La Voce 15

Lettera aperta alla redazione di Rosso XXI

venerdì 16 maggio 2003.
 

Cari compagni,

l’articolo Primi elementi di un bilancio necessario di Leonardo Mazzei pubblicato nel n. 12 (settembre 02) di pone in modo anche a nostro parere (intendo dire a parere dei redattori di La Voce ) giusto il compito dei comunisti di oggi. Chi lotta per la rinascita del movimento comunista oggi deve "mettere al primo posto il contenuto" e fondare l’aggregazione attualmente possibile dei comunisti principalmente come "ambito del confronto sulle prospettive politiche e strategiche dei comunisti". Oggi vale la consegna: prima di unirsi bisogna delimitarsi!

Il movimento comunista, il movimento che supera la società borghese ("lo stato attuale delle cose"), sotto la bandiera del marxismo nella seconda metà del secolo XIX ha guidato il proletariato dei paesi capitalisti a costituirsi come classe e a scatenare una lotta contro la borghesia che da allora è diventata il centro della vita politica e culturale dei paesi capitalisti. Nei primi decenni dell’epoca imperialista il movimento cosciente e organizzato del proletariato attraversò una grave crisi a causa del prevalere, nei suoi maggiori partiti, dell’opportunismo (che allora non era una generica qualifica negativa, ma una ben definita corrente politica e ideologica): la crisi venne a suppurazione nel fallimento della II Internazionale nel 1914, che Lenin a ragione definì "il fallimento dell’opportunismo" (Lenin , La situazione e i compiti dell’Internazionale Socialista , 1° novembre 1914). Nel 1917 vi fu, nell’anello debole della catena imperialista, la prima rivoluzione proletaria vittoriosa e nel breve giro dei successivi 40 anni il movimento comunista divenne direzione di un terzo dell’umanità e suscitò in ogni angolo del mondo suoi partigiani organizzati, numerosi e accaniti. Il fantasma che circa 150 anni fa, nel 1848, si aggirava per l’Europa, 50 anni fa era diventato la maggiore potenza politica mondiale. La prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale sembrava anche ai suoi stessi nemici irresistibile. Infatti essi si chiedevano: "Meglio rossi o morti?". Mai nella storia dell’uomo un movimento politico e culturale aveva avuto un successo così vasto e così folgorante. Poi a partire dalla seconda metà degli anni ‘50, a causa del prevalere delle posizioni del revisionismo moderno nella sua parte più avanzata, il movimento comunista ha avuto circa 30 anni di decadenza fino al crollo, alla fine degli anni ‘80, in tutto il mondo di gran parte delle istituzioni create nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria.

È inevitabile oltre che necessario che i comunisti si interroghino sui motivi della decadenza del movimento comunista iniziata nella seconda metà degli anni ‘50. È una questione di importanza decisiva per la natura e l’utilità di ogni dibattito dei comunisti riconoscere il periodo di decadenza che c’è stato tra la fine degli anni ‘50 e la fine degli anni ‘80 e che ha portato al crollo del 1989-1991, che è stato lo sbocco di quel processo di decadenza, è stato "il crollo del revisionismo moderno". Il dibattito attuale dei comunisti è lo sviluppo e verosimilmente la conclusione del dibattito iniziato nel movimento comunista negli anni ‘50 (Prima e Seconda Conferenza di Mosca rispettivamente del 1957 e del 1960) contro la svolta che i revisionisti moderni insediati alla testa del movimento comunista gli avevano impresso. II crollo della fine degli anni ‘80 è lo sbocco di quella svolta. Nessun comunista serio può accettare di parlare del crollo del 1989-1991 senza neanche porsi il problema se per caso esso non abbia qualcosa a che fare con la svolta della seconda metà degli anni ‘50 e con la decadenza graduale che l’ha seguita. Sorvolare sulla svolta degli anni ‘50 è il procedimento normalmente seguito dai demagoghi anticomunisti che usano il crollo del 1989-1991 come sanzione pratica e irrefutabile della condanna dell’intera storia del movimento comunista almeno a partire dal 1917. "Una storia di errori e orrori", dice Bertinotti al seguito di Berlusconi, del Papa e di tutti i caporioni della borghesia.

