La Voce 26

Il 90° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre

venerdì 15 giugno 2007.
 

Il 90° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre

I primi paesi socialisti arrivarono a inglobare un terzo dell’umanità e coprirono una superficie immensa. All’apparenza di tutto questo, come delle altre istituzioni create nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria, nella prima parte del secolo scorso, è rimasto oramai poca cosa. Anzi tra gli operai e il resto delle masse popolari è rimasta una scia di delusione e di sfiducia che la borghesia, il clero e i loro accoliti, alla Bertinotti, alimentano con un’articolata campagna di denigrazione dei primi paesi socialisti e più in generale della prima ondata della rivoluzione proletaria (della Resistenza, dei migliori comunisti, ecc.). Giustamente alcuni fanno osservare che se i primi paesi socialisti sono in gran parte scomparsi, non per questo il mondo va meglio. I problemi causati dal sistema capitalista a cui essi avevano cercato di dare una soluzione sono ancora qui. Il sistema capitalista, l’ordinamento sociale borghese, il suo sistema di relazioni internazionali hanno anzi aggravato quei problemi in campo sociale e ancora più in campo ecologico. Come Stalin aveva previsto in un’intervista accordata negli anni ’30, la scomparsa dell’Unione Sovietica ha aperto un’epoca di reazione e di sofferenze terribili. Ma vi è ben di più.

In realtà la prima ondata della rivoluziona proletaria e in particolare i primi paesi socialisti, e l’Unione Sovietica più degli altri, ci hanno lasciato un immenso patrimonio di esperienza. Ovunque nel mondo hanno lasciato una cultura, una coscienza e una capacità organizzativa sedimentate nella classe operaia e nelle masse popolari, che si tramandano di generazione in generazione nel riprodursi delle lotte e dei movimenti. Le trasformazioni nell’organizzazione del lavoro, le delocalizzazioni, le esternalizzazioni, il frazionamento delle unità produttive, la precarizzazione, l’attenuazione della coesione sociale, l’immigrazione, lo spostamento dei lavoratori dal settore agricolo e industriale al settore dei servizi hanno in qualche misura scalfito quell’eredità della prima ondata della rivoluzione proletaria. Ma sono lungi dall’averla cancellata. Essa è un patrimonio sulla base del quale si sta sviluppando la nuova ondata della rivoluzione proletaria. Le malefatte, i crimini e le sofferenze che oggi la borghesia imperialista infligge all’umanità per far sopravvivere il suo ordinamento sociale - i genocidi, le guerre, le carestie, le epidemie, le migrazioni, l’emarginazione, l’alienazione, l’abbrutimento, la precarietà, ecc. - non sono peggiori degli avvenimenti ricorrenti nelle società del passato, non sono peggiori di quelli che l’umanità ha vissuto nelle epoche barbariche della sua storia. Ciò che ce le rende oggi intollerabili è che sono in contrasto con sentimenti, aspirazioni, concezione del mondo che la prima ondata della rivoluzione proletaria ha diffuso ampiamente e ha radicato tra le masse popolari. A grandi linee, non è il mondo che è peggiorato. Siamo noi che siamo migliorati!

