La Voce 11

Alcuni passi nella direzione giusta?

domenica 28 luglio 2002.
 

A proposito del Comunicato delle nuove BR-PCC

 

INDICE:

 

Avvertenze

1. Introduzione

2. Perché è necessario confutare le concezioni dei militaristi

3. La via all’instaurazione del socialismo

4. Il campo della borghesia imperialista

5. La relazione tra i due campi

6. Il campo della classe operaia

7. Il bilancio del movimento comunista secondo le nuove BR-PCC

8. Conclusione

Note


 

1. Introduzione

Chiunque siano gli autori del Comunicato con cui è stato rivendicato l’attentato che lo scorso 19 marzo ha posto fine alla sporca attività di una delle teste d’uovo della borghesia imperialista, esso pone chiaramente alcune importanti questioni che riguardano la concezione del mondo (l’ideologia, la scienza comunista), il programma, il metodo e la linea del nuovo partito comunista. Si tratta di questioni su cui oggi tra le FSRS del nostro paese, anche tra quelle che si dicono impegnate nella ricostruzione di un vero partito comunista, non esiste ancora una posizione chiara e neppure una netta contrapposizione di posizioni. Per costituire un vero partito comunista è invece necessario che le posizioni siano chiaramente definite e che siano chiarite le implicazioni pratiche delle diverse posizioni. È inoltre utile mettere a confronto alcune tesi espresse nel Comunicato di quest’anno con quelle espresse nel Comunicato con cui fu rivendicato l’attentato del 20 maggio ’99 contro un’altra delle teste d’uovo della borghesia. Infatti confrontando i due Comunicati alla luce delle critiche fatte nell’opuscolo Martin Lutero , si vede che il Comunicato di quest’anno contiene alcuni importanti passi avanti rispetto a quello del ’99. Se questi passi sono stati compiuti consapevolmente da una FSRS che si propone di mantenerli fermamente e svilupparli coerentemente, essi sono un segnale positivo per la ricostruzione di un vero partito comunista a cui la CP sta lavorando e a cui senza posa chiama tutte le FSRS a lavorare.

1. In primo luogo gli autori del Comunicato di quest’anno lasciano silenziosamente del tutto cadere la tesi, presente nel precedente (assieme al suo contrario: ma questo faceva parte dell’eclettismo e del pressappochismo del documento),(1) che la borghesia in questa fase cercherebbe di distogliere la classe operaia del nostro paese dai suoi interessi storici e strategici (la conquista del potere politico per andare verso il comunismo) facendole concessioni sul piano degli interessi diretti e immediati (salari, condizioni di lavoro, ecc.). Gli autori del Comunicato di quest’anno invece sostengono (prg. 35) che la borghesia da trent’anni a questa parte ha aumentato anche lo sfruttamento del proletariato dei paesi imperialisti, che essa limita o elimina le conquiste di benessere e di civiltà che la classe operaia dei paesi imperialisti aveva strappato negli anni precedenti (prg. 25), che anche nei paesi imperialisti i salari reali sono diminuiti e le condizioni di vita e di lavoro peggiorate e che si tratta di un "processo che, come hanno dimostrato i trent’anni trascorsi, non c’è politica economica che possa invertire" (prg. 13). Questo è un importante passo verso il riconoscimento della realtà. Per impostare una giusta linea politica, i comunisti devono tener conto con fermezza e coerenza che la borghesia imperialista, sospinta dalla nuova crisi generale del capitalismo, da trent’anni a questa parte, anche nei paesi imperialisti, cerca continuamente di aumentare lo sfruttamento sia della classe operaia vera e propria, sia del resto del proletariato, sia dei lavoratori autonomi (attraverso imposte, interessi, usura, racket, assicurazioni, diritti, prezzi di monopolio, riduzione dei servizi gratuiti e altre angherie). Ne deriva che la lotta delle masse popolari in difesa delle conquiste e per la tutela dei loro interessi diretti e immediati è, anche nei paesi imperialisti, un’importante scuola di comunismo che, se i comunisti la dirigono, può contribuire a portare le masse popolari a contrapporsi alla borghesia imperialista; mentre se è diretta dalla borghesia porterà le masse popolari alla lotta tra loro e alla guerra. La resistenza delle masse popolari al procedere della crisi generale del capitalismo è il terreno su cui i comunisti si scontrano con le forze politiche borghesi. La posta dello scontro è se nei prossimi anni prevarrà la mobilitazione rivoluzionaria delle masse (guerra rivoluzionaria contro la borghesia in ogni paese, rivoluzione socialista) o la mobilitazione reazionaria delle masse (guerre tra paesi, tra popoli, tra nazioni).

2. In secondo luogo gli autori del Comunicato di quest’anno lasciano silenziosamente del tutto cadere la tesi che gli attentati contro esponenti della borghesia hanno, tra l’altro, lo scopo di indurre la borghesia ad assumere una linea politica più favorevole al proletariato. Essi dichiarano ripetutamente che con gli attentati mirano a indebolire la borghesia e il suo Stato (disarticolarlo, spezzare la sua capacità progettuale, impedire alla borghesia di "governare la crisi e di governare il conflitto di classe", ecc.) per favorire lo sviluppo della lotta del proletariato per il socialismo. Quindi essi lasciano cadere la linea di condizionare il capitalismo tramite attentati, che nel Comunicato precedente conviveva ecletticamente con la dichiarazione che con gli attentati intendevano disarticolare lo Stato borghese. Questo vuol dire rompere con la tendenza ad impiegare la lotta armata come forma di pressione sulla borghesia e come forma di protesta, spontanea o organizzata, contro le sue malefatte e i suoi crimini e proporsi di svolgere un’attività che per sua natura deve essere valutata alla luce della sua efficacia come via per instaurare il socialismo.

3. In terzo luogo gli autori del Comunicato di quest’anno espongono abbastanza chiaramente la concezione del mondo su cui fondano la loro linea d’azione, la loro organizzazione e la proposta che fanno a tutto il proletariato. E in più cercano di giustificare il tutto alla luce 1. delle caratteristiche della nostra formazione economico-sociale e delle sue relazioni con il resto del mondo (il "contesto internazionale"), 2. dell’esperienza storica e internazionale del movimento comunista (di cui tracciano un bilancio) e 3. del patrimonio teorico del movimento comunista (sia pure limitato a Marx, Engels e Lenin: quindi con esclusione di Stalin e Mao). In particolare confrontano l’attività svolta oggi dalle nuove BR-PCC con quella svolta dalle vecchie BR negli anni ’70 e mettono a confronto le due fasi, facendo notare continuità e differenze.

Questo terzo aspetto del nuovo Comunicato è di gran lunga il più importante. Infatti con esso le nuove BR-PCC accettano di confrontarsi 1. con la realtà della lotta di classe, 2. con l’esperienza del movimento comunista e 3. con almeno una parte del suo patrimonio teorico (quindi rompono con un aspetto del soggettivismo).(2) Con questi tre elementi tutte le FSRS devono misurarsi fino a raggiungere una concezione del mondo, un programma, un metodo e una linea d’azione che la pratica confermerà essere atti a far avanzare la causa della rivoluzione socialista. È un metro comune a tutte le FSRS, a cui nessuna può sottrarsi. È un metro accessibile a tutti quelli che vogliono usarlo. Assumere questo metro è un’implicita rottura con la mentalità da gruppo e da setta e un’implicita assunzione di una mentalità da partito comunista.

Dall’altra parte, quanto più gli autori del Comunicato cercano di spiegare e giustificare con questo metro la loro concezione del mondo e la loro linea militarista (e il Comunicato resta ancora interamente sul terreno del militarismo - nel senso preciso che risulterà chiaro nel seguito), tanto più chiaramente emerge sia che esse fanno a pugni con la realtà sia che esse contrastano con l’esperienza del movimento comunista e con il suo patrimonio teorico. È la cosa che cercherò di illustrare in questo scritto. Se le nuove BR-PCC sono veramente un gruppo che lotta per eliminare il capitalismo in continuità col movimento comunista, non mancheranno di dimostrare la loro coerenza con il metro sopra indicato.

 

2. Perché è necessario confutare le concezioni dei militaristi

È vero che i comunisti chiuderanno realmente i conti con il militarismo (nella sua espressione attuale che consiste nel sostituire la costruzione di organizzazioni comuniste combattenti (OCC) alla costruzione del partito comunista) solo quando il nuovo partito comunista avrà sviluppato la sua opera ad un livello superiore all’attuale e in particolare avrà costruito le forze armate delle masse popolari. Allora il partito mostrerà nella pratica come i comunisti promuovono e conducono la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata in un paese imperialista e assorbirà anche quelle energie e risorse delle masse popolari che oggi ancora si disperdono nei rivoli del militarismo. Finché non avremo raggiunto quello stadio, è probabile che, come è successo in più fasi (e su grande scala proprio alla vigilia della prima ondata della rivoluzione proletaria), continueranno a trovare qualche spazio nelle masse popolari anche quelli che spingono a scendere senz’altro sul terreno dello scontro armato con la borghesia senza curare di creare le condizioni necessarie per farlo vittoriosamente, a colpire in qualche modo l’odiata borghesia (e che un membro delle masse popolari odi la borghesia è certamente una manifestazione di buona salute) (3) "senza attendere il resto delle masse che prima o poi seguiranno l’esempio dei combattenti" (dicono gli spontaneisti), "senza impegnarsi a creare le condizioni necessarie perché le masse assumano nella guerra popolare rivoluzionaria il ruolo decisivo che solo esse possono svolgere" (diciamo noi). Quindi il militarismo (nella sua forma attuale) sarà sconfitto definitivamente solo nella pratica e con un’azione positiva, ossia con lo sviluppo della guerra popolare rivoluzionaria. Tuttavia bisogna approfittare di ogni occasione per mostrare l’inconsistenza della concezione del mondo e della linea politica dei militaristi; bisogna quindi vagliare le loro concezioni e le loro proposte, onde evitare o ridurre la dispersione di forze e di risorse che il militarismo oggi comporta. Inoltre la lotta contro le concezioni sbagliate è uno strumento indispensabile per rafforzare le idee giuste. Infine la lotta contro le loro idee sbagliate è il modo principale in cui riconosciamo che i militaristi sono oggi interni al campo che lotta contro la borghesia imperialista.