In realtà la decadenza del movimento comunista non è iniziata nel 1991, alla fine del cosiddetto "secolo corto". La decadenza del movimento comunista è iniziata alla fine degli anni ‘50 con l’avvento al potere proprio in URSS, nella parte più avanzata del movimento comunista, di quella corrente che è stata chiamata "revisionismo moderno", impersonata internazionalmente da Kruscev. Essa è stata fin da allora denunciata dall’interno del movimento comunista. La denuncia non è bastata a interrompere la decadenza e certamente bisogna chiedersi il perché anche di questo. Chiarito che si tratta di capire e risolvere i motivi del periodo di decadenza del movimento comunista iniziato alla metà degli anni ‘50, resta fermo che la rinascita del movimento comunista sarà possibile solo a condizione che i comunisti individuino e pongano rimedio ai motivi della decadenza. Così fu anche nella precedente crisi che il movimento comunista attraversò dal 1890 fino all’esplosione del bubbone opportunista nel 1914. Il movimento comunista infatti rinacque non con il "ritorno a Marx" auspicato dalla "Internazionale due e mezzo" di Friedrich Adler & C, ma sotto la bandiera del marxismo-leninismo.

Solo man mano che spiegano in maniera giusta i motivi che hanno permesso l’avvento dei revisionisti moderni alla direzione del movimento comunista e vi pongono rimedio, i comunisti riescono a procedere oltre e la rinascita del movimento comunista diventa possibile. II mondo è entrato in una fase di universale sconvolgimento. In questo sconvolgimento emergono gruppi dirigenti, partiti e individui come i gruppi fondamentalisti islamici che non hanno alcuna possibilità di portarlo alla vittoria. Emergono perfino gruppi dirigenti, partiti e individui che lo portano a diventare mobilitazione reazionaria delle masse. Ma i comunisti si fanno ancora strada a fatica e solo in alcuni paesi oppressi la rinascita del movimento comunista è ai suoi inizi. Per questo il "confronto sulle prospettive politiche e strategiche dei comunisti" è ancora il suo aspetto principale.

Oggi, cercare l’aggregazione dei comunisti senza porre anzitutto il contenuto del comunismo (concezione del mondo, metodo, analisi della situazione, linea), implica subordinazione ideologica e teorica alla cultura dominante, che oggi è ritornata ad essere quella della classe dominante. Finché il contenuto attuale del comunismo non è abbastanza definito, l’aggregazione dei comunisti possibile e necessaria è quella funzionale all’elaborazione del contenuto e al confronto su di esso, fino ad avere posto le fondamenta teoriche sufficienti per ricostituire il partito comunista. Nonostante tutta la buona volontà e tutta la pigrizia mentale, non è possibile altro. L’aggregazione dei comunisti non può iniziare che sul contenuto, prima di diventare nuovamente partito dell’avanguardia organizzata della classe operaia, movimento politico di classe. Tutta la storia dei comunisti italiani e degli altri paesi imperialisti, dopo che negli anni ‘50 nella parte allora più avanzata del movimento comunista prevalse il revisionismo moderno, conferma questa verità. Tutti i tentativi compiuti dai comunisti da quaranta anni a questa parte di aggregarsi senza aver risolto ed eludendo i problemi del contenuto (il movimento marxista-leninista e dintorni) sono falliti e falliscono. Senza teoria rivoluzionaria il movimento comunista come movimento pratico, di trasformazione dello stato presente delle cose, non può svilupparsi oltre un livello elementare e spontaneo. Come ben dice sempre L. Mazzei, chi procede ad aggregarsi senza preoccuparsi del contenuto, implicitamente considera il contenuto come preesistente, come qualcosa di scontato, da recuperare all’interno della variegata storia dei comunisti e considera la decadenza come un evento capitato chissà perché (e lascia spazio a chi proclama o suggerisce che è capitato perché "il comunismo è in sé sbagliato", perché "il comunismo è impossibile"). In realtà resta ancorato ad un "giudizio strategico sul PRC" e sul revisionismo moderno non di rottura, come invece lo stesso L. Mazzei giustamente esige nella sua prima discriminante. E questo sia che ci si rifaccia alla corrente revisionista (togliattiana) del PCI sia che ci si rifaccia alla corrente di sinistra (P. Secchia) del PCI. II contenuto di cui abbiamo bisogno oggi non si trova nel vecchio movimento comunista. Se ci fosse stato, diventerebbe inspiegabile il successo dei revisionisti moderni negli anni ‘50 del secolo scorso e del loro lavoro di corruzione e disgregazione fino al crollo della fine degli anni ‘80.