I primi paesi socialisti e in particolare l’Unione Sovietica ci hanno lasciato anche importanti insegnamenti. Alcune delle lezioni dei primi paesi socialisti sono già state elaborate teoricamente e integrate nel patrimonio teorico del movimento comunista. Altre bisognerà invece ancora ricercarle, scoprirle, assimilarle (digerirle) e tradurle in linee d’azione. Per questo è particolarmente dannoso denigrare, dimenticare i paesi socialisti, come un male passato o come qualcosa che non c’entra con il nostro presente e il nostro futuro, con la rinascita del movimento comunista. Non solo alcuni borghesi che pretendono di essere degli scienziati ma perfino alcuni che vogliono essere compagni si ostinano a interpretare i primi paesi socialisti con le categorie del vecchio mondo: capitalismo monopolistico di Stato, modo di produzione asiatico, capitalismo burocratico, ecc. Cercano nella storia del passato una casella in cui infilare i primi paesi socialisti. È in generale impossibile interpretare le specie superiori con le categorie delle specie inferiori. Al contrario è la comprensione delle specie superiori che allarga la comprensione delle specie inferiori. È una questione di metodo ben nota nelle scienze naturali e nelle scienze sociali. Non a caso la dimenticano quando parlano dei primi paesi socialisti. Perché così tagliano corto alla ricerca degli insegnamenti ricavabili dalla loro esperienza. I primi paesi socialisti non assomigliano che superficialmente a formazioni economico-sociali del passato. Essi sono stati, per esprimerci con un’immagine, l’aurora già luminosa sebbene ancora tenebrosa del nostro futuro prossimo. Hanno indicato la strada su cui noi dovremo camminare, su cui tutta l’umanità ha bisogno di camminare per uscire dal marasma e dall’incubo in cui il protrarsi della sopravvivenza, dell’agonia del capitalismo l’ha infognata. Contemporaneamente portavano, e non potevano non portare i segni del letamaio da cui sorgevano. Bisogna quindi studiare nel concreto i primi paesi socialisti come un fenomeno storico nuovo e dedurre il loro carattere generale dai dati concreti sulle relazioni sociali, sulle classi, sulle posizioni e sugli interessi delle diverse classi. Bisogna studiare attentamente quali compiti della transizione dal capitalismo (e da modi di produzione più arretrati del capitalismo) al comunismo ognuno di essi ha affrontato, come li ha affrontati, con quali soluzioni, con quali risultati. Bisogna imparare dai primi paesi socialisti e in particolare dall’Unione Sovietica. È questo lo studio che i comunisti devono compiere a proposito del primi paesi socialisti.

Vediamo alcune delle principali lezioni già integrate nel patrimonio teorico del movimento comunista. Mi limiterò a tre.

 

1.

La prima è già stata esplicitamente indicata come uno dei principali apporti del maoismo al pensiero comunista. Infatti la chiara individuazione della borghesia nella società socialista è uno dei principali apporti del maoismo al pensiero comunista.1 Nei paesi socialisti la borghesia è costituita da quei dirigenti del partito, delle organizzazioni di massa, dello Stato e di altre istituzioni pubbliche della società socialista che si oppongono ai passi avanti possibili e necessari verso il comunismo nei rapporti di produzione e nella sovrastruttura.

Cosa si intende per rapporti di produzione? Per produrre, gli uomini e le donne entrano in determinati rapporti tra loro: i rapporti di produzione. Per comprendere le questioni relative al passaggio dal capitalismo al comunismo, bisogna distinguere nei rapporti di produzione tre aspetti: 1. la proprietà (o anche il semplice possesso, la libertà di disporre) dei mezzi e delle condizioni della produzione, cioè delle forze produttive ivi compresa la forza-lavoro; 2. i rapporti tra gli uomini nel lavoro (nel processo lavorativo): la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, uomini e donne, adulti e giovani, lavoro esecutivo e lavoro di direzione, città e campagna, paesi, regioni e settori avanzati e paesi, regioni e settori arretrati, ecc.; 3. la distribuzione del prodotto.

Alla domanda cosa sono le classi, Lenin ha dato una risposta oramai classica. “Si chiamano classi quei grandi gruppi di persone che si differenziano per il posto che occupano nel sistema storicamente determinato della produzione sociale, per i loro rapporti (per lo più sanciti e fissati da leggi) con i mezzi di produzione, per la loro funzione nell’organizzazione sociale del lavoro e, quindi, per la misura della parte di ricchezza sociale di cui dispongono e per il modo in cui la ricevono e ne godono. Le classi sono gruppi di persone, dei quali l’uno può appropriarsi del lavoro dell’altro, a seconda del differente posto da esso occupato in un determinato sistema di economia sociale”.2

Una volta abolita almeno per l’essenziale la proprietà privata individuale dei mezzi di produzione (cosa che nei paesi imperialisti rientra nelle misure immediate dell’instaurazione del socialismo, ma che invece in Unione Sovietica, ad esempio, poté essere compiuta solo nel giro di circa 20 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre), la lotta per l’adeguamento dei rapporti di produzione al carattere collettivo delle forze produttive riguarda principalmente 1. i ruoli nell’organizzazione sociale del lavoro (i rapporti lavoro di direzione e organizzazione/lavoro esecutivo, dirigenti/diretti, lavoro intellettuale/lavoro manuale, uomini/donne, adulti/giovani, città/campagna, settori, regioni e nazioni avanzate/settori, regioni e nazioni arretrate) e 2. il modo e la misura della ripartizione della ricchezza sociale destinata al consumo. Una volta eliminata per l’essenziale la proprietà privata individuale dei mezzi e delle condizioni della produzione, il pericolo di una restaurazione capitalista non proviene tanto dai residui delle vecchie classi sfruttatrici, né da quanto resta della piccola produzione mercantile e neppure dalla rabbiosa e accanita aggressione dall’estero, quanto dalla nuova borghesia, tipica della fase socialista.

