La Voce 27

La democrazia proletaria e la dittatura del proletariato

Problemi di strategia
giovedì 1 novembre 2007.
 

L’esperienza dei primi paesi socialisti ha dimostrato che il proletariato deve mantenere la propria dittatura per un tempo indeterminato. L’indebolimento della dittatura del proletariato in nome dello "Stato di tutto il popolo" è stata una delle linee su cui ha fatto leva la borghesia per sabotare i primi paesi socialisti fino a condurli alla loro rovina.

 

Quanto alla funzione storica che deve assolvere e all’opera che deve compiere, lo Stato della dittatura del proletariato è la repressione della vecchia borghesia e dei suoi tentativi di restaurazione dall’interno e dall’esterno; è la lotta per la mobilitazione, l’organizzazione e la trasformazione in massa degli operai in classe dirigente; è la lotta per la mobilitazione e l’organizzazione di tutte le masse popolari perché assumano sempre più la direzione della propria vita e diventino protagoniste della società socialista; è l’immediata riorganizzazione delle forze produttive esistenti nel modo e secondo i criteri più razionali che si conoscono onde soddisfare nella misura più larga possibile i bisogni delle masse popolari e dare al lavoro l’organizzazione più dignitosa possibile per chi lo compie; è la lotta per la trasformazione a tappe di ogni forma di proprietà privata delle forze produttive in proprietà collettiva di tutti i lavoratori associati; è la lotta contro tutte le disuguaglianze sociali, contro i privilegi materiali e culturali, contro i vecchi rapporti sociali, contro le concezioni e i sentimenti che riflettono i vecchi rapporti di classe; è la lotta contro il consolidamento in nuove classi dominanti degli strati dirigenti e privilegiati che permangono per molto tempo anche nel socialismo e di cui per ragioni oggettive le masse potranno fare a meno solo gradualmente; è il sostegno alle forze rivoluzionarie proletarie di tutto il mondo; è la lotta per un crescente legame internazionale tra tutti i popoli e tra tutti i paesi. Insomma è la lotta per l’adeguamento, in ogni paese e a livello internazionale (mondiale) dei rapporti di produzione, del resto dei rapporti sociali, delle concezioni e dei sentimenti al carattere collettivo delle forze produttive e per lo sviluppo del carattere collettivo delle forze produttive che ancora non sono collettive.

Questo è il contenuto, il programma della dittatura del proletariato, l’opera che essa deve compiere. La dittatura del proletariato scomparirà solo con la scomparsa della divisione dell’umanità in classi e dello Stato stesso. Allora scomparirà anche il partito comunista. Non ci sarà più bisogno di una organizzazione specifica dei comunisti come avanguardia di una trasformazione che non si è ancora completata.

 

Quanto alla forma della dittatura del proletariato, quanto a quale forma è più adeguata al compimento di questa opera, il movimento comunista ha accumulato già una ricca esperienza, a partire dalla Comune di Parigi fino ai primi paesi socialisti.

La dittatura del proletariato non può avere la forma della democrazia borghese, neanche la forma più perfetta di democrazia borghese che si possa immaginare. La borghesia forma e seleziona i suoi dirigenti politici, i suoi intellettuali organici, i suoi notabili, tramite la concorrenza nei suoi traffici correnti, nelle relazioni della sua società civile. Il pluripartitismo, le campagne elettorali di tanto in tanto, le assemblee rappresentative permettono a quei dirigenti della società civile di affermarsi e di imporsi come dirigenti dello Stato tramite il voto delle masse. Anche depurato di tutte le incrostazioni e i residui feudali e di tutte le degenerazioni imperialiste che hanno in realtà accompagnato, le une prima e le seconde dopo, tutte le sue manifestazioni concrete, è un metodo che ben corrisponde ai caratteri della società borghese, ma non ai caratteri della società socialista. Questo metodo di formazione e di selezione dei dirigenti politici implica la divisione in classi, la contrapposizione di interessi tra classi, tra gruppi e tra individui, la proprietà privata, le relazioni mercantili e capitaliste. Il pluripartitismo è impossibile senza proprietà privata. Per la borghesia un regime è tanto più democratico quanto più agli imprenditori, ai banchieri, ai professionisti, agli intellettuali più abili e in generale agli individui più dotati, energici, ambiziosi e decisi a compiere la loro personale arrampicata sociale, permette di emergere, di fare carriera, di crearsi una cerchia di relazioni personali, di arricchirsi, di proporsi alle masse come dirigenti politici: quanto più esso stimola e permette a ogni individuo di compiere un percorso del genere. Anche nel migliore dei casi immaginabili, per quanto possa essere aperta al ricambio sociale, la società borghese per sua natura è una società elitaria.