Questa lotta è tanto più necessaria perché in questa fase la borghesia imperialista non perde occasione di usare su grande scala le imprese dei militaristi per contrastare la ricostruzione del partito comunista. È già di per sé significativo il contrasto tra il clamore che essa fa in questo periodo attorno agli attentati e il silenzio (il "black out") che essa praticava alla fine degli anni ’70 rispetto alle iniziative delle vecchie BR, quando il suo obiettivo immediato era rompere completamente il legame che le vecchie BR avevano con le masse. In questo periodo invece a volte la borghesia addirittura si sostituisce ai militaristi e promuove o facilita attentati che vengono anch’essi "rivendicati" a nome della rivoluzione (strategia della tensione) o attribuisce a forze rivoluzionarie attentati da essa compiuti nell’ambito della controrivoluzione preventiva o della lotta tra gruppi imperialisti, giocando sul fatto che nell’attuale situazione la massa della popolazione non ha elementi per distinguere con sicurezza chi sono gli autori di un determinato attentato. Infatti, e non lo si ripeterà mai abbastanza, nello scontro di questo periodo tra classe operaia e borghesia imperialista, ciò che pesa non è in primo luogo chi è l’autore di una determinata azione. In questa fase ciò che principalmente pesa è l’effetto che quell’azione ha, in ognuna delle classi che compongono la società, sull’orientamento e sullo schieramento politici della sua sinistra, del suo centro e della sua destra. In questo periodo la borghesia imperialista, non solo del nostro paese ma a livello mondiale, sta compiendo uno sforzo gigantesco e non risparmia risorse e crimini per compattare, attorno ai settori più oltranzisti in ogni paese e attorno ai gruppi imperialisti americani a livello mondiale, le sue frazioni sempre più tra loro contrapposte a causa del procedere della crisi generale; per spingere le masse popolari preoccupate per gli effetti della crisi e disorientate per la debolezza del movimento comunista a cercare protezione e sicurezza sotto la sua direzione; per isolare i gruppi e le forze rivoluzionarie e in particolare impedire la ricostruzione di veri partiti comunisti. Questo è certamente un indizio che, a causa del procedere della crisi generale del capitalismo, la borghesia imperialista deve far fronte a crescenti difficoltà. Ma è anche, da parte sua, un mezzo per stare a galla promuovendo la mobilitazione reazionaria delle masse.

Benché le nostre forze siano ancora deboli, noi comunisti possiamo e dobbiamo volgere a nostro favore lo stato di allarme creato dalla borghesia. Una delle forme per perseguire questo obiettivo è affrontare chiaramente le concezioni e le linee che essa con tanto clamore e agli occhi delle masse attribuisce ai rivoluzionari. La borghesia oggi distoglie l’attenzione delle masse dal suo ordinamento sociale e dalle sue malefatte e la concentra sulle attività dei rivoluzionari. Ebbene approfittiamone ed estendiamo tra le masse la discussione su quali sono le diverse concezioni e linee che hanno corso nel movimento rivoluzionario e su quale deve essere la concezione del mondo e quale la linea che le masse popolari devono seguire per liberarsi dai malanni che le affliggono e dalla classe (la borghesia imperialista) che li impone loro. L’esistenza di una stampa clandestina e la sua circolazione (per quanto ancora limitata) permettono di farlo in completa libertà, esprimendosi chiaramente, senza tema di incriminazioni per apologia di reato, incitamento all’odio di classe o altri simili reati che la borghesia ha inscritto nel suo codice penale e senza tema di ritorsioni per via di fatto a cui la borghesia non ha alcun ritegno a ricorrere quando ritiene che le convenga. In questo campo la stampa clandestina può promuovere, completare e sostenere l’opera della stampa legale.

 

3. La via all’instaurazione del socialismo

Gli autori del Comunicato in questione danno una definizione abbastanza giusta del compito generale che deve essere assolto per arrivare alla rivoluzione socialista. Una definizione che, oltre che applicata, va propagandata senza tregua contro le tendenze economiciste, riformiste e opportuniste. Nella società moderna il contrasto tra il carattere collettivo delle forze produttive e dell’attività economica da una parte e i rapporti di produzione capitalisti dall’altra delimitano nettamente due campi che hanno interessi oggettivamente contrapposti. Questa contrapposizione oggettiva è un dato. Il compito di noi comunisti è farla diventare anche una contrapposizione politica, una guerra delle masse popolari dirette dalla classe operaia tramite il suo partito comunista contro la borghesia imperialista per distruggere il suo potere politico (il suo Stato), instaurare il potere politico della classe operaia (dittatura del proletariato) e dar inizio alla trasformazione dei rapporti di produzione e dell’insieme dei rapporti sociali. Le nuove BR-PCC condividono molti aspetti di questa definizione. Sostengono anch’esse che il compito generale consiste nel trasformare il contrasto che oggettivamente, sulla base dei loro interessi immediati e diretti, oppone milioni di lavoratori alla borghesia imperialista, nella guerra di questi milioni di lavoratori contro la borghesia per distruggere la macchina statale che realizza la dittatura della borghesia e ne tutela gli interessi e per instaurare la dittatura del proletariato e il socialismo: omettono però il ruolo del partito comunista.(4) Esse riconoscono anche che le forze già oggi mobilitate per questo obiettivo sono "esigue avanguardie" e giustamente pongono la domanda: "Cosa devono fare fin da subito queste esigue avanguardie per trasformare quel contrasto oggettivo di interessi in una guerra inevitabilmente di lunga durata"?

Tutte le FSRS, e in particolare tutti i comunisti, devono dare una risposta chiara a questa domanda ed essere nella pratica conseguenti alla loro risposta. A meno che vogliano proseguire la tradizione di quel dottor Grillo di cui parla Gramsci: e in realtà ce ne sono di persone che la proseguono!(5) La risposta a questa domanda è la strategia (la via alla rivoluzione) che guiderà il nuovo partito comunista fino alla conquista del potere, la strategia in conformità alla quale ci muoveremo nei prossimi anni, elaborando di situazione in situazione tattiche atte a realizzarla e verificandone la validità nella pratica. Su questa strategia la CP ha già esposto la propria posizione nel n. 1 di La Voce e l’ha più volte illustrata, da ultimo nell’articolo di Nicola P. dedicato al maoismo ( La Voce n. 10).

Nella risposta che gli autori del Comunicato danno a questa domanda e nei ragionamenti con cui cercano di giustificarla si manifesta chiaramente la natura della loro concezione del mondo e il velleitarismo della loro proposta.

Secondo le nuove BR-PCC "lo sviluppo della guerra [rivoluzionaria] è passaggio da circoscritte iniziative combattenti alla stabilizzazione delle offensive della guerriglia, di una sufficiente capacità offensiva disarticolante, ecc." (prg. 110) e la costruzione del partito comunista sarà, come la distruzione dello Stato borghese, un risultato del successo di questa guerra condotta da organismi di guerriglia (prg. 72 e 99). Secondo le nuove BR-PCC a partire dalla fine della seconda guerra mondiale in qua la borghesia imperialista ha trasformato l’ordinamento economico-sociale e organizzato il suo potere in modo tale che nei paesi imperialisti il suo Stato riesce di fase in fase, mediante opportune manovre politiche, a smorzare ogni istanza e tendenza antagoniste che le condizioni oggettive fanno sorgere nel proletariato (nel "conflitto di classe"), fino a renderle compatibili con gli interessi della borghesia imperialista, a integrarle e incanalarle nel suo sistema di rapporti, ad evitare che si sviluppino in guerra rivoluzionaria. La borghesia imperialista deve fare i conti con la crisi del proprio sistema economico che si sviluppa per cause che "sono intrinseche al meccanismo di esistenza del capitale, al meccanismo dell’accumulazione, alla sua propria natura, non sono cause esterne" (prg. 32). "Niente impedirebbe al proletariato di prendere possesso dei mezzi di produzione o dei beni di sussistenza che usa e produce, se lo Stato non ne difendesse la ’legittima’ proprietà privata con l’azione concreta dei suoi apparati militari" (prg. 63). Ma la borghesia riuscirebbe a tenere sotto controllo e a "governare" sia la crisi del proprio sistema economico sia un proletariato pronto a prendere possesso dei mezzi di produzione e dei beni di consumo. Il proletariato riuscirebbe a sviluppare le istanze e tendenze antagoniste che le condizioni oggettive fanno sorgere in esso fino a condurre una lotta per il potere solo se le avanguardie rivoluzionarie, che capiscono questa novità della situazione (determinatasi a partire dagli anni ’40 del Novecento) e hanno il coraggio di farsene carico per esigue che siano, di fase in fase riescono a individuare quelle determinate manovre politiche e intervengono con operazioni offensive (preferibilmente attentati a personaggi chiave del mondo politico (prg. 107)) a scompaginare la coalizione di forze che le promuove o comunque ad impedirne l’attuazione. Se questo avviene, queste forze rivoluzionarie "catalizzerebbero" anche il possibile sviluppo delle istanze e tendenze antagoniste del proletariato, in quanto in esso si potenzierebbero organizzazioni che seguono la strada proposta e praticata dalle forze rivoluzionarie e si impegnano anch’esse in attività di guerriglia. Per questa via il contrasto di classe si trasformerebbe gradualmente in lotta per il potere e arriverebbe a distruggere lo Stato borghese e a costruire il nuovo partito comunista. Da qui si avvierebbe il passaggio al comunismo. Quindi le nuove BR-PCC non propongono una generica moltiplicazione di OCC e di attentati, ma iniziative militari condotte fin da subito da piccole avanguardie e mirate a impedire l’attuazione delle manovre politiche chiave messe in atto dalla borghesia per "governare la crisi e governare il conflitto di classe". Queste iniziative sarebbero indispensabili per aprire la strada alla lotta del proletariato per il potere. Esse, a quanto si deduce dal Comunicato, combinate con le condizioni oggettive della crisi generale in corso, si moltiplicheranno fino a trasformarsi in guerra rivoluzionaria.

