La Voce n° 16 - anno VI - marzo 2004

LA RIVOLUZIONE DEMOCRATICA ANTIMPERIALISTA DEI PAESI ARABI E MUSULMANI

sabato 6 marzo 2004.
 

La Voce n° 16 - anno VI - marzo 2004

LA RIVOLUZIONE DEMOCRATICA ANTIMPERIALISTA DEI PAESI ARABI E MUSULMANI

 

In ogni paese imperialista europeo la borghesia conduce oramai su larga scala la persecuzione contro gli immigrati e la popolazione di origine araba o di religione musulmana. Pisanu già si muove sulle orme di Sarkozy, il ministro di polizia francese: perseguita e caccia dall’Italia i preti musulmani rivoluzionari e cerca di imporre in ogni moschea ai fedeli preti collaborazionisti che sostiene con sovvenzioni e con la polizia. La collaborazione tra i governi europei si sta rafforzando proprio sul terreno della persecuzione degli immigrati e della caccia ai rivoluzionari arabi e musulmani: mandato di cattura europeo, polizia federale europea, guardie di frontiera europee, schedario europeo, liste di proscrizione europee, uniformazione delle norme. Bersaglio di questa persecuzione è una parte importante dei lavoratori. In alcuni paesi europei l’islam è già oggi la religione della parte più povera e oppressa delta popolazione. La caccia ai rivoluzionari arabi e musulmani nei paesi imperialisti alimenta e copre la persecuzione dei comunisti e degli altri rivoluzionari locali. Questa da una parte confluisce nella generale restrizione delle libertà politiche e civili che colpisce tutte le masse popolari e che si concretezza in una pratica persecutoria che va oltre le leggi di polizia che vengono proposte e approvate in ogni paese. Dall’altra, se i comunisti seguono una linea giusta, proprio questa persecuzione diventa un fattore di sviluppo del movimento comunista. In molti paesi europei la borghesia fa già leva sulla caccia ai rivoluzionari arabi e musulmani per promuovere la mobilitazione reazionaria delle masse popolari. È quindi evidente che siamo di fronte a un processo che nel bene o nel male ha e ancora più avrà forti ripercussioni sulla nostra lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

Di cosa si tratta? Da dove viene? Quale linea dobbiamo seguire?

Ogni marxista deve porsi chiaramente queste domande e dare ad ognuna di esse una risposta basata sull’analisi della storia e dette relazioni tra i "fatti" e che sarà verificata sulla base dell’esperienza. Questo è l’unico metodo degno di un marxista di affrontare la questione che la realtà ci pone. Capire la reale natura del rivolgimento sociale in corso nei paesi arabi e musulmani, regolarsi anzitutto sulla base di essa e dare alle idee con cui i protagonisti combattono la loro battaglia e alle idee che essi hanno di se stessi solo l’importanza (transitoria) che hanno. Solo capendo la reale natura del rivolgimento in corso, potremo anzi comprendere le contraddizioni delle idee dei suoi protagonisti e tra esse e la pratica rivoluzionaria. Possiamo condurre con efficacia la battaglia nel campo delle idee solo se abbiamo chiaro cosa effettivamente vogliono dire, da dove vengono.

La persecuzione lanciata dalla borghesia imperialista contro arabi e musulmani nei paesi europei è una derivazione dello scontro tra la rivoluzione democratica antimperialista in corso nei paesi arabi e musulmani e la controrivoluzione promossa e guidata dai gruppi imperialisti USA ed europei. Si tratta dello scontro più caldo tra quelli oggi in corso. Palestina, Iraq, Afghanistan sono i punti più caldi. Da dove viene questo scontro?

