte e dagli ingenui dall’altra perché non eludono le domande difficili che la vita e l’esperienza pongono. “I comunisti si chiedono il perché delle cose”, ripeteva Mao. Affrontano le domande difficili e imbarazzanti e trovando la risposta giusta scoprono la via per superare gli ostacoli e avanzare. Chiunque di noi cerca di evitare domande e questioni imbarazzanti o nasconde a sé e ai suoi compagni dubbi, è fuori strada. Crea in sé e tra di noi un punto debole. Crea in sé e tra di noi un punto favorevole alla penetrazione della borghesia nel nostro campo. Noi per una serie di ben fondate considerazioni abbiamo fiducia piena nella nostra causa. Siamo quindi sicuri che ogni ostacolo può essere rimosso, che ogni obiezione difficile nasconde una verità la cui scoperta ci permetterà di avanzare meglio. Tutti i sinceri rivoluzionari devono quindi porsi la domanda sopra formulata e cercare la risposta. Lasciamo che i politicanti della sinistra borghese si cullino dietro ovvietà borghesi e banalità alla Marcuse, alla Negri, alla Revelli e compagnia, banalità che costituiscono lo stato d’animo della sinistra borghese, del tipo le masse popolari sono arretrate, solo gli intellettuali capiscono la verità, la storia la fanno le elite e le masse popolari servono solo da massa di manovra e da claque per le elite, il capitalismo non c’è più, la classe operaia non c’è più, ecc., ecc.

 

La nostra risposta

 

La risposta che noi diamo è la seguente. La rinascita del movimento comunista procede lentamente perché i comunisti sono arretrati, stentano a superare i limiti che hanno determinato la decadenza del movimento comunista. Senza comunisti non può esserci rinascita del movimento comunista. L’ostacolo principale alla rinascita del movimento comunista è la nostra arretratezza: quindi la rimozione dell’ostacolo dipende principalmente da noi. La lotta di classe, il contrasto di classe è un dato di fatto. Non siamo noi a crearlo. Ma da esso il movimento comunista, come movimento cosciente e organizzato, si sviluppa solo per l’opera tenace, mirata, coerente con le leggi dello sviluppo sociale svolta dai comunisti. Se i comunisti non svolgono quest’opera, non nasce alcun movimento comunista. I nostri maestri ce lo hanno detto più volte e in diversi modi: “Senza teoria rivoluzionaria, un movimento rivoluzionario non si sviluppa”. La borghesia, per istinto, per esperienza o per scienza, a sua volta lo sa anch’essa. Infatti cerca in ogni modo di impedire che si formino i comunisti, denigra il movimento comunista, distoglie dal comunismo, tra i comunisti favorisce ogni deviazione, tra le masse popolari crea mille diversivi e mille vie di evasione dalla realtà, cerca di corrompere o reprimere, comunque di soffocare ed eliminare i comunisti, di impedire o almeno intralciare il loro lavoro, di isolarli dalla massa: li criminalizza (“guerra al terrorismo”), li perseguita (subdolamente, perché ha paura di indicarli alle masse popolari come loro campioni), li espelle dai sindacati di regime come facevano i fascisti che anch’essi come Epifani & C davano la caccia ai comunisti tra i membri dei sindacati di regime, cerca di impedire (con le leggi elettorali, con le soglie-barriera, imponendo tributi e depositi finanziari e altri ostacoli) che i comunisti partecipino alle elezioni e alle assemblee elettive, ecc. L’essenza della controrivoluzione preventiva consiste nell’impedire lo sviluppo del movimento comunista, prevenire lo sviluppo del movimento comunista, distogliendo, fuorviando, corrompendo, soffocando, reprimendo.

Eppure, nonostante il declino del movimento comunista, nonostante lo scioglimento di tante organizzazioni e partiti comunisti, nonostante la diffusa denigrazione del movimento comunista, nel nostro paese sono ancora centinaia di migliaia gli individui che si proclamano comunisti. Gli elettori di partiti che si dicono comunisti sono ancora alcuni milioni. Un altro sintomo che conferma che il terreno tra le masse popolari ci è favorevole.