Ben venga quindi il confronto tra i comunisti sui fondamenti e sugli obiettivi della loro azione, senza remore e senza reticenze ad affrontare tutti i problemi che si pongono sul tappeto per definire le fondamenta dell’attività dei comunisti nel mondo di oggi.

Però... occorre mettere un però. La sua necessità è confermata anche da come ha iniziato a svolgersi il dibattito e il confronto sulle pagine di Rosso XXI . Se l’aggregazione senza il contenuto è un’illusione prima di essere un errore, il "dibattito senza obiettivo" è per sua natura accademico. Lascia via libera a ogni tipo di intrusioni, dispersioni, provocazioni e deviazioni. Diventa il regno dei perdigiorno e dei sofisti che nelle società imperialiste abbondano: sono una componente, per dirla con Preve, del CPA - Campo Pluralistico Amministrato (della borghesia imperialista, aggiungo io). Visto alla luce dei compiti che la situazione pone a noi comunisti, un dibattito senza obiettivo è un favore fatto alla borghesia, resta fenomeno ideologicamente subordinato alla borghesia, è un fenomeno interno al CPA di Preve. Noi comunisti dobbiamo "delimitarci per unirci". Dobbiamo studiare e discutere per trovare gli strumenti atti a svolgere i nostri compiti politici. Dobbiamo studiare e discutere per chiarire tutti i problemi che non ci sono già chiari o che la pratica del movimento comunista ha messo all’ordine del giorno, per comprendere la situazione in cui operiamo Perché per trasformare il mondo borghese dobbiamo conoscerlo, ma conosciamo per trasformare. Chi non tiene conto di questo secondo elemento, tra qualche anno, se ancora si chiamerà comunista e se altri non avranno comunque risolto il problema aprendo così la via alla nuova ondata della rivoluzione proletaria, si ritroverà mestamente a constatare che anche la discussione (senza obiettivo) non ha portato da nessuna parte. Preve giustamente distingue coscienza etica e morale (Gewissen) da consapevolezza filosofica e scientifica (Bewusstsein). Ma occorre anche aggiungere che i comunisti sono tra tutti i proletari quelli che "conoscono le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario" perché sono "la parte più risoluta (...) quella che spinge sempre avanti" (dal Manifesto del partito comunista del 1848). La conoscenza è uno strumento per agire ed è l’azione che spinge i comunisti a conoscere perché per essere efficace ha bisogno della conoscenza. Dobbiamo cioè studiare e discutere per definire la concezione del mondo, il metodo di pensare e agire, il programma, l’analisi della situazione, la linea del futuro partito comunista.

Il crollo del 1989-1991 non è stato l’inizio della crisi del movimento comunista, ma ha però spalancato la porta a quanti erano ansiosi o propensi a salutare la morte del comunismo. Sono spuntati da ogni parte individui in qualche modo per la loro storia legati al movimento comunista sconfitto che si sono messi a fare eco alle grida di vittoria dei nemici di sempre del movimento comunista. "Non bisognava prendere le armi!". "Non bisognava prendere il potere!". "Non bisognava sfidare la borghesia!". "È stata tutta una storia di errori e di orrori!". Così successe anche dopo la sconfitta della Comune di Parigi. Così successe anche dopo la sconfitta della rivoluzione russa del 1905. Così succede dopo ogni sconfitta del movimento comunista. Chi si perde d’animo si accoda agli anticomunisti. La morte del marxismo è stata nuovamente proclamata e certificata con la "prova irrefutabile dei fatti". Con un salto solo apparentemente paradossale, chi non rompe radicalmente con il revisionismo moderno che ha corrotto e corroso il movimento comunista fino a portarlo al crollo, finisce con l’accettare la compagnia di individui che negano e rifiutano tutto il movimento comunista, come Costanzo Preve. Chi non combatte la malattia, rifiuta la vita.