I paesi arabi e musulmani coprono una fascia che va dal Marocco all’Indonesia. Comprendono l’Africa del nord, il Medio Oriente e l’Asia meridionale. Si tratta di più di un miliardo di uomini e di donne che abitano queste regioni con forti propaggini in altre parti del mondo, compresi i paesi imperialisti. In Francia circa il 10% della popolazione proviene da queste regioni. Si tratta di una frazione della popolazione che appartiene in massima parte alle classi più oppresse e sfruttate. La sua formazione è legata al vecchio dominio coloniale (mano d’opera e soldati arruolati dalla borghesia e trasportati nella metropoli) e alla recente ricolonizzazione che ha distrutto e distrugge le basi economiche della vecchia vita e costringe le popolazioni locali a migrare. Questa parte della popolazione dei paesi imperialisti subisce una triplice oppressione: di classe, nazionale e razziale. E quindi un vivaio di ribellione. Finché il movimento comunista nei paesi imperialisti sarà debole, questa ribellione si identifica e si identificherà nella rivoluzione democratica antimperialista in corso nei paesi d’origine più o meno recente, anziché portare in essa l’influenza della classe operaia metropolitana, come avvenne durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, quando il movimento comunista era forte. La persecuzione contro i rivoluzionari arabi e musulmani crea quindi anche un tegame diretto, che non possiamo eludere, tra l’accumulazione delle forze rivoluzionarie nei paesi imperialisti e la rivoluzione democratica antimperialista dei paesi arabi e musulmani.

I paesi arabi e musulmani sono in massima parte paesi di vecchia civiltà. La maggior parte ha avuto un passato glorioso. Nell’ambito del sistema schiavistico e feudale sono stati per un certo tempo la parte più avanzata di tutta l’umanità e hanno conosciuto un lungo sviluppo economico e culturale che è arrivato fino a produrre una vasta economia mercantile. Nessuno di questi paesi ha però mai fatto il passaggio al capitalismo, per mancanza delle condizioni politiche necessarie per una accumulazione primitiva che radicasse definitivamente il modo di produzione capitalista (qualcosa del genere è avvenuto anche nella storia dell’Italia). Essi hanno quindi subito lo sviluppo del capitalismo in Europa e sono diventati, per Io più a partire da 200 anni fa, colonie o semicolonie della borghesia europea e americana. La prima Guerra Mondiale ha segnato il disfacimento dell’Impero Ottomano, da decenni il "grande ammalato d’Europa" e la borghesia francese e inglese se ne sono spartite le spoglie nel Medio Oriente e nell’Africa del Nord. La colonizzazione sionista della Palestina è stata l’ultima delle imprese coloniali con cui la borghesia USA ed europea hanno assoggettato i paesi arabi e musulmani.

In ognuno di questi paesi alla colonizzazione ha corrisposto lo sviluppo di movimenti di resistenza. Finché furono diretti dalle vecchie classi dominanti locali, essi mirarono alla restaurazione del passato e non ebbero successo. La Rivoluzione d’Ottobre (1917) e la prima ondata della rivoluzione proletaria determinarono un salto di qualità anche nella resistenza di questi paesi alla dominazione imperialista, come avvenne in Cina e in India. In ogni paese si formarono forti partiti comunisti, nell’ambito della prima Internazionale Comunista. La resistenza all’oppressione e allo sfruttamento coloniale cambiò allora di natura. Divenne lotta delle masse popolari contro i rapporti sociali schiavisti e feudali, entrambi basati su rapporti di dipendenza personale e contro l’imperialismo a cui si appoggiavano le vecchie classi dominanti: appunto rivoluzione democratica borghese antimperialista. La rivoluzione aveva la sua base di massa nei contadini poveri, medi e ricchi, nella massa di lavoratori declassati risultante dal disfacimento delle vecchie strutture sociali e dall’impatto del colonialismo, negli artigiani, nei salariati dell’economia mercantile, nei mercanti e netta borghesia nazionale. I partiti comunisti locali riunivano gli elementi avanzati di queste classi che erano decisi ad unirsi alla classe operaia rivoluzionaria dei paesi imperialisti perché consapevoli che solo nell’ambito della rivoluzione proletaria mondiale avrebbero potuto far uscire il proprio paese dalla condizione coloniale. I lavoratori e i soldati emigrati portavano nel loro paese d’origine l’influenza della classe operaia rivoluzionaria.

