La Voce n. 22
marzo 2006 - anno VIII

Il ruolo della rivoluzione cinese nel movimento comunista mondiale

sabato 25 marzo 2006.
 

Il ruolo della rivoluzione cinese nel movimento comunista mondiale

Il prossimo settembre saranno passati 30 anni dalla morte di Mao-Tse-Tung (1893-1976). Saranno passati 30 anni anche da quando a Pechino, un mese dopo la morte di Mao, il gruppo dirigente della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (GRCP), lanciata nell’agosto del 1966, venne arrestato al completo: Chiang Ching morta in prigione nel 1991, Wang Hong-wen morto nel 1992, Chang Chung-chiao morto in prigione nell’aprile 2005 e Yao Wen-yuan morto nel dicembre 2005. Con questo colpo di mano, nel Partito Comunista Cinese (PCC) si installò una direzione formata dai nemici e bersagli dichiarati della GRCP: uno per tutti, Teng Hsiao-ping (1904-1997). Il PCC e la Repubblica Popolare Cinese (RPC) presero allora un indirizzo in netto e dichiarato contrasto con quello seguito fino al 1976.

La linea seguita da allora in poi, quindi negli ultimi 30 anni, dal PCC e dalla RPC in campo politico, economico e culturale, all’interno e all’estero, non è quindi la continuazione della rivoluzione cinese sintetizzata nella direzione di Mao e nel maoismo. È, al contrario, la rottura con il maoismo. La Cina attuale e il ruolo che essa svolge nel mondo sono il risultato di 30 anni di questa linea di rottura con il maoismo.

I denigratori del maoismo, e più in generale i denigratori del movimento comunista, nascondono, negano o attenuano questa rottura. Così come i denigratori del movimento comunista nascondono, negano o attenuano la rottura col marxismo-leninismo e con la linea impersonata da Stalin di costruzione di una nuova società in Unione Sovietica e di sviluppo del movimento comunista nel mondo: la rottura che Kruscev e i suoi soci hanno compiuto vent’anni prima, nel 1996. È nell’interesse degli anticomunisti nascondere i successi ottenuti dai paesi socialisti nella prima fase della loro esistenza annegandoli in un tutto unico con la decadenza e la regressione della seconda fase della loro esistenza.(1) Addebitare al marxismo-leninismo la decadenza dell’URSS degli anni 60 e 70 e il suo crollo alla fine degli anni 80: eventi che, all’opposto, sono il risultato della rottura con il marxismo-leninismo compiuta da Kruscev e soci negli anni 50 e proseguita da Breznev. Analogamente, è nell’interesse degli anticomunisti addebitare al maoismo lo Stato e il ruolo attuali della RPC che sono invece la conseguenza della rottura col maoismo compiuta negli anni 70.

Quelli che ingenuamente, per ignoranza o per sciocca e passiva sottomissione ai luoghi comuni della cultura e della “scienza” borghesi ignorano la rottura del 1956 e del 1976 (ed è il caso degli esponenti di varie forze soggettive della rivoluzione socialista (FSRS) tra i quali Costanzo Preve brilla per arroganza e ignoranza) o comunque non ne tengono contro nelle loro analisi ed elaborazioni, per forza di cose sfornano rimasticatura della “scienza” borghese, cioè della propaganda anticomunista con cui la borghesia difende la proprietà privata e i privilegi.

L’inversione di rotta compiuta dal PCC nel 1976 è esposta nella Risoluzione sulla storia del PCC, adottata nel 1981 dal suo Comitato Centrale. Con questa rottura il PCC ha inaugurato un nuovo corso politico, economico e culturale della società cinese e un nuovo ruolo della Cina nel mondo. Sia l’uno che l’altro si sono dispiegati un po’ alla volta. Non potevano sostituirsi al vecchio corso e al vecchio ruolo d’un colpo solo: sia per le esitazioni del gruppo dirigente del PCC a proposito delle linee particolari da adottare nei vari campi, dei tempi, dei metodi e delle operazioni tattiche più convenienti per farli accettare o almeno ingoiare dalle masse popolari cinesi; sia per la natura stessa delle trasformazioni e della resistenza che la classe operaia e le masse popolari hanno opposto e oppongono, sia pure in ordine sparso, senza centralizzazione strategica e organizzativa.