Certamente se fosse impossibile dare risposta sulla base del marxismo alla questione della decadenza del movimento comunista iniziata negli anni ‘50, allora (e solo allora) bisognerebbe mettere in discussione l’intero patrimonio che ha guidato il movimento comunista. Tuttavia anche in questo caso resterebbe comunque da spiegare perché il movimento comunista durante la prima ondata della rivoluzione proletaria ha sconvolto il mondo, visto che non crediamo nei miracoli della madonna di Fatima, nell’effetto rivoluzionario delle macchie solari e nemmeno che i successi del movimento comunista siano frutto del fatto che i comunisti non s’erano accorti che il marxismo era una teoria campata in aria. Ma, come dice giustamente Pierangelo Scatena ( Rosso XXI n. 13, pag. 65), "è corretto esaminare se i fenomeni che ci appaiono anche come elementi di novità possono essere spiegati con le categorie che già possediamo e che sono state efficacemente applicate e sperimentate" prima di associarsi alla centesima dichiarazione di morte del marxismo, sia pure non nella forma sguaiata e becera di Giuliano Ferrara, ma nella forma dotta e sofisticata del "dubbio iperbolico" usata da Preve. II desiderio di spazzar via il marxismo come dottrina e come metodo è sempre stato coltivato sia da laici che da preti. È dalla fine del secolo XIX che la sua morte viene dichiarata da quanti la auspicano. La sostanza non cambia solo perché Preve (forse) si dichiara comunista. Anche Bernstein si dichiarava socialista. Anche Kruscev si dichiarava comunista. E la lista potrebbe allungarsi. Anche perché quel marxismo, che Preve dichiara morto o che dichiara essere compreso da lui solo (ma praticamente le due cose si equivalgono), ha pure guidato anche la fase di espansione del movimento comunista, i suoi successi e le sue vittorie. O Preve assume come bilancio del movimento comunista le tesi del Libro nero del comunismo e di Berlusconi? Ma allora perché si dice comunista se non per aver diritto di intorbidare il dibattito dei comunisti?

Essere comunisti oggi significa pure qualcosa. Non a caso ci diciamo comunisti, eredi e continuatori dell’esperienza del movimento comunista. Per nessuno di noi la storia inizia con noi. "Il bilancio che non viene mai fatto" (di cui parla L. Mazzei) è il bilancio del movimento comunista, dei suoi circa 150 anni di storia, comprensivi della sua gestazione nella seconda metà del secolo XIX, della sua crisi alla fine dello stesso secolo, del suo folgorante sviluppo nella prima metà del secolo XX e della sua decadenza nella seconda metà dello stesso secolo: è il bilancio per fare ancora dei comunisti la parte che "spinge sempre in avanti". Questo bilancio nel campo degli eredi e continuatori del movimento comunista è iniziato fin dalla metà degli anni ‘50, ovviamente nella zona allora meno avanzata del movimento comunista, perché la sua parte allora più avanzata era nelle mani dei revisionisti moderni che altrimenti non avrebbero potuto far deragliare il complesso del movimento. Esso ha oramai raggiunto risultati importanti. È con questi risultati, non con le grida più o meno dotte dei seppellitori del comunismo e del marxismo, che la redazione e i lettori di Rosso XXI devono confrontarsi. Non è vero che quel bilancio "non viene mai fatto". È vero che bisogna discuterlo più ampiamente, bisogna diffonderlo, perché solo man mano che diventa guida dell’azione delle masse una teoria giusta diventa una forza materiale e può quindi conquistare per sé anche la conferma definitiva della pratica.

Ma chi si associa ora al lavoro per la ricostruzione del partito deve superare le resistenze a prendere in considerazione il bilancio che è stato fatto dai comunisti. Deve rompere radicalmente con la corrente che ha guidato il movimento comunista nella sua decadenza, con il revisionismo moderno: non solo con il suo sbocco del 1989-1991. Se non si rompe radicalmente (ideologicamente e non solo politicamente) col PRC e con il revisionismo moderno, se si rifiuta di considerare la risposta data dai comunisti e si assume invece come contributo al bilancio del movimento comunista e come "confronto sulle prospettive politiche e strategiche dei comunisti" la negazione del vecchio e di ogni futuro movimento comunista che si presenta nella persona di dotti individui come Costanzo Preve, non si farà che procedere di delusione in delusione fino alla rassegnazione.

