La Voce 28 - marzo 2008

03.07 - CAT: critica, autocritica, trasformazione

Problemi di metodo
mercoledì 5 marzo 2008.
 
Il fattore decisivo del consolidamento e rafforzamento del Partito è un livello superiore di assimilazione del materialismo dialettico come metodo per conoscere il mondo e come guida per trasformarlo

Riconoscere apertamente che si è commesso un errore, che nel proprio lavoro vi è una lacuna, una carenza, che si ha una tendenza o un comportamento sbagliati, che si ha difficoltà ad essere all’altezza dei propri compiti, a fare quello che si riconosce necessario (la critica, l’autocritica e la trasformazione non riguardano solo il lato che ci rende in questo o quel campo arretrati rispetto ai nostri compagni; riguardano anche ciò che non ci permette di essere all’altezza dei compiti d’avanguardia che dobbiamo svolgere), è importante: per chi lo fa e per l’unità con i propri compagni, quindi per l’unità del collettivo. Non basta rendersi conto della cosa: è importante anche riconoscerla pubblicamente, apertamente: con il proprio collettivo, con i compagni che sono stati in un modo o nell’altro, per un verso o l’altro testimoni o partecipi della cosa. Rende attivi i nostri compagni nell’aiutarci a meglio comprendere, a sostenerci nella trasformazione, a mobilitarsi per trasformare se stessi. Rafforza la mobilitazione e l’unità del collettivo, del Partito e delle masse. Lo rende più dinamico.

Ma questo è solo il primo passo. Per noi comunisti, per adempiere al nostro compito storico di spingere in avanti la lotta di classe del proletariato e delle altre classi sfruttate e la lotta dei popoli oppressi fino all’instaurazione del socialismo e al comunismo, conoscere il mondo è solo il primo passo per cambiarlo, la conoscenza è un mezzo per cambiare il mondo. La nostra conoscenza deve quindi essere costruttiva, tale da fornire strumenti per rendere efficace la no- stra azione per trasformare il mondo. Il comunismo contemplativo, il determinismo, il fatalismo, l’attendismo sono piaghe e deviazioni del movimento comunista. La rivoluzione socialista non è un processo spontaneo, né un avvenimento casuale, qualcosa che “scoppia”, il frutto di molti e diffusi combattimenti in ordine sparso. Al contrario è il prodotto della volontà concentrata e dell’azione cosciente, il risultato dell’attuazione di una strategia, di un programma e di un piano, è l’opera delle masse organizzate e dei comunisti uniti nel Partito. Si avvale del movimento spontaneo, non potrebbe compiersi senza una diffusa attività spontanea, ma è dell’azione cosciente e organizzata che “usa” la spontaneità che i comunisti devono occuparsi. Lasciamo ai contemplativi la contemplazione del movimento spontaneo. Lasciamo ai codisti l’accodarsi al movimento spontaneo. Un criterio analogo vale per il progresso, la trasformazione degli individui e degli organismi. È la coscienza l’elemento dirigente, non lo stato d’animo, il desiderio, l’aspirazione, l’inclinazione. La coscienza deve dirigere la trasformazione.

L’autocritica, anche pubblica, se non apre la via alla trasformazione, alla lunga diventa demoralizzante, un fattore di sfiducia e di disgregazione, conferma la condizione di impotenza in cui la borghesia cerca di tenere il proletariato e il resto delle masse popolari, rafforza la convinzione che è impossibile trasformare il mondo, eliminare l’ordinamento sociale esistente e sostituirlo con un nuovo superiore ordinamento sociale. Diventa pianto, commiserazione, lamento: una lagna.

Quindi dobbiamo

1. comprendere più a fondo possibile, andando tanto più a fondo quanto più siamo capaci, le cause interne (insite nella nostra esperienza, nella nostra formazione, nella nostra vita, nella nostra concezione del mondo, nella nostra psicologia, ecc.) ed esterne (derivanti dall’ambiente e dalle circostanze) del nostro errore, della nostra lacuna, della nostra tendenza sbagliata, del nostro comportamento sbagliato, di quello che ci frena nell’essere d’avanguardia, di quello che ci impedisce di fare quello che la nostra coscienza comprende già che è necessario;

2. definire cosa faremo per correggere l’errore, colmare la lacuna, superare il limite, contrastare la tendenza sbagliata ed evitare il comportamento sbagliato, arretrato, rimuovere l’ostacolo: insomma darci un programma (azioni da compiere, criteri da adottare, ecc.) per trasformarci.