Le trasformazioni imposte dai revisionisti moderni hanno richiesto che alcuni milioni di quadri intermedi di ogni livello e in tutti i campi cambiassero linea, mentalità, atteggiamenti, metodi e modi di fare; che imparassero a costringere, con le buone o con le cattive, centinaia di milioni di lavoratori a incanalarsi sulla nuova strada (pare che nei 30 anni più di 40 milioni di lavoratori, il doppio della popolazione attiva italiana, siano stati licenziati dalle aziende pubbliche); che imparassero a combinare opportunamente operazioni di convincimento, di divisione, di manipolazione, di confusione, di selezione, di repressione, di premi e castighi.

Da allora il PCC ha abbandonato il proposito di svolgere il ruolo di nuovo centro mondiale del movimento comunista, analogo a quello svolto dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica dopo la Rivoluzione d’Ottobre (1917) fino agli anni 50. La RPC ha cessato di agire come retroterra mondiale della rivoluzione proletaria. In questo modo la crisi del movimento comunista a livello mondiale fu ulteriormente accelerata.

Il futuro nazionale della Cina non fu più legato allo sviluppo e al successo della mobilitazione delle classi e dei popoli oppressi di tutti gli altri paesi, ma alla sua capacità di competere con le grandi potenze imperialiste. La Cina è gradualmente entrata a far parte del sistema imperialista mondiale. Alla fine del 2001 gli imperialisti l’hanno accolta a far parte dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio): una promozione che la Russia di Putin non ha ancora ottenuto. Ovviamente questo ha già portato e ancora porterà profonde modificazioni e nuove contraddizioni nel sistema imperialista mondiale: la Cina significa circa il 20% della popolazione mondiale (più di 4 volte gli USA), concentrata sotto un unico Stato dotato dell’enorme potenziale tecnico, culturale ed economico che ha ereditato dalla Cina socialista.

La svolta compiuta dal PCC e dalla RPC nel 1976 è stata una grave sconfitta per il movimento comunista mondiale. Essa però non ha colto di sorpresa i comunisti come invece li colse la svolta compita dal PCUS e dall’URSS negli anni 50. Essa non è una smentita della concezione comunista del mondo. Al contrario ne è una conferma. Grazie a quella concezione i comunisti avevano visto il pericolo incombente ben prima che la catastrofe avvenisse. Lungo tutto il periodo 1966-1976, con la GRCP la sinistra del PCC con alla testa Mao Tse-tung aveva lanciato l’allarme contro il pericolo della svolta della RPC verso il capitalismo. Essa aveva indicato le linee generali che la svolta avrebbe seguito, pienamente confermate dagli avvenimenti successivi al 1976. Aveva indicato anche le componenti della società cinese su cui la destra del PCC faceva leva. Aveva indicato anche da chi era composta la nuova borghesia cinese che cercava di imporre la svolta: dai dirigenti del PCC e delle altre istituzioni della RPC che patrocinavano già allora soluzioni borghesi per i problemi dello sviluppo della Cina: la via al capitalismo. Gli ultimi volumi delle Opere di Mao Tse-tung, pubblicate negli anni 1990-1993 dalle Edizioni Rapporti Sociali, contengono i principali documenti della lotta condotta dalla sinistra del PCC.(2)

Perché allora la catastrofe annunciata non fu evitata? Che significato ha questa catastrofe per il movimento comunista internazionale e per la storia del genere umano? Che significato ha per il popolo cinese?

Da millenni a questa parte la storia del genere umano è la storia della lotta delle classi oppresse contro le classi degli oppressori, come il Manifesto del partito comunista (1848) ha indicato. Il genere umano è progredito materialmente, intellettualmente e moralmente dal suo stato animale di alcune centinaia di migliaia di anni fa fino allo stato attuale, grazie alle sue innovazioni tecniche che gli davano una forza maggiore nella sua lotta per strappare al resto della natura di che vivere e riprodursi e per trasformarla in conformità alle proprie necessità e grazie alle lotte delle classi oppresse che imponevano le corrispondenti trasformazioni degli ordinamenti sociali. Con il movimento comunista il genere umano ha finalmente raggiunto la coscienza di questa linea generale di sviluppo che esso aveva seguito di fatto, inconsapevolmente, spontaneamente, spinto dalle necessità, dall’istinto a risolvere i problemi che limitavano la sua vita.