La rinascita del movimento comunista procede lentamente e con fatica perché tanti che pur si dicono comunisti non hanno una concezione giusta del loro ruolo, di cosa devono fare o di come lo devono fare e noi stessi, membri del Partito, non abbiamo ancora una linea abbastanza pratica e articolata da valorizzare per la rinascita del movimento comunista l’attività che compiono gli altri. “Comunisti sono quelli che hanno una comprensione più avanzata dei risultati, delle condizioni e delle forme della lotta di classe e che su questa base la spingono sempre in avanti”, ci hanno insegnato Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista (1848).

Ogni trasformazione sociale si svolge secondo sue proprie leggi. Chi vuole promuoverla, accelerarla, dirigerla deve conoscerle e deve svolgere la sua azione secondo le leggi di quella trasformazione. In particolare il movimento comunista si sviluppa solo grazie alla volontà e all’azione dei comunisti che promuovono la formazione di organizzazioni della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari e la crescita della loro coscienza. Per sua natura esso è un movimento cosciente e organizzato, perché per sua natura è l’assurgere, per la prima volta nella storia dell’umanità, dei lavoratori, vale a dire della stragrande maggioranza degli uomini e delle donne, ad un’azione sociale cosciente e ad un’attività sociale autonoma da classi dominanti che le masse possono svolgere solo se sono organizzati. Da sempre essi hanno svolto nella vita sociale il ruolo di massa di manovra di classi dominanti, un ruolo per molti aspetti analogo a quello di animali da lavoro a disposizione delle classi dominanti, diretti da esse. I promotori e dirigenti del movimento comunista sono anzitutto i promotori della trasformazione su larga scala della massa dei lavoratori in individui coscienti e organizzati, i dirigenti della lotta di classe che per sua natura deve sfociare nella dittatura del proletariato (il socialismo) prima di arrivare all’estinzione della divisione dell’umanità in classi e dello Stato.

 

In cosa consiste precisamente l’arretratezza dei comunisti nella fase attuale?

 

L’arretratezza dei comunisti nella fase attuale rispetto al compito che abbiamo indicato ha tre forme ben definite.

 

1. Gli sfiduciati, i depressi, quelli che sono convinti che il comunismo è una cosa buona, che si considerano comunisti e si dichiarano comunisti, ma sono convinti che non ci sia nulla da fare, pensano che non ci sia nulla che essi sono capaci di fare per promuovere la crescita del livello di organizzazione e di coscienza delle masse popolari. La sfiducia, l’inerzia, il fatalismo, il determinismo economico, l’impressione che la borghesia sia forte fino ad essere invincibile, l’idea che “la rivoluzione deve scoppiare simultaneamente in tutto il mondo” e che i vincoli economici e politici internazionali (la globalizzazione) impediscono che la rivoluzione possa trionfare in un paese, l’influenza della propaganda borghese, le multiformi campagne di intossicazione e di denigrazione dell’esperienza storica del movimento comunista condotte dalle mille scuole borghesi (ivi compresi le varianti bordighiste, trotzkiste, anarchiche, revisioniste, “operaiste” e “autonome”, ecc.), la demoralizzazione per la lunga corruzione e infine il crollo dei primi paesi socialisti e per la corrosione e infine la dissoluzione di gran parte delle organizzazioni e delle istituzioni create durante la prima ondata della rivoluzione proletaria: tutto questo confluisce, in dosi diverse da individuo a individuo, a formare questo tipo di arretratezza. Sono comunisti che non fanno alcuno sforzo per trasformare i loro sogni, le loro aspirazioni, le loro concezioni in azioni e comportamenti di massa. Nonostante i mille esempi del passato e del presente, non hanno un’idea realistica e pratica del ruolo che i singoli individui possono e devono svolgere nel promuovere e sviluppare un movimento di massa. In generale non fanno nessuno sforzo sistematico neanche per sottrarsi all’influenza ideologica borghese, si isolano individualmente nelle loro idee e aspirazioni, non sottopongono idee e convinzioni, analisi e aspirazioni alla verifica collettiva. In generale finiscono anche per avere concezioni e idee sbagliate, per scoraggiarsi, confondersi e non capirci più niente, disperdersi.