 

Per il borghese, anche per il più onesto borghese di sinistra, democrazia significa libertà d’azione per i rapaci, che ognuno si arrangi come meglio riesce, assenza di costrizioni di legge. Per lui gli individui quali sono, quali la storia li ha fatti e le condizioni sociali hanno conformato, sono i punti di partenza e di arrivo, non concepisce critica, autocritica e trasformazione. Democrazia è l’assenza (o il minimo) di costrizioni legali che li distolgano dal fare quello che il loro attuale essere li porta a fare. In campo politico democrazia per lui è assenza di divieti o intralci legali a organizzarsi, a fare propaganda, a candidarsi, a proporsi, ad eleggere ed essere eletti. Per lui la libertà è negativa: assenza di costrizioni, di vincoli, di intralci. Quello che egli è e che ogni individuo è, va bene. L’importante è che le autorità non gli impediscano di essere quello che egli è e di fare quello che egli vuole fare, al di là del minimo indispensabile (“la mia libertà finisce dove incomincia la libertà degli altri”). Ovviamente in un simile contesto chi è ricco comanda.
 
Per noi democrazia è l’impiego massimo di cui si è capaci, che si riesce a ideare e mettere in opera, delle risorse di cui la società dispone, per promuovere la partecipazione più larga delle masse popolari alla soluzione delle questioni della loro vita: mobilitazione, cultura, organizzazione, amministrazione. Per noi democrazia è impiego delle risorse materiali e spirituali della società per costruire una nuova condizione sociale, per favorire l’assurgere in massa dei membri delle classi, gruppi e generi oppressi, sfruttati ed emarginati dalla vita sociale e dal meglio del patrimonio materiale e spirituale della società, ad una nuova vita e ad un ruolo sociale superiore a quello che hanno mai esercitato, a quello che farà di esse i dirigenti di se stesse. Per noi libertà e democrazia sono azione positiva, costruttiva, volta a far esistere quello che ancora non è, a mettere la massa della popolazione in condizioni di fare quello che oggi non è ancora capace di fare, da cui la classi dirigenti e dominanti l’hanno sempre tenuta e la tengono lontano.

 

 

Nell’ambito della società borghese il proletariato forma e seleziona i suoi dirigenti politici, i suoi intellettuali organici, nel corso della lotta di classe: quindi attraverso il suo partito comunista, le sue organizzazioni di massa, le sue lotte e i suoi movimenti.

Nel socialismo, regime di transizione dal capitalismo al comunismo, la borghesia, oltre che dalla borghesia di vecchio tipo (dagli esponenti delle vecchie istituzioni e relazioni borghesi e delle vecchie professioni liberali nella misura in cui esse sussistono ancora), è costituita da un nuovo tipo di borghesia: da quei dirigenti del partito comunista, delle organizzazioni di massa, degli organismi economici, delle istituzioni pubbliche e degli organi statali che usano il loro potere per impedire o ostacolare la crescita della partecipazione degli operai e del resto delle masse popolari all’esercizio del potere, anziché usarlo per favorirla (che è questo il compito che nel socialismo è assegnato a ogni dirigente), che si oppongono ai nuovi passi avanti possibili nella trasformazione dei rapporti di produzione e del resto dei rapporti sociali. Questo nuovo tipo di borghesia esisterà a lungo, durante il periodo di transizione dal capitalismo al comunismo.