Una migliore comprensione della lotta in corso, delle sue condizioni, delle forme che essa assume e dei suoi risultati di certo ha avvantaggiato il proletariato guidato dai comunisti nella sua lotta contro la borghesia, ma non gli ha dato (né poteva dargli da subito, per incanto) una superiorità così schiacciante sulla borghesia da indurre questa ad abbandonare la lotta e rassegnarsi alla scomparsa dei suoi privilegi e della sua “civiltà”. Al contrario, nei circa 200 anni trascorsi dall’inizio del movimento comunista, la borghesia ha difeso e tutt’ora difende accanitamente, senza limiti di mezzi, senza fermarsi di fronte a nessun crimine e a nessuna strage, il suo sistema di proprietà privata e di privilegio. Ancora oggi lo rivendica e lo proclama come il non plus ultra della civiltà umana, come il punto più alto e insuperabile raggiunto dal genere umano (“fine della storia”), anzi come l’essenza eterna e incancellabile della natura umana, per bocca dei suoi apostoli: da Bush al Papa di Roma, da Marcello Pera a Costanza Preve. Ed essa fa sforzi dissennati d’ogni genere per imporre la sua conservazione. La lotta di classe diventa tanto più acuta quanto più la vittoria del proletariato sulla borghesia si avvicina, quanto più si restringono i margini di manovra della borghesia, quanto più il suo ordinamento diventa storicamente superato, quanto più vengono meno le ragioni che avevano motivato la sua nascita e il suo sviluppo: gli avevano conferito legittimità storica. Il determinismo storico, la concezione secondo cui il comunismo si sarebbe affermato per forza di cose, che il capitalismo si sarebbe da se stesso, per forza delle sue intrinseche contraddizioni, trasformato in comunismo, non fa parte della concezione comunista del mondo. È una delle deformazioni di comodo di cui si avvalgono polemisti imbroglioni per venire facilmente a capo del marxismo. È una deviazione quietista e liquidatoria del movimento comunista. Al contrario l’essenza della concezione del comunismo sta proprio nelle tesi che la lotta di classe porta e deve portare alla instaurazione della dittatura del proletariato come passaggio necessario dall’attuale società borghese alla futura società comunista senza classi.

Per quanto i comunisti cinesi avessero compreso che una svolta verso il capitalismo minacciava il proletariato e gli altri lavoratori cinesi, questo non bastava ad assicurare loro la vittoria sui fautori della svolta. Prevedere che una piena minaccia di travolgere gli argini e inondare la città, non basta ad assicurare che si predispongano opere sufficienti ad impedirlo. Gli errori e i limiti nella valutazione delle forze in campo, nella raccolta delle forze favorevoli, nella definizione degli obiettivi e delle linee particolari, nella conduzione delle operazioni tattiche che hanno condotto i compagni cinesi alla sconfitta, potranno essere compresi ed esposti in dettaglio solo dagli stessi comunisti cinesi quando essi avranno ricostituito le loro forze in misura sufficiente: cosa che prima o poi certamente avverrà. Può destare meraviglia che milioni di esseri umani che sono già in qualche misura assurti a una vita superiore si lascino ricacciare indietro. Ma ciò è avvenuto più volte nella storia del genere umano e sta avvenendo ancora in questo periodo proprio qui da noi sotto il nostro naso e coinvolge ognuno di noi (eliminazione delle conquiste). I processi sociali degli uomini sfuggono di mano agli uomini singoli. È solo l’organizzazione che permette di dirigerli e a questo livello la guerra è stata combattuta nel periodo 1966-1976: il colpo di Stato del 1976 ne fu solo la conclusione.

Di certo contro il successo dell’opera che i comunisti cinesi condussero per prevenire e impedire la svolta si combinarono due fattori importanti: 1. l’arretratezza della società cinese, 2. la fase di decadenza del movimento comunista internazionale da cui la rivoluzione cinese aveva tratto ispirazione e forza per il suo successo. Infatti la forza principale della rivoluzione cinese erano stati i contadini in rivolta per la rivoluzione democratica, ma la forza dirigente era venuta dal movimento comunista.

