Lenin - I compiti immediati del potere sovietico
Presentazione della redazione di La Voce
Proponiamo ai nostri compagni lo studio dello scritto di Lenin principalmente per tre motivi.
1. Esso mostra che la Rivoluzione russa fu fin dall’inizio da Lenin e i suoi compagni concepita e condotta come parte della rivoluzione proletaria mondiale: il ruolo che la rivoluzione russa avrebbe avuto nella storia dell’umanità era in ultima istanza legata al percorso che la rivoluzione proletaria avrebbe fatto nel mondo, conformemente alla dottrina marxista. Il motivo per cui dopo la vittoria sul nazifascismo, nel 1956 la destra del partito comunista riuscì a imporre la sua direzione in Unione Sovietica fino a portarla alla rovina, va quindi ricercato non solo a livello interno dell’URSS e del PCUS, ma anche a livello internazionale, nell’incapacità dei partiti comunisti dei paesi imperialisti di adempiere il compito che oggi resta ancora a noi comunisti di svolgere: instaurare il socialismo nei paesi imperialisti.
2. Esso illustra nel concreto di un passaggio storico lo scontro tra due linee nel Partito comunista russo. A conferma che in ogni partito comunista esiste sempre una sinistra e una destra, riflesso nel partito comunista dello scontro tra le due classi principali in cui è divisa attualmente l’umanità, cioè a conferma di uno dei sei principali apporti del maoismo alla concezione comunista del mondo: la lotta tra le due linee nel Partito comunista (vedasi L’ottava discriminante in La Voce n. 10 e n. 41 reperibili in www.nuovopci.it).
3. Esso mostra che nella trasformazione del sistema di relazioni sociali non esistono muraglie cinesi: una volta conquistato il potere, il partito comunista deve guidare gli operai e le altre classi rivoluzionarie a risolvere, nella concatenazione che concretamente hanno, i problemi pratici effettivi che concretamente la società presenta, per far sorgere il nuovo sistema di relazioni sociali. Questo è molto utile ai fini della giusta comprensione della nostra linea della costituzione del Governo di Blocco Popolare con il programma delle Sei misure principali, come passo del cammino che ci porterà a instaurare il socialismo e a iniziare la marcia verso il comunismo.
Il testo di Lenin va studiato in connessione con il Comunicato CC 33 - 1° novembre 2014.
Lenin,
Opere
-
Editori Riuniti vol.
27
I compiti immediati del potere sovietico
Scritto
nel marzo-aprile 1918.
Pubblicato il 28
aprile 1918 sulla Pravda, n.
83 e sulle Izvestia del CEC
(Comitato Esecutivo Centrale del
Congresso dei Soviet di tutta la Russia), n. 85. Firmato: N. Lenin.
[Le note
dell’edizione Editori Riuniti sono nel testo tra parentesi quadre; le note della
redazione di La Voce sono anch’esse
nel testo tra parentesi quadre, ma con l’indicazione ndr]
La situazione internazionale della Repubblica sovietica russa e i compiti
fondamentali della rivoluzione socialista
Grazie alla pace che abbiamo ottenuto [con
il trattato di pace con la Germania firmato a Brest-Litovsk il 3 marzo 1918 e
approvato, nonostante l’opposizione dei “comunisti di
sinistra” (in realtà la destra del Partito come dimostrerà anche la storia
successiva) capeggiati da Bukharin e da
Trotzki, dal VII Congresso (6-8 marzo 1918) del
Partito comunista russo (bolscevico)
e dal Congresso straordinario dei
Soviet di tutta la Russia (Mosca 14-16 marzo 2018) con l’astensione dei
socialisti-rivoluzionari di sinistra e l’opposizione di “comunisti di sinistra”
e altri: la documentazione essenziale relativa ai due avvenimenti è in Opere
vol. 27, ndr] - per quanto dura e precaria essa sia - la
repubblica sovietica russa ha la possibilità di concentrare per un certo periodo
di tempo le sue forze sul settore più importante e più difficile della
rivoluzione socialista, cioè sui compiti organizzativi.
Questo compito è stato posto in modo chiaro
e preciso a tutte le masse lavoratrici e oppresse nel 4° paragrafo della
risoluzione approvata il 15 marzo 1918 dal Congresso straordinario del soviet,
tenuto a Mosca, nello stesso paragrafo (o nella stessa parte) in cui si parla
dell’autodisciplina dei lavoratori e della lotta senza quartiere contro il caos
e la disorganizzazione [vedi Opere
vol. 27, pag. 178-179].