A quelli che sono ancora capaci di ascoltarci e di prendere l’iniziativa, possiamo solo dire: scuotetevi, ascoltate gli echi delle lotte che i comunisti conducono in ogni angolo del mondo, guardate ai comunisti più avanzati, unitevi ad altri comunisti, organizzatevi con altri comunisti, proponetevi di svolgere insieme con loro un’attività politica, mettete in discussione con gli altri comunisti le vostre vedute e aspirazioni. Osate lanciarvi, siate generosi, non abbiate paura!

Niente di quello che avviene nel mondo è fatale. Il marxismo è una guida per l’azione, non la teoria della fatalità. La società umana si sviluppa secondo determinate leggi che il marxismo ha scoperto. Ma la fanno gli uomini con la loro volontà e le loro azioni. Anche le case si costruiscono seguendo determinate leggi, ma sono gli uomini che le costruiscono, certo però non lo fanno agendo a caso! Il comunismo è il futuro di cui gli uomini di oggi hanno bisogno. Hanno tutti gli strumenti e i presupposti per costruirlo, anche se devono imparare cose che ancora non sanno. Sta a noi guidarli. La conoscenza delle leggi dello sviluppo sociale rende più efficaci le nostre azioni se le assimiliamo e le impieghiamo. Vale nel nostro lavoro quello che vale in ogni altra professione e attività umana. Non c’è nulla di fatale nella vittoria che la borghesia imperialista ha conseguito in questi anni. Le nostre forze non sono affatto sparite: sono solo indebolite, disorientate e disperse. I disfattisti e i liquidatori ingigantiscono ad arte le difficoltà della rinascita del movimento comunista, la borghesia lo fa ad arte. La globalizzazione è una catena che i capitalisti hanno imposto a tutti i paesi approfittando della debolezza del movimento comunista e della sua crisi. Non è più forte della catena che gli imperialisti avevano imposto con il vecchio sistema coloniale che la prima ondata della rivoluzione proletaria ha mandato a gambe all’aria. Tutti i popoli ne soffrono e molti dei popoli dei paesi oppressi sono già insorti e resistono. I popoli arabi e musulmani stanno opponendo un’eroica resistenza all’aggressione imperialista e stanno dando un aiuto potente a tutti i popoli oppressi e a tutte le classi sfruttate del mondo, anche a quelle dei paesi imperialisti: il ruolo che le forze feudali hanno nella direzione della loro resistenza non cancella questo innegabile fatto. Bin Laden è stato certamente un agente degli imperialisti americani ed è un fervente cultore di relazioni feudali, ma nella storia futura sarà celebrato come l’“eroe dei due mondi” del nostro tempo: neanche Garibaldi era all’altezza della rivoluzione a cui diede tuttavia un grande apporto. Gli imperialisti americani riescono a reggere la situazione solo ricorrendo negli USA e all’estero a un sistema che ha sempre meno da invidiare a quello con cui Hitler tenne soggetta per alcuni anni l’Europa. I lavoratori precari dei paesi imperialisti sono nuovamente ridotti alla condizione dei lavoratori di cento anni fa e come loro lotteranno contro la borghesia e le sue autorità. La precarietà ha riportato i rapporti tra lavoratori e padroni a cento anni fa. Non più indietro. Anzi i lavoratori precari di oggi mantengono alcuni vantaggi rispetto ai lavoratori di cento anni fa: da una parte sanno che i lavoratori avevano conquistato relazioni di lavoro più favorevoli, dall’altra continuano ad esistere accanto a loro lavoratori che ancora hanno un contratto collettivo nazionale di lavoro, per quanto sempre più minacciati di perderlo anch’essi. Il tentativo della borghesia di legare i pensionati al carro del capitale finanziario è ancora lontano dal prevalere. Nonostante il quotidiano, subdolo e fraudolento sabotaggio della mobilitazione popolare condotto dalla borghesia, dal clero, dalla destra dell’aristocrazia operaia che dirige i sindacati di regime e le altre grandi organizzazioni popolari, la mobilitazione delle masse popolari continua in misura rilevante. La borghesia non ha nulla da offrire alle masse popolari: questo è l’elemento principale di debolezza della borghesia e dei suoi agenti, a cui la borghesia non ha rimedio. La borghesia per sopravvivere alla sue stesse contraddizioni ha bisogno del consenso attivo almeno di una parte importante delle masse popolari: questo è il suo secondo “tallone d’Achille”. Noi comunisti rappresentiamo il mondo che le masse popolari possono conquistare e che hanno bisogno di conquistare per sfuggire all’inferno in cui la borghesia li sprofonda ogni giorno di più.