1. L’arretratezza della società cinese

La costruzione dei primi paesi socialisti era iniziata con la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre del 1917. L’impero russo, dove questa avvenne, era a metà strada tra i paesi in cui il modo di produzione capitalista era oramai pienamente sviluppato e si erano già create le condizioni oggettive e soggettive per l’instaurazione del socialismo, i paesi imperialisti,(3) e i paesi oppressi, coloniali e semicoloniali. In questi la dominazione imperialista da una parte aveva definitivamente destabilizzato i vecchi modi di produzione e gli ordinamenti sociali basati su di essi. Dall’altra li manteneva in piedi con la forza, come strumenti del proprio sfruttamento che si aggiungeva al vecchio sfruttamento e toglieva a questo i limiti che avevano reso possibile la sua riproduzione per un lungo periodo. L’impero zarista era l’anello debole della catena imperialista, ma pur sempre un anello della catena imperialista.(4) Invece la Cina era incontestabilmente uno dei paesi oppressi, un paese semicoloniale. Era schiacciata dall’imperialismo, quindi oramai parte oppressa del sistema imperialista mondiale. Ma il suo ordinamento sociale poggiava ancora su una base economica feudale, patriarcale o addirittura schiavistica. La trama della società cinese era costituita ancora da rapporti di dipendenza personale: i rapporti commerciali e capitalistici erano accessori, secondari, ausiliari.

Proprio per l’arretratezza (e la grandezza) del paese, la vittoria nel 1949 della rivoluzione proletaria in Cina e l’instaurazione della RPC avevano messo in evidenza, con la conferma del successo nella pratica, una linea generale del movimento comunista nella rivoluzione proletaria nei paesi oppressi. La linea della rivoluzione di nuova democrazia: una rivoluzione democratica perché aveva il compito di eliminare i rapporti di dipendenza personale e i modi di produzione basati su di essi, ma che oramai, dato il sistema imperialista mondiale, non poteva più essere condotta sotto la direzione della borghesia, ma doveva essere condotta sotto la direzione del proletariato e del suo partito comunista, faceva parte della rivoluzione proletaria mondiale e apriva la porta alla trasformazione socialista della società.(5) Ciò trasferiva su scala planetaria quello che Marx nel 1882, nella prefazione ad una nuova traduzione russa del Manifesto del partito comunista, aveva enunciato a proposito della Russia, indicando la possibilità che una rivoluzione democratica dei contadini in Russia si combinasse con la rivoluzione socialista in Europa. Costituiva un sostanziale ampliamento del marxismo-leninismo. Era l’apporto più prezioso e universale che nel 1949 la rivoluzione cinese dava al movimento comunista. Essa indicava, a grandi linee, la via da seguire per l’estensione della rivoluzione proletaria ai paesi oppressi dal sistema imperialista mondiale che costituivano la grande maggioranza dell’umanità. Ciò cambiava quindi il bilancio delle forze tra campo socialista e campo imperialista a livello mondiale. “Il vento dell’Est prevale sul vento dell’Ovest”, sintetizzò nel 1959 Mao Tse-tung. Oggettivamente i termini dello scontro tra i due campi cambiavano.

L’arretratezza della Cina costituì però il maggiore fattore di debolezza quando le vicende del movimento comunista internazionale posero il PCC e la RPC nella necessità di assumere il ruolo di centro mondiale del movimento comunista che il PCUS e l’URSS avevano abbandonato a causa dell’avvento dei revisionisti moderni (prima con Kruscev e poi con Breznev) alla direzione del PCUS. I fautori della svolta della RPC verso il capitalismo, capeggiati da Liu-Shao-chi (1898-1969) e da Teng Hsiao-ping, riflettevano le opinioni e l’esperienza di settori socialmente importanti della società cinese e trovavano un’eco favorevole in altri quando, dopo il 1949, dopo la liberazione della Corea dal capestro imperialista e la sconfitta delle vecchie classi reazionarie cinesi, proclamavano che i rapporti commerciali e capitalisti presentavano prospettive di sviluppo per la Cina che, se si guardava ai rapporti capillari su cui si svolgeva la vita di gran parte della popolazione, stava uscendo dal suo Medioevo.

Non a caso i comunisti cinesi cercarono di indurre i comunisti russi a continuare a svolgere essi nel movimento comunista mondiale il ruolo centrale che ancora rimaneva ad essi dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, nonostante il balzo in avanti compiuto dal movimento comunista a livello mondiale (creazione del campo socialista, crollo del sistema coloniale, sviluppo del movimento comunista nei paesi imperialisti).