La precarietà della pace ottenuta dalla
repubblica sovietica russa certamente non è dovuta al fatto che essa pensi ora
di riprendere le operazioni militari. A parte i controrivoluzionari borghesi e i
loro tirapiedi (menscevichi e simili), nessun uomo politico responsabile ci
pensa. La precarietà della pace è invece determinata dal fatto che negli Stati
imperialisti confinanti con la Russia ad occidente e ad oriente e in possesso di
un’enorme forza militare, può prendere il sopravvento da un momento all’altro il
partito della guerra, tentato dalla momentanea debolezza della Russia e spinto
dai capitalisti, che odiano il socialismo e sono avidi di bottino.
Di fronte a un tale stato di cose, l’unica
garanzia di pace, reale e non di carta, è per noi la rivalità tra le potenze
imperialiste, rivalità che ha raggiunto limiti estremi e si manifesta, da un
lato, con la ripresa del massacro imperialista dei popoli in occidente, e,
dall’altro, con lo straordinario inasprimento della concorrenza imperialista tra
il Giappone e l’America per il dominio dell’Oceano Pacifico e delle sue coste.
È chiaro che, protetta da una così tenue
difesa, la nostra repubblica socialista sovietica si trova, dal punto di vista
internazionale, in una situazione estremamente precaria, indubbiamente critica.
Dobbiamo tendere al massimo tutte le nostre forze per sfruttare la tregua
concessaci da un concorso di circostanze, per curare le gravissime ferite
inferte dalla guerra a tutto l’organismo sociale della Russia e per risollevare
economicamente il paese: senza di questo non si può nemmeno parlare di un
aumento più o meno serio della sua capacità difensiva.
È chiaro altresì che noi potremo recare un
serio contributo alla rivoluzione socialista in occidente, che ritarda per una
serie di circostanze, solo se sapremo assolvere al compito organizzativo che
abbiamo dinanzi.
La condizione essenziale per assolvere con successo al compito organizzativo che
si presenta in primo piano, è che i dirigenti politici del popolo, cioè i membri
del Partito comunista russo (bolscevico) e poi anche tutti i rappresentanti
coscienti delle masse lavoratrici, comprendano appieno la differenza radicale
che esiste sotto questo aspetto tra le precedenti rivoluzioni borghesi e
l’attuale rivoluzione
socialista.
Nelle rivoluzioni
borghesi il compito principale delle masse lavoratrici consisteva nello
svolgere l’azione negativa, o distruttiva, di spazzar via il feudalesimo, la
monarchia, il medioevo.
L’azione
positiva, o creativa, di organizzare la nuova società era svolta dalla minoranza
possidente, borghese, della popolazione. Questa svolgeva tale compito,
nonostante la resistenza degli operai e dei contadini, con relativa facilità,
non solo perché la resistenza delle masse sfruttate dal capitale era allora
estremamente debole, data la loro dispersione e arretratezza, ma anche perché la
forza organizzativa fondamentale della società capitalista, costruita
anarchicamente, è il mercato nazionale e internazionale, che si sviluppa
spontaneamente in estensione e in profondità.
Al contrario, in ogni
rivoluzione socialista - e, di conseguenza, anche nella rivoluzione
socialista da noi iniziata in Russia il 25 ottobre 1917 - il compito principale
del proletariato e dei contadini poveri da esso diretti è il lavoro positivo o
creativo per fondare un sistema estremamente complesso e delicato di nuovi
rapporti organizzativi, che abbracciano la produzione e la distribuzione
pianificate dei prodotti necessari all’esistenza di decine di milioni di uomini.
Questa rivoluzione può essere realizzata con successo solo se la maggioranza
della popolazione, e innanzitutto la maggioranza dei lavoratori, è capace di
un’attività storicamente creativa e autonoma. Solo nel caso in cui il
proletariato e i contadini poveri sappiano trovare in sé sufficiente coscienza,
forza ideale, abnegazione e tenacia, la vittoria della rivoluzione socialista
sarà garantita. Creando un nuovo tipo di Stato, lo Stato dei soviet, che offre
alle masse lavoratrici e oppresse la possibilità di partecipare nel modo più
attivo di quanto finora mai visto all’edificazione autonoma della nuova società,
noi abbiamo adempiuto soltanto una piccola parte di un difficile compito. La
difficoltà principale è nel settore economico: compiere dappertutto il più
severo inventario e controllo della produzione e della distribuzione dei
prodotti, elevare la produttività del lavoro, socializzare di fatto
la direzione della
produzione.
Lo sviluppo del partito bolscevico, che è
oggi il partito di governo in Russia, dimostra con particolare evidenza in che
cosa consiste la svolta storica che stiamo attraversando e che è il tratto
caratteristico dell’attuale momento politico, svolta che esige un nuovo
orientamento del potere sovietico, cioè una nuova impostazione di compiti nuovi.