La rinascita del movimento comunista è una necessità per le masse popolari e ci sono mille aspetti favorevoli al successo dell’opera dei comunisti che vi si dedicheranno con generosità e intelligenza, senza riserve.

 

2. Quelli che si occupano solo di quello su cui le masse popolari sono già mobilitate, quelli che alle masse parlano solo di quello che già le masse pensano, quelli che esauriscono i loro sforzi nelle rivendicazioni immediate, disperdono le loro energie limitandosi a rivendicazioni immediate e sono scoraggiati dagli scarsi e precari successi, dal fatto che devono ricominciare sempre da capo, dal fatto che la destra borghese allarga il suo seguito tra le masse popolari (prova ne sono la costituzione del Partito Democratico, le iniziative razziste e antipopolari dei sindaci DS e il favore che i due eventi raccolgono tra la parte più scoraggiata e abbrutita delle masse popolati che per anni hanno sostenuto la sinistra borghese), dal fatto che la divisione e la rassegnazione crescono tra i lavoratori.

Questi comunisti si presentano come promotori di questa o quella riforma particolare, anziché come promotori della coscienza e dell’organizzazione di cui le masse hanno bisogno. Inalberano rivendicazioni economiche e altre rivendicazioni immediate, ma non inalberano l’obiettivo di fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Nascondono alle masse proprio l’obiettivo che le masse hanno bisogno di realizzare. Parlano alle masse di quello su cui l’interesse delle masse è già vivace, invece di parlare alle masse di quello che le masse hanno bisogno di comprendere per emanciparsi dalle classi dominanti. Concepiscono le organizzazioni di massa come strumenti per mobilitare le masse popolari a supporto della propria attività e a fare da claque del proprio operato, anziché promuoverle come strumento delle masse popolari per progredire, elevare la loro coscienza politica, emanciparsi dalla borghesia e dal clero, fare scuola di comunismo. Sono per mille aspetti e da mille fili legati alla sinistra borghese, dipendono da essa anziché utilizzarla.

La lotta per questa o quella riforma, la lotta di classe condotta giorno per giorno anziché essere scuola di comunismo è da essi condotta come se fosse l’obiettivo stesso. Compilano e agitano piattaforme di obiettivi immediati che tutti dovrebbero condividere, che dovrebbero unire tutti e che non unificano né mobilitano che poche persone e non creano che unità precarie. Obiettivi e piattaforme che spesso addirittura dividono le masse popolari. La borghesia è diventata maestra nell’usare le difficoltà che essa stessa crea alle masse popolari, per metterne una parte contro un’altra. A chi si oppone alla nuova base USA di Vicenza, la borghesia contrappone quelli che dalla costruzione della base avrebbero lavoro e commerci. È un gioco facile per la borghesia. Il grado di socializzazione a cui è giunta la società borghese è tanto alto che ogni trasformazione compiuta nel suo ambito danneggia qualcuno e avvantaggia altri. Perfino la riduzione degli incidenti stradali o dell’inquinamento danneggerebbe qualcuno.

