Cristoforo Colombo

Il bilancio dell’esperienza della lotta politica del proletariato nell’epoca imperialista

Capitolo 4° - I risultati
martedì 15 agosto 2006.
 

4. La strategia dei comunisti nella metropoli imperialista

-  Il bilancio dell’esperienza della lotta politica del proletariato nell’epoca imperialista


Il bilancio dell’esperienza della lotta politica del proletariato nell’epoca imperialista

La 2° Internazionale venne fondata nel 1889, in un periodo in cui il compito principale dei partiti socialisti era ancora l’organizzazione e l’educazione del proletariato. Essa svolse per vari anni questo compito.

I partiti aderenti avevano come programma politico, come obiettivi relativi allo Stato, all’ordinamento e all’azione dello Stato, l’allargamento degli istituti della democrazia borghese alle masse popolari e in particolare agli operai.

I partiti della 2° Internazionale inoltre promuovevano e sostenevano le lotte del proletariato per migliorare le condizioni di vita e di lavoro, le lotte rivendicative e le iniziative cooperativistiche.

Durante questo periodo la classe operaia imparò per la prima volta quali mezzi di lotta sono l’utilizzazione del parlamento, delle elezioni e di tutte le altre possibilità della democrazia borghese, la creazione di organizzazioni di massa politiche ed economiche, di una stampa operaia a larga diffusione.

Il limite della 2° Internazionale, che ad un certo punto ne determinò la degenerazione ed il fallimento, fu l’incomprensione del fatto che:

-  il suo programma politico era relativo alla fase in cui si trovava la società borghese, la fase preimperialista,

-  quei metodi di lavoro e le forme di organizzazione che erano stati utili per preparare il proletariato, farne crescere la cultura, farlo assurgere a soggetto politico erano inadeguati ai compiti posti dalla nuova fase della società borghese, la fase imperialista,

-  di conseguenza, essi cessavano di essere i metodi e le forme principali di lotta e acquistavano contenuti nuovi. Essi continuavano e continuano infatti ad avere un ruolo come attività particolari, perchè di fronte alle nuove leve di proletari e alle parti più arretrate del proletariato anche l’organizzazione e l’azione educativa più elementari hanno ancora un ruolo.

***

Nell’ultima parte del secolo XIX la borghesia si afferma completamente come nuova classe dominante e si costituisce un sistema capitalistico mondiale. Contemporaneamente a ciò si attua la divisione della società borghese in due classi antagoniste: borghesia e proletariato.

Finchè la borghesia fu principalmente impegnata ad eliminare i residui del regime feudale essa rappresentò gli interessi oggettivi di tutta la nuova società. In campo politico la borghesia fu democratica, lottò per l’estensione dei diritti democratici, per l’espansione della cultura e dell’istruzione, contro l’oscurantismo clericale e per un sapere scientifico.

I partiti socialdemocratici furono impegnati principalmente a formare il proletariato, a farne una classe per sè, a dare ad esso coscienza del suo ruolo storico, attraverso la creazione di organizzazioni di ogni genere, con in testa il partito. La lotta per l’estensione dei diritti democratici era il contenuto principale della lotta politica del partito. In questo senso anche la denominazione di socialdemocratico era «scientifica», corrispondeva al contenuto, al ruolo del partito in quella fase storica.

Quando il processo di affermazione della borghesia e di divisione della società in borghesia e proletariato fu complessivamente concluso, forza motrice del movimento della società divenne la lotta tra le due nuove classi antagoniste.

Quando la borghesia ebbe in complesso vinta la sua lotta con le classi feudali diventò la classe politicamente dominante e raggiunse l’apice del suo sviluppo. Quindi con l’inizio della fase imperialista delle società borghesi, il suo impegno principale in campo politico si volse a contenere, frenare e reprimere il movimento operaio ed essa cessò di essere per l’estensione dei diritti democratici.