Lo sviluppo della rivoluzione democratica antimperialista nei paesi oppressi pose ai comunisti il problema di quale classe avrebbe diretto la rivoluzione. Nel movimento comunista si formarono anche su questo nuovo terreno una sinistra, una destra e un centro. Le divergenze su questo terreno si combinarono in una certa misura con le divergenze su altri terreni nella lotta tra due linee che si protrasse lungo tutta la vita della prima Internazionale Comunista.

La sinistra sosteneva che la direzione della rivoluzione doveva essere delta classe operaia, tramite il suo partito comunista, strettamente alleata dei contadini poveri e medi che costituivano la massa della popolazione. La borghesia nazionale era oramai incapace di mettersi alla testa di una rivoluzione popolare. La classe operaia doveva mobilitare e unire tutte le classi interessate alla rivoluzione democratica antimperialista in un fronte rivoluzionario sotto la propria direzione per condurre una rivoluzione di "nuova democrazia": appunto una rivoluzione democratica borghese diretta dalla classe operaia. La destra sosteneva che la rivoluzione doveva essere diretta dalla borghesia nazionale perché gli obiettivi immediati della rivoluzione erano democratici borghesi: i comunisti dovevano partecipare alla rivoluzione sotto la sua direzione, reclutare gli operai e far valere nella rivoluzione i loro interessi particolari di salariati (miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro).

Il centro esitava e oscillava tra le due linee.

Se i partiti delta prima Internazionale Comunista nei paesi imperialisti oscillarono tra opposte interpretazioni detta politica di fronte (come illustrato da Umberto C. nel suo articolo L’attività della prima Internazionale Comunista in Europa e il maoismo in La Voce n. 10), nei paesi oppressi essi oscillarono precisamente tra le due linee sopra illustrate. Le due linee, le implicazioni di ognuna di esse, lo scontro tra le due divennero via via più chiari nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria. L’avvento negli anni ’50 dei revisionisti alla direzione della parte più avanzata del movimento comunista, l’Unione Sovietica, segnò in generale il trionfo della destra anche nei partiti dei paesi oppressi, nonostante la lotta lanciata dal Partito Comunista Cinese capeggiato da Mao Tze-tung. Il trionfo della destra nel movimento comunista sottopose in vari paesi arabi e musulmani alla prova dei fatti la capacità rivoluzionaria della borghesia nazionale (che ebbe i suoi esponenti politici in Mossadeq, Sukarno, Nehru, Nasser, Burguiba, ecc.). Il risultato di questa verifica fu il fallimento della borghesia nazionale e il declino del movimento comunista. In tutti i paesi arabi e musulmani i partiti comunisti o vennero distrutti o si ridussero a poca cosa o addirittura si sciolsero. Quasi dappertutto il clero musulmano e gli altri notabili locali di vecchio stampo che gli imperialisti avevano mobilitato contro i comunisti e la borghesia nazionale riuscirono a prendere la direzione. Alcuni compagni sono talmente indignati delle nefandezze commesse dal clero reazionario musulmano, da fermarsi alla denuncia di esse. In effetti la direzione del clero ha portato la rivoluzione democratica antimperialista a sanguinarie pratiche settarie. Ma noi comunisti per venire a capo della situazione dobbiamo anzitutto trovare risposte alla questione: "Perché noi comunisti abbiamo perso la direzione della rivoluzione", oppure "Perché noi comunisti non siamo riusciti a prendere noi la direzione della rivoluzione?".

Quanto al clero reazionario, esso per prendere e mantenere la direzione delle masse popolari ha però dovuto cavalcare la rivoluzione democratica antimperialista. Ovviamente lo ha fatto a suo modo, mediando tra il suo vecchio ruolo sociale reazionario e la rivoluzione democratica. Questa è continuata con forza, tanto più che gli imperialisti hanno aumentato sempre più le loro pretese ed esazioni, l’oppressione e lo sfruttamento, spinti dalla nuova crisi generale iniziata negli anni ’70 e liberati dalla pressione del movimento comunista. Hamas in Palestina è la manifestazione più chiara di un clero reazionario che si mette alla testa di una rivoluzione democratica antimperialista. Un organismo lanciato in funzione anticomunista dai sionisti d’Israele e dalla monarchia wahabita dell’Arabia Saudita (una specie di Vaticano musulmano), due braccia dei gruppi imperialisti USA, è diventato l’organizzatore più radicale della guerra contro l’occupazione sionista della Palestina, l’avamposto dell’imperialismo USA nel mondo arabo e musulmano.