Per il proletariato e per il resto delle masse popolari un regime è tanto più democratico quanto più e meglio le risorse dell’intera società sono impiegate per allargare in misura crescente la partecipazione della massa della popolazione alle condizioni materiali, morali e intellettuali di una vita civile e all’esercizio del potere. Le risorse destinate a ridurle devono essere tanto maggiori, quanto maggiori sono le disuguaglianze nello sviluppo materiale, morale e intellettuale che persistono tra dirigenti e diretti, tra lavoratori intellettuali e lavoratori manuali, tra uomini e donne, tra adulti e giovani, tra città e campagna, tra settori, regioni e nazioni avanzate e settori, regioni e nazioni arretrate. Nel socialismo gli operai e gli altri lavoratori esercitano il potere partecipando all’attività del partito comunista e delle organizzazioni di massa ed eleggendo, come membri dei collettivi d’azienda o territoriali, i propri delegati, mettendoli alla prova e formandoli tramite l’esercizio del potere, revocandoli. Il sistema dei collettivi di base, costituiti nei luoghi di lavoro e territoriali, che eleggono, controllano e revocano i loro delegati, delle organizzazioni di massa a cui chiunque abbia un minimo di volontà può partecipare e a cui tutti sono sollecitati a partecipare, del partito comunista a cui i più energici e generosi partecipano con il sostegno e sotto il controllo dei loro compagni di lavoro o d’abitazione, se guidato da una concezione e un metodo di lavoro giusti (la linea è il fattore decisivo e nessuna norma statutaria può garantire che sia giusta: solo la lotta di classe può assicurare che prevalga una linea giusta), promuove una crescente partecipazione delle masse popolari al potere e permette di epurare i dirigenti che si oppongono ai nuovi passi avanti verso il comunismo. Nei paesi socialisti il sistema politico borghese (pluripartitismo, periodiche campagne elettorali, assemblee rappresentative) permetterebbe ai dirigenti di gareggiare tra loro per conquistare il favore e il voto delle masse. Ma non offrirebbe alcun canale per promuovere la partecipazione di massa più ampia possibile all’esercizio del potere. Non permetterebbe alla massa di formarsi un’esperienza di esercizio del potere esercitandolo. Non permetterebbe alcun controllo reale, efficace e con cognizione di causa della masse sui dirigenti. Manterrebbe (o riporterebbe) le masse ai margini del potere. Consoliderebbe lo strato dirigente e favorirebbe la trasformazione dei dirigenti in una nuova classe, la borghesia specifica dei paesi socialisti. È ciò che i revisionisti sono riusciti a fare nei primi paesi socialisti e che li ha prima indeboliti politicamente e poi portati allo sfacelo. (1)

Quindi noi comunisti lottiamo per instaurare un sistema politico fondato 1. sui delegati eletti, controllati e revocabili da parte dei collettivi di base, formati nei luoghi di lavoro e territorialmente, 2. sulla partecipazione più ampia possibile e crescente all’attività delle organizzazioni di massa, 3. sulla partecipazione all’attività del partito comunista degli elementi più avanzati e più generosi. Tutto il sistema deve funzionare secondo il principio del centralismo democratico: elettività di tutti gli organismi dal basso in alto, obbligo di ogni organismo di rendere periodicamente conto della sua attività all’organismo che lo ha eletto e all’organismo superiore, severa disciplina e subordinazione della minoranza alla maggioranza, le decisione degli organi superiori nell’ambito delle loro competenze sono incondizionatamente obbligatorie per gli organi inferiori. La lotta di classe nell’intero paese e la lotta tra le due linee nel partito comunista offrono le uniche garanzie reali che nell’ambito di un tale sistema possa essere compiuta l’opera della dittatura del proletariato. Il partito comunista deve promuovere la lotta di classe nella società e la lotta tra le due linee nel partito.

 

Note

 

1. In proposito, vedasi M. Martinengo, I primi paesi socialisti , Edizioni Rapporti Sociali, 2003.

Costruire
in ogni azienda,
in ogni zona d’abitazione,
in ogni organizzazione di massa
un comitato clandestino del (n)PCI!