Le nuove BR-PCC rivestono di molti particolari e sviluppi questa concezione del mondo, la linea d’azione e la proposta che ne derivano. Ma questo è il nocciolo che ogni lettore può riscontrare nel Comunicato e che riassume fedelmente la concezione del mondo e la proposta dei suoi autori. Come si vede, si tratta di un tipico caso di strategia "studiata a tavolino", senza alcun riscontro sui modi e sulle forme in cui nella realtà le classi oppresse lottano contro la borghesia da che siamo nell’epoca imperialista. Ma vediamo uno per uno i passaggi su cui le nuove BR-PCC fondano il loro piano.

È vero che a partire dalla fine della seconda guerra mondiale in qua la borghesia imperialista ha acquisito la capacità di "governare la crisi del suo sistema economico" e quindi di evitare che le vicende del suo sistema economico sconvolgano il suo ordinamento sociale? È vero che a partire dalla fine della seconda guerra mondiale in qua la borghesia imperialista ha acquisito la capacità di neutralizzare, smorzare, isterilire, integrare nel suo sistema di rapporti sociali le istanze e tendenze antagoniste che le condizioni oggettive fanno sorgere nella classe operaia? Ma, soprattutto, sono gli attacchi, compiuti da avanguardie anche esigue e secondo i criteri indicati nel Comunicato, fattori necessari e sufficienti per far sì che la classe operaia dia vita a una lotta per il potere?

La prima domanda riguarda principalmente lo sviluppo dei rapporti interni al campo della borghesia imperialista. La terza riguarda principalmente lo sviluppo dei rapporti interni al campo della classe operaia. La seconda riguarda i rapporti tra i due campi. Le risposte delle nuove BR-PCC alle prime due domande non sono affatto nuove.

 

4. Il campo della borghesia imperialista

Già alla fine dell’Ottocento, prima dal seno della cultura borghese (Sombart, Liefman, Schulze-Gävernitz e gli altri teorici del "capitalismo organizzato") e poi dall’ala opportunista del movimento operaio (Bernstein e gli altri propagandisti del primo revisionismo), è stata avanzata la tesi che il capitalismo aveva oramai, grazie agli sviluppi delle FAUS,(6) raggiunto la capacità di evitare le crisi o almeno di governarle, di evitare che avessero effetti catastrofici sul sistema politico e sull’ordinamento della società. Quanto la realtà nella prima metà del Novecento abbia smentito tale tesi è a tutti noto. A partire dagli anni ’50 del Novecento, dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’ala revisionista del movimento comunista (Kruscev, Togliatti e gli altri propagandisti del revisionismo moderno) ha ripreso e avanzato la stessa tesi senza portare a suo sostegno migliori argomenti che i suoi sostenitori di fine Ottocento.

Che nei paesi imperialisti la borghesia avesse integrato la classe operaia nel suo sistema, neutralizzandola come classe rivoluzionaria, era una tesi e addirittura un luogo comune e una parola d’ordine che a partire dalla fine degli anni ’50 del Novecento le teste d’uovo della Scuola di Francoforte (H. Marcuse, M. Horkheimer, T.W. Adorno, F. Pollock, W. Benjamin, ecc.), gli intellettuali operaisti e i loro seguaci hanno ampiamente diffuso sia tramite il potente apparato culturale delle università e delle case editrici borghesi sia tramite le pubblicazioni della "nuova sinistra": dai Quaderni Rossi di Raniero Panzieri ("sinistra" socialista) e dai Quaderni Piacentini dei ricchi fratelli Bellocchio in giù. Ciò non ha impedito che esplodessero l’Autunno Caldo (1969) e gli "anni ’70". La loro tesi era il riflesso lagnoso e "di sinistra" della tesi borghese che il capitalismo è capace di "competere col comunismo", di dare una soluzione soddisfacente e felice a tutti "i problemi sociali su cui fa leva il movimento comunista". La tesi dei francofortesi viaggiava allora nella sinistra in parallelo con la tesi sostenuta dai revisionisti moderni (Kruscev, Togliatti, Sakharov, ecc.) della "convergenza dei due sistemi sociali".

Non è per liquidare con un facile espediente polemico che ricordo questa reale ascendenza infamante delle teorie oggi professate dalle FSRS più arcirivoluzionarie e più intransigenti (così i militaristi presentano se stessi) del nostro paese. È in primo luogo per allarmare su questo filone di continuità che lega le nuove BR-PCC ad un aspetto negativo delle vecchie BR (nella concezione del mondo delle vecchie BR le teorie della Scuola di Francoforte si contendevano il terreno con il marxismo-leninismo).(7) In secondo luogo per ricordare che le teorie della Scuola di Francoforte ebbero un certo influsso nel movimento rivoluzionario dei paesi imperialisti per motivi concreti. In primo luogo perché si presentavano come una spiegazione e una protesta contro la liquidazione della lotta della classe operaia per il potere fatta dai revisionisti moderni nei paesi imperialisti alla fine della seconda guerra mondiale. In secondo luogo perché erano in qualche misura avvalorate dalle grandi conquiste economiche, culturali e politiche che la classe operaia dei paesi imperialisti ha strappato nell’ambito del sistema capitalista nei trent’anni seguiti alla seconda guerra mondiale e che esse condannavano moralisticamente come "consumismo" e "integrazione nel sistema", invece di studiarne l’origine, il significato storico e lo sbocco.

Detto questo, resta però il fatto che nei paesi imperialisti a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, dopo la liquidazione della Resistenza, quindi da mezzo secolo a questa parte, la lotta della classe operaia per il potere (per instaurare il socialismo) è declinata fino a scomparire, nonostante qualche sussulto (come in Italia negli "anni ’70"). Noi e con noi tutta quella parte del movimento comunista che si oppose al revisionismo moderno (sotto la direzione di Mao Tse-tung, Enver Hoxha e altri) sosteniamo che questo declino fu l’effetto del prevalere del revisionismo moderno nella direzione del movimento comunista e dei partiti che lo componevano, cioè l’effetto della piega presa da quel "fattore soggettivo" che tanta importanza ha nella lotta di classe (come anche le nuove BR-PCC a loro modo riconoscono, ma solo per il periodo successivo alla fine della seconda guerra mondiale (prg. 86)). Francofortesi, operaisti, ricercatori di "nuovi soggetti rivoluzionari" e con loro (ma con una risposta del tutto diversa) le nuove BR-PCC sostengono invece che quel declino fu l’effetto della capacità acquisita dalla borghesia di integrare nel suo sistema le istanze e tendenze antagoniste della classe operaia e del resto del proletariato. Quindi noi e la nostra compagnia sosteniamo che la causa del declino fu un fatto interno al campo della classe operaia. Le nuove BR-PCC e la loro compagnia sostengono invece che la causa del declino fu un fatto interno al campo della borghesia. Chi ha ragione?

Per rispondere a queste domande dobbiamo considerare la storia del movimento comunista e della lotta tra borghesia e proletariato che si è svolta nei 150 anni che essa copre. La risposta deve essere coerente con tutta la scienza della società capitalista (l’ideologia) che il movimento comunista ha costruito. Si tratta di una questione di grande importanza che non si può risolvere accampando in modo pressappochista qualche elemento preso qua e là, che sia i sostenitori di una tesi sia i sostenitori della tesi opposta possono sicuramente addurre.

La borghesia imperialista ha imparato molto dalla storia e il capitalismo ha continuato a trasformarsi.(8) Le FAUS (mediazioni tra il carattere collettivo già assunto dalle forze produttive e la sopravvivenza di rapporti sociali capitalisti) hanno assunto un ruolo crescente nelle formazioni economico-sociali imperialiste e in tutto il mondo. Basti pensare alla creazione di una moneta fiduciaria mondiale (tramite il FMI), ai sistemi previdenziali e di ammortizzatori sociali, alle politiche economiche degli Stati e delle loro associazioni mondiali. Contemporaneamente la controrivoluzione preventiva ha fatto passi da gigante e si è continuamente affinata. Ma resta il fatto che tutte le conquiste di civiltà e di benessere strappate dalle masse popolari dei paesi imperialisti sono frutto della prima ondata della rivoluzione proletaria: in parte come sue conquiste e come sottoprodotto della sua sconfitta e in parte come effetto del prevalere del revisionismo moderno nel movimento comunista. Resta il fatto che quelle conquiste e le altre FAUS hanno accentuato il carattere collettivo delle forze produttive e dell’attività economica. Quindi le hanno rese ancora più contrastanti, incompatibili con la sopravvivenza dei rapporti di produzione capitalisti, ingestibili nel loro ambito, causa nel loro ambito di effetti più devastanti sulla società umana e sul suo ambiente. Ciò è emerso con maggiore forza a partire dalla metà degli anni ’70, quando l’inizio di una nuova crisi generale ha posto fine ai trent’anni di ripresa dell’accumulazione capitalista e di espansione delle attività produttive che aveva seguito la fine della seconda guerra mondiale.

Gli argomenti che le nuove BR-PCC adducono per avvalorare la loro concezione del mondo sono inconsistenti e sono contraddetti da tutta l’evidenza della realtà.

Le stesse nuove BR-PCC affermano chiaramente che la borghesia non è in grado di porre fine alla nuova crisi generale del capitalismo né invertire il suo corso perché essa è generata ed alimentata da fattori interni al meccanismo capitalista stesso (prg. 32). L’incapacità della borghesia a "governare la crisi" si è fatta più evidente man mano che la crisi si è sviluppata. In tutti i paesi imperialisti e a livello mondiale si è proceduto ad un enorme sviluppo del capitale speculativo che oramai è arrivato a costituire esso stesso una nuova e autonoma causa di instabilità del sistema (le crisi finanziarie che scuotono il mondo). L’espansione del capitale imperialista nel mondo (globalizzazione e mondializzazione), la ricolonizzazione dei paesi semicoloniali, il ritorno in forza dei gruppi imperialisti europei e americani nei paesi ex socialisti, la moltiplicazione delle guerre e delle aggressioni, la concorrenza sempre più accanita (nuova "guerra fredda") tra i gruppi e i paesi imperialisti hanno sempre più caratterizzato le relazioni internazionali. In tutti i paesi il baratro che separa il campo delle masse popolari dal campo della borghesia imperialista si è allargato e approfondito. Interi paesi (Argentina, Turchia, Russia, Ucraina, vari paesi semicoloniali d’Asia, d’Africa e d’America latina in un modo, il Giappone in un altro) sono in preda a depressioni croniche. I regimi politici dei singoli paesi imperialisti sono diventati via via più instabili. Un certo concorso delle masse popolari era diventato un ingrediente indispensabile dei regimi politici instaurati nei paesi imperialisti alla fine della seconda guerra mondiale: ebbene la borghesia ha dovuto spezzarlo perché generava all’interno delle istituzioni politiche una conflittualità insopportabile. Ma il distacco delle masse dalla politica è cresciuto fino a destare allarme nella stessa classe dominante perché anch’esso rende ingovernabile il paese. La borghesia è sempre più tentata di ricorrere a nuovi strumenti di mobilitazione reazionaria delle masse, benché abbia imparato dalla storia che essa può venire dai comunisti trasformata in mobilitazione rivoluzionaria. I gruppi imperialisti americani a partire dagli anni ’80 hanno fatto ricorso a un massiccio drenaggio di risorse economiche, finanziarie e umane dal resto del mondo per assicurare una certa stabilità nella loro base d’insediamento. A fronte delle loro pretese crescenti, gli altri gruppi imperialisti sono diventati sempre più ostili ai gruppi imperialisti americani. È questo "governare la crisi" o è rotolare verso un precipizio?