2. La fase di decadenza del movimento comunista internazionale da cui la rivoluzione cinese aveva tratto ispirazione e forza per il suo successo

Quanto alle vicende del movimento comunista internazionale, vanno considerati molti aspetti, relativi ai risultati, alle forme e alle condizioni della lotta di classe negli anni successivi alla seconda guerra mondiale.

Se consideriamo gli inizi degli anni 50, i successi conquistati dal movimento comunista erano grandiosi, tali da destare l’entusiasmo e la fiducia delle masse oppresse e il terrore tra le classi sfruttatrici.

1. Con la Rivoluzione d’Ottobre (1917) il movimento comunista aveva preso la direzione di un grande paese, quasi un continente. L’aveva mantenuta e consolidata nonostante le furibonde aggressioni di tutte le potenze del mondo e la lotta accanita (non solo in campo aperto, ma sorda e subdola, fatta di sabotaggio, boicottaggio e facendo leva su ogni difficoltà del nuovo regime sovietico) di tutte le forze, classi e ceti reazionari all’interno del paese.

2. Aveva creato dal nulla (senza esperienza, senza riferimenti che non fossero negativi, con i soli precedenti delle cooperative, circoli, scuole, ecc. del movimento comunista) una linea e un metodo di organizzazione, mobilitazione e sviluppo in campo economico e culturale per il primo paese socialista. Una linea e un metodo efficaci che, per quanto fossero legati alle condizioni specifiche del paese, sarebbero serviti di esempio e di riferimento ai comunisti che avrebbero affrontato la stessa impresa in altri paesi.

3. Aveva fatto dell’Unione Sovietica il retroterra mondiale della rivoluzione proletaria, la sua base rossa liberata. La sua sola esistenza accendeva speranze, alimentava fiducia e spronava all’azione rivoluzionaria le masse popolari in ogni angolo della terra. Se i russi c’erano riusciti, anche noi possiamo riuscirci! Ora poi il proletariato aveva finalmente nel mondo un territorio, delle sue forze armate, uno Stato. Questo operava e manovrava (a livello politico, diplomatico, militare, commerciale, finanziario, ecc.) tra gli Stati nemici. Sfruttava i loro contrasti. Gli stati borghesi dovevano per forza di cose fare i conti con esso. Il movimento comunista era ormai diventato una potenza mondiale in senso ben più pieno che ai tempi della prima e della seconda Internazionale. Era una nuova fase del movimento comunista.

4. Aveva creato partiti comunisti praticamente in ogni paese. In alcuni paesi il partito comunista aveva già conquistato se non tutta, una parte significativa dell’avanguardia del proletariato e delle masse rivoluzionarie. Tramite esse influenzava in qualche misura tutto il movimento delle masse popolari. Era quindi diventato una forza con cui tutte le forze politiche e le autorità del paese dovevano fare i conti.

5. Aveva collaudato una strategia rivoluzionaria per i paesi oppressi dal sistema imperialista mondiale. La vittoria della rivoluzione in Cina nel 1949 aveva collaudato questa strategia. Il successo l’aveva imposta all’attenzione dei rivoluzionari di tutto il mondo. Gli occhi e i sentimenti delle masse rivoluzionarie di tutti i paesi oppressi erano rivolti a lei e prima o poi l’avrebbero assimilata.

6. La creazione delle democrazie popolari nell’Europa Orientale, la guerra di Corea (1950-1953) e la prima guerra del Vietnam (1946-1954), per quanto non si fossero concluse con una vittoria completa, avevano tuttavia dimostrato che il sistema imperialista non era più in grado di dettare legge.

In tutta la storia passata mai nessuna impresa era stata per il suo contenuto tanto rivoluzionaria nei confronti degli ordinamenti esistenti. Nessuna aveva mai avuto un raggio d’azione così ampio. All’inizio degli anni 50 il movimento comunista aveva unificato il genere umano, da un capo all’altro della terra: esso era tutto coinvolto in un unico scontro, tra il movimento comunista e il sistema imperialista. Uno scontro che si svolgeva in ogni paese. Questo scontro dominava la vita politica e culturale di ogni paese.

Di fronte a questi grandi e insperati risultati, stavano alcuni importanti fattori negativi con cui il movimento comunista doveva fare i conti per avanzare ulteriormente. Tre erano i principali.

