La Voce 10

L’attività della prima Internazionale Comunista in Europa e il maoismo

mercoledì 3 gennaio 2007.
 

Il maoismo illumina e chiarisce l’attività condotta in Europa dalla prima Internazionale Comunista i cui passaggi ed esiti altrimenti restano misteriosi, mentre alla luce del maoismo diventano altamente istruttivi.

La pratica e la teoria della IC hanno ripetutamente oscillato tra gli opposti di antinomie che il movimento rivoluzionario ha messo in luce.(1) Tra andamento ciclico del capitalismo e crisi generale di lungo periodo del capitalismo (con la successione di relativamente brevi periodi di stabilizzazione e di ripresa e relativamente brevi periodi di crisi acuta). Tra continuare la preparazione mobilitando anche le forze ancora arretrate e impegnare nell’attacco le forze già mobilitate. Tra radicalizzazione graduale delle masse e formazione (educazione, addestramento) nel combattimento delle forze rivoluzionarie già disponibili (che imparano a combattere combattendo, si consolidano e si rafforzano combattendo). Tra estensione della mobilitazione delle masse e concentrazione delle forze sull’obiettivo principale e decisivo. Tra le singole campagne e le singole battaglie per ottenere un rapido successo e lotta di lungo periodo (situazione rivoluzionaria in sviluppo, crisi di lungo periodo). Tra difesa e attacco. Tra iniziativa spontanea delle masse e attività delle masse dirette dal partito. Tra la mobilitazione di ogni classe delle masse popolari sulla base dei suoi propri interessi e la direzione della classe operaia su tutte le classi delle masse popolari. Tra la raccolta di tutte le classi popolari in un unico campo ostile alla borghesia imperialista e lo sfruttamento delle contraddizioni tra gruppi e Stati imperialisti.(2) Tra la tattica che segue le indicazioni della strategia ma viene determinata secondo i flussi e riflussi che si hanno all’interno di ogni fase e secondo le circostanze concrete di ogni scontro e la strategia che traccia il disegno di tutta un’epoca o una fase storica. Tra la divisione in classi che per forza di cose permane a lungo nella costituzione materiale della società e può essere eliminata solo per gradi e la necessità di instaurare la dittatura del proletariato. Tra lotta per ogni interesse immediato e diretto delle masse popolari in campo economico, politico e culturale e lotta della classe operaia per la conquista del potere. Tra lotta nelle istituzioni dello Stato borghese e lotta contro lo Stato borghese. Tra partecipare e trarre alimento da tutte le lotte di interessi connaturate alla società borghese e accumulare una forza estranea e contrapposta ad essa. Tra sfruttare a vantaggio della rivoluzione l’opera dei riformisti e dei demagoghi e combattere l’influenza della borghesia sulle masse di cui essi sono portatori. Tra il bisogno di legarsi strettamente alle parti più avanzate delle masse popolari (alla sinistra) e il bisogno di distinguersi da esse. Tra favorire la mobilitazione delle masse e combattere la mobilitazione reazionaria delle masse. Tra il bisogno di smascherare le forze riformiste e la possibilità di fare un pezzo di strada assieme con esse. Tra lo sfruttare il lavoro compiuto dalla borghesia di sinistra, dai sindacati di regime e dai partiti riformisti e il bisogno di contrastare il lavoro di diversione che è connaturato con il loro ruolo. Tra il carattere nazionale di ogni partito e rivoluzione e il carattere internazionale del movimento comunista. Tra assedio alla fortezza del capitalismo e assalto decisivo. Tra mobilitazione di tutte le classi, le forze politiche e le personalità e direzione del partito comunista. Tra autonomia del partito comunista e legame del partito con le masse popolari. Tra disciplina organizzativa e sviluppo dell’iniziativa. Tra coesione ideologica e politica del partito e vitalità del partito che si manifesta nel contrasto e nel dibattito (“senza contraddizione non c’è vita”). Queste ed altre antinomie vennero alla luce nel lavoro della prima IC. Non avendo essa trovato la soluzione per dirigerle, esse divennero un elemento di freno, produssero sbandamenti ora a destra ora a sinistra e alimentarono all’interno della IC e delle singole sezioni l’esistenza di una destra e di una sinistra che venivano alla luce solo quando degeneravano perché la destra era chiamata al potere se si trattava di attuare accordi con le forze riformiste e la sinistra lo era se si trattava di dare battaglia contro di esse.