La vittoria dei revisionisti moderni in URSS negli anni ’50 e l’incapacità dei comunisti di reagire con successo alle loro manovre deve molto al fatto che, per quanto inflessibile fosse stata la lotta diretta da Stalin contro deviazioni e infiltrazioni, il Partito comunista dell’Unione Sovietica e con esso il movimento comunista tutto non avevano ancora messo al centro della loro linea d’azione il fatto che nei paesi socialisti, una volta abolita per l’essenziale la proprietà privata individuale dei mezzi di produzione, la borghesia assume una nuova veste. Cercavano la borghesia dove non era. Solo casualmente, con le epurazioni, e sostanzialmente alla cieca, la combattevano e la colpivano dove veramente si annidava. Questo impediva, e di fatto ha impedito che i primi paesi socialisti continuassero a prosperare e ad avanzare di successo in successo come avevano fatto nella prima fase della loro esistenza.

 

2.

La seconda lezione che ricaviamo dalla storia dell’Unione Sovietica riguarda il fatto che la lotta di classe diventa tanto più aspra e feroce quanto più la rivoluzione socialista si avvicina alla vittoria. È una legge che già Marx aveva formulato in altro contesto. "Il progresso rivoluzionario non si fece strada con le sue tragicomiche conquiste immediate, ma, al contrario, facendo sorgere una controrivoluzione serrata, potente, facendo sorgere un avversario, soltanto combattendo il quale il partito dell’insurrezione raggiunse la maturità di un vero partito rivoluzionario".3

Stalin ha riformulato questa legge in modo magistrale. “È necessario demolire e buttare a mare la putrida teoria secondo la quale ad ogni passo in avanti che facciamo, la lotta di classe da noi dovrebbe affievolirsi sempre di più; secondo la quale, nella misura in cui otteniamo dei successi, il nemico di classe diventerebbe sempre più mansueto [...] Al contrario, quanto più andremo avanti, quanti più successi avremo, tanto più i residui delle vecchie classi sfruttatrici distrutte diventeranno feroci, tanto più rapidamente essi ricorreranno a forme di lotta più acute, tanto più essi cercheranno di colpire lo Stato sovietico, tanto più essi ricorreranno ai mezzi di lotta più disperati come ultimi mezzi di chi è condannato a morire. Bisogna tener conto del fatto che i residui delle classi distrutte nell’URSS non sono isolati. Essi hanno l’appoggio diretto dei nostri nemici al di là delle frontiere dell’URSS. Sarebbe errato pensare che la sfera della lotta di classe sia racchiusa entro le frontiere dell’URSS. Se la lotta di classe si svolge per una parte nel quadro dell’URSS, per un’altra parte essa si estende entro i confini degli Stati borghesi che ci circondano”.4

In coerenza con questa legge, l’esperienza dei primi paesi socialisti ha messo in luce e confermato che il proletariato deve mantenere la propria dittatura per un tempo indeterminato. La fine della dittatura del proletariato in nome di un illusorio, fittizio, apparente “Stato di tutto il popolo” è stato uno dei cavalli di Troia con cui negli anni ’50 Kruscev e gli altri revisionisti si impadronirono del potere in Unione Sovietica, instaurarono la dittatura dei dirigenti e delle loro cricche e portarono gradualmente i paesi socialisti a perdere slancio e forza e infine alla rovina. Finché la divisione della popolazione in classi sociali non si è estinta, la lotta per la sua estinzione oggettivamente governa, se ne abbia o meno coscienza, la vita dei paesi socialisti. Solo se il partito e le organizzazioni delle masse popolari la conducono consapevolmente e attivamente, i paesi socialisti prosperano e svolgono la loro funzione di base rossa della rivoluzione proletaria mondiale, esercitano una spinta propulsiva sulla rivoluzione proletaria mondiale e ispirano i movimenti rivoluzionari del resto del mondo, sono invincibili dalle forze reazionarie interne e internazionali. Nei paesi socialisti continua ad esistere lo Stato come organizzazione a sé stante, come istituzione distinta dalla massa della popolazione e dal suo sistema di organizzazioni di massa. Quale classe dirige questo Stato, resta un problema chiave per l’ulteriore trasformazione della società, per la forza e il progresso dei paesi socialisti. La classe operaia 1. deve avere la direzione dello Stato, tramite il suo partito comunista e 2. deve gradualmente sostituire ad esso il sistema formato dal partito e dalle organizzazioni delle masse popolari.5 Quindi la difesa della natura di classe, della natura operaia del partito comunista, è irrinunciabile. La teoria della lotta tra le due linee nel partito, uno dei principali apporti del maoismo al pensiero comunista, ce ne fornisce lo strumento principale. Anche di questa teoria, essenziale per difendere la natura di classe del partito comunista, il movimento comunista non aveva coscienza chiara, benché lungo tutta la sua storia, a partire da Marx-Engels nella Lega dei Comunisti, nella prima Internazionale, nella seconda Internazionale e arrivando a Lenin e Stalin nel POSDR, nella seconda Internazionale e nella Internazionale Comunista, i comunisti avessero ripetutamente condotto delle lotte tra due linee.