In ognuno di noi vi sono tendenze contraddittorie. Il divenire dell’uomo è frutto di contraddizione tra quello che si è e non si sarà più e quello che ancora non si è e si sarà. Ognuno di noi incarna il contrasto tra le classi fondamentali della nostra epoca, tra le due vie e le due linee. Ogni comunista lo incarna in modo particolare, dato il ruolo che egli vuole svolgere nella trasformazione del mondo. Chi vuole essere comunista, ma non vuole trasformarsi, non è ancora sulla buona strada. Considerate ad esempio un giovane ribelle verso questo o quell’aspetto dell’ordinamento sociale borghese, come attualmente ce ne sono molti (ne parla il compagno Claudio Grassi nell’articolo La mobilitazione per il socialismo dei giovani della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari nel n. 20 di La Voce ). Solo se si propone di trasformarsi in comunista, se combatterà consapevolmente contro la sua natura di “ribelle sociale” per diventare un promotore e dirigente della rivoluzione socialista (questo è un comunista), quindi solo se attuerà un processo di “negazione della negazione”, (1) diventerà effettivamente un comunista. Lo stesso vale per una donna che per amore dei suoi figli si ribella a quello a cui l’ordinamento sociale borghese li condanna. Diventare comunista per lei comporta tra l’altro anche in un certo senso “staccarsi dai suoi figli per fare la rivoluzione”. Più crede di essere già una comunista, più lentamente lo diventerà, forse non lo diventerà mai. Opporsi al sistema attuale non è ancora essere comunista. Lo stesso vale per un sindacalista, per il promotore di lotte rivendicative, di azioni di difesa. Diventare comunista vuol dire assumere un atteggiamento, una coscienza e un ruolo diversi: diventare dirigente dei propri compagni in una lotta offensiva contro la borghesia per eliminarla, diventare disposti a ogni sacrificio per vincere. Ognuno di noi, in particolare ognuno di noi comunisti, è un’unità di opposti. Se partecipiamo alla rivoluzione, nel corso della nostra vita più volte dovremo consapevolmente operare per fare in modo che in noi “l’uno si divide in due”. “Ogni affermazione di qualcosa è negazione di qualcosa d’altro”. Dobbiamo riconoscere questo contrasto in noi stessi e prendere decisamente posizione a favore del temine che rappresenta il futuro, il comunismo, la lotta per instaurare il socialismo, il polo che cerca di affermarsi contro il polo che rappresenta il passato, la società basata sulla divisione in classi e l’oppressione di classe, il capitalismo o le altre società del passato, il polo che frena la nostra partecipazione alla rivoluzione, che la ostacola, ce ne distoglie.

La conoscenza del nostro lato oscuro, sbagliato, legato alla società attuale, negativo, di per se stessa non lo cancella, per quanto a fondo vada questa conoscenza (eziologia dei comportamenti, delle tendenze e degli stati d’animo, psicanalisi, ecc.). L’azione che cancella, limita, attenua il nostro lato negativo è la lotta per rafforzare il nostro lato positivo che cerca di affermarsi contro il nostro lato negativo che resiste. In generale, specie quando il vento della rivoluzione è debole, è la lotta per attuare la nostra scelta consapevole, cosciente, contro la nostra “pancia”, le nostre “viscere”, le nostre paure, il desiderio di quieto vivere, l’appagamento e la rassegnazione, che vi si oppongono. Il contrario di quello che indicano i detti “va dove ti porta il cuore”, “fin che la barca va, lasciala andare”. Quaranta anni fa nel nostro paese molti giovani delle famiglie borghesi e piccolo-borghesi si ribellarono alla disciplina che serviva alla borghesia per imporre il proprio potere alle classi sfruttate e ai popoli oppressi (“domani dovrete comandare: per saper comandare domani, oggi dovete imparare ad obbedire”, insegnavano i borghesi ai loro rampolli nelle scuole e accademie per l’elite). Rotta la disciplina borghese, gli stessi giovani si trovarono di fronte al compito di darsi una nuova diversa disciplina (ancora: la negazione della negazione). Fu uno dei fattori per cui il “movimento del ‘68” fallì, non riuscì a imboccare l’unica strada progressista che gli si apriva davanti, diventare nuovo movimento comunista e oggi la borghesia sta demolendo anche i passi che esso aveva compiuto, sta facendo la sua “negazione della negazione”.