Nei primi tempi dopo la Rivoluzione d’Ottobre sembrò (e alcuni si illusero) che in Europa le cose sarebbero andate in modo diverso da come Engels aveva indicato nel 1895. In Germania, in Italia e nei paesi dell’Europa centrale e orientale la borghesia non riusciva più a governare. Le masse che la borghesia imperialista aveva mobilitato per la sua guerra sfuggivano al suo potere e diventavano una forza rivoluzionaria incontenibile. Anche senza la direzione di partiti comunisti le masse popolari e in particolare gli operai e i soldati insorgevano e costituivano nuovi organi di potere (soviet, consigli). Bisognava solo che quanti erano favorevoli alla dittatura del proletariato generalizzassero questi organismi, li consolidassero e facessero loro assumere consapevolmente, pienamente e sistematicamente il potere che era caduto nelle loro mani (“tutto il potere ai soviet!”) ed eliminassero radicalmente e definitivamente quanto restava del vecchio sistema statale che i riformisti cercavano di restaurare. Lo smarrimento della borghesia era grande e il crollo del capitalismo sembrava una realtà. Sembrava che il problema consistesse principalmente nel creare un nuovo ordine nel disordine che la borghesia aveva lasciato. L’Internazionale Comunista inizialmente riunì tutti quelli che nel vuoto di potere volevano erigere e consolidare la dittatura del proletariato impedendo che la borghesia imperialista si riprendesse.

Nel 1921 era chiaro che questa operazione della IC in Europa era fallita. La realtà imponeva i suoi diritti. Una guerra civile si sarebbe protratta per più di un quarto di secolo. Questa guerra civile di lunga durata avrebbe presentato aspetti e assunto forme diverse da quelli di qualsiasi guerra che l’aveva preceduta. Le due classi e i due campi in lotta dipendevano l’uno dall’altro: i proletari dipendevano ancora dalla borghesia per la produzione delle condizioni materiali della loro vita e la borghesia dipendeva dal proletariato per il suo arricchimento. Le due parti antagoniste erano da ciò continuamente mischiate e si condizionavano e si influenzavano a vicenda. Pur nella radicale diversità delle posizioni di partenza, ogni campo aveva nel campo avverso le sue “quinte colonne” consapevoli o spontanee. In tutta Europa “la borghesia non riusciva più ad esercitare per intero il suo potere, ma la classe operaia non era ancora abbastanza unita e matura per esercitare il potere per intero”. Né la IC dava una unica risposta alla questione se questa inadeguatezza della classe operaia consisteva principalmente del peso della parte arretrata delle masse e dell’influenza che su di esse esercitava la borghesia (l’influenza che normalmente e spontaneamente la classe dominante ha sulle classi sottoposte e quella portata con le organizzazioni socialdemocratiche, riformiste e affini) oppure consisteva piuttosto dei metodi e delle concezioni ancora arretrati o addirittura primitivi della sua avanguardia politica, ossia dei partiti comunisti. Secondo alcuni il collo di bottiglia e quindi l’ostacolo principale era l’esistenza di organizzazioni riformiste. Secondo altri il collo di bottiglia era la limitata capacità dei partiti comunisti di comprendere e dirigere lo sviluppo del movimento reale (sullo slancio rivoluzionario dei partiti comunisti al contrario non erano possibili dubbi). Per più di 25 anni si protrasse nella società europea una condizione di cronica instabilità e di continui sommovimenti, periodi di pace e stabilizzazione si alternarono a momenti di accesa mobilitazione di massa. Movimenti rivendicativi e movimenti politici si alimentarono in alcuni casi a vicenda e in altri si neutralizzarono. Nella mobilitazione di massa, che le condizioni pratiche suscitavano, la direzione della borghesia imperialista e quella della classe operaia si contrapponevano e si alternavano. Ondate di mobilitazione reazionaria e ondate di mobilitazione rivoluzionaria si scontrarono fino alla soluzione definitiva della crisi generale alla fine degli anni quaranta. Non solo la classe operaia aveva imparato e imparava. Anche la borghesia imperialista aveva tratto dalla Rivoluzione d’Ottobre, dalla instaurazione del socialismo in URSS e dagli avvenimenti europei del 1918-1921 lezioni che ora impiegava nella controrivoluzione preventiva (New Deal, le repressioni in Inghilterra e in Francia) e nella mobilitazione reazionaria di massa (il fascismo e il nazismo).