Che la lotta di classe sia diventata più feroce e senza limiti è qualcosa che oggi tocchiamo con mano.

 

Una volta eliminata per l’essenziale la proprietà privata individuale dei mezzi e delle condizioni della produzione, il pericolo di una restaurazione capitalista non proviene tanto dai residui delle vecchie classi sfruttatrici, né da quanto resta della piccola produzione mercantile e neppure dalla rabbiosa e accanita aggressione dall’estero, quanto dalla nuova borghesia, tipica della fase socialista.

Nei paesi socialisti la borghesia è costituita da quei dirigenti del partito, delle organizzazioni di massa, dello Stato e di altre istituzioni pubbliche della società socialista che si oppongono ai passi avanti possibili e necessari verso il comunismo nei rapporti di produzione e nella sovrastruttura.

3.

È importante per noi comunisti italiani assimilare queste due lezioni non solo perché domani, una volta che avremo fatto dell’Italia un nuovo paese socialista, dovremo servircene. Nell’immediato è importante perché esse ci spiegano come è potuto avvenire che i revisionisti moderni prendessero la direzione e conducessero i primi paesi socialisti alla rovina, senza che i sinceri comunisti riuscissero a unirsi e mettere fine alla loro opera nefasta. Quindi ci forniscono armi per contrastare nelle nostre fila, tra gli operai avanzati e in generale tra le masse popolari, l’opera di denigrazione condotta con abbondanza di mezzi dalla borghesia, dal clero e dai loro accoliti. Ma soprattutto ci aiutano a combattere la sfiducia nel socialismo e nella rivoluzione socialista che oggi paralizza tanti lavoratori avanzati.

Ma vi è una terza lezione della prima ondata della rivoluzione proletaria che riguarda direttamente e immediatamente l’impostazione di tutto il nostro lavoro. È la lezione circa la forma della rivoluzione socialista: come la classe operaia arriva a instaurare il proprio potere nei paesi imperialisti. La storia della Rivoluzione d’Ottobre ci mostra che la forma della rivoluzione proletaria non è un’insurrezione popolare che scoppia e nel corso della quale il partito comunista prende il potere, non è nemmeno un’insurrezione popolare che il partito comunista scatena di sua iniziativa, ma è la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata.

F. Engels aveva chiaramente insegnato che i comunisti non potevano impadronirsi del potere nel corso di un’insurrezione popolare.6 Le rivoluzioni borghesi si erano svolte in quella maniera: come insurrezioni popolari nel corso delle quali la borghesia aveva preso il potere. Se studiamo la storia delle rivoluzioni borghesi in Europa, vediamo che la borghesia aveva preparato, formato e selezionato i suoi dirigenti politici nel corso dei traffici della sua “società civile” che si era sviluppata nell’ambito della società feudale e al suo servizio. La borghesia si serve del popolo, della sua collera, della sua insofferenza e, quando scoppia una rivolta, quando un’insurrezione popolare rovescia il vecchio potere, installa i suoi capi al posto dei capi del vecchio potere.