Con Preve, visto che si è presentato e da alcuni compagni è stato accettato come "fondatore del contenuto", bisogna tuttavia fare i conti e la cosa è tutt’altro che difficile. Infatti Preve, nei suoi interventi pieni di sprezzanti ingiurie per chi non condivide il suo alto pensiero anticomunista e vuole conservare la sua identità di classe e di comunista, o propone il ritorno alla metafisica pretesca o si costruisce un marxismo da caricatura per trionfare demolendolo o confonde le acque con sofismi che, è noto, si possono sempre accampare sia contro sia a favore di qualsiasi tesi. Vediamo per sommi capi il pensiero di Preve:

1. Preve non è un prete, ma la "natura umana" che Preve ripropone è la versione laica della teoria primitiva dell’anima di cui i preti e altri portavoce delle classi sfruttatrici hanno fatto un ridotto che a ragione difendono a spada tratta. Infatti dire "natura umana" apre la via a "ordine naturale" della società. Né salva Preve la trovata di indicare il comunismo come "liberazione e compiuta realizzazione" terrena della sua natura umana al posto della "salvezza eterna": la futura "fine della storia" secondo la dottrina di Preve. Il comunismo, come ben spiegarono Marx ed Engels, più modestamente e meno pretescamente pretende solo di trasformare la società borghese ("lo stato attuale delle cose") realizzando le possibilità, le necessità e le aspirazioni che non la "natura umana" posta da Dio all’inizio dei tempi, ma lo sviluppo delle forze produttive materiali e spirituali prodotto nell’ambito del capitalismo stesso ha suscitato.

2. Preve vuole mettere voce nella polemica a proposito della conversione dei valori di scambio delle varie merci (cioè dei rapporti tra le quantità di lavoro socialmente necessario per produrre le varie merci) in prezzi delle stesse. Ma la elude contrapponendo il valore al rapporto di produzione. Ora è noto a chiunque abbia studiato fino alla fine anche solo il primo capitolo del primo volume di Il Capitale che il valore è un rapporto di produzione. Precisamente è il rapporto di produzione che intercorre tra produttori indipendenti l’uno dall’altro che entrano in contatto come protagonisti dello stesso sistema di produzione solo quando scambiano i loro prodotti. Proprio per questa reciproca indipendenza il rapporto tra questi produttori appare a ognuno di essi nella veste di una misteriosa proprietà che i loro prodotti manifestano nella vita della società: proprietà che viene chiamata valore.

3. Preve nega le limitazioni allo sviluppo delle forze produttive poste dal capitalismo e quindi la contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione fondante del materialismo storico. A questo fine chiama in causa l’evidente sviluppo delle forze produttive che avviene anche nella fase decadente del capitalismo. Tace però sulle concrete limitazioni allo sviluppo possibile delle forze produttive che nella società attuale sono altrettanto evidenti: la restrizione al campo militare dell’applicazione delle conquiste più avanzate della scienza e della tecnica, l’arretratezza tecnologica del mare di piccole e medie imprese, il finanziamento pubblico a cui la borghesia deve ricorrere per sostenere in qualche misura la ricerca pura e applicata, le limitazioni poste dalla proprietà privata (brevetti, copyright, royalty, ecc.) all’impiego di ritrovati e di innovazioni e persino alla conoscenza, l’opposizione che la borghesia suscita nelle masse all’applicazione universale di innovazioni tecniche e organizzative, l’enorme spreco di uomini e di cose, ecc.

4. Preve nega il "carattere intermodale della classe operaia", cioè la capacità della classe operaia di assumere la direzione del resto delle masse popolari e di guidarle a realizzare la società comunista. A questo fine non solo ignora le riflessioni che hanno portato Marx e i marxisti a riconoscere l’identità tra lo specifico bisogno degli operai di emanciparsi, in quanto classe, dai capitalisti e il bisogno delle forze produttive della società borghese di essere gestite collettivamente: ambedue si realizzano con l’abolizione della proprietà privata capitalista delle forze produttive. Non solo ignora le condizioni in cui la società borghese pone la classe operaia che sviluppano in essa le attitudini e l’esperienza a organizzarsi e ad agire collettivamente come protagonista e dirigente della vita sociale. Egli sorvola persino sul dato di fatto che proprio quel compito la classe operaia ha iniziato a svolgere praticamente e su scala mondiale durante la prima ondata della rivoluzione proletaria. Parimenti sorvola sul ruolo che la classe operaia svolge oggi, sotto i nostri occhi, di principale baluardo contro l’eliminazione delle conquiste di civiltà e di benessere strappate durante quella prima ondata. Ma è duro confutare teorie dopo che la pratica le ha già in qualche misura confermate.

