Dibattito Franco e Aperto

- Quelli come te, che conoscono tanti operai, che possono scrivere sui giornali, che vanno in TV devono rivolgersi agli operai e dire loro che è ora di alzare la testa ...

A proposito di un articolo di Giorgio Cremaschi
giovedì 11 dicembre 2008.
 

Pubblichiamo questo messaggio di Libero di Bologna, e alleghiamo ad esso, per aiutare il lettore, l’articolo di Cremaschi, pubblicato su Liberazione, che Libero stesso cita.

 

 

6 dicembre 2008

 

Cari compagni del nuovo PCI, sono piuttosto incazzato non solo perché è l’anniversario della strage degli operai della Tyssen-Krupp, ma anche perché ho letto l’articolo che Giorgio Cremaschi, quello della FIOM, ha scritto su Liberazione del 4 dicembre. Sono incazzato e mi vengono da dire molte cose. Le dico a voi perché, da quello che ho capito leggendo quello che scrivete sul sito e sulla vostra rivista, da questa campana ci sentite.

Spero che pubblicherete la mia lettera.

Allora. Dicevo che ho letto l’articolo di Cremaschi e mi sono girate le palle. Lui si lamenta di Tremonti, di Bonanni e di tutti quei signori che oggi vanno in giro con la faccia sconvolta per mostrarsi preoccupati della crisi e delle sorti del Paese. Giustamente, il Giorgio punta il dito contro Confindustria, contro le banche, contro i padroni che licenziano. Denuncia il fatto che milioni di famiglie si trovano e sempre più numerose si troveranno a non sapere letteralmente come fare a campare. Milioni di licenziamenti in ogni paese ricco! E io aggiungo: da una parte ci sono migliaia di famiglie, milioni di operai, di proletari che faranno la fame e dall’altra i padroni, il papa e la sua congrega, i tirapiedi dei signori che continuano impunemente a fare la loro bella vita.

Poi il Giorgio conclude che bisogna chiedere a questi personaggi di smettere di fare quello che fanno. Ma se lo fanno, sarà pure perché è nei loro interessi, no? Non è perché sono bastardi dentro, anche se molti lo sono anche.

No, caro Giorgio, non è a loro che dobbiamo “rivolgerci” (come sei delicato con questi aguzzini!). Non a Confindustria, alle associazioni (dei padroni), alle imprese, alle banche e agli amministratori. Questi qui non faranno altro che farci sprofondare ancora di più nel fango. Quelli come te, che conoscono tanti operai, che possono scrivere sui giornali, che vanno in TV, devono rivolgersi agli operai e dire loro che è ora di alzare la testa, ma non per chiedere dei favori ai padroni, ma per mandarli al macero! Proprio come loro vorrebbero fare con noi.

Quelli come te, se sono capaci di raccontarla ancora a un buon numero di operai, è meglio che la raccontino giusta, altrimenti danno una mano ai padroni, li aiutano a tenere sottomessi e impotenti tutti coloro che invece potrebbero mandarli a gambe all’aria.

Ma un dirigente sindacale, per dire queste cose a noi operai, oltre che crederci deve anche essere deciso a lottare con noi, a organizzare la lotta, a dirigerla fino alla vittoria. Altrimenti continua a fare da filtro tra noi e i padroni, a pregare loro di fare quello che non faranno mai perché, appunto, sono padroni, perché sarebbe contro i loro interessi.

Se tu ti limitassi a questo ruolo, diventeresti come tanti intellettuali di sinistra (borghesi), che non osano schierarsi decisamente con noi operai.

Ci troviamo in una situazione impossibile, da cui bisogna saltare fuori in qualche modo. Per quello che ho studiato io di storia, mi pare che ci avviciniamo sempre più ad una guerra civile, come dite anche voi del Partito. Non so se averne paura oppure no. Io ho una moglie e una figlia. Sono preoccupato. Però mi dico anche: se non ora, quando? Non è forse il momento che ci prendiamo in mano quello che è nostro, che noi operai abbiamo costruito con le nostre mani e lo facciamo funzionare come sappiamo noi, per i nostri interessi e per gli interessi di tutti i lavoratori? Non è forse ora che ci solleviamo, come tante volte quelli come noi hanno fatto nella storia passata, e prendiamo in mano la società?

Io, per conto mio, non credo di saper far funzionare tutte le cose. Ma stupido non sono. Come funziona la mia fabbrica lo so. Con i miei compagni possiamo farla andare bene, soprattutto se non dobbiamo farlo per riempire le tasche al padrone. Operai come noi ce ne sono milioni. E in ogni caso, se anche qualcosa non lo sappiamo fare, un po’ alla volta impereremo. Mi sa che difficilmente faremo peggio di quelli che ci hanno condotto in questo disastro.