Le lotte per conquiste immediate e dirette, per questo o quel rimedio immediato a questa o quella piaga della società borghese sono utili e necessarie e la loro vittoria è possibile. Ma queste lotte per rivendicazioni immediate e dirette si sviluppano su grande scala e hanno un ruolo progressista, uniscono ed educano le masse popolari solo se sono sviluppate nell’ambito o sulla scia di un movimento che lotta per instaurare il socialismo, se sono dai comunisti usate e fatte funzionare come scuola di comunismo. È impossibile condurre una cosciente ed efficace attività a favore della rinascita del movimento comunista se non si fa una distinzione netta e di principio tra l’opera volta ad eliminare la produzione capitalista e mercantile (quindi a instaurare il socialismo) da una parte e dall’altra le conquiste che le masse popolari strappano nell’ambito della produzione mercantile e capitalista, limitando la libertà dei capitalisti, impedendo il libero dispiegarsi delle leggi naturali del capitalismo, imponendo ai capitalisti lacci e laccioli che, assieme alle contraddizioni proprie dello stesso modo di produzione capitalista, concorrono a rendere più difficile alla borghesia il governo della società e più precario il suo potere.

Questi compagni si dicono e si credono comunisti, ma in realtà sono seguaci dell’economicismo, che è il vecchio opportunismo di un secolo fa, solo che oggi non si presenta più col suo nome perché opportunista è diventato un insulto. Gli opportunisti di un secolo fa sostenevano infatti che il fine del movimento comunista (l’instaurazione del socialismo) non aveva alcuna importanza pratica, era qualcosa che si perdeva in un nebuloso futuro. Quello che aveva importanza pratica era strappare le conquiste che la situazione immediata permetteva, cogliere le opportunità che la situazione presentava senza occuparsi del fine da raggiungere, senza inquadrare e subordinare la tattica delle azioni quotidiane alla strategia per raggiungere quel fine. “Il movimento è tutto, il fine è nulla” era la sintesi della loro concezione. La storia ha già mostrato che con simile concezione il movimento comunista è finito completamente fuoristrada.

Questi compagni profondono grandi sforzi a cui non corrispondono risultati adeguati e alla lunga o si scoraggiano e abbandonano la lotta o finiscono per diventare una semplice appendice della sinistra borghese.

I sindacati (SLAI Cobas, Rappresentanze di base e simili) alternativi ai sindacati di regime (CGIl, CISL, UIL, ecc.) riuniscono già oggi decine di migliaia di lavoratori, eppure il loro ruolo ai fini del rinnovamento del movimento sindacale e della rinascita del movimento comunista è molto ridotto proprio perché i comunisti che li hanno fondati e li animano sono in realtà degli economicisti, si disperdono in mille rivoli anziché far confluire i mille rivoli nel fiume della rivoluzione socialista. Una considerazione analoga vale per i comunisti che con generosità dedicano i loro sforzi nei mille movimenti particolari che compongono la lotta di classe e testimoniano della sua forza e della sua estensione.

Noi chiamiamo i comunisti impegnati nei movimenti a fare di ognuno di essi una scuola di comunismo e a portare in ognuno di essi la luce e la forza dell’obiettivo comune che ogni movimento deve perseguire per realizzare il suo obiettivo particolare: fare dell’Italia un nuovo paese socialista e contribuire così alla seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo.

D’altra parte ci impegniamo a fare sì che la loro opera contribuisca comunque alla rinascita del movimento comunista. Infatti la sorte del movimento comunista non dipende principalmente da chi non se ne fa promotore cosciente e volontario. Dipende principalmente da chi, avendo compreso in misura sufficiente i risultati, le condizioni e le forme della lotta di classe, proprio per questo è in grado di volgere a vantaggio della rivoluzione socialista anche l’opera che compie inconsapevolmente chi non se la propone come obiettivo.

 

3. Quelli che non adottano sistematicamente il materialismo dialettico come metodo per conoscere e metodo per trasformare la realtà. La trasformazione della società borghese in società comunista avviene secondo determinate leggi. L’autonomia ideologica dei comunisti rispetto alla borghesia, al clero, alle altre classi dominanti consiste nella scoperta e assimilazione di queste leggi. L’autonomia politica consiste nell’impiego di quelle leggi, nella linea che in accordo con quelle leggi guida l’azione che trasforma la realtà. L’autonomia organizzativa consiste nella costruzione degli strumenti organizzativi necessari per farlo.