L’estensione del diritto di voto e di organizzazione non portò ad una diffusione del potere di indirizzare l’attività dello Stato, all’innalzamento delle masse ad una condizione che le rendesse atte a prendere parte all’attività statale e quindi all’estinzione dello Stato come corpo separato e contrapposto alle masse. Essa portò al contrario all’esautoramento delle assemblee elettive, alla mercificazione del voto, alla proliferazione delle attività statali segrete e parallele, allo sviluppo delle tecniche di diversione, di manipolazione delle informazioni e della cultura e di abbrutimento delle menti e delle coscienze, alla controrivoluzione preventiva. La contraddizione tra la schiavitù salariale in campo economico e la libertà e l’uguaglianza in campo politico divenne acuta e l’incompatibilità venne trattata dalla classe dominante con la negazione di fatto della libertà ed eguaglianza in campo politico. Man mano che la borghesia dovette togliere gli ostacoli legali alla costituzione di organizzazioni proletarie, essa imparò ad agire all’interno di tali organizzazioni, corrompendo, dividendo, infiltrando, manovrando, comperando, facendo un uso selettivo della repressione (26).

A questo punto la lotta per l’estensione dei diritti democratici cessò oggettivamente di essere il compito principale del partito del proletariato in campo politico. La controrivoluzione preventiva divenne il contenuto dell’attività politica della borghesia. L’estensione dei diritti della democrazia borghese non era più lo strumento per l’emancipazione del proletariato, ma uno dei terreni di confronto e scontro tra gruppi politici borghesi. Era l’evoluzione della situazione oggettiva che comportava questo, anche se nessuno dei partiti della 2° Internazionale riconobbe tempestivamente il mutamento della fase. Era iniziata la fase di declino della borghesia e per il proletariato si poneva l’obiettivo della conquista del potere.

Tutto il mondo era cambiato e anche la borghesia era cambiata. La cosa divenne palese allo scoppio della 1° Guerra Mondiale con la soppressione violenta in ogni paese di tutte le organizzazioni proletarie che non accettarono di collaborare con la propria borghesia.

D’altra parte proprio l’inizio dell’epoca del declino della borghesia e delle rivoluzioni proletarie spingeva verso il proletariato numerosi esponenti delle classi intermedie che i partiti socialdemocratici accoglievano nelle loro fila, dove diventavano un fattore di freno e d’inquinamento e impedivano che questi partiti si trasformassero adeguandosi ai compiti della nuova epoca.

Nel 1924 Stalin in Principi del leninismo fece questo bilancio del lavoro della 2° Internazionale: «Il periodo del dominio della 2° Internazionale fu in prevalenza il periodo della formazione e dell’istruzione degli eserciti proletari, in una situazione di sviluppo più o meno pacifico. Fu il periodo in cui il parlamentarismo era la forma prevalente della lotta di classe. I problemi relativi ai grandi conflitti di classe, alla preparazione del proletariato alle battaglie rivoluzionarie, ai mezzi per conquistare la dittatura del proletariato, non erano allora, a quanto sembrava, all’ordine del giorno. Il compito si riduceva ad utilizzare tutte le vie di sviluppo legale per la formazione e l’istruzione degli eserciti proletari, a utilizzare il parlamentarismo tenendo conto di una situazione in cui il proletariato rimaneva e, a quanto sembrava, doveva rimanere all’opposizione. Non occorre dimostrare che in un simile periodo e con una tale concezione dei compiti del proletariato non poteva esistere né una strategia completa, né una tattica approfondita. Esistevano dei frammenti, delle idee staccate sulla tattica e sulla strategia; ma una tattica e una strategia non esistevano.

Il peccato mortale della 2° Internazionale non consiste nell’aver applicato a suo tempo la tattica dell’utilizzazione delle forme parlamentari di lotta, ma nell’aver sopravvalutato l’importanza di queste forme, fino a considerarle quasi come le sole esistenti, cosicchè, quando sopraggiunse il periodo delle battaglie rivoluzionarie aperte e la questione delle forme di lotta extraparlamentari diventò la più importante, i partiti della 2° Internazionale si sottrassero ai nuovi compiti, non li riconobbero».

***

In questo campo il partito di Lenin costituì, all’interno della 2° Internazionale, un caso singolare e isolato. Esso da una parte operava in una società relativamente arretrata, in cui il mutamento di fase era meno "vero": lo era per il contesto mondiale che si era creato - nell’epoca dell’imperialismo ogni rivoluzione democratico-borghese inevitabilmente o trapassa in rivoluzione socialista o viene sconfitta - non lo era per la situazione interna russa.