5. Preve sostiene che le idee, i sentimenti, le attitudini e le relazioni degli uomini non sono trasformabili quanto occorre per passare dal capitalismo al comunismo, per generare gli "uomini nuovi" della società comunista. La sua "natura umana" resisterebbe al comunismo come l’anima dei preti. Ma, proprio come i preti, Preve non può del tutto negare il processo di sviluppo intellettuale, sentimentale e morale, l’accumulazione di esperienze e lo sviluppo di facoltà che la ricerca scientifica ha mostrato essere avvenuti con continuità dai primi esemplari di homo sapiens sapiens a oggi: un processo di trasformazione notevole ma di cui ovviamente nessuno può dire fin dove può arrivare. Del resto né Woityla né Preve probabilmente si sentono eguali all’uomo di Schimlau. Allora da una parte Preve si mette a disquisire se la "natura umana" (che ovviamente nella sua concezione ha i caratteri del buon borghese) è o no "infinitamente" trasformabile: cosa che ogni persona di buon senso capisce essere un problema del genere della fine o dell’inizio del mondo. Dall’altra riduce sofisticamente gli agenti che trasformano la natura dei proletari alle prediche dei preti e ai discorsi dei mass media del suo CPA. Elimina cioè il maggiore fattore che è l’esperienza della lotta per la produzione e della lotta di classe, in concreto l’esperienza contraddittoria cui la stessa borghesia costringe e per sua natura deve costringere gli operai e le masse popolari.

6. L’elenco potrebbe continuare, perché è tipico del metodo di Preve ignorare gli aspetti reali e le riflessioni che inficiano le sue teorie (che invece ogni ricercatore serio analizza e confuta con cura), considerare solo gli argomenti favorevoli o nel caso inventarli e, in particolare, spacciare come confutazione del "marxismo" la confutazione delle innumerevoli piccole o grandi sette, scuole e deviazioni (il bordighismo, il trotzkismo, l’economicismo, il dogmatismo, ecc.) che accompagnano e hanno accompagnato, come rivoli e rigagnoli che ora si staccano ora confluiscono con il corso principale di un grande fiume, il movimento comunista che, per la sua teoria, poggia sui solidi pilastri posti da Marx-Engels, Lenin-Stalin, Mao.

Insomma, cosa c’entra Costanzo Preve con il confronto "sul fondamento ultimo della militanza dei comunisti"? Può certo essere che, convinti giustamente che occorre anzitutto porre i fondamenti teorici della rinascita del movimento comunista e ingiustamente convinti che i protagonisti politici della rinascita sono incapaci di porre tali fondamenti teorici, alcuni compagni facciano oggi quello che fecero i governanti piemontesi nel 1849. Dovevano fare la guerra all’Austria e, convinti di non avere generali all’altezza della situazione cui affidare il comando della campagna, assunsero il gen. polacco Wojciech Chrzanowski che con la rivoluzione democratica italiana c’entrava come i cavoli a merenda e che li condusse alla disastrosa sconfitta di Novara. Costanzo Preve è ammesso nel dibattito sui fondamenti teorici della rinascita del movimento comunista come Chrzanowski lo fu nel Risorgimento italiano: condurrà chi lo accetta a una fine analoga.

Ma lasciamo Costanzo Preve nel recinto del suo CPA e ritorniamo al movimento comunista. È forse strano, inspiegabile che il folgorante successo ottenuto dal movimento comunista tra il 1917 e gli anni ‘50 abbiano ubriacato i suoi protagonisti e abbia impedito che la loro comprensione dei problemi tenesse il passo delle loro vittorie? Che essi si siano illusi di avere già tutte le risposte necessarie per spingere avanti la rivoluzione proletaria e che da qui sia venuto il dogmatismo di tanti onesti e valorosi rivoluzionari che non hanno saputo dare risposte rivoluzionarie ai nuovi problemi che il movimento comunista doveva risolvere per procedere in avanti e quindi hanno lasciato via libera ai revisionisti moderni? Che proprio i comunisti che facevano parte della pattuglia più avanzata del movimento comunista, quella che per prima doveva affrontare i problemi nuovi dell’avanzata, non comprendessero a sufficienza i problemi del loro ulteriore avanzamento e abbiano fatto deragliare l’intero convoglio? Alla fine della seconda guerra mondiale, non solo i comunisti, ma tutti i teorici e politici borghesi davano per certa la ricaduta dei paesi capitalisti nella stagnazione economica che la guerra aveva interrotto. Nei suoi Problemi economici del socialismo in URSS se ne mostra convinto anche Stalin che pure avverte che i comunisti proprio in URSS dovranno affrontare ancora seri contrasti. È quindi così inspiegabile che i comunisti siano anche loro stati vittima del proprio successo? Ma se le cose stanno così, cosa dire di gente che ora viene ed esige che diamo per acquisito che era sbagliata tutta quella concezione del mondo e quel metodo che ci avevano condotti a quei grandi successi, senza neanche scomodarsi a dimostrare la loro affermazione?