Per la natura diversa delle classi in lotta e dei loro obiettivi, la rivoluzione socialista deve svilupparsi diversamente. Nella rivoluzione socialista le masse popolari non sono masse di manovra. Al contrario si mobilitano, elevano la loro coscienza, si organizzano e iniziano a costruire il nuovo mondo. Il processo della rivoluzione socialista ha sue proprie leggi. Dobbiamo scoprire, assimilare, usare queste leggi. È ovvio che all’inizio del movimento comunista noi comunisti ne avevamo una conoscenza limitata. Engels riconosce che lui e Marx si erano sbagliati proprio nell’individuare la forma della rivoluzione socialista. Il processo pratico compiuto dalla rivoluzione socialista nel secolo scorso ci appare come un processo complesso, inestricabile finché non studiamo le esperienze pratiche alla luce della teoria della GPRdiLD. Se assimiliamo questa teoria, allora il processo ci appare semplice e gradualmente impareremo a condurlo finalmente con successo.

Ancora oggi alcuni compagni presentano la Rivoluzione d’Ottobre come un’insurrezione popolare (“assalto al Palazzo d’Inverno”) lanciata dal partito il 7 novembre 1917 nel corso della quale i bolscevichi hanno preso il potere. In effetti i bolscevichi non avevano elaborato la teoria della GPRdiLD. Per di più la rivoluzione russa per il suo contenuto era una rivoluzione di nuova democrazia. Quindi nella sua forma vi è una commistione di elementi della rivoluzione borghese e di elementi della rivoluzione socialista. Ma proviamo a studiare il suo svolgimento complessivo alla luce della teoria della GPRdiLD.

In realtà l’instaurazione del governo sovietico nel novembre del 1917 era stata preceduta da un lavoro sistematico condotto dal partito di Lenin volto ad accumulare forze rivoluzionarie attorno al partito comunista. Questi a partire dal 1903 si era costituito come forza politica libera, che esisteva e operava con continuità e iniziativa in vista della conquista del potere benché il nemico mirasse a distruggerla, come forza politica indistruttibile dal nemico, come centro di un potere alternativo al potere esistente, il regime zarista. La lotta condotta dal partito comunista russo nel periodo 1903-1917 ci insegna qualcosa su come si accumulano forze rivoluzionarie in seno alla società dominata dal nemico, a condizione che teniamo conto nella giusta misura che la Russia zarista era un paese imperialista ma ancora semifeudale, che la rivoluzione da compiere era una rivoluzione di nuova democrazia, che in Russia non esisteva un regime di controrivoluzione preventiva.

L’instaurazione del governo sovietico a Pietroburgo e a Mosca nel novembre 1917 è stata preceduta dal lavoro più specifico fatto tra il febbraio e l’ottobre 1917, in condizione di doppio potere, di equilibrio tra le forze dei due campi contrapposti, quando la rivoluzione disponeva già di forze militari che obbedivano solo ai soviet: la lotta del luglio 1917 contro il generale Kornilov lo mostra chiaramente.

L’instaurazione del governo sovietico nelle capitali è stata seguita da una guerra civile (contro le armate bianche) e contro l’aggressione imperialista durata tre anni e conclusa alla fine del 1920. In realtà conclusa solo in un certo senso. Infatti se consideriamo le cose a livello internazionale, non dal punto di vista della rivoluzione in Russia ma dal punto di vista della rivoluzione proletaria mondiale, lo sforzo della borghesia imperialista per soffocare l’Unione Sovietica (divenuta la base rossa della rivoluzione proletaria mondiale) è proseguito nelle lunghe e molteplici manovre antisovietiche degli anni ‘20 e ‘30 e nell’aggressione nazista del 1941-1945. Dal punto di vista della rivoluzione proletaria mondiale, la Rivoluzione d’Ottobre inaugura la fase dell’equilibrio strategico tra le forze della rivoluzione (che da quel momento dispongono di una loro base territoriale e di proprie forze armate) e le forze dell’imperialismo.

La storia della rivoluzione russa è in realtà una brillante conferma della tesi di Engels e delle tesi di Mao Tse-tung. Tanto più brillante perché Lenin e i suoi compagni condussero con successo la guerra popolare rivoluzionaria senza avere già elaborato la sua teoria. Proprio la mancanza di una teoria elaborata e assimilata dal partito comunista spiega anzi i grandi e ripetuti sforzi che ad ogni passo dello svolgimento della rivoluzione Lenin e i compagni più vicini a lui per concezione del mondo (per assimilazione del materialismo dialettico) dovettero fare per unire il partito sulle scelte da compiere.