La fecondità degli sforzi dei comunisti che inalberano l’obiettivo di fare dell’Italia un nuovo paese socialista dipende da quanto applicano il materialismo dialettico come metodo per conoscere la realtà che devono e vogliono trasformare e da quanto applicano il materialismo dialettico come metodo per trasformarla. Molti compagni profondono grandi e generosi sforzi, ma compiono operazioni decise in base all’abitudine, a pregiudizi, imitando quello che fanno organismi e politicanti che dipendono da altre classi e hanno altri obiettivi che la rinascita del movimento comunista e l’instaurazione del socialismo.

Nel percorso che alcuni compagni si sforzano sinceramente di compiere “dal praticismo alla pianificazione, esecuzione e bilancio”, essi omettono proprio il passaggio oggi decisivo: l’analisi materialista dialettica della situazione concreta in cui operano. Il Partito ha compiuto e propaganda un’analisi della situazione generale del paese. Da essa ha derivato la sua linea e gli obiettivi generali che indica alle sue organizzazioni e ai suoi membri. Ma questo non basta: bisogna che ogni organismo e ogni membro compia l’analisi della particolare situazione concreta in cui lavora: è la premessa per riuscire a realizzare gli obiettivi generali del Partito nella situazione concreta. Per ogni compagno e organismo comunista l’analisi materialista dialettica della situazione concreta in cui opera è oggi l’aspetto principale del progresso che bisogna compiere.

Cosa si intende per analisi materialista dialettica della situazione?

Ogni compagno e ogni organismo, dalla CP all’ultimo organismo della carovana del (n)PCI, lavora in una situazione determinata e concreta. Il compagno o organismo che non considera la situazione concreta in cui lavora, che fa lo stesso lavoro indipendentemente dal luogo e dal tempo in cui lavora, è di principio fuori strada. È fortuna se ne imbrocca una giusta. Fortunatamente succede spesso, perché l’istinto, l’esperienza e la pratica sociale aiutano dove non c’è ancora comprensione: ma l’autonomia del compagno e dell’organismo sostanzialmente non esiste ancora e la borghesia, il clero e i revisionisti la fanno da padroni. Ogni situazione è determinata per il tempo e per il luogo, sotto l’aspetto sociale (le attività con cui i vari gruppi sociali si procurano da vivere - i rapporti di produzione, le relazioni dei più vari generi tra individui, i raggruppamenti: aziende, famiglie, quartieri, ecc.), politico, culturale, economico, ecc., per gli aspetti quantitativi (estensione, popolazione, ecc.) e qualitativi (classe, genere, età, ecc.), con determinate dinamiche interne e determinate relazioni esterne, con una storia alle spalle che l’ha fatta quella che è, con in sé presupposti e potenzialità positive e negative, ecc. La guida migliore all’analisi materialista dialettica della situazione è lo scritto di Marx Il metodo dell’economia politica .

Fare l’analisi materialista dialettica della situazione significa scomporre (analizzare significa dividere) la situazione nei suoi elementi costitutivi: quelli che hanno abbastanza autonomia rispetto agli altri da meritare uno studio del loro movimento (e già qui ci vuole una certa abilità per distinguerli: abilità che si impara, si acquisisce con la pratica e la riflessione sulla pratica, la critica e l’autocritica, la lotta contro il soggettivismo, il dogmatismo, l’eclettismo, la superficialità, la presunzione e con l’insegnamento di quelli che ci hanno preceduto in questo lavoro). Di ogni componente bisogna studiare la natura: ciò che lo fa muovere, che lo spinge a trasformarsi, le sue contraddizioni e le sue relazioni con gli altri. La guida migliore in questo studio è lo scritto di Mao, Sulla contraddizione . Il passo successivo è la sintesi: ricomporre gli elementi in cui avevamo scomposto la situazione e ricostruire nella nostra testa la realtà come un tutto unico, con tutti i componenti che abbiamo considerato e la cui natura abbiamo compreso, legati tra loro dalle relazioni che abbiamo individuato. A questo punto per noi la situazione è un libro aperto. Possiamo con cognizione di causa stabilire dove intervenire, dove portare i nostri colpi, per far evolvere la trasformazione della situazione e dei suoi componenti nel senso della rinascita del movimento comunista, del consolidamento e rafforzamento del partito, del raggiungimento degli obiettivi generali che ci poniamo come membri di organizzazioni generali (i compiti che sono affidati all’organismo o al compagno). Fin qui ci siamo serviti del materialismo dialettico come metodo per conoscere la realtà (certo, una conoscenza già mirata, motivata, mossa da obiettivi ben definiti, tutt’altro che accademica: proletaria e rivoluzionaria insomma). Da qui in poi il materialismo dialettico ci servirà principalmente come metodo per trasformare la realtà. Il compagno e l’organismo elaborano un programma (obiettivi specifici, risorse, ecc. per conseguire gli obiettivi generali affidati al compagno o all’organismo). Dal programma elaborano piani di attività (calendario, tempi, operazioni determinate, forze, ecc. ecc.)