Le risposte giuste alle questioni che il vecchio movimento comunista non riuscì a risolvere, i comunisti le hanno già sostanzialmente date. A partire dal brillante lavoro di bilancio dell’esperienza dei primi paesi socialisti e della prima ondata della rivoluzione proletaria fatto da Mao Tse-tung e dalla Rivoluzione Culturale Proletaria, nel movimento comunista sono oramai stati individuati i limiti della comprensione del mondo e quindi di linea contro cui si è infranta la prima ondata della rivoluzione proletaria. Nell’articolo Il ruolo storico dell’Internazionale Comunista - Le conquiste e i limiti ( La Voce n. 2) questi limiti sono riassunti in otto punti: 1. la causa e la natura delle crisi generali del capitalismo; 2. le forme della mediazione nei paesi capitalisti tra il carattere collettivo già assunto dalle forze produttive e la sopravvivenza della proprietà individuale capitalista delle forze produttive (le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale - FAUS); 3. la natura dei regimi politici della borghesia nella fase imperialista del capitalismo; 4. la forma della rivoluzione proletaria e della direzione della classe operaia; 5. la natura e il ruolo dei partiti comunisti; 6. il rapporto tra i partiti comunisti dei vari paesi; 7. la lotta di classe nei paesi socialisti; 8. la relazione tra gli Stati e i paesi socialisti. Nell’articolo L’ottava discriminante ( La Voce n. 10) e nell’articolo Che i comunisti dei paesi imperialisti uniscano le loro forze per la rinascita del movimento comunista! ( La Voce n. 12) sono riassunte in positivo le risposte che il movimento comunista ha finora elaborato rispetto a questi limiti. Nel movimento comunista il bilancio dell’esperienza dei primi paesi socialisti incomincia a delinearsi sempre più chiaramente. Rinvio al recente opuscolo di Marco Martinengo, I primi paesi socialisti, stampato dalle Edizioni Rapporti Sociali. Non a caso il solito Preve, come chiunque non studia i primi paesi socialisti per quello che sono stati, cioè come prime formazioni economico-sociali di transizione tra il capitalismo e il comunismo, è costretto a vederci tutto e il contrario di tutto: modo di produzione asiatico, schiavistico, feudale, capitalistico. Insomma una creatura strana e sconosciuta che trascende le capacità di comprensione del professore, appunto perché essi sono una formazione economico-sociale nuova che il professore anticomunista non vuole accettare come tale.

Nel loro complesso queste risposte si riassumono nella tesi che i nuovi partiti comunisti, protagonisti della rinascita del movimento comunista e guida della nuova ondata della rivoluzione proletaria, devono basarsi sul marxismo-leninismo-maoismo.

Le "giuste risposte" date dai comunisti e sopra indicate (i testi sono tutti reperibili nella pagina web www.lavoce.freehomepage.com), sono giuste? Su questo deve vertere il confronto e ci vuole effettivamente un confronto. Solo un serio confronto può portare ad assumere come guida e linea di condotta della propria vita una concezione e una linea prima che la pratica abbia dimostrato la loro validità al di là di ogni dubbio (beninteso, "dubbio metodico"). Le "armi della critica" devono mettere alla prova queste risposte, perché esse possano diventare la guida della "critica delle armi" che eliminerà l’attuale ordinamento sociale e instaurerà nuovi paesi socialisti.

A nome delle redazione di porgo auguri di buon lavoro a tutti i redattori di Rosso XXI nella fiducia che vogliate ospitare questa lettera aperta nella rubrica "Dibattito teorico" della vostra rivista.

 

Umberto Campi,

membro della redazione di La Voce