Dall’altra il partito di Lenin non lottava principalmente nell’ambito della democrazia borghese, perchè metodi democratico-borghesi gli erano in generale preclusi o fortemente limitati dal regime interno russo. Di conseguenza non avvertiva per esperienza propria l’inadeguatezza di quei metodi ai compiti e alle condizioni reali della nuova fase. Esso difendeva, nell’ambito della 2° Internazionale e contro gli opportunisti russi e di altri paesi, la diversità del suo operare in nome della specificità russa, non in nome del mutamento della fase nel mondo. Quindi non attaccava il modo di essere degli altri partiti della 2° Internazionale come inadeguato alla fase.

L’inevitabile tradimento della maggior parte dei partiti della 2° Internazionale nel 1914 arrivò anche per Lenin come un fulmine a ciel sereno.

In realtà c’era un abisso tra le parole d’ordine rivoluzionarie del partito socialdemocratico tedesco e degli altri partiti «fratelli» e la loro linea politica effettiva, la loro concreta capacità operativa. Lo scoppio della 1° Guerra Mondiale non determinò l’abbandono della linea rivoluzionaria. Solamente rese palese quello che era già avvenuto, ma che gli eventi non avevano ancora costretto a manifestarsi.

La riprova di questo è il fatto che anche i dirigenti e i gruppi dirigenti che, come Rosa Luxemburg e Karl Liebnecht, non aderirono al socialpatriottismo, furono sostanzialmente impotenti perchè impreparati alla situazione e con un partito non attrezzato per l’occorrenza.

I partiti socialdemocratici si erano formati e strutturati nell’ambito della legalità borghese, in condizioni di libertà condizionata e vigilata. Essi avevano disimparato ad usare l’organizzazione illegale, clandestina, cospirativa e militare. Quando la nuova situazione divenne chiara, essi vennero posti di fronte alla scelta o collaborare con la borghesia o lo scioglimento, la confisca, la galera e il massacro e gli opportunisti di destra ebbero buon gioco.

***

L’adesione dei gruppi dirigenti al socialpatriottismo e alla guerra imperialista pose in primo piano il loro tradimento, anzichè il corso obiettivo che, snodandosi anno dopo anno, aveva portato i partiti socialdemocratici in una situazione in cui oramai non potevano che o schierarsi con i loro governi o sciogliersi.

Lenin tracciò il bilancio di questo percorso nel 1915 nello scritto Il fallimento della 2° Internazionale e nel 1920 in L’estremismo, malattia infantile del comunismo di cui riportiamo in nota il passo più pertinente all’argomento (27).

Questo secondo bilancio era tracciato in polemica con gli estremisti di sinistra, con le tendenze settarie in seno ai comunisti. Furono queste tendenze che travagliarono la 3° Internazionale per un lungo periodo e le impedirono di porsi alla testa delle mobilitazioni rivoluzionarie delle masse dei paesi europei permettendo di conseguenza l’esaurimento e la repressione di queste. Alcuni problemi che si posero allora, hanno una notevole importanza per la nostra attuale situazione. In particolare, guardando con l’esperienza attuale gli avvenimenti di allora, risulta evidente che gli estremisti di sinistra, riducendo il movimento all’impotenza, determinarono il successo di deviazioni di destra cresciute e affermatesi dietro l’insegna dell’obiettivo di «salvare il salvabile».

Questo scontro, ricco di insegnamenti per noi, impedì allora, negli anni 20 e 30, che l’Internazionale Comunista ponesse su un livello adeguato il problema dei compiti e della struttura del partito e delle sue forme di lotta nella fase imperialista e nei paesi imperialisti. La discriminante tra i comunisti e i socialdemocratici venne tracciata tra chi era contro e chi era favorevole alla guerra imperialista e tra chi era favorevole e chi era contro la Rivoluzione d’Ottobre, quando lo schieramento sulla guerra imperialista ormai era uno schieramento d’opinione sul passato e lo schieramento sulla Rivoluzione d’Ottobre era uno schieramento di solidarietà con il movimento operaio di un altro paese.