Nel movimento comunista, lungo tutta la storia dell’IC (formalmente svoltasi tra il 1919 e il 1943) e oltre, si svolse una lotta accanita, benché non dichiarata e quindi poco efficace e molto dolorosa, per comprendere la natura di questa realtà.(3)

Da una parte vi era la concezione che la rivoluzione socialista non avrebbe spazzato come un uragano la borghesia imperialista dall’Europa, ma sarebbe stata un’avanzata relativamente lenta, in cui si sarebbero alternati e combinati periodi di graduali evoluzioni e conquiste con bruschi salti e scontri, un’avanzata inframmezzata da pause e arretramenti e connessa allo sviluppo delle contraddizioni tra i gruppi imperialisti, della rivoluzione nei paesi coloniali e semicoloniali e della rivoluzione socialista nel resto del mondo. Occorreva di conseguenza elaborare linee adeguate ad accumulare e consolidare forze e posizioni rivoluzionarie. Accumulare via via le condizioni per la propria vittoria definitiva. Un’espressione centrale di questa concezione fu il mantenimento del potere in Unione Sovietica e il suo consolidamento in campo politico, economico e culturale.

Dall’altra vi era la concezione secondo la quale si attendeva ad ogni momento che la crisi del capitalismo precipitasse nuovamente, che si determinasse un’altra spontanea ondata rivoluzionaria simile a quella avutasi negli ultimi anni della prima guerra mondiale. I suoi partigiani studiavano la situazione e gli avvenimenti (i sintomi di stabilizzazione, di ripresa o di crisi del capitalismo) in funzione di questa attesa. Essi sostenevano che il compito dei partiti comunisti consisteva principalmente nel prepararsi ad essere nella nuova situazione più forti e più capaci di quanto lo erano stati nel periodo 1918-1921 e, secondo alcuni, nel cercare di “accelerare” l’avvento dell’attesa seconda ondata. Ripetutamente vi furono oscillazioni tra lanciarsi in avanti per sfondare con un eroico assalto la resistenza del nemico e con ciò spazzar via anche l’influenza che esso esercitava nelle masse popolari e nella stessa classe operaia tramite i partiti socialdemocratici, cattolici, paternalisti (deviazione di sinistra) e accordarsi con questi stessi partiti anche fino al punto di rinunciare alla propria autonomia e alla propria libertà d’azione per fare assieme un pezzo di strada (deviazione di destra). Da una parte sembrava che senza un accordo con quei partiti fosse difficile se non impossibile influenzare e trascinare alla lotta le parti arretrate della classe operaia e delle masse, dall’altra sembrava che ogni accordo con essi oscurasse ciò che caratterizzava il partito comunista e lo distingueva da essi e facesse disperdere persino una parte dei suoi seguaci. Ripetutamente, quando la crisi precipitò in scontri aperti e guerre, i comunisti cercarono di arrivare ad una rapida conclusione, anziché cercare di estenderli e prolungarli e raccogliere maggiori forze rivoluzionarie grazie ad essi fino a che si fossero create le condizioni di una sicura vittoria. In altri casi i partiti comunisti non chiamarono le masse alla battaglia perché ai loro occhi una battaglia o era uno scontro generale e definitivo, per l’esito vittorioso del quale essi vedevano non esistere le condizioni, o era un inutile dispendio di forze che doveva essere evitato.