Come è spiegato anche nel Martin Lutero , i piani e le politiche messe in campo dalla borghesia per uscire dalla crisi falliscono uno dopo l’altro e creano condizioni che la aggravano o aprono la strada attraverso cui procede, determinano le forme concrete del suo progredire. Con la politica messa in atto dai gruppi imperialisti americani di succhiare risorse dal resto del mondo per tamponare la crisi negli USA, essi hanno accelerato lo sviluppo della crisi in tutto il mondo e i contrasti con gli altri gruppi imperialisti, quindi la tendenza alla guerra interimperialista. Senza avere stabilizzato più di tanto gli USA, come è confermato anche dagli avvenimenti dell’11 settembre e dalla politica cui l’Amministrazione Bush ha fatto ricorso. Dove e quando i gruppi imperialisti hanno messo in atto politiche "popolari", la crisi si è manifestata come perdita di competitività rispetto agli altri paesi che ha aggravato la crisi. Dove e quando i gruppi imperialisti hanno messo in atto politiche di austerità (per le masse popolari), la crisi si è manifestata come contrazione dei mercati, acuirsi della conflittualità sociale e degrado delle condizioni di convivenza che hanno acuito la crisi. La borghesia non governa la crisi, ma la tampona qua e là, mette ora una pezza e ora un’altra. È travolta dalla crisi e fatica sempre più a stare a galla. È come un uomo caduto nelle sabbie mobili: ogni movimento lo fa sprofondare. Certo, chi si aspetta che il sistema capitalista crolli, che sopravvenga una paralisi generale dell’attività economica e politica, che la borghesia getti la spugna, vedendo che il sistema non crolla continuerà a dire che la borghesia "governa la crisi". Come di chi è in sella a un cavallo imbizzarrito, finché resta in sella si direbbe che dirige il cavallo. La crisi non porta al crollo del capitalismo, porta alla guerra interimperialista o alla rivoluzione proletaria.

Le nuove BR-PCC invece escludono esplicitamente che la borghesia ci stia portando verso una nuova guerra interimperialista (prg. 43). La dimostrazione che adducono è quella che fu da più parti addotta già all’inizio del Novecento per sostenere che una guerra tra le grandi potenze imperialiste era impossibile: l’integrazione tra le economie dei vari paesi, gli investimenti diretti e finanziari che i maggiori gruppi imperialisti hanno in ogni paese, le relazioni e gli accordi tra i vari gruppi imperialisti, la potenza distruttiva delle nuove armi. Cioè quell’insieme di considerazioni che all’inizio del Novecento furono usate per formulare la teoria del "superimperialismo". Questo aspetto della concezione del mondo delle nuove BR-PCC era già chiaramente presente nel Comunicato del ’99 ed è già stato trattato esaurientemente nel Martin Lutero a cui rinvio. Basta qui ricordare che nel Novecento è proprio avvenuto quello che i teorici del "superimperialismo" dicevano impossibile. L’integrazione economica e la compenetrazione dei gruppi imperialisti non solo non escludono la guerra tra loro, ma sono la premessa necessaria di ogni guerra interimperialista. I gruppi e gli Stati imperialisti fanno tanti più accordi e trattati quanto più i loro interessi sono intrecciati e antagonisti. La questione è che la borghesia non ci porta alla guerra perché oggi i suoi esponenti già la vogliono, come credono alcuni soggettivisti. La maggior parte dei gruppi imperialisti non va a cuor leggero verso la guerra. Per esperienza sa che dalla guerra interimperialista viene un forte impulso alla rivoluzione proletaria. Ma la difesa dei propri interessi spinge ogni gruppo imperialista a operare in modo da portarci verso la guerra. Solo alcuni gruppi imperialisti, i più cinicamente preveggenti, i più oltranzisti, già la danno per inevitabile e ad essa si preparano consapevolmente e sistematicamente. Gli altri si rassegneranno un po’ alla volta. Ad alcuni "le cose sfuggiranno di mano", come si dice.

Quanto alla rivoluzione proletaria, su essa ritornerò più avanti. Qui basti dire che essa non sorge spontaneamente. Essa richiede l’opera assidua, prolungata e mirata di un partito comunista capace di avvalersi di tutta la scienza e l’esperienza accumulata dal movimento comunista, che abbia assimilato profondamente il materialismo dialettico, che sia capace di costruire e impersonare una teoria rivoluzionaria e di dirigere, sulla base di essa, le masse popolari a organizzarsi e a lottare. Ma nessuno conferisce ad un partito queste capacità né l’autorità necessaria per dirigere le masse. Se le deve costruire stabilendo uno stretto legame con le masse e la loro esperienza pratica. E qui entra in ballo la concezione spontaneista che invece le nuove BR-PCC hanno dello sviluppo delle "istanze e tendenze antagoniste" nella classe operaia in guerra rivoluzionaria, di cui parlerò più avanti.

Dicevo dunque che la società capitalista non va verso il crollo del capitalismo, ma va o verso la mobilitazione rivoluzionaria delle masse (via alla rivoluzione proletaria) o verso la mobilitazione reazionaria della masse (via alla guerra interimperialista) o verso una combinazione delle due. In definitiva va o verso una nuova ondata della rivoluzione proletaria o verso la guerra interimperialista o verso una combinazione delle due. In ogni caso va verso una crisi politica generale che è la sola che può porre fine alla nuova crisi generale in corso dagli anni ’70. Chiamare questo corso delle cose "governo della crisi" è come dire che l’autista che ha perso il controllo della sua vettura uscita di strada "governa il percorso della vettura" perché fa mosse disperate per riprenderne il controllo senza riuscirci (come riconoscono anche le nuove BR-PCC (prg. 13 e 32)). In realtà alcuni sostengono che la crisi attuale non avrà uno sbocco solo perché non riescono a immaginare come avverrà lo scioglimento del dramma: cosa che oggi è ancora prevedibile solo a grandi linee, perché gli sviluppi concreti dipenderanno dalle forze politiche che concretamente si formeranno e dalla lotta che ognuna di esse saprà condurre.

5. La relazione tra i due campi

Quanto alle misure politiche che la borghesia prende per "governare il conflitto di classe", nell’unico caso che esse esaminano un po’ da vicino, quello della "concertazione", le stesse nuove BR-PCC sono costrette a riconoscere che essa era entrata "in crisi manifesta con il governo D’Alema, per la resistenza che le misure antiproletarie (che giustificavano il ruolo del governo D’Alema) suscitavano nel proletariato e per la particolare difficoltà a produrre le ulteriori trasformazioni per le quali premeva la Confindustria" (prg. 23). Cosa era la "concertazione" di cui parliamo? Era l’accordo stipulato nel 1993 (governo Ciampi) tra sindacati di regime (il grosso dell’aristocrazia operaia), le organizzazioni padronali (Confindustria, ecc.) e il governo. Questo si impegnava a concordare con le "parti sociali" tutte le misure di politica economica (donde il diritto di veto). Questo accordo salta nel ’98 perché l’aristocrazia operaia (e soprattutto quella annidata nella CGIL) si rende conto che o accetta di ridursi ad apparato integrato nella burocrazia statale, senza più alcuna autonomia economica (i sindacati concentrano ogni anno alcune migliaia di miliardi di vecchie lire (9) dai loro tesserati e questo conferisce ai loro dirigenti quella libertà di attuare i propri programmi che in una società borghese deriva dal possesso di denaro) o smette di appoggiare a spada tratta le esigenze avanzate contro i lavoratori dal governo e dalle associazioni padronali e cavalca in qualche modo l’opposizione. È una tenaglia che stringe sempre l’aristocrazia operaia. Essa ha servizi tanto più preziosi da vendere alla borghesia quanto maggiori sono il suo ascendente e la sua influenza tra la massa dei lavoratori. Ma quanto più li usa a favore della borghesia contro i lavoratori (in una fase in cui la borghesia non fa che eliminare le conquiste dei lavoratori), tanto meno ne ha. Nelle aziende fino al ’98 il malcontento e l’opposizione erano cresciuti, i tesserati erano calati,(10) gli scioperi e le manifestazioni riuscivano anche se i sindacati di regime li sconfessavano e vi si opponevano. Da dove veniva questa resistenza dei lavoratori? Le nuove BR-PCC neanche se lo chiedono. Per loro è un dato oggettivo, naturale, come la pioggia. Ma essa non cadeva dal cielo, né era un prodotto automatico dell’oppressione, né era suscitata dalla cospirazione delle nuove BR-PCC che nel maggio ’99 porterà all’eliminazione di D’Antona o da cospirazioni analoghe. Essa è il frutto della coscienza di classe sedimentata nella classe operaia (cioè dell’azione passata del movimento comunista) e dell’azione presente di migliaia di lavoratori avanzati e FSRS. Quando a causa di quella resistenza la concertazione entra in crisi, cresce nella borghesia l’orientamento a scaricare il centro-sinistra (che è legato alla concertazione) e a rivolgersi alla banda Berlusconi. Nel ’99 le Camere, dove il centro-sinistra ha la maggioranza, eleggono presidente della Repubblica Ciampi, un succube di Berlusconi.(11) Quindi il centro-sinistra dà prova di non essere disposto a battersi contro la banda Berlusconi. Le fortune elettorali di Berlusconi salgono: elezioni europee ’99, regionali 2000. Le operazioni giudiziarie e parlamentari che impedirebbero a Berlusconi di accedere al governo sono paralizzate. Nel marzo 2000 il candidato di Agnelli alla presidenza della Confindustria viene trombato a favore del berlusconiano D’Amato. Anche Agnelli si adatta a collaborare all’ascesa della banda. Nel maggio ’01 Berlusconi è consacrato capo del governo grazie a una legge elettorale truffa che il centro-sinistra non ha modificato. Quelli che sono vittime dei propri pregiudizi e pensano che "i governi li eleggiamo noi", si chiedono come mai Berlusconi è riuscito a conquistare tanti voti e imprecano contro l’arretratezza delle masse. Neanche le nuove BR-PCC osano dire che la concertazione è entrata in crisi perché loro hanno eliminato uno dei suoi teorici e promotori (prg. 24). La banda Berlusconi abbandona la concertazione. Discute con tutti ma procede con chi ci sta a quello che il governo ha deciso (è il "dialogo sociale"). CISL e UIL, per ciò che distingue la loro tradizione e la loro natura da quelle della CGIL,(12) sono tentate di collaborare con la banda Berlusconi. Ma neanche loro possono muoversi liberamente: sono pur sempre, almeno in parte, aristocrazia operaia, non semplici uffici governativi, semplici agenzie della controrivoluzione preventiva.