I partiti comunisti della 3° Internazionale nei paesi dell’Europa Occidentale dovettero spendere grandi energie per liberarsi da tendenze dogmatiche e settarie, mentre erano coinvolti in una rapida successione di avvenimenti che ne metteva alla prova la capacità di direzione sulle masse e non ammetteva replica.

Nel 1938 Mao Tse-tung poteva riassumere la strategia dei partiti comunisti nei paesi imperialisti non fascisti in questi termini: «Nei paesi capitalisti se non sono in periodo di fascismo e di guerra, le condizioni sono le seguenti: all’interno il feudalesimo non esiste più, si reggono su regimi di democrazia borghese; nelle loro relazioni esterne, essi non sono oppressi da altre nazioni, ma sono essi stessi degli oppressori. Basandosi su tali caratteristiche, compito del Partito del proletariato nei paesi capitalisti è di educare i lavoratori ed accrescere le proprie forze attraverso un lungo periodo di lotta legale, preparandosi così per il rovesciamento finale del capitalismo.

In questi paesi il problema è quello di sostenere una lunga lotta legale, di utilizzare il parlamento come una tribuna, di ricorrere allo sciopero economico e politico, di organizzare sindacati e di educare gli operai. Là le forme di organizzazione sono legali, le forme di lotta senza spargimento di sangue (non c’è ricorso alla guerra). Sul problema della guerra, i Partiti Comunisti dei paesi capitalisti si oppongono alle guerre imperialiste sostenute dai loro stessi paesi; se tali guerre scoppiano, la politica di questi partiti mira alla sconfitta dei governi reazionari dei propri paesi. L’unica guerra che essi vogliono combattere è la guerra civile per cui si stanno preparando. Ma l’insurrezione armata e la guerra civile non devono essere scatenate finchè la borghesia non è ridotta all’impotenza, finchè la maggior parte del proletariato non è giunta al punta da insorgere in armi e combattere e finchè le masse rurali non danno spontaneamente aiuto al proletariato.» (Mao tse-tung, Problemi di guerra e di strategia)

La crisi politica delle classi dominanti dei maggiori paesi imperialisti dell’Europa Occidentale fu acutissima, ma anche breve. La crisi economica si trascinò tra alti e bassi per circa 30 anni (1914-1945), ma la crisi politica delle classi dominanti fu molto più breve (in Italia 1919-1922, in Germania 1918-1933, in Austria 1918- 1925) e la sua soluzione a favore della borghesia comportò la decimazione dell’avanguardia comunista.

In sostanza i partiti comunisti dell’Europa Occidentale incominciarono a muovere i primi incerti passi quando la situazione già richiedeva loro di essere adulti e capaci di combattere e vincere e nella zona del mondo che era il centro decisivo dello scontro tra borghesia e proletariato.

Essi furono costretti allo scontro risolutivo in condizioni in cui non potevano vincere. Nessuno di essi riuscì a procrastinare il momento dello scontro, a tirare per le lunghe onde accumulare possibilità di vittoria. Neanche in Spagna dove arrivarono più vicini alla generazione per così dire spontanea di una lotta di lunga durata. La loro sorte si decise nel breve periodo di vent’anni (quanti ne sono passati dal 1968 ad oggi!) senza che nessuno di essi riuscisse a condurre il proletariato alla conquista del potere, nonostante gli sconvolgimenti economici e politici del periodo. Nel 1945 la partita era già chiusa definitivamente con la stabilizzazione delle società borghesi e tutti questi partiti approdarono nel giro di pochi anni alla collaborazione con la borghesia e al revisionismo moderno.

***

Riassumendo: la storia del movimento delle società borghesi dall’inizio della fase imperialista ad oggi ci ha fornito vari insegnamenti.