Se consideriamo l’andamento delle rivoluzioni che si sono da allora succedute nei singoli paesi e anche l’andamento della rivoluzione a livello mondale, vediamo che la teoria della GPRdiLD ne esce confermata, sia nei casi in cui la rivoluzione è stata condotta fino all’instaurazione del nuovo potere, sia nei casi in cui la rivoluzione è stata sconfitta. Alla luce della teoria della GPRdiLD diventa anzi chiara anche la causa delle sconfitte subite finora dal movimento comunista in tutti i paesi imperialisti.

L’esperienza della Rivoluzione d’Ottobre insegna, e l’esperienza delle successive rivoluzioni ha confermato che l’insurrezione popolare è, in determinate circostanze, una manovra utile e necessaria all’interno di una guerra. Ma che, se la assumono come strategia della rivoluzione, la forza delle cose costringe i comunisti a oscillare tra l’avventurismo e l’inerzia, tra rischiare il tutto per tutto e subire l’iniziativa della controrivoluzione.

La classe operaia, a differenza della borghesia, ha bisogno di un partito, il partito comunista e di organizzazioni di massa. Nel sistema del partito e delle organizzazioni di massa essa forma, seleziona e verifica i suoi dirigenti.

È col partito comunista e le organizzazioni di massa che essa crea il suo sistema di potere, tesse la rete della sua influenza e della sua egemonia sulle altre classi delle masse popolari (Fronte), non nei traffici della società civile come la borghesia. La classe operaia tramite il suo partito comunista accumula le sue forze rivoluzionarie in seno alla società borghese. Accumulazione ed egemonia crescono e rendono sempre più difficile alla borghesia fare profitti e governare la società. Al contrario di quello che avvenne per la rivoluzione borghese: la crescita dei suoi traffici offrì per secoli grandi servizi alle forze feudali finché queste “soffocarono nel grasso”. L’accumulazione delle forze rivoluzionarie proletarie è furiosamente contrastata dalla borghesia. Questo processo prima o poi porta a un punto di rottura: quale che sia la forma in cui arriva, qui inizia la guerra civile. La borghesia oramai lo sa e in ogni paese cinicamente già ora prepara le condizioni per uscire vittoriosa da questo scontro. Salvo guerre generali, la lotta tra le forze rivoluzionarie e le forze reazionarie, in sostanza l’accumulazione delle forze rivoluzionarie, si sviluppa in seno alla società borghese fino a quando la borghesia non potendo tollerarne oltre lo sviluppo porta lo scontro sul terreno della guerra civile. Come diceva Engels, “rompe essa stessa la sua legalità”, a meno che il partito comunista ceda senza combattere (come ad esempio successe nel 1914 in Germania, in Francia e in altri paesi, come è successo in Italia alla fine degli anni ’40). L’esito della guerra civile decide del potere: o il vecchio potere (in forme nuove) si riafferma su tutta la società o il nuovo potere si impone in tutta la società. È facendo fronte vittoriosamente all’iniziativa della borghesia di portare lo scontro sul terreno della guerra civile che la classe operaia si impadronisce del potere. Questo richiede che il partito comunista non sia da meno della borghesia, anzi che la sopravanzi. Esso deve dirigere fin da oggi l’accumulazione delle forze rivoluzionarie in vista della guerra civile, in modo che la classe operaia sia in grado di far fronte vittoriosamente all’iniziativa della borghesia e concluda la guerra civile con la conquista del potere, con l’instaurazione della dittatura del proletariato, con l’instaurazione del socialismo (le nostre Dieci Misure Immediate sono una sintesi generale, esemplificativa, delle misure immediate da prendere).7