Dalla natura dei movimenti in corso e delle forze in gioco deriva la linea che noi comunisti dobbiamo seguire sia nei nostri paesi sia a livello internazionale.

La direzione del clero reazionario è un effetto della decadenza del movimento comunista e scomparirà con la sua rinascita. Infatti il clero reazionario è per sua natura incapace di condurre la rivoluzione fino alla vittoria. Esso mantiene forti legami di varia natura con l’imperialismo e dipende da esso in misura determinante: quindi è ricattabile.

Per forza di cose in ogni paese esso è portatore di relazioni sociali reazionarie e deve intimidire le masse popolari musulmane per indurle a lasciare gli attuali padroni (gli imperialisti) e sottomettersi a nuovi padroni (il clero). A livello internazionale è incapace di far leva sulla contraddizione tra le masse popolari dei paesi imperialisti e i gruppi imperialisti che le opprimono: attacca entrambi come se fossero un unico blocco. Non è portatore di una soluzione antimperialista che possa coinvolgere il resto del mondo: quindi crea condizioni favorevoli alla mobilitazione reazionaria nei paesi imperialisti. Sono tutti fattori oggettivi, che segnano i limiti della direzione del clero musulmano nella rivoluzione democratica antimperialista dei paesi arabi e musulmani.

Invece i comunisti dei paesi arabi e musulmani sono oggi in grado di mobilitare le masse popolari nella guerra popolare rivoluzionaria. Dai comunisti sovietici, cinesi e vietnamiti essi ereditano l’arte di far leva sulle contraddizioni tra paesi imperialisti e sulla contraddizione che in ogni paese imperialista oppone le masse popolari ai gruppi imperialisti. Quindi prima o poi, nell’ambito della rinascita del movimento comunista internazionale, in ogni paese i comunisti prenderanno nuovamente la direzione della rivoluzione democratica antimperialista.

Quanto a noi comunisti dei paesi imperialisti, noi dobbiamo appoggiare la rivoluzione democratica antimperialista dei paesi arabi e musulmani e guidare le masse popolari del nostro paese ad appoggiarla. Dobbiamo opporci all’aggressione imperialista, quale che sia il pretesto e la forma con cui si maschera. Chi prende pretesto dagli errori dei dirigenti della rivoluzione democratica antimperialista e si allea con le autorità imperialiste contro di essa, si mette fuori dal campo della rivoluzione e diventa promotore della mobilitazione reazionaria delle masse. Dobbiamo appoggiare i comunisti che in ogni paese arabo e musulmano lottano per mettersi nuovamente alla testa della rivoluzione. Essi sono in grado di parlare ai loro compagni nel "linguaggio" della loro esperienza di colonizzati e sfruttati dagli imperialisti e dalle classi reazionarie locali. nel nostro paese dobbiamo sostenere i movimenti rivoluzionari degli immigrati contro le autorità imperialiste: è un aspetto della nostra lotta per accumulare forze rivoluzionarie e sviluppare la lotta degli operai e delle masse popolari per fare del nostro paese un nuovo paese socialista.

Ma soprattutto dobbiamo lavorare per la rinascita del movimento comunisti nei paesi imperialisti, sfruttando le condizioni oggettive favorevoli esistenti. Quindi anzitutto dobbiamo ricostruire o rafforzare veri partiti comunisti, basati sul marxismo-leninismo-maoismo. È questa la chiave della soluzione di ogni problema della rivoluzione proletaria.

Ernesto V.

 


 

Sul tema trattato in questo articolo consigliamo ai nostri lettori i seguenti articoli:

-  Lo sconvolgimento in corso di Umberto Campi in Rapporti Sociali n. 34.

-  La lotta per l’autodeterminazione nazionale nei paesi imperialisti di Giuseppe Maj in Supplemento a Rapporti Sociali n. 34.

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