Ecco. Io non ho i canali e le conoscenza di Cremaschi. Però mi metto in gioco e spero che il nuovo PCI, oltre a pubblicare questa mia lettera, continui a dirla giusta e a dirla sempre più in lungo e in largo. Fino a che non ci uniremo e faremo la rivoluzione. Perché è questa che ci vuole!

 

Libero, di Bologna


ALLEGATO

Da Liberazione del 4 dicembre 2008

Fermate questo massacro Lo ha affermato timidamente il Presidente dalla Camera: sarebbe meglio che le imprese non licenziassero. Naturalmente non se l’è filato nessuno, anche perché poi è probabile la smentita. Questa crisi sempre più velocemente rivela il suo volto feroce, brutale, di classe. E sono proprio i licenziamenti lo strumento principe che viene oggi utilizzato. Si licenziano i precari, si licenziano i lavoratori anziani, questo mentre Confindustria e Banca d’Italia chiedono di allungare ancora l’età pensionabile. Si licenziano i lavoratori nelle piccole aziende, in quelle in crisi, e anche in quelle che fanno ancora profitti. Si licenzia dappertutto. La Telecom ha annunciato migliaia di licenziamenti per tenere alta la quotazione del suo titolo, pagare la pubblicità così simpatica e divertente, garantire i profitti. Ancora una volta è il modello americano che avanza. Quello che fa preannunciare alla General Motors decine di migliaia di licenziamenti. L’America persevera. La crisi finanziaria è esplosa per la montagna di debiti inesigibili di lavoratori licenziati, precari, sottopagati, e ora si licenzia ancor di più. E’ veramente il meccanismo folle della crisi del ’29, quello che fece per anni somministrare all’economia le stesse ricette che l’avevano distrutta. Anche in Italia, al di là delle chiacchiere e degli scontri su Sky, avanza la distruzione dell’occupazione e del salario. Sempre più spesso sono intere famiglie che vengono precipitate nella disperazione. Mi è capitato di incontrare, nella ricchissima Vicenza, a un presidio di una fabbrica ferma (la Iar-Siltal), due lavoratori, marito e moglie, entrambi in cassa integrazione a zero ore.

Per il ministro Tremonti essi non hanno bisogno di nulla perché la somma dei loro redditi formali, cioè quelli garantiti da un anno di cassa integrazione lorda, supera il reddito familiare che dà diritto a un piccolo bonus fiscale. In realtà, siccome la cassa integrazione non viene anticipata a nessuno dei due, questi due lavoratori di Vicenza, con figli a carico, affrontano il natale con zero entrate. Magari la Telecom anticiperà il trattamento di mobilità o di Cassa, e allora sentiremo ministri e imprenditori sproloquiare sul fatto che ci sono lavoratori privilegiati rispetto ad altri. Dividere per licenziare meglio è una tecnica antica, che oggi viene rinnovata e resa più sofisticata. Pochi giorni fa, all’hotel Marriott di Milano, una società di consulenza ha tenuto un seminario per manager per illustrare le migliori e più moderne tecniche di licenziamento. Non sappiamo quanti abbiano partecipato al nobile incontro, ma i risultati li vediamo già.

Ci sono milioni di famiglie, di operai e impiegati, che sono sulla soglia del fallimento. Perché se un reddito familiare già oggi è tirato e non copre tutte le spese fino alla fine del mese, basta una sola cassa integrazione, e ancor di più un licenziamento, perché la famiglia non sia più in grado di pagare nulla: mutui, rate, spese scolastiche, debiti vari. Per la Cisl c’è il rischio di 900 mila licenziamenti (a proposito, caro Bonanni, allora lo sciopero del 12 le sue ragioni ce le ha?), c’è un milione di famiglie che rischia il fallimento immediato. Alla sola ipotesi che le banche potessero avere dei problemi (non fallire, ma semplicemente avere dei problemi...), il governo ha sventolato una garanzia di venti miliardi di euro. Cosa si fa per quelle famiglie che non possono certo portare i libri in tribunale, ma devono solo rinunciare, dalla sera alla mattina, alla vita faticosamente costruita? Questa è la distruzione creatrice che i cialtroni di varie scuole esaltano, bene: è giunto il momento di fermarla. Bisogna rivolgersi alla Confindustria, alle associazioni delle imprese, alle banche, agli amministratori delegati, alle aziende pubbliche e private: care signore e cari signori, prima di tutto fermate i licenziamenti, altrimenti aggraverete una crisi che noi non abbiamo alcuna intenzione di pagare.

 

Giorgio Cremaschi