La storia della socialdemocrazia tedesca a cavallo tra il secolo XIX e il secolo XX mostra chiaramente questo processo. La teoria della GPRdiLD spiega perché la sua storia gloriosa terminò nella vergognosa ritirata del 1914. L’intervento nella lotta politica borghese (partito politico di massa), la lotta rivendicativa (sindacato) e il vasto movimento di cooperative e circoli culturali, sportivi e ricreativi di ogni genere animavano e costituivano un vasto movimento proletario che estendeva la sua influenza anche su altre classi delle masse popolari. Certo esso portava al suo interno le premesse del cedimento, della “insufficienza rivoluzionaria” che divenne palese nel 1914. Dal 1891, quando il governo non rinnovò più le Leggi Antisocialiste, nonostante le ripetute critiche e proteste di Engels tutto il movimento comunista tedesco aveva limitato la sua azione all’ambito consentito dalle leggi e tollerato dal governo. Aveva limitato la sua azione pratica alla finzione democratica messa in scena dalla borghesia. La borghesia si preparava alla guerra civile, il movimento comunista si affidava alle apparenze democratiche. Si era per così dire adattato e adagiato nella legalità borghese. La lotta contro la repressione e la resistenza alla repressione, che avevano dato risultati brillanti nel periodo delle Leggi Antisocialiste (1878-1891), vennero abbandonate. Ma qualcosa non andava neanche nei settori in cui il movimento comunista sviluppava rigogliosamente la sua attività. Il marcio si presentava in forma camuffata, perché la sinistra del movimento comunista era debole, oscillante e non seppe metterne in luce la reale natura. Si presentava infatti nella forma di lotta tra i settori ognuno dei quali pretendeva alla supremazia sull’altro. Il partito voleva che il sindacato, le cooperative e i circoli culturali, sportivi e ricreativi sostenessero le sue campagne elettorali e le sue denunce politiche. Il sindacato, le cooperative e i circoli culturali, sportivi e ricreativi volevano che il partito facesse da sponda politica (con la sua azione parlamentare e con le sue denunce) alle loro rivendicazioni e iniziative. Vi furono quindi grandi polemiche su quale settore dovesse dirigere gli altri, se i vari settori dovevano o no essere indipendenti l’uno dall’altro, se in ogni settore dovesse esserci più centralismo o più decentramento delle decisioni e delle linee d’azione.8 Questi contrasti denunciavano semplicemente la mancanza di un partito comunista che dirigesse la lotta politica rivoluzionaria, ne elaborasse la strategia e ne organizzasse gli strumenti e quindi dirigesse i vari fronti di lotta che la pratica aveva elaborato.

L’essenza delle Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata è l’aggregazione attorno al partito comunista delle forze rivoluzionarie che lottano contro la borghesia imperialista.
L’accumulazione delle forze rivoluzionarie consiste

1. nel consolidamento e rafforzamento del partito comunista,

2. nella mobilitazione della classe operaia nelle sue organizzazioni di massa,

3. nell’aggregazione delle organizzazioni di massa della classe operaia attorno al partito,

4. nell’egemonia della classe operaia sulle altre classi delle masse popolari,

5. nella lotta multiforme e crescente contro la borghesia imperialista per difendere le conquiste e i diritti delle masse popolari e per far valere sempre più ampiamente gli interessi delle masse popolari.

Questi cinque elementi sono legati dialetticamente tra loro, si generano e si influenzano reciprocamente.

Da queste esperienze storiche traiamo quindi la conclusione che la rivoluzione socialista non scoppia. Non c’è un giorno X da attendere. La rivoluzione non è un’insurrezione popolare che scoppia quando una scintilla più o meno accidentale fa esplodere il malcontento generale e diffuso. La rivoluzione non è neppure un’insurrezione che il partito comunista scatena dopo aver preparato questo o quel piano: tutte le insurrezioni di questo genere scatenate dai partiti comunisti sono fallite: Amburgo (ottobre 1923), Tallin (dicembre 1924), Canton (dicembre 1926), Asturie (1934), ecc. ecc. Le insurrezioni che il partito comunista ha lanciato senza disporre già di forze armate, fondandosi quindi solo su quelle che si formavano nel corso dell’insurrezione, sono tutte fallite. Nella rivoluzione proletaria i partiti comunisti hanno usato l’insurrezione in modo vittorioso solo come manovra nel corso di una guerra (Pietroburgo 1917, Francia 1944, Italia 1945), nei casi in cui la situazione delle forze politiche e militari nella guerra già in corso si presta a renderla possibile ed efficace. Sarebbe stato possibile l’attacco al Palazzo d’Inverno senza le forze militari di cui il Soviet di Pietroburgo (e tramite esso il POSDR) già disponeva? Sarebbero state possibili le insurrezioni dell’aprile 1945 senza le formazioni partigiane?

Intesa come strategia della rivoluzione socialista, l’insurrezione diventa paralizzante. Riduce le nostre possibilità di manovra. Mette il partito comunista di fronte al dilemma: tutto o niente, rischiare tutto in una iniziativa di partito o lasciar correre e subire l’iniziativa della borghesia. La condotta del PCI nel periodo tra il 1945 e il 1950 illustra in modo molto chiaro questa questione.