Questa lotta tra le due concezioni nel movimento comunista fu resa più difficile, complicata, oscura, dolorosa e non arrivò a soluzione definitiva a causa dell’incomprensione, comune anche alla sinistra, di due aspetti fondamentali della situazione.(4)

1. Il capitalismo attraversava una crisi generale di lunga durata senza però che fosse necessariamente né l’ultima né la definitiva (il capitalismo non crolla, non esiste mai una situazione senza vie d’uscita). Quindi indipendentemente dalla loro volontà i gruppi imperialisti, se non erano messi fuori gioco dalla rivoluzione, sarebbero arrivati a uno scontro tra loro per stabilire quella soluzione della crisi che non era risultata dalla prima guerra mondiale sospesa precipitosamente a causa dello scoppio spontaneo delle rivoluzioni. Non scorgendo questa crisi di fondo ma nello stesso tempo ben definita con i suoi alti e bassi, nella IC la sinistra tendeva a negare i sintomi e i momenti di stabilizzazione e di ripresa del capitalismo fondandosi sul fatto che essi erano brevi e incerti, mentre la destra tendeva a vedere in questi momenti di stabilizzazione la necessità di accordi con le forze riformiste. Entrambe ritenevano che la stabilizzazione significasse la fine di possibilità rivoluzionarie. Ma proprio in forza della crisi generale, la contraddizione tra i gruppi imperialisti e le masse popolari si intrecciava con la contraddizione tra gli stessi gruppi imperialisti, le “concessioni” che essi potevano fare alle masse popolari erano limitate, la stampella delle organizzazioni riformiste era in molti casi insufficiente e i gruppi imperialisti dovettero ricorrere al fascismo (alla mobilitazione reazionaria di massa). Ciò dava al partito comunista la possibilità di dirigere indirettamente organizzazioni e gruppi che dichiaratamente rifiutavano la sua direzione e di indurli per ragioni della loro stessa sopravvivenza e per i loro stessi interessi a compiere la strada utile alla rivoluzione.

2. La borghesia imperialista era stata portata dagli eventi a sviluppare forme specifiche di mediazione tra il carattere collettivo delle forze produttive e il permanere dei rapporti di produzione che essa personificava, le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS). Fu proprio in quegli anni che si costituì in tutti i maggiori paesi imperialisti il capitalismo monopolistico di Stato. Esse in una certa misura smussavano le manifestazioni più distruttive di quell’antagonismo, fornivano nuove armi alla borghesia e impedivano quella spontanea radicalizzazione che era esplosa nel periodo 1918-1921. Ma nello stesso tempo nei paesi capitalisti le FAUS rendevano più palese e promuovevano il carattere collettivo della società ed educavano praticamente le masse ad esso.

Quando fu chiaro che in Europa il primo assalto portato negli anni 1918-1921 era fallito, rifacendosi alla vittoriosa esperienza russa la IC ne trasse la conclusione che anche in Europa bisognava in un certo senso ripercorrere dal principio l’esperienza compiuta in Russia, pur tenendo conto delle caratteristiche specifiche della Russia (anello debole della catena imperialista e centro nodale di tutte le contraddizioni dell’imperialismo, come ben illustrato da Stalin in Principi del leninismo ).(5) Già nelle tesi per il secondo congresso della IC (luglio-agosto 1920) Lenin sostenne essere necessaria la “correzione della linea, e in parte della composizione, dei partiti che aderiscono o che vogliono aderire alla IC”. La IC nei paesi imperialisti pose all’ordine del giorno non più l’instaurazione immediata della dittatura del proletariato, ma la costituzione di partiti comunisti ideologicamente coesi e organizzativamente disciplinati. Il compito principale ad essi assegnato era conquistare il consenso della maggioranza della classe operaia a lottare per instaurare la dittatura del proletariato e diventare l’avanguardia organizzata della classe operaia. Si prospettava un periodo relativamente lungo di preparazione della conquista del potere, di creazione delle condizioni necessarie alla conquista del potere, di avvicinamento alla conquista del potere. La lotta all’interno delle istituzioni dello Stato borghese e l’atteggiamento verso le organizzazioni di massa dirette dalla borghesia (in particolare verso i sindacati di regime) diventarono argomenti di attualità insieme all’autonomia del partito, al suo legame con le masse e alla sua preparazione alla lotta per il potere. Venne stabilito che in ogni paese imperialista il partito comunista dovevano combinare l’attività propagandistica e organizzativa del partito, la lotta all’interno delle istituzioni dello Stato borghese, le lotte rivendicative sia tramite sindacati e organizzazioni di massa generate dal partito sia tramite i sindacati e le organizzazioni di massa di regime, la formazione delle organizzazioni paramilitari che la situazione consentiva e di apparati clandestini.