1. Le contraddizioni economiche proprie del capitalismo generano periodicamente crisi economiche che sconvolgono il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza delle masse. Le contraddizioni economiche e in generale gli interessi contrastanti connaturati alla società borghese generano periodicamente crisi politiche, di indirizzo e di capacità di direzione da parte della classe dominante. La borghesia può trovare una soluzione a queste crisi solo ad opera di un forte centro d’interessi che trova la sua adeguata espressione politica e diventa capace di imporre, con mezzi straordinari e per vie straordinarie, a tutta la classe dominante le trasformazioni ed i sacrifici di interessi necessari ad uscire dalla paralisi e dal caos determinati da progetti rispondenti a contrastanti interessi che si neutralizzano reciprocamente.

Questa ricomposizione della crisi politica, che si attua in un periodo relativamente lungo, attraverso passaggi la cui comprensione richiede capacità ed esperienza, deve essere impedita ad ogni costo se si vuole salvaguardare la possibilità di vittoria. Si deve protrarre la crisi della classe dominante fino a quando si sono create le condizioni favorevoli per lo scontro decisivo, essere in grado di decidere il momento dello scontro e quindi mantenere l’iniziativa.

Al fine di impedire la risoluzione della crisi politica della classe dominante, accanto all’azione su tutti i meccanismi attraverso cui si determina e si attua il movimento della società, di regola ha un ruolo determinante l’azione combattente, cospirativa, clandestina, perchè in queste soluzioni il ruolo delle personalità e dei gruppi è in generale determinante e si tratta normalmente di soffocare sul nascere ciò che ha la possibilità di diventare una carta unificante e vincente per la borghesia. Bisogna al contrario guardarsi dal soffocare alla cieca tendenze e gruppi borghesi che, se non hanno la possibilità di diventare la soluzione vincente, dobbiamo lasciare sviluppare e possibilmente favorire perchè hanno l’utile funzione di acuire la crisi politica e quindi lavorano per noi (28).

2. Nei periodi «pacifici» il regime politico dei paesi imperialisti offre spazi di attività legale, nell’ambito delle leggi dello Stato, in cui, in condizioni di libertà condizionata e vigilata, è possibile compiere una serie di attività indispensabili allo sviluppo e alla crescita del movimento di massa. Il partito rivoluzionario non può non sfruttare tutti gli spazi e strumenti che il regime politico consente, perchè in essi si sviluppa il movimento delle masse che, se non è diretto dal partito rivoluzionario, è diretto da gruppi della borghesia.

La borghesia nei periodi «pacifici» non può impedire l’esistenza di un movimento di massa e in generale, salvo periodi brevi, non può affatto impedirlo, perchè fa parte della «costituzione materiale» delle società imperialiste. La sua esistenza è una conseguenza ineliminabile del livello di socializzazione che le forze produttive hanno raggiunto in esse, è quella caratteristica per cui i sociologi borghesi parlano di «società di massa».

Questo movimento di massa ha una direzione e acquisisce una natura che non cambia se non attraverso certi passaggi e con certi tempi. La confluenza del movimento delle masse col partito sulla stessa via avviene per salti, ma non è frutto di «miracoli»: avviene attraverso passaggi e fili resi noti dall’esperienza e che il partito costruisce nel tempo.

Un partito comunista che non è intimamente legato a questo movimento, che non sfrutta tutte le occasioni per far sì che si convinca per sua propria esperienza dell’antagonismo di interessi che lo divide dalla borghesia e che non riesce in questo lavoro, non potrà mai creare le condizioni di uno scontro decisivo vittorioso. Il movimento delle masse è la forza principale, determinante, decisiva della dinamica di ogni società imperialista. Nella fase di accumulazione delle forze, il movimento delle masse è la fonte principale di uomini, idee e forza morale per il partito proletario.

Per quanto il lavoro di orientamento e direzione in tutti gli ambiti in cui si sviluppa il movimento delle masse sia difficile, rischioso, esposto a mille insidie, esso deve essere fatto, è la scuola per la maturazione del partito, la prova della sua capacità di dirigere e la fonte della sua riproduzione. Se il partito non supera questa prova, nei periodi di crisi si ritroverà impotente a dirigere il movimento delle masse e quindi destinato alla scomparsa o alla distruzione.