La concezione dell’insurrezione come strategia della rivoluzione socialista nega la trasformazione della quantità in qualità, la creazione del salto qualitativo attraverso un processo graduale, l’accumulazione quantitativa di forze combattenti, determinate. Porta d’improvviso sul terreno militare, in uno scontro decisivo e finale, forze che non si sono formate alla guerra civile. Dove è in questa concezione l’accumulazione quantitativa che dà luogo al salto di qualità dell’insurrezione?

La teoria dell’insurrezione come strategia della rivoluzione socialista è l’altra faccia della medaglia della concezione legalitaria e parlamentare della rivoluzione socialista (della via pacifica e democratica al socialismo): è complementare ad essa. La pratica ha mostrato la natura utopistica della strategia consistente nel passare da un’attività legale o da un’attività principalmente legale all’insurrezione. Nella pratica questa strategia dell’insurrezione ha posto sempre i partiti comunisti di fronte al dilemma: o rischiare di perdere tutto o non fare niente. In tutta la storia del movimento comunista mai, nessuna insurrezione scatenata dal partito al di fuori di una guerra già in corso, è stata vittoriosa. Le insurrezioni vittoriose i partiti comunisti le hanno condotte solo come manovre particolari all’interno di una guerra più ampia già incorso, quindi quando forze militari rivoluzionarie già in opera appoggiavano il movimento insurrezionale. Così è stato nelle insurrezioni dell’aprile 1945 in Italia, così è stato a Pietroburgo nell’Ottobre 1917.

La Guerra popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata è l’unica strategia realistica della rivoluzione socialista, confermata da tutta l’esperienza del movimento comunista. La strategia dell’insurrezione è stata tentata e ritentata ed è costantemente fallita, senza eccezioni. Parimenti è fallita sempre e ovunque la strategia della via parlamentare al socialismo. Una dopo l’altra tutte le affermazioni dei socialisti e dei revisionisti sulla via pacifica, democratica, parlamentare al socialismo sono state nei fatti smentiti dalla borghesia stessa. Come F. Engels già nel 1895 aveva ben indicato, essa non ha avuto alcuno scrupolo a sovvertire la sua legalità, ogni volta che questa non assicurava la continuità del suo potere. La partecipazione alle elezioni e in generale a una serie di altre normali attività della società borghese, cui le organizzazioni operaie partecipano in quanto libere associazioni tra le altre, in Europa nel secolo XIX è stata uno strumento utile per affermare l’autonomia della classe operaia. Ma da quando è iniziata l’epoca della rivoluzione proletaria, ogni volta che i partiti comunisti l’hanno presa come strumento per la conquista del potere, si è trasformata in una catena controrivoluzionaria. 9

L’esperienza ha mostrato che la classe operaia può arrivare alla conquista del potere solo attraverso un graduale accumulo delle forze rivoluzionarie, condotto nell’ambito della strategia della Guerra popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata.

Questa è la lezione principale della Rivoluzione d’Ottobre, quella di cui abbiamo più bisogno oggi per condurre con successo la rinascita del movimento comunista. Quella decisiva per la rinascita e la vittoria del movimento comunista

 

Anna M.



1 Nicola P., L’ottava discriminante (2002), in La Voce n. 10.

2 V. I. Lenin, La grande iniziativa (1919), in Opere vol. 29.

Mao Tse-tung, Note di lettura del “Manuale di economia politica” (1960), in Opere di Mao Tse-tung vol. 18.

3 K. Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 (1850), in Opere complete vol. 10.

4 J. V. Stalin, Sulle deficienze del lavoro (1937).

5 Marco Martinengo, I primi paesi socialisti (2003), Edizioni Rapporti Sociali.

6 F. Engels, Introduzione all’edizione del 1895 di K. Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, in Opere complete vol. 10.

F. Engels - Dieci, cento, mille CARC per la ricostruzione del partito comunista (1995), Edizioni Rapporti Sociali.

7 Si veda anche Marco Martinengo e Elvira Mensi, Un futuro possibile (2006), Edizioni Rapporti Sociali.

8 Rosa Luxemburg, Partito, sindacati e sciopero di massa (1906).

9 Questo aspetto della rivoluzione socialista è ben elaborato in J. V. Stalin, Principi del leninismo (1924).