Da quando è iniziata la seconda crisi generale del sistema capitalista, in tutti i paesi imperialisti la borghesia ha gradualmente ma sistematicamente limitato o eliminato le conquiste delle masse popolari che attenuavano alcuni effetti distruttivi e disgregatori dei rapporti di produzione capitalisti. Il processo ha avuto una brusca accelerazione dopo il crollo, alla fine degli anni ’80, del campo socialista e ha comportato anche la liquidazione dei partiti revisionisti. La borghesia ha quindi perso il principale strumento per "governare il conflitto di classe", che era un ingrediente essenziale del regime instaurato dopo la seconda guerra mondiale nei paesi imperialisti. La classe operaia, il resto del proletariato e i lavoratori autonomi resistono meglio che possono alla liquidazione delle loro conquiste, anche se per mobilitarsi devono utilizzare gli strumenti organizzativi che trovano a disposizione, che sono essenzialmente ancora quelli ereditati dalla storia (gli "anni ’70" hanno lasciato ben poco - i sindacati alternativi e le FSRS - proprio perché naufragati nel militarismo). Da allora oggettivamente la posizione dell’aristocrazia operaia nella società è cambiata, essa è sotto pressione, compressa nella tenaglia sopra indicata, in declino. Il "governo del conflitto di classe" da parte della borghesia tramite essa è sempre più in difficoltà. Con l’avvento al governo della banda Berlusconi la posizione dell’aristocrazia operaia subisce un ulteriore peggioramento.

Tutto quanto fin qui detto riguarda l’azione della borghesia e il movimento che essa, come classe dominante, cercando di prolungare la sopravvivenza del suo sistema di rapporti sociali, imprime al mondo. Riguarda cioè uno dei due campi della guerra rivoluzionaria. Quello che ha ricevuto dalla storia che abbiamo alle spalle la direzione economica, politica e culturale della società; quello che per sua natura è il più organizzato (ma non unificato: non esiste e non può esistere un "unico capitale"), ha collaudati strumenti di elaborazione e di centralizzazione della volontà dei suoi membri, è il più capace di avere un orientamento comune e di svolgere un’azione collettiva; quello che impersona l’unità della società, nei limiti in cui questo è possibile nell’ambito del modo di produzione capitalista.(13) Ed è evidente che le nuove BR-PCC sopravvalutano la forza, la capacità progettuale e la capacità d’azione della borghesia imperialista.

 

6. Il campo della classe operaia

Ma come stanno le cose nel campo opposto, nel campo delle masse popolari che la classe operaia deve mobilitare e dirigere? Emerge nuovamente nella classe operaia la tensione a impegnarsi nella lotta per il potere, a costituire una forza e un polo politico autonomo e antagonista rispetto alla borghesia imperialista e a tutte le sue espressioni politiche, a prendere la direzione del resto delle masse popolari e andare a uno scontro risolutore con la borghesia imperialista? Per rispondere a questa domanda (e alla terza delle tre domande che avevo sopra formulato) occorre anzitutto vedere come la classe operaia si costituisce in classe dirigente. È su questo terreno che emerge ancora più nettamente la natura della concezione del mondo esposta nel Comunicato e l’inconsistenza della proposta che ne deriva. Infatti nel Comunicato è presente una certa capacità di analizzare nei suoi termini reali l’azione della borghesia imperialista, ma manca anche solo un tentativo un po’ serio di analizzare come si è sviluppata la lotta della classe operaia per il potere, le leggi che la governano, gli strumenti che le sono necessari. Le nuove BR-PCC trattano molto dei modi di indebolire la borghesia (e il metodo che indicano, in certe circostanze può anche essere efficace), ma trascurano proprio la cosa principale: come la classe operaia si rafforza e diventa classe dirigente? Il rafforzamento della classe operaia non è il risultato automatico e scontato dell’indebolimento della borghesia. Le due classi non sono eguali e contrarie.

I marxisti hanno sempre sostenuto che la classe operaia può diventare classe dirigente della società moderna, che è l’unica tra tutte le classi oppresse della società moderna che può diventarlo, che la lotta degli operai contro i capitalisti per i loro specifici interessi diretti e immediati (il salario, le condizioni di lavoro, ecc.) crea condizioni favorevoli alla trasformazione della classe operaia in classe dirigente (è una scuola di comunismo), che essa può mettere fine alla sua particolare forma di asservimento solo istituendo la proprietà collettiva su tutte le forze produttive della società, che la lotta della classe operaia contro la borghesia incarna la contraddizione tra il carattere collettivo delle forze produttive e i rapporti sociali capitalisti entro cui esse sono costrette. Ma già negli anni ’50 dell’Ottocento Marx ed Engels avevano messo in chiaro che, mentre la borghesia poteva diventare classe dirigente in campo politico anche solo in forza dell’influenza che il suo ruolo nell’economia le conferiva sull’intera società, la classe operaia poteva diventarlo solo organizzandosi come forza politica (organizzazioni di massa e partito comunista). E verso questo obiettivo tesero tutta la loro attività pratica e teorica, perché la classe operaia non si organizza spontaneamente in partito comunista. Per organizzarsi in partito comunista essa deve rompere con la condizione di subordinazione anche politica che eredita dalla storia e che è parte essenziale della sua natura di proletariato. Come può il proletariato trasformarsi?

È la storia del movimento comunista che mostra, a chi la studia, questo processo, le leggi che lo governano e gli strumenti e le istituzioni in cui si concretizza. È un processo che avviene in modo né spontaneo, né arbitrario.

All’inizio del secolo appena terminato, esattamente cento anni fa, Lenin aveva esaminato in lungo e in largo, in particolare nel noto scritto Che fare? (1902), la questione del come le istanze e tendenze antagoniste che le condizioni oggettive fanno spontaneamente sorgere nella classe operaia potevano svilupparsi in lotta per il potere contro la borghesia e le altre classi reazionarie. Già allora quindi nel movimento comunista si era posto il problema se lo sviluppo delle istanze e tendenze antagoniste "spontanee" (cioè determinate dalle condizioni oggettive dei rapporti pratici tra le classi) in lotta per il potere avveniva spontaneamente o richiedeva l’intervento di qualche "ostetrico". La conclusione fu già allora, quindi ben prima della fine della seconda guerra mondiale, che quelle istanze e tendenze spontanee non diventavano di per se stesse, spontaneamente, lotta per il potere; che, se non interviene qualcosa d’altro, la borghesia riesce in un modo o nell’altro, con le buone o con le cattive o combinando il bastone con la carota, a "governare il conflitto di classe": sia a tenere in pugno la classe operaia sia a impedirle di assumere la direzione del resto delle masse popolari. Per di più essa ha imparato che non deve lasciare che si sviluppino in pace neanche le organizzazioni di massa: ha imparato a infiltrarle e controllarle. Già all’inizio del Novecento persino la polizia politica dell’arretrata Russia organizzava già "sindacati" (famoso il poliziotto Zubatov) e comperava tribuni popolari (famosi il prete Gapon e il deputato bolscevico Malinowski). La conclusione di Lenin fu che le istanze e tendenze antagoniste che la condizione oggettiva fa sorgere nella classe operaia possono svilupparsi fino a diventare lotta per il potere solo se i comunisti si costituiscono in partito, si legano alla classe operaia, portano in essa la "coscienza comunista", dirigono le sue organizzazioni di massa combattendo in esse l’influenza della borghesia (che è impossibile eliminare "una volta per tutte", "fino in fondo"). Su questa risposta si fondano la teoria e la pratica leniniste del partito comunista come avanguardia organizzata della classe operaia (associazione dei lavoratori avanzati che aderiscono al comunismo) e parte della classe operaia (anche se ne sono membri anche comunisti non operai), la parole d’ordine "senza teoria rivoluzionaria un movimento rivoluzionario non può crescere oltre un livello elementare e spontaneo", la concezione del partito che dirige il resto della classe operaia attraverso le organizzazioni di massa e che considera quindi lo sviluppo dell’organizzazione di massa e dell’azione di massa uno dei suoi compiti essenziali. La classe operaia (e tanto meno il resto delle masse popolari) non riesce a sviluppare un’azione di massa che non sia di livello elementare e spontaneo se questa non è promossa, organizzata e diretta dal suo partito, in particolare non riesce a condurre una guerra rivoluzionaria. La classe operaia si trasforma in classe dirigente solo quando gli operai avanzati si sono organizzati nel partito comunista. Quindi le "esigue avanguardie" attuali devono da subito mobilitarsi e organizzarsi per costruire un vero partito comunista.