Pensare, proporsi, cercare di eliminare il lato negativo senza rafforzare, imporre il lato positivo, come se il lato negativo fosse solo un ostacolo da rimuovere, da sciogliere, fatto il ché il positivo dominerebbe, è metafisica. Il negativo con cui dobbiamo farla finita ha avuto la sua ragion d’essere e il suo ruolo. Il positivo non domina ancora, è solo in via di nascita e di affermazione, è allo stato potenziale, esistono solo i presupposti perché si sviluppi. Possiamo soppiantare il negativo, ma solo se rafforziamo il positivo perché si imponga e ne occupi il posto come nuovo centro della nostra personalità, diventi il nuovo elemento dominante della nostra coscienza, formatore della nostra spirito, ispiratore e direttore del nostro comportamento. Solo se si afferma qualcosa di positivo si riesce a cancellare quanto è negativo, arretrato. Non si tratta di ripulirsi di un po’ di fango e rimettersi a lucido. Noi non siamo “lucidi” sotto un po’ di fango; non siamo, per usare le parole dei preti, “figli di Dio che ritornano a Dio”. Si tratta di trasformarci in quello che non siamo, in quello che non siamo mai stati, di superare il nostro stato attuale. Ancora: “l’uno si divide in due”. Qualcosa di nuovo si sviluppa nella nostra personalità e diventa preminente e qualcosa va a morire. Più ancora che dire quello che bisogna smettere di essere (economicista, spontaneista, generico ribelle sociale, puramente rivendicativo, ecc.), è importante indicare e fissarci cosa vogliamo diventare (rivoluzionario, comunista, dirigente del processo di trasformazione del mondo). Per soffocare il negativo, l’arretrato, bisogna soprattutto sviluppare il positivo, l’avanzato. In generale questo processo non avviene in noi spontaneamente, specie quando il vento della rivoluzione è debole, non ci trascina: è il caso di oggi. È un’operazione dolorosa che ogni comunista deve compiere su se stesso. I compagni, il collettivo, le masse ci aiutano, ma in definitiva ognuno di noi è l’autore della propria trasformazione.

La trasformazione dell’individuo non è spontanea, così come non lo è la rivoluzione socialista nel suo insieme. Le circostanze esterne, la società, l’ambiente, il collettivo, il compito che ci è assegnato possono favorirla od ostacolarla, ma la contraddizione interna è principale. Tanto meno è una cosa spontanea la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Al contrario si tratta di una strategia “elaborata a tavolino” studiando l’esperienza: come ci ha insegnato a fare Lenin ( Che fare? ). Le masse popolari faranno la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata solo se i comunisti la vorranno con tutte le loro forze, altrimenti subiranno l’iniziativa della borghesia come è avvenuto nel passato. Con questa strategia i comunisti accolgono e “utilizzano” la spontaneità delle masse, ma la sviluppano e la trasformano in guerra. In definitiva la trasformazione di cui abbiamo bisogno è il frutto di una lotta che la coscienza orienta, favorisce, accelera. Senza coscienza rivoluzionaria, non si riesce a svolgere un ruolo rivoluzionario. La critica dei nostri compagni ci aiuta a formare la nostra coscienza. La loro critica e il loro esempio ci sostengono e stimolano nella lotta.

In conclusione la trasformazione è il risultato di una lotta. La coscienza (la conoscenza) indica l’orientamento, le circostanze, il metodo e gli strumenti della lotta per trasformarci e trasformare.

Umberto C.

 

NOTE

 

1. La natura di “ribelle sociale” del giovane è quello che lo fa aderire al movimento comunista. In questo il ribelle sociale nega l’ordinamento sociale borghese: il movimento comunista è il processo di trasformazione dell’ordinamento sociale esistente, della sua negazione. Allo stesso tempo l’adesione al movimento comunista determina la negazione del ribelle sociale (negazione della negazione) perché trasforma il giovane ribelle in giovane comunista: lo eleva da elemento spontaneo a protagonista cosciente e organizzato della rivoluzione.