Pianificare, ecc. senza analisi materialista dialettica della situazione non porta a niente di comunista o a poco. Comunque non è il metodo che noi dobbiamo promuovere: nel migliore dei casi è quello che già fanno i compagni che più hanno assorbito dalla borghesia il metodo di lavoro. Ma sono ancora senza autonomia ideologica dalla borghesia. È metodo senza anima, forma senza sostanza, disciplina senza linea. È Liu Shao-chi ( Come diventare un buon comunista ) invece che Mao. La disciplina senza linea, la disciplina avanti alla linea è metodo borghese. I borghesi industriali, dirigenti, ecc. sono per formazione metodici e disciplinati. Insegnano come lavorare, non perché lavorare. Noi ai nostri compagni spieghiamo in generale perché lavorare (“fare dell’Italia un nuovo paese socialista”). Diciamo anche perché, a livello generale, stante l’analisi materialista dialettica della situazione che facciamo, bisogna fare questo o quello. Ma l’analisi materialista dialettica della particolare situazione concreta in cui il compagno lavora, gli fa vedere perché nella sua particolare concreta situazione deve fare questo e non quello, per contribuire all’obiettivo generale. Se no, cosa pianifica? Se noi trasferiamo il metodo borghese nelle nostre fila, facciamo fallimento, come è successo in URSS e in Cina sotto la direzione dei revisionisti moderni.

Per rendere efficaci gli sforzi che compiamo per la rinascita del movimento comunista ogni compagno e ogni organismo deve incominciare a fare l’analisi materialista dialettica della situazione in cui lavora, applicare il materialismo dialettico come metodo per conoscere la sua particolare realtà, per applicarlo quindi come metodo per trasformare la sua particolare realtà (cioè nel fare un piano, eseguirlo, fare il bilancio).

La mancanza di abitudine e di capacità di fare l’analisi materialista dialettica della situazione concreta e di elaborare da essa la linea d’azione è il particolare tipo di arretratezza che i comunisti più avanzati devono oggi impegnarsi a superare. Come? Incominciando a fare l’analisi, ricavarne una linea d’azione, metterla in opera, riflettere sui risultati e via via migliorare l’analisi e la linea. Facendo, si impara a fare.

 

Il terreno è fertile. La crisi della sinistra borghese offre una grande opportunità per fare un salto nella rinascita del movimento comunista. La crisi del capitalismo sta facendo un grande passo in avanti. Lo scontro tra mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari e mobilitazione reazionaria delle masse popolari si fa più vivace. Tutto ciò richiede da noi un grande lavoro e offre grandi prospettive di progresso. Da ognuno di noi dipende quanto progredirà la nostra causa, la rinascita del movimento comunista.

 

Non c’è niente di fatale in quello che avviene attorno a noi! È solo il risultato del nuovo dispiegarsi della natura dei capitalisti che sono nuovamente liberi dai lacci e laccioli che il movimento comunista aveva loro imposto!