La risposta data da Lenin e la risposta esposta nel Comunicato dalle nuove BR-PCC sono chiaramente due risposte inconciliabili, che portano a due impostazioni diverse dell’attività politica immediata delle "esigue avanguardie". La risposta di Lenin porta alla costituzione del partito comunista. La risposta delle nuove BR-PCC porta alla costituzione di OCC. Non è un caso che nel Comunicato le nuove BR-PCC rivendicano come parte della propria concezione del mondo la teoria di Lenin sull’imperialismo e la teoria di Lenin sullo Stato (prg. 61 e 104),(14) ma passano completamente sotto silenzio la teoria di Lenin sul partito comunista, che è uno dei massimi apporti di Lenin al movimento comunista.(15) Esse esplicitamente sostengono che la costituzione del partito sarà, come la contemporanea distruzione dello Stato borghese, una risultante del processo politico-militare condotto dalla guerriglia (prg. 72 e 99). Noi invece sosteniamo che è il primo passo di tutto il processo politico-militare (rivoluzionario) che dobbiamo promuovere.

In realtà le nuove BR-PCC giustificano una linea di condotta che hanno ereditato dalla deviazione militarista che ha condotto le BR alla sconfitta negli anni ’70 e che gli esponenti delle vecchie BR non hanno sottoposto a rettifica durante la Ritirata Strategica.(16) È significativo che le nuove BR-PCC dicono che vi è una differenza importante tra la fase attuale e gli anni ’70, riconoscono che la lotta armata condotta dalle vecchie BR fu lo sbocco di un vasto movimento rivoluzionario della classe operaia mentre la lotta armata che esse propongono oggi dovrebbe permetterne la ricomparsa. Ma si guardano bene dallo spiegare perché la borghesia riuscì a sconfiggere le vecchie BR. Non affrontano neanche la questione: constatano e basta (prg. 58 e 98). Noi al contrario sosteniamo e abbiamo più volte e in più circostanze dimostrato che le vecchie BR furono sconfitte a causa della deviazione militarista (concentrare le forze per colpire con attentati la borghesia anziché per costruire il partito comunista) che in definitiva prese il sopravvento in esse distogliendole dal compito della creazione di un vero partito comunista, senza del quale è impossibile sviluppare la guerra rivoluzionaria. L’idea che azioni condotte da gruppi guerriglieri in campo nemico bastino a determinare il sorgere nella classe operaia di gruppi combattenti o anche solo a determinare nella classe operaia un orientamento favorevole alla rivoluzione socialista è del tutto campata in aria e ripetutamente smentita dall’esperienza (anche quando i gruppi guerriglieri erano numerosi e con relazioni con le masse come nella seconda metà degli anni ’70). È campata in aria quanto l’idea che basti a determinare questo orientamento la propaganda del comunismo fatta da un gruppo di abili propagandisti e ancora più campata in aria dell’idea che basti a questo scopo l’attività di un partito elettorale-parlamentare (perché almeno quest’ultima fino ad un certo punto mobilita e organizza le masse). Le nuove BR-PCC hanno una concezione spontaneista della trasformazione della classe operaia in classe dirigente: essa dovrebbe avvenire da sola una volta che la guerriglia allenta la pressione della classe dominante sulla classe operaia e dà l’esempio.

Infatti secondo le nuove BR-PCC il nostro campo "è impedito nel procedere alla socializzazione e collettivizzazione (dei mezzi di produzione e dei beni di sussistenza) dall’esistenza e dall’azione politico-militare dello Stato" borghese (prg. 62). Ma in realtà le cose non stanno affatto così. Il nostro campo non è affatto composto di persone animate dal desiderio e dalla volontà di socializzare e collettivizzare se non ci fosse lo Stato borghese a impedirlo "con le sue leggi e i suoi strumenti sanzionatori e repressivi". Non è vero che "niente impedirebbe al proletariato di prendere possesso dei mezzi di produzione o dei beni di sussistenza che usa e produce se lo Stato non ne difendesse la ’legittima’ proprietà privata con l’azione concreta dei suoi apparati armati, presa di possesso che nella dittatura della borghesia assume connotato di furto e saccheggio" (prg. 63). Quando la situazione è evoluta al punto che il potere della borghesia si basa unicamente o anche solo principalmente sugli apparati armati dello Stato che tengono a freno il proletariato, il potere della borghesia è oramai agli sgoccioli. È vergognoso che le nuove BR-PCC per dare forza alle loro argomentazioni spontaneiste mettano sullo stesso piano della lotta del proletariato per prendere possesso dei mezzi di produzione e dei beni di sussistenza, il furto (che è una soluzione eminentemente individuale e di difesa ) e il saccheggio (che è una soluzione collettiva, ma circoscritta e di difesa), ambedue per loro natura limitati ai beni di sussistenza, cioè alla divisione del prodotto e senza relazione diretta con la creazione di una società socialista.

La condizione da cui noi partiamo, anche dopo 150 anni di movimento comunista, è quella di masse popolari divise in varie classi, tutte oppresse e sfruttate dalla borghesia imperialista, ma in modi, forme e misure diverse: se non fosse così i "progetti neocorporativi" della borghesia, di cui anche le nuove BR-PCC parlano, sarebbero del tutto campati in aria, "discorsi della domenica" che basterebbe smascherare come imbrogli.(17) In ognuna di queste classi, anche nella classe operaia, oggi la sinistra è una minoranza esigua, anche se largheggiamo e comprendiamo in essa tutti quelli che con un intendimento o un altro si oppongono alla proprietà della borghesia imperialista e aspirano in un modo o in un altro a espropriarla. Esigua è anche la destra, se in essa comprendiamo tutti quelli che ritengono sacrosanta e inalienabile la proprietà della borghesia imperialista, sono succubi alla borghesia imperialista e ne difendono gli interessi. Ma tuttavia la destra esiste ed essa oggi ha un’influenza sul centro di gran lunga maggiore della sinistra, proprio perché questa è senza partito comunista (mentre la destra ha alle spalle la borghesia). Inoltre per vari motivi oggi la borghesia imperialista riesce largamente a trasformare la contraddizione oggettiva di interessi tra se stessa e le masse popolari in contraddizioni tra le varie classi, categorie e gruppi delle masse popolari, in altrettante "guerre tra poveri", calde o fredde che siano (il razzismo, la xenofobia, la delinquenza spicciola, il nazionalismo nei paesi imperialisti, le guerre di religione, ecc.): per ogni gruppo delle masse popolari la causa dei suoi malanni è un altro gruppo delle masse popolari e cerca di risolverli lottando a suo modo contro di esso. La mobilitazione reazionaria delle masse incomincia da questo terreno. La borghesia ci marcia in ogni classe. Non cesserà per alcun motivo di farlo, visti i benefici che ne trae. Avrà i mezzi per farlo finché avrà la direzione dell’attività economica.

Per la storia di millenni di società di classe che abbiamo alle spalle e per le condizioni in cui esso si è formato, il nostro campo è composto di classi e individui nati, vissuti, educati e abituati all’asservimento. Il loro assoggettamento ai padroni è ribadito, oltre che dall’azione oculata della borghesia, da tutta una parte della loro esperienza, dalle tradizioni di tutte le classi oppresse che sono sedimentate nella loro coscienza e nelle loro abitudini, dalle condizioni concrete in cui si svolge la loro vita e che formano la loro coscienza. Un lato della loro esperienza pratica porta milioni e milioni di oppressi, anche di operai, a ritenere che senza il padrone sarebbe impossibile vivere e a non sapere in effetti cosa fare quando non ci sono i capitalisti a organizzare la loro attività economica e la loro convivenza sociale. Non è un caso che milioni di operai fanno lavorazioni molto complicate, ma hanno difficoltà a organizzare le loro lotte rivendicative (sulla ripartizione del prodotto, sulle loro condizioni materiali e spirituali) e ancora più a organizzare la lotta per il potere. Al punto che la classe dominante sparge la concezione che fanno gli operai le persone "meno dotate", quelle che "non hanno attitudini per gli studi". Giustifica cioè la divisione degli individui nel lavoro con supposte differenze naturali tra loro: come giustifica la discriminazione razziale, di sesso, ecc.

Le difficoltà che ogni lavoratore incontra per organizzarsi, per aggregarsi, per formulare rivendicazioni, per dar vita al sindacato e ancora più per organizzarsi nel partito, dimostrano che egli non è formato ed educato alla direzione, benché nel contempo abbia bisogno di diventare classe dirigente e tutta una parte della sua esperienza lo predisponga e lo spinga a questa trasformazione. L’esperienza dei paesi socialisti ha confermato su grande scala che l’emancipazione della classe operaia e delle altre classi oppresse non si realizza di colpo, nemmeno dopo l’instaurazione della dittatura del proletariato. Non è vero che "senza il potere politico la borghesia (...) non potrebbe esistere come classe" come sostengono le nuove BR-PCC (prg. 69). Non è lo Stato borghese che ha creato l’ordinamento borghese della società. Questa è la concezione degli anarchici, che coerentemente sostengono che bisogna "abolire lo Stato" per cambiare l’ordinamento della società. Noi comunisti sosteniamo che è l’ordinamento sociale che ha fatto sorgere lo Stato e che lo sviluppo storico delle cose e degli uomini è arrivato però al punto che instaurando un proprio Stato la classe operaia potrà gradualmente cambiare l’ordinamento sociale fino all’estinzione dello stesso Stato. La borghesia esisteva come classe prima di avere il potere politico e ha continuato ad esistere come classe anche nei paesi socialisti e non poteva che essere così. Il socialismo è un periodo di transizione tra il capitalismo e il comunismo. Quindi nei paesi socialisti, cioè dopo la conquista del potere da parte della classe operaia, esistono rapporti capitalisti (che vengono gradualmente limitati ed eliminati) e rapporti comunisti (che vengono promossi ed estesi). Pensare che la borghesia cessi di esistere come classe quando la classe operaia conquista il potere, è disarmare ideologicamente la classe operaia, lasciare che la borghesia prepari le condizioni della restaurazione del suo potere. Infatti i revisionisti moderni, i Kruscev, i Teng Hsiao-ping, i Breznev, ecc. sostenevano che nei paesi socialisti non esisteva più la borghesia, che il partito e lo Stato erano "di tutto il popolo". Nel 1989 anche i ciechi hanno visto che non era così. Ma neanche di questo le nuove BR-PCC si chiedono il perché (prg. 30). Quindi ignorano gli insegnamenti che ne derivano.

