Indice degli scritti di Lenin


Lenin, pagg. 340-344, vol. 18 Opere complete, Editori Riuniti, 1966

Scaricate il testo in versione OpenOffice o Word

 

Due utopie

Scritto nell'ottobre 1912 e pubblicato per la prima volta nella Gizn, n. 1, 1924. Firmato: V. I.

Utopia è una parola di origine greca: “u” significa in greco “non” e “topos” luogo. L’utopia è un luogo inesistente, una fantasia, un’invenzione, una fiaba.

L’utopia in politica è un desiderio che non si potrà mai avverare, né oggi né più tardi, un desiderio che non poggia sulle forze sociali e non trova un sostegno nell’aumento, nello sviluppo delle forze sociali, delle forze di classe.

Quanto meno libertà esiste in un paese, quanto minori sono le manifestazioni della lotta aperta fra le classi, tanto più basso è il grado d’istruzione delle masse, tanto più facilmente sorgono, di consueto, le utopie politiche e più a lungo si mantengono.

Nella Russia odierna due generi di utopie politiche sono più solidamente radicati e, per l’attrazione che esercitano, hanno una certa influenza sulle masse: sono l’utopia liberale e l’utopia populista.

L’utopia liberale afferma che, d’amore e d’accordo, senza ledere nessuno, senza buttar giù i Purisckevic, senza una lotta di classe accanita e condotta fino in fondo, in Russia si potrebbero ottenere miglioramenti più o meno importanti, nel campo della libertà politica, nelle condizioni delle masse del popolo lavoratore. È l’utopia della pace tra una Russia libera e i Purisckevic.

L’utopia populista è il sogno dell’intellettuale populista e del contadino trudovik, i quali affermano che sarebbe possibile, con una nuova e giusta ripartizione di tutte le terre, sopprimere il potere e il dominio del capitale, sopprimere la schiavitù salariata, o poter mantenere una ripartizione “equa”, “egualitaria” delle terre sotto il dominio del capitale, sotto il potere del denaro, in regime di produzione mercantile.

Da che cosa sono generate queste utopie? Perché hanno affondato radici abbastanza solide nella Russia odierna?

Sono generate dagli interessi delle classi che conducono la lotta contro il vecchio regime, contro il feudalesimo, l’arbitrio, in una parola “contro i Purisckevic”, ma che, in questa lotta, non hanno una posizione autonoma. L’utopia e i sogni sono i frutti di questa assenza di autonomia, di questa debolezza. Sognare è la sorte dei deboli.

La borghesia liberale nel suo insieme e, particolarmente, gli intellettuali borghesi liberali non possono non aspirare alla libertà e al dominio di leggi eguali per tutti, poiché senza di queste il dominio della borghesia non è completo, non è assoluto, non è garantito. Ma la borghesia ha più paura del movimento delle masse che non della reazione. Di qui la debolezza estrema, incredibile, del liberalismo in politica, la sua impotenza totale. Di qui la sfilza interminabile di equivoci, di menzogne, di ipocrisie, di vili scappatoie in tutta la politica dei liberali, che devono giocare alla democrazia per attrarre a sé le masse e sono, nello stesso tempo, profondamente antidemocratici, profondamente ostili al movimento delle masse, al loro impulso, alla loro iniziativa, al loro modo di “dare l’assalto al cielo”,(1) come una volta disse Marx parlando di uno dei movimenti europei di massa del secolo scorso.


1. K.Marx, Lettera a Ludwig Kugelmann, 12 aprile 1871, pagg. 198-199, vol. 44 Opere complete, Editori Riuniti, 1990.


L’utopia del liberalismo è l’utopia dell’impotenza nell’opera dell’emancipazione politica della Russia; l’utopia del cupido portafoglio ben fornito il quale vuole dividersi “pacificamente” i privilegi con i Purisckevic e presenta questo nobile desiderio come la teoria della vittoria “pacifica” della democrazia russa. L’utopia liberale sogna di vincere i Purisckevic senza infliggere loro una disfatta, di abbatterli senza far loro del male. È chiaro che questa utopia è nociva non soltanto perché è un’utopia, ma anche perché corrompe la coscienza democratica delle masse. Le masse che credono in questa utopia non conquisteranno mai la libertà, sono indegne della libertà, si sono pienamente meritate di essere schernite dai Purisckevic.

L’utopia dei populisti e dei trudoviki è il sogno del piccolo proprietario che sta fra il capitalista e l’operaio salariato e pensa sia possibile sopprimere la schiavitù salariata senza lotta di classe. Quando l’emancipazione economica diverrà per la Russia una questione attuale cosi immediata e diretta come è oggi la questione dell’emancipazione politica, l’utopia dei populisti si rivelerà non meno nociva dell’utopia dei liberali.

Ma oggi la Russia sta ancora attraversando l’epoca della sua trasformazione borghese e non proletaria; non la questione dell’emancipazione economica del proletariato è giunta a completa maturazione, ma quella dell’emancipazione politica, cioè (in sostanza) la questione della completa libertà borghese.