Dalla storia della IC e delle sue sezioni europee emerge la difficoltà incontrata dai partiti comunisti 1. nello sfruttare la crisi economica per portare la classe operaia ad agire in conformità alle linee indicate dal partito comunista e a dirigere in conformità ad esse il resto delle masse popolari e 2. nello stabilire un legame reale (radicato e verificato nella pratica) tra le lotte per soddisfare i bisogni vitali immediati delle masse e la lotta per conquistare il potere. La loro iniziativa era come soffocata dalla concezione secondo cui nei paesi imperialisti o lo sviluppo delle cose procedeva pacificamente o la conquista per il potere si poneva come compito immediato: non erano compresi né l’unità dialettica di pace e di guerra che tuttavia era la realtà che si svolgeva sotto gli occhi né il duplice ruolo che i riformisti svolgevano.

La IC elaborò la linea del “fronte unico della classe operaia” (Ia riunione plenaria dell’Esecutivo allargato, febbraio-marzo 1922). Il partito doveva fare in modo che gli operai costituissero, su problemi e rivendicazioni dirette e immediate e sulla difesa dei propri organismi dagli attacchi delle forze legali ed extralegali della borghesia, un unico fronte contrapposto alla borghesia, nonostante la persistenza dell’influenza della borghesia tramite partiti socialdemocratici, anarco-sindacalisti, riformisti, cattolici, corporativi, ecc. e le relative organizzazioni di massa (sindacati ed altre). La IC praticò alternativamente sia la linea del “fronte unico solo dal basso” (unire tutti gli operai puntando sugli interessi diretti e immediati, in contrapposizione all’azione disfattista o conciliatoria degli organismi riformisti e affini che veicolavano l’influenza della borghesia) sia la linea del “fronte unico dal basso e dall’alto” (oltre a mobilitare gli operai, stringere anche accordi con quegli organismi per la soddisfazione di rivendicazioni elementari, prescindendo dall’instaurazione della dittatura del proletariato). Essa sviluppò la linea del “fronte unico dal basso e dall’alto” fino alla linea del “governo operaio” (o del “governo operaio e contadino”).(6) Dove i risultati elettorali lo consentivano, il partito comunista doveva 1. fare in modo che i partiti che traevano la loro forza dalle organizzazioni di massa della classe operaia (il partito socialdemocratico, il partito comunista ed altri) costituissero essi un governo che attuasse misure favorevoli alle masse popolari e soddisfacesse le loro maggiori rivendicazioni e 2. quando la borghesia si fosse ribellata a questo governo (cosa che immancabilmente sarebbe avvenuta), essere pronto a schiacciarla conducendo la guerra civile fino ad instaurare la dittatura del proletariato. Ma gli esperimenti di questo tipo fatti nei Länder della Germania (“governi operai” della Sassonia e della Turingia) nella seconda metà del 1923 naufragarono: la borghesia eliminò manu militari i “governi operai” e il partito comunista non riuscì a scatenare la guerra civile. Quando, vista la soggezione alla borghesia dei partiti socialdemocratici e affini che impediva il fronte unico dall’alto e la formazione di “governi operai”, fu evidente che la mobilitazione delle masse popolari determinata dalla gravissima crisi sorpassava l’attività dei partiti comunisti, la IC lanciò le sue sezioni nazionali nel tentativo di aggregare direttamente attorno a sé la classe operaia (“fronte unico solo dal basso”).(7) Benché raccogliesse vasti successi, anche questa linea non raggiunse i risultati che la IC si proponeva.