Nella vita degli operai e di ogni classe oppressa vi è anche l’esperienza contraria all’asservimento. L’oppressione spinge anche alla ribellione e prepara alcune condizioni di essa. Oltre che all’assuefazione, la pratica quotidiana della contrattazione col padrone e anche della lotta politica (elettorale-parlamentare) tipica della società borghese dei paesi imperialisti, del "conflitto di classe", genera tra le classi oppresse e in modo particolare nella classe operaia, l’aggregazione e l’esperienza dell’azione collettiva. I comunisti agiscono su questa contrapposizione che è interna alla classe operaia e alla sua esperienza. I comunisti sono anzitutto educatori della classe operaia perché si trasformi in classe dirigente e riescono a fare tanto meglio questo loro lavoro se sono essi stessi operai: per questo il partito comunista deve essere la parte d’avanguardia e organizzata degli operai e i comunisti non operai devono contribuire con tutte le loro forze e risorse a farlo diventare tale.

Lenin in particolare ha insegnato che bisogna agire principalmente sulle cause interne al nostro campo, trasformarlo costruendo il partito comunista e le organizzazioni di massa: la lotta armata in una prima fase è solo o principalmente un mezzo per facilitare questo lavoro e in una fase successiva è principalmente l’effetto di questo lavoro. L’esperienza storica ha dimostrato che gli insegnamenti di Lenin hanno portato alla vittoria, alla conquista del potere e alla sconfitta di tutti gli eserciti che la borghesia ha messo in campo contro l’Unione Sovietica e di tutte le manovre politiche che ha architettato contro di essa. Il declino dell’URSS è incominciato quando il partito ha cambiato la propria concezione del mondo, ha incominciato ad agire in conformità alla concezione che, visto che era stata privata del potere politico, la borghesia oramai non esisteva più. Le nuove BR-PCC invece dicono che il compito principale è agire sulle cause esterne al nostro campo, sulla borghesia imperialista, indebolirla, disarticolare il suo Stato: il resto (la trasformazione del proletariato in classe dirigente) viene da sé. Distruzione dello Stato borghese e costruzione del partito per le nuove BR-PCC sono processi contemporanei (prg. 72 e 79). La costituzione del partito comunista è rinviata al futuro, quando le attività combattenti della guerriglia (senza partito comunista) avranno distrutto lo Stato borghese; come dire: mai!

7. Il bilancio del movimento comunista secondo le nuove BR-PCC

La natura delle concezione del mondo che guida le nuove BR-PCC emerge anche quando esse provano a rispondere alla questione che giustamente ogni comunista deve porsi: "Perché la classe operaia finora non è riuscita a conquistare il potere in nessun paese imperialista?". Nel Comunicato esse prendono in esame i 150 di storia del movimento comunista. È istruttivo vedere come.

Secondo le nuove BR-PCC nel periodo che va dal 1848 al 1917 il proletariato europeo e americano si sarebbe occupato solo di riforme che la borghesia avrebbe potuto concedere grazie ai margini creati dal sistema politico democratico da essa instaurato. Perché si sarebbe occupato di riforme, non lo spiegano. In realtà esse sanno anche che vi è stata la Comune di Parigi, sanno anche che vi sono state nel proletariato "tendenze rivoluzionarie", sanno che esso ha sostenuto "molti scontri cruenti" e che ha compiuto "movimenti insurrezionali" (prg. 73). Ma non si preoccupano di spiegare perché la borghesia è riuscita a venirne a capo. Tanto meno si preoccupano di spiegare il ruolo che allora ebbero i numerosi attentati a personaggi chiave della classe dominante: per limitarsi all’Italia basta ricordare che il 29 giugno 1900 per mano dell’anarchico Gaetano Bresci cadeva Umberto I che da quasi dieci anni fomentava una feroce repressione (dai Fasci Siciliani alle stragi del gen. Bava Beccaris a Milano) e complottava per realizzare un colpo di Stato che abolisse la costituzione allora vigente che la borghesia, non ancora "progredita" come l’attuale, in una certa misura rispettava anche nella pratica. Basta che la borghesia ne sia venuta a capo e che da ogni vittoria abbia ovviamente tratto anche elementi per rafforzare i suoi mezzi di dominio ("la rivoluzione si fa strada suscitando una controrivoluzione potente" diceva già Marx in Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 ), perché le nuove BR-PCC affermino che il proletariato europeo e americano in quel periodo è stato riformista, impegnato solo a lottare per "obiettivi politici democratici". Ovviamente è un bilancio sbagliato e contrario a quello fatto dal movimento comunista.(18)

Il proletariato si sarebbe impadronito del potere in Russia solo perché la Russia era un paese dove la borghesia non aveva preso il potere ed era particolarmente debole e perché il regime zarista non poteva concedere nulla agli "obiettivi politici democratici" senza crollare. Il lavoro svolto dal partito di Lenin non c’entrerebbe o comunque avrebbe avuto un ruolo secondario.

Tuttavia la vittoria della rivoluzione bolscevica in Russia avrebbe spinto "i reparti rivoluzionari dei partiti riformisti europei" a costituire autonomi partiti comunisti (prg. 74). Da dove sbuchino questi "reparti rivoluzionari", perché non avessero costituito prima partiti comunisti autonomi (salvo che in Russia), le conseguenze di questo ritardo, è un problema che le nuove BR-PCC eludono. Forse anche perché, rispondendo a una questione del genere per allora, rischierebbero di arrivare per il presente a conclusioni diverse da quelle per cui esse oggi rimandano alle calende greche la costituzione del nuovo partito comunista.

Siamo così al periodo 1917-1945. I partiti comunisti europei avrebbero cercato di portare la classe operaia a conquistare il potere, ma con una strategia e una linea politica che "tendono a riprodurre, nel corso della crisi dopo la prima guerra mondiale, il modello rivoluzionario russo" (prg. 74). Neanche le nuove BR-PCC si azzardano a dire che in questo periodo la borghesia fosse larga di concessioni al proletariato europeo, in modo da smorzarne le spinte e tendenze antagoniste. Si limitano a dire che "la lotta rivoluzionaria guidata dai partiti comunisti suscitò potenti processi controrivoluzionari e non riuscì a vincere" (prg. 75). Perché, non interessa. I partiti comunisti o "vennero annientati come in Germania o furono ridotti alla stasi politica come in Italia durante il fascismo". Da dove sia sorta la Resistenza, non importa alle nuove BR-PCC. Certo non sorse dalla "stasi politica". Il Tribunale Speciale fascista non funzionava perché c’era "stasi politica": in 15 anni condannò ben 4.030 comunisti e più di 5 volte tanti furono i denunciati. La guerra di Spagna (1936-1939) non esiste: non importa capire perché il movimento comunista l’ha persa. L’importante è che la borghesia ha imparato a "irreggimentare il conflitto sociale", ha "consolidato l’intervento dello Stato nell’economia in funzione del governo della crisi", ha avviato la "corporativizzazione degli interessi sociali" (prg. 75).

La Resistenza contro il nazifascismo, la sua vittoria militare e la sua liquidazione politica sono relegate nell’oblio. Risulta che "la controrivoluzione imperialista seguita alla seconda guerra mondiale" ha imparato dalle vicende della prima metà del secolo, si sono realizzate trasformazioni degli ordinamenti economico-sociali e politici tali che oramai la borghesia è in grado di tenere sottomessa la classe operaia e il resto delle masse popolari se non intervengono le "esigue avanguardie" a destabilizzarla (prg. 85 e 86).

Insomma un bilancio che sarebbe da ridere, se il militarismo non avesse ancora nella pratica l’importanza che ha, non offrisse alla borghesia gli strumenti che ancora offre per contrastare la formazione del partito comunista e se queste "concezioni" non fossero ancora piuttosto diffuse sotto varie forme nelle FSRS.

8. Conclusione

In conclusione le nuove BR-PCC, quanto alla borghesia imperialista, sopravvalutano la sua forza e la sua capacità di indirizzare la società in conformità a un progetto (un piano) elaborato e promosso da suoi esponenti: e in ciò stravolgono la teoria del modo di produzione capitalista elaborata da Marx. Quanto alla classe operaia, esse hanno una concezione spontaneista dello sviluppo delle istanze e tendenze antagoniste della classe operaia e della loro trasformazione in lotta contro la borghesia per il potere. La loro concezione del mondo è la concezione tipica di una "cellula impazzita" della classe dominante, che colpisce in casa propria dove crede sia più efficace, nella fiducia che ciò permetta prima o poi ai proletari (che premono alle porte) di irrompere e mettere fine alle nefandezze che vede quotidianamente progettare, preparare, promuovere. Va da sé che se i gruppi militaristi fossero davvero gruppi interni alla classe dominante ma politicamente antagonisti al suo concreto ordinamento, per capirci una versione militare dei Gobetti e dei Rosselli degli anni ’20 (quindi non invece gruppi delle masse popolari ancora ideologicamente succubi di essa), il partito comunista potrebbe trovare in essi utili alleati, quando sarà in condizioni di orchestrare la sua azione su scala più ampia dell’attuale. Ma resta confermato che la ricostruzione di veri partiti comunisti (e non lo sviluppo di OCC) è la prima indispensabile tappa della rinascita del movimento comunista e dello sviluppo delle istanze e tendenze antagoniste prodotte dalle condizione oggettive in guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata fino ad instaurare il socialismo. È alla ricostruzione del partito comunista che devono lavorare da subito le esigue avanguardie attuali.

Umberto Campi


Avvertenze

Il Comunicato che rivendica a nome delle nuove Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente l’attentato del 19 marzo 2002 (Bologna, prof. Marco Biagi) espone una concezione del mondo, analisi e linee che hanno una certa diffusione tra le FSRS e sono nel complesso un importante ostacolo alla ricostruzione di un vero partito comunista. Questo articolo tratta di queste concezioni, analisi e linee ed è rivolto ai compagni che in qualche misura le condividono. Quanto detto nell’articolo vale chiunque siano gli autori reali del Comunicato. Se gli autori reali del Comunicato sono un gruppo di rivoluzionari che aspirano a eliminare il capitalismo, le considerazioni qui svolte valgono a maggior ragione per loro. Tanto più se essi coincidono con gli autori del Comunicato che rivendicò l’attentato del 20 maggio 1999 (Roma, prof. Massimo D’Antona), firmato anch’esso nuove BR-PCC, a cui a suo tempo la CP ha dedicato l’opuscolo Martin Lutero (supplemento a La Voce n. 3, disponibile sulla pagina web della CP). In questo articolo si parte da questa più favorevole ipotesi e i due Comunicati vengono indicati come opera delle nuove BR-PCC.

