Martin Lutero - Supplemento al n. 3 de La Voce

08 Il tentativo di riforma fatto da De Mita - fine anni ‘80

Comunicato
mercoledì 15 maggio 2002.
 

[I commenti e i chiarimenti aggiunti dal curatore nel testo sono tra parentesi quadre. La titolazione, i corsivi, i neretti e le note sono del curatore.]

 

[8. Il tentativo di riforma fatto da De Mita - fine anni ‘80]

In questo quadro De Mita, nella doppia veste di segretario della DC e di Presidente del Consiglio, fece propria la necessità di ridefinizione complessiva della mediazione politica per farla corrispondere al governo dell’economia, per dare risposta alle pressioni della BI, per garantire la governabilità del conflitto di classe. Egli tentò di realizzare un progetto che partiva dalla ridefinizione della rappresentanza politica e dell’assetto istituzionale, creando previamente gli equilibri politici necessari allo scopo. Il progetto doveva creare un sistema politico adeguato a sostenere lo scontro di classe implicato dalla ridefinizione dei termini del governo dell’economia. Esso avrebbe investito complessivamente la regolamentazione dei rapporti sociali e politici tra le classi instaurati nella fase precedente e avrebbe inciso sulla rappresentanza politico-istituzionale. La concezione che sosteneva questo progetto ruotava intorno alla tesi che il processo controrivoluzionario aveva modificato i rapporti di forza tra le classi e implicava una ridefinizione delle forze politiche intorno agli interessi della BI.

L’attacco delle BR-PCC a questo progetto di riforma dello Stato, attuato con l’azione contro Ruffilli [aprile 1988], in dialettica con l’opposizione del proletariato e le contraddizioni interne al quadro politico-istituzionale legato anche ad altre frazioni della borghesia, impedirono la realizzazione del progetto De Mita.[BC]

Ma le forze rivoluzionarie sono inserite in un rapporto di guerra. A causa delle operazioni di controguerriglia del 1988-1989 è stato impossibile alle BR-PCC trasformare in un lineare avanzamento del processo di Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie il vantaggio politico ottenuto disarticolando gli equilibri impliciti nel progetto di riforma dello Stato. A questo seguì quindi una nuova pausa nell’iniziativa di attacco al cuore dello Stato e nella costruzione del complesso delle condizioni per l’avanzamento della guerra di classe.[D]

Contemporaneamente la rottura degli equilibri internazionali [Crollo del muro di Berlino e crollo del campo socialista e dell’URSS (1989-1991)] aveva creato 1. le condizioni per modificare la divisione internazionale del lavoro e la ripartizione dei mercati, 2. una spinta della catena imperialista a riassestare gli equilibri a suo favore e a riassestare al suo interno gli equilibri tra interessi comuni e contraddizioni. Il processo controrivoluzionario raggiungeva l’obiettivo del crollo degli Stati socialisti frutto della Rivoluzione Sovietica, della resistenza all’offensiva imperialista [anni ‘20-’40], ma anche dell’operato revisionista delle dirigenze politiche della transizione.[rev]

Questa evoluzione del quadro politico internazionale creava le condizioni economiche e politiche per accelerare le controtendenze allo sviluppo della crisi nonostante la permanenza di una condizione di non espansione dell’attività economica: internaziona-lizzazione, concorrenza intermonopolistica, concen-trazione monopolistica. La frazione dominante della BI perciò ha premuto sugli Stati perché definissero progetti politici che corrispondessero a queste condizioni, progetti che facessero propri i caratteri dello specifico sviluppo che la politica centrale dell’imperialismo dell’UE espresse con il trattato di Maastricht che creava il progetto di UEM. Il trattato di Maastricht definiva una prospettiva e un quadro di integrazione e di concorrenza tra capitali monopolistici multinazionali e accelerava le tendenze già in atto fissando delle scadenze e inquadrandole in politiche economiche restrittive e di liberalizzazione. La frazione dominante della BI italiana ha premuto sul quadro politico-istituzionale per affermare i suoi interessi di concorrenza nel contesto europeo. Questa pressione, se da un lato si è espressa in contrasti con altre componenti della borghesia, dall’altro ha espresso l’interesse comune di tutta la borghesia a scaricare sulla classe operaia e sul proletariato i costi della crisi.[BC] Date le modifiche dei rapporti di forza tra le classi prodottesi nella fase precedente e le contraddizioni indotte dal governo dell’economia, questa pressione ha determinato un’azione offensiva a tutto campo da parte dei soggetti politici della borghesia.

Nel quadro politico-istituzionale italiano le forze qualificatesi nel processo politico come rappresentanze istituzionali del proletariato [PCI, CGIL] avevano ridefinito già nella fase precedente [durante la controrivoluzione degli anni ‘70] la loro collocazione a favore degli interessi della borghesia, in senso controrivoluzionario e sulla base della priorità della difesa dell’accumulazione capitalista. È stato un processo graduale in cui il gruppo dirigente di tali forze politiche e sindacali ha cercato di conservare il radicamento sociale assunto come rappresentanza istituzionale della classe, cercando formule politiche che mantenessero questa base sociale, ma la subordinassero all’interesse della BI.

È stato un processo scandito dall’assunzione di ferme priorità: adesione al progetto dell’UE, adesione alle politiche imperialiste di intervento nell’area mediorientale e balcanica, adesione al superamento dell’ordinamento costituzionale, adesione alla riforma dello Stato sociale, ecc. Una ricollocazione peraltro niente affatto priva di contraddizioni per il contrasto tra gli interessi da comporre.