 

Bisogna privare i capitalisti della libertà! La libertà dei capitalisti è la schiavitù e la precarietà della stragrande maggioranza dell’umanità, il saccheggio e la devastazione del pianeta!

 

L’internazionalismo del capitalismo è la guerra di sterminio che la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari in ogni angolo del mondo!

 

È del tutto possibile porre fine all’attuale corso delle cose e instaurare un nuovo ordinamento sociale basato sulla proprietà comune dei mezzi di produzione e su un’attività economica pianificata e volta al benessere degli uomini!

 

Le lotte per la difesa delle conquiste, contro la precarietà e la schiavitù salariale, per i diritti e i redditi dei lavoratori, per condizioni di lavoro e di vita dignitose saranno nuovamente vittoriose se avranno nuovamente alla loro testa un movimento comunista che lotta per instaurare il socialismo e che trae profitto e insegnamento dalla prima ondata della rivoluzione proletaria e dall’esperienza dei primi paesi socialisti!

 

La difesa delle conquiste è possibile!

Nessuna legge naturale ci costringe a subire le angherie dei capitalisti!

Gli operai possono prendere in mano il destino del paese, ma ci riusciranno solo se sono decisi a fare a meno dei capitalisti e di tutti i loro servi e a instaurare nel nostro paese un nuovo più avanzato ordinamento sociale senza capitalisti!

 

Gli operai avanzati devono nuovamente mobilitarsi attorno al partito comunista e prendere la direzione delle lotte dei loro compagni di lavoro e del resto delle masse popolari, organizzarli e guidarli a lottare efficacemente contro la borghesia imperialista per instaurare il socialismo!

 

I comunisti devono vincere ogni esitazione, trarre insegnamento dalla vittorie del movimento comunista durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, superare i limiti che hanno impedito la sua vittoria definitiva e soffocato il suo slancio, unirsi a costituire nuovamente un forte partito comunista basato sul marxismo-leninismo-maoismo, mettersi nuovamente alla testa delle lotta degli operai e del resto delle masse popolari per difendere le conquiste, per unirsi con i comunisti degli altri paesi e per fare dell’Italia un nuovo paese socialista!

 

La denuncia non basta, bisogna passare all’organizzazione e alla mobilitazione!

Opporre al potere marcio, corrotto e antipopolare della borghesia imperialista, del clero e della altre classi dominanti, il nuovo potere che la classe operaia e le altre classi delle masse popolari costruiscono organizzandosi e aggregandosi attorno al partito comunista!

 

La sinistra borghese sta cedendo ogni giorno nuove posizioni alla destra borghese! Essa non fa che consigliare ai nemici del popolo cosa dovrebbero fare per non essere quello che sono, invece che dedicarsi a mobilitare e a organizzare le masse popolari! La direzione della sinistra borghese spinge le masse popolari all’abbandono della lotta e della solidarietà e al cinismo! La sinistra borghese denigra il movimento comunista!

 

Fare della manifestazione del 20 ottobre una grande mobilitazione popolare contro il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti e il Programma Comune della borghesia imperialista!

 

Trasformare la preparazione della manifestazione del 20 ottobre e le altre iniziative promosse in queste settimane dalla sinistra borghese, in una campagna per raccogliere la parte più avanzata degli operai e delle altre classi delle masse popolari e organizzarla all’insegna dell’obiettivo di fare dell’Italia un nuovo paese socialista!

 

Che ogni comunista, ogni rivoluzionario, ogni anticapitalista moltiplichi le sue forze organizzandosi!

Impedire con la mobilitazione delle masse popolari che la borghesia riesca a realizzare con il governo del circo Prodi quello che non è riuscita a realizzare con il governo della banda Berlusconi!

 

Rafforzare la struttura clandestina centrale del (nuovo) Partito comunista, moltiplicare il numero dei Comitati di Partito e migliorare il loro funzionamento, sviluppare il lavoro sui quattro fronti indicati dal Piano Generale di Lavoro!

 

Costruire in ogni azienda, in ogni zona d’abitazione, in ogni organizzazione di massa un comitato clandestino del (n)PCI!