E qui l’utopia dei populisti ha una funzione storica particolare. Utopia quando stabilisce quali dovranno essere (o saranno) le conseguenze economiche di una nuova ripartizione delle terre, essa è foriera e sintomo del grande slancio democratico delle masse, delle masse cioè che costituiscono la maggioranza della popolazione della Russia attuale, feudale-borghese. (Nella Russia prettamente borghese, come nell’Europa prettamente borghese, i contadini non saranno la maggioranza della popolazione).

L’utopia dei liberali corrompe la coscienza democratica delle masse. L’utopia dei populisti, pur corrompendo la loro coscienza socialista, è foriera, sintomo e, in parte, persino espressione del loro slancio democratico.

La dialettica della storia è tale che i populisti e i trudoviki propongono e attuano, quale rimedio anticapitalista per risolvere la questione agraria in Russia, un provvedimento decisamente e conseguentemente capitalista. L’“egualitarismo” nella nuova ripartizione delle terre è un’utopia, ma la rottura completa con tutte le vecchie forme di proprietà terriera - latifondista, del nadiel, “del demanio” - necessaria per una nuova ripartizione è, per un paese come la Russia, un provvedimento economicamente progressivo, il più necessario, il più imperioso dal punto di vista democratico borghese.

Non bisogna dimenticare le parole significative di Engels:

“Ma una cosa che è formalmente falsa dal punto di vista economico, può tuttavia essere esatta dal punto di vista della storia universale”.(2)


2. F.Engels, Prefazione alla prima edizione tedesca (1885) di Miseria della filosofia di K.Marx, pag. 648, Appendice III, vol. 6 Opere complete, Editori Riuniti, 1973.


Engels enunciò questa tesi profonda a proposito del socialismo utopistico: questo socialismo era formalmente “falso” dal punto di vista economico. Era “falso” quando dichiarava che il plusvalore era un’ingiustizia dal punto di vista delle leggi dello scambio. Contro questo socialismo i teorici dell’economia politica borghese avevano ragione dal punto di vista formalmente economico, poiché il plusvalore deriva dalle leggi dello scambio in modo perfettamente “naturale”, in modo perfettamente “giusto”.

Ma il socialismo utopistico aveva ragione dal punto di vista della storia universale, perché era il sintomo, l’espressione, il preannunziatore della classe che, generata dal capitalismo, è divenuta più tardi, verso l’inizio del secolo XX, una forza imponente, capace di mettere fine al capitalismo e che si avvia irresistibilmente verso questo scopo.

È necessario ricordare la tesi profonda di Engels quando si vuol dare un giudizio sull’utopia contemporanea, dei populisti o trudoviki, in Russia (e forse non soltanto in Russia, ma in parecchi Stati asiatici che attraversano, nel secolo XX, rivoluzioni borghesi).

La democrazia populista, falsa dal punto di vista formalmente economico, è, dal punto di vista storico, una verità; falsa come utopia socialista, questa democrazia è la verità di quella lotta democratica originale, storicamente determinata, delle masse contadine, che costituisce un elemento inscindibile della trasformazione borghese ed è la condizione della sua vittoria completa.

L’utopia liberale fa disimparare la lotta alle masse contadine. L’utopia populista esprime la loro volontà di lotta, promettendo loro, in caso di vittoria, un milione di vantaggi, mentre in realtà, questa vittoria non ne darà loro che un centinaio. Ma non è naturale che milioni di uomini che marciano alla lotta e che da secoli vivono in un’inaudita ignoranza, nel bisogno, nella miseria, nell’abbandono, nell’abbrutimento, esagerino di dieci volte i frutti dell’eventuale vittoria?

L’utopia liberale maschera la cupidigia dei nuovi sfruttatori, desiderosi di condividere i privilegi con gli antichi sfruttatori; l’utopia populista esprime l’aspirazione di milioni di lavoratori della piccola borghesia a finirla una volta per sempre con i vecchi sfruttatori feudali e la loro ingannevole speranza di poter sopprimere “nel contempo” anche gli sfruttatori nuovi, i capitalisti.


È chiaro che i marxisti, ostili a qualsiasi utopia, devono salvaguardare l’autonomia della classe che può lottare con abnegazione contro il feudalesimo appunto perché non “ha affondato l’unghia”, nemmeno per una centesima parte, nella proprietà, la quale fa della borghesia un avversario pieno di esitazioni, e spesso un alleato dei feudali. I contadini “hanno affondato l’unghia” nella piccola produzione mercantile; essi possono, mediante un concorso di circostanze storiche favorevoli, ottenere la soppressione più completa del feudalesimo; ma, in certo qual modo, oscilleranno sempre, non per caso ma inevitabilmente, fra la borghesia e il proletariato, fra il liberalismo e il marxismo.

È chiaro che i marxisti devono liberare con cura dall’involucro delle utopie populiste il nocciolo sano e prezioso della democrazia combattiva, sincera e risoluta, delle masse contadine.

Nella vecchia letteratura marxista degli anni ottanta si trova una tendenza costante a distinguere questo prezioso nocciolo democratico. Un giorno gli storici studieranno sistematicamente questa tendenza e scopriranno il suo nesso con il fenomeno che ha preso il nome di “bolscevismo” nel primo decennio del secolo XX.