Dopo l’instaurazione del regime nazista in Germania (1933) e la connessa offensiva fascista in tutta Europa, la IC passò dalla linea del fronte unico (che si limitava alla classe operaia) alla linea del Fronte popolare antifascista (esteso a tutte le classi, forze politiche e personalità contrarie al fascismo) e del governo di Fronte popolare.(8) Le più avanzate attuazioni di questa linea nei paesi imperialisti ebbero luogo in Francia e in Spagna. Ma né l’una né l’altra portò la classe operaia alla conquista del potere e all’avviamento della fase socialista. In Francia il governo del Fronte popolare venne eliminato nel 1938 per normale via parlamentare. In Spagna la guerra civile si concluse nel 1939 con la vittoria della oligarchia finanziaria e terriera, delle caste reazionarie (Chiesa, militari e Guardia Civil) e dei loro alleati e ciò anche grazie al concorso determinante delle manovre e infine dell’aperto tradimento dei partiti borghesi e di settori del partito socialista e anarchici aggregati nel Fronte popolare e con il concorso del governo di Fronte popolare installato in Francia.(9)

Una volta scoppiata la seconda guerra mondiale, con il doppio carattere di guerra interimperialista e di guerra di classe, i partiti della IC nei paesi imperialisti adottarono la linea di mettersi alla testa della resistenza contro il nazifascismo. In alcuni grandi paesi imperialisti (in particolare in Francia e in Italia) essi riuscirono ad accumulare grandi forze rivoluzionarie. La Resistenza contro il nazifascismo fu il punto più alto raggiunto dalla classe operaia nella sua lotta per il potere il Europa. Ma anche in questo caso la borghesia imperialista riuscì a riprendere il potere allontanando i partiti comunisti dal governo senza neanche dover ricorrere alla guerra civile aperta.

Attraverso queste diverse strategie il movimento comunista riuscì a conseguire grandi successi: costituzione di partiti comunisti in vari paesi (65 partiti, di cui solo 22 legali o semilegali, inviarono delegati al settimo e ultimo congresso della IC nel 1935), rafforzamento dei loro legami con le masse, contributo alla vittoria contro il nazifascismo, contributo all’avanzamento delle rivoluzione proletaria nel mondo, fine del sistema coloniale, la nascita della Repubblica popolare cinese, creazione del campo socialista, il grande sviluppo dato all’emancipazione delle donne e alla lotta contro le discriminazioni razziali e nazionali, le grandi conquiste di civiltà e di benessere a cui la borghesia imperialista dovette rassegnarsi per vari decenni. Ma in nessuno dei paesi imperialisti riuscì a portare la classe operaia a conquistare il potere.

Le lotte condotte dai partiti comunisti nei paesi imperialisti nella prima metà del secolo XX, nell’ambito della IC, costituiscono tuttavia un grande patrimonio di esperienze a cui noi comunisti dobbiamo attingere quando si tratta di decidere “quale via battere” per promuovere e dirigere la seconda ondata della rivoluzione proletaria.

La teoria della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata supera le antinomie che l’esperienza dell’Internazionale Comunista ha messo in luce e con cui devono fare i conti anche i nuovi partiti comunisti oggi in costruzione, con l’articolazione (partito, fronte e forze armate) degli strumenti della guerra, con la linea di massa come metodo principale di lavoro e di direzione del partito e con la lotta tra le due linee nel partito. Non si tratta però di un manuale che indica cosa fare consentendo di conservare i propri pregiudizi ed esimendo dal pensare e dal trasformare la propria concezione. Ma di una guida per comprendere meglio i problemi da risolvere e le condizioni pratiche in cui essi si pongono e per trovare soluzioni adeguate. La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è un’applicazione avanzata del materialismo dialettico e della teoria delle contraddizioni alla lotta di classe. Il suo cuore è la comprensione del carattere universale della contraddizione, un’adeguata comprensione delle caratteristiche delle contraddizioni sociali e l’adesione del partito nella sua pratica al movimento reale delle contraddizioni reali. La comprensione delle forme particolari di questa guerra nel nostro paese, l’elaborazione e l’applicazione di linee, tattiche e metodi conformi ad esse, la predisposizione di campagne e battaglie, la creazione delle corrispondenti istituzioni costituiscono il compito del nuovo partito comunista.