1. Il movimento comunista non aveva ancora elaborato e tanto meno collaudato una strategia per la conquista del potere (per la rivoluzione socialista) nei paesi imperialisti.

2. Il movimento comunista mancava di una linea generale che combinasse l’avanzata della trasformazione socialista nei paesi del campo socialista, la rivoluzione di nuova democrazia nei paesi oppressi, la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti.

3. Il movimento comunista non aveva una comprensione abbastanza giusta della crisi generale del capitalismo. All’inizio degli anni 50 tutti i partiti comunisti condividevano l’opinione che, cessata la guerra, nel mondo capitalista sarebbe ripresa la crisi economica che la guerra aveva interrotto. In realtà la prima crisi generale del capitalismo era terminata. Un periodo di ampliamento dell’attività economica e di ripresa dell’accumulazione del capitale era incominciato. Con la crisi generale era terminata anche la situazione rivoluzionaria in sviluppo (di lungo periodo) che essa aveva determinato. Nella prima metà del secolo la guerra tra gruppi e Stati imperialisti aveva provocato la rivoluzione proletaria. Dalla fine della seconda guerra mondiale in poi la rivoluzione proletaria sarebbe avanzata solo se le forze rivoluzionarie avessero preso esse stesse l’offensiva.

Di questi tre importanti fattori negativi, il principale era il primo.

Al suo VII congresso (1935), l’Internazionale Comunista (IC) aveva elaborato la strategia del Fronte Popolare Antifascista (FPA). Basandosi sullo stato già raggiunto in vari paesi di forza politica capace di influenza l’orientamento delle masse popolari e sul ruolo dell’URSS nella politica mondiale, i partiti comunisti dovevano compiere una manovra di lungo respiro nel campo della politica borghese. Essi dovevano promuovere la mobilitazione e l’alleanza di tutte le forze antifasciste: proletarie e borghesi che fossero. Sicuri del fatto che in ogni scontro serio, la direzione l’ha di fatto, lo si voglia o no, chi ha la posizione ideologica più giusta e più ferma, indica agli altri la strada e, con le forze che già dirige anche organizzativamente, apre la strada che anche gli altri alleati, volenti o nolenti, con maggiore o minore decisione, prima o poi seguiranno.

Con la linea del FPA la IC prese di fatto la direzione delle masse popolari in ogni paese in cui il partito comunista era già una forza politica capace di influenzare il comportamento delle masse popolari. Attraverso la sua influenza sulle masse popolari, il movimento comunista condizionò la condotta delle forze intermedie e anche delle forze borghesi e dei loro Stati. La borghesia o fu spaccata in due fazioni contrapposte nella guerra civile (ciò avvenne su scala particolarmente ampia in Spagna, in Francia e poi, durante la guerra, in Norvegia, in Belgio e in Italia) o fu obbligata a fingere pubblicamente una condotta antifascista per non urtare e per manipolare l’opinione pubblica in larga misura antifascista (ciò avvenne in particolare in Gran Bretagna e negli USA).(6)

Con la linea del FPA il movimento comunista indusse la borghesia imperialista della Gran Bretagna e degli USA a scendere in guerra contro la Germania nazista e il Giappone militarista, anziché schierarsi con essi contro l’URSS, come essa tendeva a fare, conformemente alla sua natura. Negli altri paesi europei prima indicati riuscì a far si che la guerra civile scoppiasse in condizioni favorevoli al proletariato che nel corso di essa riuscì anche a costituire proprie forze armate (la Resistenza).

In nessuno dei paesi imperialisti però il movimento comunista riuscì a sviluppare la linea del FPA fino alla conquista del potere e all’instaurazione del socialismo. La maggior parte dei partiti comunisti dei paesi imperialisti adottavano una concezione ristretta e difensiva (di destra) della linea del FPA, limitarono la loro attività alla liquidazione del fascismo, sacrificarono l’autonomia del partito in nome del rafforzamento del FPA che in realtà proprio per questo perse autorità presso le masse popolari, fecero del partito comunista l’ala sinistra dello schieramento antifascista di cui quindi cedettero la direzione alla borghesia, che liquidò nelle forme e nei tempi necessari il FPA. A questa linea la sinistra dei partiti comunisti non oppose che una resistenza sparsa, relativa a singoli aspetti ed episodi e quindi inefficace. Mancava ancora nel movimento comunista la concezione della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, un altro dei 5 principali apporti del maoismo al pensiero comunista.