I rinvii al Comunicato di marzo sono fatti tramite il numero dei paragrafi.

 



NOTE

1. Ciò che distingue l’eclettismo dalla dialettica è che l’eclettico ammette elementi contrastanti, che si escludono a vicenda, ma non indica la relazione che si svolge tra loro e le priorità. Il pressappochista addirittura li ammette senza rendersi conto che l’uno esclude l’altro.

 

2. In questo contesto il soggettivismo è inteso come non ricercare le leggi secondo cui di fatto una determinata società si trasforma, ma partire da un modello di società, da una idea, da un pregiudizio e cercare di tradurlo nella realtà; non partire con la propria riflessione da ciò che è, ma da ciò che secondo noi deve essere.

 

3. Odiare la borghesia è per ogni membro delle masse popolari una manifestazione di benessere mentale e psicologico. Evita di odiare il vicino e se stessi per le condizioni di merda in cui si vive, individua in modo giusto la causa e il bersaglio da eliminare per porvi fine. Per i membri delle masse popolari in questo periodo è la misura fondamentale di igiene mentale.

4. Nel nostro paese il "conflitto di classe" oppone alla borghesia imperialista, sulla base dei loro interessi oggettivi, 7 milioni di operai veri e propri più altri 8 milioni di proletari (lavoratori dipendenti da aziende non capitaliste). In totale 15 milioni di proletari (di cui circa 4 milioni lavorano in imprese con più di 250 dipendenti) che con le loro famiglie e i pensionati relativi costituiscono circa il 65% della popolazione. Se a questi si aggiungono i circa 6 milioni di lavoratori autonomi (sfruttati economicamente dalla borghesia imperialista attraverso imposte, interessi, usura, racket, assicurazioni, diritti, prezzi di monopolio, riduzione dei servizi gratuiti e altre angherie) con le famiglie e i pensionati, si arriva a più del 90% della popolazione italiana (vedasi Progetto di Manifesto Programma , pag. 89 - 93). Queste sono le dimensioni del campo che noi comunisti dobbiamo mobilitare, organizzare e condurre in battaglia contro la borghesia imperialista.

 

5. "È giunta l’ora di assumersi tutta la responsabilità delle parole che si lanciano in mezzo al popolo. I socialisti hanno finora attuato la politica del dottor Grillo: come il dottor Grillo distribuiva ricette a destra e a manca, augurando ai suoi clienti: "Che Dio ve la mandi buona!", così i capi socialisti lanciano manifesti demagogici, senza preoccuparsi delle loro conseguenze reali e dei loro risultati pratici. Non si lotta senza un programma preciso e senza una tattica adeguata al programma proposto come fine della lotta. Non si invitano alla lotta le grandi masse popolari senza un piano preciso per il loro inquadramento permanente, per la massima utilizzazione delle energie che vengono in tal modo scatenate. Signori del partito socialista e della Confederazione generale del lavoro, dovete parlar chiaro. A nessun costo i comunisti vi permetteranno di trascinare il proletariato in un’avventura che ripeta l’avventura dell’occupazione delle fabbriche. La posta è troppo grave. La posta è la vita stessa degli operai. Se le canaglie massimaliste credono di potersi rifare una verginità rivoluzionaria speculando demagogicamente sull’ultimo quarto d’ora di potere di cui ancora sentono di poter disporre, troveranno chi saprà affrontarli e saprà, senza paure di impopolarità, strappar loro la maschera dalla faccia." (A. Gramsci, Bisogna parlar chiaro in L’Ordine Nuovo , 29 ottobre 1921).

 

6. Forme Antitetiche dell’Unità Sociale: istituzioni e istituti che impersonano l’unità economica della società nel quadro di rapporti sociali capitalisti che sono l’antitesi dell’unità sociale, che la escludono, che dividono la società in tanti enti indipendenti quanti sono gli adulti che la compongono. Esempi di FAUS: monopoli, interventi dello Stato nell’economia, politica economica, capitalismo monopolistico di Stato, moneta fiduciaria, sistemi previdenziali pubblici, ammortizzatori sociali, politiche educative, politiche familiari e demografiche, legislazione del lavoro, ecc.

 

7. La relazione tra le concezioni delle vecchie BR e la Scuola di Francoforte sono state chiaramente mostrate da Pippo Assan nello scritto Cristoforo Colombo del 1988. Essa è richiamata anche in Martin Lutero . Entrambi gli scritti sono reperibili nella pagina web della CP.

8. La trasformazione del capitalismo è stata però il suo avvicinamento al socialismo, è stata la creazione delle basi materiali e intellettuali del socialismo. A conferma che il trionfo della rivoluzione socialista è inevitabile, è ciò verso cui la società attuale in realtà sta andando, sia pure per una via tortuosa e tormentosa. Come una malattia che cessa solo raggiungendo il massimo delle sue possibilità.

 

9. Il finanziamento dei grandi sindacati di regime è avvolto da un alone di mistero, come tutti gli affari nella società borghese. Grossomodo le grandi fonti legali sono 1. le quote degli iscritti, 2. le vendite di stampati e affini, 3. i proventi dei Patronati e dei Centri di Assistenza Fiscale, 4. gli Istituti di formazione (solo per CISL e UIL), 5. i Fondi pensione, 6. i funzionari distaccati e le aspettative. Le prime due voci sono direttamente legate al consenso degli iscritti e per i tre sindacati ammontano a circa 1 miliardo di euro l’anno. Le altre fanno dei sindacati delle "agenzie statali" di tipo particolare. Il rapporto tra l’ammontare delle due prime voci e l’ammontare del resto (diverso da sindacato a sindacato) è grossomodo un indice di quanto un sindacato è un’associazione di lavoratori e quanto è invece agenzia governativa e padronale di controrivoluzione preventiva.

 

10. I lavoratori attivi (quindi esclusi i pensionati) iscritti ai tre grandi sindacati erano 5.872.000 a fine 1990, erano scesi a 5.142.000 a fine 1997, ma sono risaliti a 5.512.000 a fine 2001 (a partire dalla fine della concertazione).

11. Senza il suo consenso e la sua collaborazione, prima come governatore della Banca d’Italia, poi come capo del governo e ministro del Tesoro, il salvataggio finanziario di Mediaset sarebbe stato impossibile. Berlusconi sarebbe finito come Michele Sindona. Ma Ciampi non operò in solitudine: D’Alema e altri furono complici attivi nel salvataggio.

 

12. Occorre avere presente che la CISL e la UIL sono sorte da operazioni di controrivoluzione preventiva, promosse principalmente la prima dall’Amministrazione USA e dal Vaticano, la seconda dall’Amministrazione USA e dalla Massoneria. Al contrario la CGIL è nata come carne e sangue dei lavoratori.

 

13. Secondo la scienza del modo di produzione capitalista elaborata da Marx, la società borghese è per sua natura non governabile su grande scala (nel suo complesso e a lungo) secondo un progetto o un piano. Per sua natura è una società che non può svilupparsi secondo un piano consapevolmente stabilito. I rapporti sociali si presentano ad ogni attore come forze naturali (le leggi dell’economia, ecc.) ed esistono solo in questa loro forma oggettivata. Per comandare il lavoro di una persona devi avere il denaro per pagare la sua prestazione, ecc. Nonostante lo sviluppo delle FAUS, la società borghese resta vincolata a questa corda che la soffoca. Non è possibile unificare interessi per loro natura conflittuali ("capitale unico", "superimperialismo", ecc.). Le nuove BR-PCC con il "governo della crisi" se ne dimenticano, ma i fatti hanno la testa dura.

14. In realtà la teoria dell’imperialismo che le nuove BR-PCC esprimono nell’attuale Comunicato, come in quello del ’99, contrasta con la teoria dell’imperialismo espressa da Lenin. Essa è piuttosto la teoria del "superimperialismo", enunciata da un avversario di Lenin, Karl Kautsky, il "rinnegato Kautsky". Le nuove BR-PCC la chiamano "integrazione della catena imperialista intorno al capitale statunitense e all’alleanza NATO", ma la sostanza non cambia. Lenin ha sempre criticato la teoria del superimperialismo come un occultamento delle concrete tendenze dell’imperialismo alla guerra interimperialista. Le nuove BR-PCC sostengono che la borghesia imperialista tende sì alla guerra (anzi, più esattamente, che vuole e progetta la guerra), ma non alla guerra interimperialista, bensì alla guerra lungo l’asse Est-Ovest, per occupare e integrare nella propria sfera d’influenza l’Asia. Una concezione derivata dalle teorie geopolitiche in voga nelle università dei paesi imperialisti, ma che nel Comunicato resta campata in aria. Perché per sfruttare economicamente l’Asia dovrebbero fare una guerra, quando il crollo del campo socialista l’ha già aperta al loro sfruttamento economico? Non mi soffermo su questo aspetto, già trattato nel Martin Lutero e sul quale il nuovo Comunicato non aggiunge nulla a quanto già detto nel ’99.

 

15. Quanto agli apporti di Lenin al movimento comunista, che vanno sotto il nome di leninismo, rinvio a Stalin, Principi del leninismo (1924), nel vol. 6 delle Opere di Stalin , Edizioni Rapporti Sociali, di prossima pubblicazione.

16. Una critica parziale da parte di esponenti delle vecchie BR è stata esposta nell’opuscolo Politica e rivoluzione di Coi, Gallinari, Piccioni, Seghetti, 1983, Giuseppe Maj Editore.

 

17. Corporativismo: misure e istituzioni che tendono a soffocare le espressioni del contrasto tra salariati e capitalisti e a sviluppare il legame tra salariati e capitalisti di una stessa azienda, di uno stesso settore produttivo, di una stessa zona, di uno stesso paese, mettendoli di conseguenza in contrasto con altre aziende, settori, zone e paesi, nell’accaparrarsi migliori condizioni di mercato, i favori delle pubbliche autorità, l’accesso a risorse naturali, privilegi, protezioni e monopoli.

 

18. "Il periodo della Seconda Internazionale (fondata nel 1889) fu principalmente il periodo della formazione e della istruzione degli eserciti proletari, in una situazione di sviluppo più o meno pacifico." (Stalin, Principi del leninismo - 1924).