Umberto C.

NOTE (collegate al testo in modo da poterle leggere in parallelo)

 

1. Per antinomia intendo l’unità conflittuale in cui si trovano due aspetti che si escludono a vicenda, ognuno dei quali è reale e necessario. In altre parole una unità di due opposti: ognuno esclude l’altro ma nella realtà sono legati l’uno all’altro, entrambi sono reali e necessari e si influenzano a vicenda e ora l’uno ora l’altro ha un ruolo dirigente.

2. Un esempio: l’antinomia tra alleanza del movimento comunista con i gruppi imperialisti angloamericani contro i gruppi imperialisti tedeschi, giapponesi e italiani e mobilitazione antimperialista dei popoli dell’America Latina, dell’India, dei paesi arabi e dell’Africa ha avuto grande peso sullo sviluppo del movimento comunista nel secolo XX.

3. Questa lotta ha percorso tutta la storia della IC. Se viste alla luce di questa lotta, molte delle vicende di questa storia assumono piena luce e grande significato. Mente al di fuori di essa restano incomprensibili, oscure, misteriose e servono a riempire i libelli e le opere dell’anticomunismo professionale o dilettante, dichiarato o velato, in cattiva o in buona fede. È attraverso quella lotta e grazie alle sue mille manifestazioni particolari in ogni campo che il movimento comunista è pervenuto ad una comprensione superiore dei suoi compiti e delle condizioni in cui deve assolverli. Né questa comprensione poteva essere raggiunta in altro modo.

4. Quanto ai limiti della prima Internazionale Comunista, vedasi anche in La Voce n. 2 lo scritto Il ruolo storico dell’Internazionale Comunista. Le conquiste e i limiti.

5. La bolscevizzazione dei partiti comunisti, pur con diverse accentuazioni, venne in generale intesa come assimilazione e messa a punto da parte dei partiti comunisti di ogni paese capitalista dell’esperienza politica e organizzativa del partito russo e applicazione differenziata degli insegnamenti che ne scaturivano alla concreta situazione di ogni paese in una determinata epoca.

6. La parola d’ordine del “governo operaio” o del “governo operaio e contadino” venne lanciata al quarto congresso dell’Internazionale Comunista con la Risoluzione sulla tattica approvata il 5 dicembre 1922. La risoluzione chiarisce che il “governo operaio” non è la dittatura del proletariato. Esso può nascere “da una combinazione parlamentare” ed essere “di origine prettamente parlamentare”. È una coalizione di partiti e organizzazioni operaie che forma il governo nell’ambito degli ordinamenti del vecchio Stato borghese. Questi governi “possono costituire un punto di partenza per la conquista della dittatura del proletariato” (A. Agosti, La Terza Internazionale vol. I, 2). “Il governo operaio non è un sinonimo della dittatura del proletariato né un pacifico modo parlamentare per arrivarci. È un tentativo della classe operaia, nel quadro dapprincipio della democrazia borghese, di attuare una politica operaia con l’appoggio di organi proletari e del movimento delle masse popolari” (Partito comunista tedesco, congresso di Lipsia, gennaio 1923).

Non mancarono però dirigenti e istanze della IC che sostennero che “governo operaio e contadino” era sinonimo di dittatura del proletariato e quindi una semplice formula propagandistica.

7. Questo indirizzo venne sanzionato dal sesto congresso dell’IC (luglio-settembre 1928) e meglio sviluppato dalla Xa riunione plenaria dell’Esecutivo allargato (luglio 1929).

8. Questo indirizzo venne elaborato e messo in atto durante il 1934 e sanzionato dal settimo e ultimo congresso della IC (luglio-agosto 1935).

9. Molto utile in proposito il bilancio dell’attività della sezione spagnola della IC fatto dal PCE(r): La guerra di Spagna, il PCE e l’Internazionale Comunista (Edizioni Rapporti Sociali).