Da questi limiti del movimento comunista trasse la sua forza la destra del movimento stesso. Se noi consideriamo le condizioni del movimento comunista negli anni 50, vediamo che la destra ha una proposta strategica: il grande successo ottenuto dal movimento comunista rende non più necessaria una rivoluzione (una guerra civile) per instaurare il socialismo. Rivoluzione e dittatura del proletariato oramai sono superflui. Conciliazione con la borghesia. Convergenza dei due sistemi (socialista e imperialista). Passaggio graduale e pacifico al socialismo. Imitare i metodi produttivi e organizzativi del capitalismo. Interdipendenza. Oramai non ci sono più crisi economiche. Ecc. ecc. Al contrario la sinistra del movimento comunista non ha una proposta strategica, benché rifiuti ognuno dei punti proposti dalla destra.

Ma nel corso di una rivoluzione non è possibile stare fermi. Privo di una strategia per avanzare, il movimento comunista cadde, un partito dopo l’altro, nelle mani dei revisionisti moderni. Dapprima rallentò la sua corsa, perse slancio. Poi incominciò a declinare: in Europa Orientale, in URSS, nei paesi imperialisti, nel mondo.

Il PCC e la RPC si trovarono a dover risollevare in prima linea le sorti del movimento comunista quando questo processo era già in fase avanzata. Un compito a cui i compagni cinesi non seppero far fronte e di cui approfittarono, venuto meno Mao, i fautori della svolta verso il capitalismo.

Ernesto V.


Note:

(1) Per la divisione dell’esistenza dei primi paesi socialisti in fasi, si veda l’articolo Sull’esperienza storica dei paesi socialisti, nella rivista Rapporti Sociali n. 11 (novembre 1991).

(2) Le Opere di Mao Tsetung sono disponibili su carta (25 volumi) e su CD. Possono essere chieste alle Edizioni Rapporti Sociali, via Tanaro, 7 - 20128 Milano, tel. e fax 02.26306454, email resistenza@carc.it.

a name="3">(3) La condizione oggettiva (economica) dell’instaurazione del socialismo è che la disponibilità delle condizioni necessarie alla produzione e riproduzione del genere umano e della sua vita sociale non dipenda più principalmente dalla lotta contro il resto della natura, bensì dall’ordinamento sociale. Le condizioni soggettive dell’instaurazione del socialismo sono un grado di organizzazione e un livello di coscienza politica della massa del proletariato che rendono possibile che esso assuma il ruolo di dirigente dell’intera società. Queste condizioni per quanto riguarda i più progrediti paesi europei erano raggiunte già verso la metà del XIX secolo.

(4) Questa caratteristica dell’impero zarista è esaurientemente illustrata da Stalin in Principi del leninismo (1924).

(5) La linea della rivoluzione di nuova democrazia è uno dei 5 principali contributi del maoismo al pensiero comunista. In proposito si veda l’articolo L’ottava discriminante in La Voce n. 10 (marzo 2002). Con la teoria della rivoluzione di nuova democrazia il movimento comunista era passato dalle affermazioni generalissime della prima Internazionale di Marx ed Engels, alle tesi più circostanziate ma oscillanti della seconda Internazionale alle tesi rivoluzionarie ma ancora incerte quanto alla direzione, a una teoria dispiegata e circostanziata quanto alla forza dirigente, al contenuto e alla forza principale della rivoluzione nei paesi oppressi e alla sua relazione con la rivoluzione socialista.

(6) Si veda, per maggiori indicazioni in proposito, l’articolo di Marco Martinengo, Il movimento politico degli anni trenta in Europa, in Rapporti Sociali n. 21 (febbraio 1999).
La borghesia imperialista americana e britannica seguirono nei confronti della Germania nazista, del Giappone militarista, dell’Italia fascista, ecc. una condotta di collaborazione e sostegno nascosti e di ostilità dichiarata pubblicamente. Analoga a quella che tiene in questi anni la borghesia imperialista della Francia, della Germania, della Spagna e di altri paesi dove le autorità non si sentono abbastanza forti da sfidare l’opinione pubblica con una partecipazione aperta e dichiarata alla “guerra preventiva” della borghesia USA contro la rivoluzione democratica antimperialista dei popoli arabi e musulmani (Iraq, Palestina, Afghanistan, ecc.).