Le obiezioni a questo lavoro, basate sulla sua difficoltà, pericolosità, impossibilità (nel senso che la borghesia lo reprime in ogni modo e con ogni mezzo), mascherano una concezione settaria e miracolistica della lotta armata. Come è possibile opporre obiezioni del genere e contemporaneamente essere partigiani della lotta armata? Questa non è forse difficile, pericolosa, «impossibile»? E’ un fatto che, come alcuni compagni dedicano tutte le loro energie e la loro vita all’attività combattente, altri devono, con pari spirito, dedicarle alle altre attività del partito: alla propaganda, all’agitazione, all’orientamento del movimento delle masse, all’organizzazione delle forze rivoluzionarie, usando tutte le opportunità che in questo campo si presentano per il partito.

3. Esiste, al di fuori dei momenti di scontro decisivo e delle condizioni di guerra dispiegata, un processo di accumulazione di forze da parte del proletariato che è una combinazione di crescita degli strumenti delle masse e di crescita degli strumenti del partito. La borghesia cerca di impedire ed ha imparato, in particolare dopo la Rivoluzione d’Ottobre, ad intralciare questo processo e a stroncarlo prima che esso raggiunga dimensioni tali da non poter più essere contenuto. La controrivoluzione preventiva è diventata il criterio fondamentale di gestione del suo Stato e delle sue attività «private» o semiufficiali. Quest’attività della borghesia, la controrivoluzione preventiva, non può essere ostacolata, vanificata e battuta senza un uso sapiente anche di strumenti militari, cospirativi e clandestini. Solo usando anche questi strumenti il partito può evitare di arrivare allo scontro decisivo in un rapporto di forze perdente (si pensi ad esempio che probabilmente l’eliminazione di Franco in Spagna nel 1936 avrebbe o prevenuto o indebolito la sollevazione dei generali, oppure al ruolo che un partito comunista abituato alla lotta armata avrebbe avuto in Italia negli «Arditi del popolo» nel 1920-21).

4. L’egemonia nel movimento di massa viene contesa dalla borghesia al partito proletario con ogni mezzo prima dello scontro decisivo, già nella fase di accumulazione delle forze. Quindi un partito comunista che si pone in condizioni di libertà vigilata e affida ad essa la continuità della sua opera, è destinato o a collaborare con la borghesia e quindi degenerare anche nelle parole d’ordine, nell’analisi politica, nell’analisi teorica; o ad essere liquidato pezzo a pezzo e a perdere ogni capacità di direzione e ogni autonomia. Un partito che non assicura la continuità della sua opera è un partito avventurista. La legalità borghese soffoca ogni partito rivoluzionario con la controrivoluzione preventiva. Il partito proletario deve affidare la continuità della sua opera e la sua riproduzione alle proprie strutture clandestine, dotandole dei mezzi necessari per resistere agli attacchi della borghesia.

Dall’esperienza dello sviluppo politico della società nell’epoca imperialista si conclude quindi:

-  che il partito del proletariato non «fa la rivoluzione» quando vuole, ma quando, per combinazione di fattori oggettivi e della sua attività, si sono create le condizioni per «fare la rivoluzione vittoriosamente»;

-  che il partito invece conduce, in ogni momento e in base a scelte proprie, un’attività tesa a determinare le condizioni necessarie ad una rivoluzione vittoriosa;

-  che il partito deve essere, per l’essenziale, un partito clandestino: il partito deve salvaguardare la continuità della sua azione e delle sue attività essenziali quali che siano le condizioni politiche;

-  che il partito deve svolgere, in forma opportunamente mascherata, attraverso suoi membri e suoi organismi, tutte le attività legali, che il regime consente o tollera, utili all’accumulazione di forze;

-  che già nella fase di accumulazione delle forze, nei periodi «pacifici», l’azione combattente è parte essenziale del lavoro del partito, parte essenziale di tale accumulazione e della preparazione delle condizioni per la vittoria;

-  che la differenza tra il partito di oggi e il partito leninista sta essenzialmente nel fatto che per il partito leninista la guerra partigiana era una componente dell’insurrezione, quindi dello scontro decisivo, mentre per il partito di oggi l’azione combattente è una componente della sua attività già nel periodo di accumulazione delle forze.