- Il primo compito di ogni partito
dell’avvenire è quello di convincere la maggioranza del popolo della giustezza
del suo programma e della sua tattica. Questo compito era posto in primo piano
sia sotto lo zarismo, sia nel periodo in cui Cernov e Tsereteli [esponenti del
partito dei socialisti rivoluzionari, ndr] attuavano la loro politica di
conciliazione con i Kerenski e i Kisckin [esponenti del Governo Provvisorio
succeduto nel febbraio 1917 al governo zarista, ndr]. Ora questo compito che,
certo, è ancora ben lungi dall’essere assolto completamente (e che potrà essere
esaurito solo a lungo termine), nelle sue grandi linee è stato assolto, poiché
la maggioranza degli operai e dei contadini della Russia è chiaramente dalla
parte dei bolscevichi, come ha dimostrato senza tema di smentite l’ultimo
congresso dei soviet a Mosca [14-16 marzo 1918, ndr].
- Il secondo compito del nostro partito era
quello di conquistare il potere
politico
e
di schiacciare la resistenza degli sfruttatori. Anche
questo compito non è affatto adempiuto fino in fondo, e non lo si può ignorare,
poiché i monarchici e i cadetti, da un lato, e i loro tirapiedi e reggicoda, i
menscevichi e i socialisti-rivoluzionari di destra, dall’altro, continuano i
tentativi di unirsi per abbattere il potere dei soviet. Ma, nelle sue linee
generali, il compito di schiacciare la resistenza degli sfruttatori è già stato
assolto nel periodo che va dal 25 ottobre 1917 fino (all’incirca) al febbraio
1918, ovvero alla resa di Bogaievski [uno dei maggiori capi della resistenza
armata al governo sovietico: si arrese nella primavera 1918].
- Ora si presenta, come compito immediato e
caratteristico del momento attuale, il terzo compito: quello di organizzare l’amministrazione
della Russia. S’intende, questo compito si è posto ed è stato da noi assolto
fin dal primo giorno successivo al 25 ottobre 1917. Ma fino a quando la
resistenza degli sfruttatori ha assunto la forma di aperta guerra civile, il
compito di amministrare non poteva diventare quello principale,
centrale.
Oggi lo è diventato. Noi, partito
bolscevico, abbiamo convinto la Russia, abbiamo conquistato la
Russia prendendola ai ricchi per darla ai poveri, agli sfruttatori per darla ai
lavoratori. Ora noi dobbiamo amministrare la Russia. Tutta l’originalità
del momento attuale, tutta la sua difficoltà sta nel comprendere la
particolarità del passaggio dal periodo in cui il compito principale era
quello di convincere il popolo e di schiacciare militarmente gli sfruttatori, al
periodo in cui il compito principale è quello di amministrare
il paese.
Per la prima volta nella storia mondiale un
partito socialista è riuscito a portare a termine, nelle sue grandi linee, la
conquista del potere e la repressione degli sfruttatori, è arrivato a dovere
affrontare in pieno il
compito di amministrare. Dobbiamo mostrarci degni esecutori di questo
difficilissimo (e nobilissimo) compito della rivoluzione socialista. Dobbiamo
comprendere bene che per amministrare con successo è necessario, oltre
a saper convincere, oltre a saper vincere nella guerra civile, saper
organizzare praticamente.
Questo è il compito più difficile, poiché si tratta di organizzare ex novo le
basi più profonde, cioè le basi economiche, della vita di decine e decine di
milioni di uomini. Questo è anche il compito più nobile, poiché solo dopo
averlo assolto (nei suoi tratti principali e fondamentali) si potrà dire che la
Russia è diventata una repubblica, non solo sovietica, ma anche
socialista.
La
parola d’ordine generale del momento
La situazione obiettiva sopra descritta, creata da una pace estremamente gravosa
e precaria, da uno sfacelo economico, dolorosissimo, dalla disoccupazione e
dalla carestia lasciateci in eredità dalla guerra e dal dominio della borghesia
(nella persona di Kerenski e dei menscevichi e socialisti-rivoluzionari di
destra suoi sostenitori), non poteva non generare un’estrema stanchezza e
addirittura l’esaurimento delle forze della grande massa dei lavoratori. Questa
massa esige imperiosamente - e non può non esigere - un certo riposo. Si pone
all’ordine del giorno la ricostituzione delle forze produttive distrutte dalla
guerra e dal malgoverno della borghesia; il risanamento delle ferite inferte
dalla guerra, dalla sconfitta, dalla speculazione e dai tentativi della
borghesia di restaurare l’abbattuto potere degli sfruttatori; la ripresa
economica del paese; la sicura tutela dell’ordine pubblico più elementare. Può
sembrare un paradosso, ma in realtà, a causa delle condizioni obiettive
indicate, è assolutamente indubbio che il potere dei soviet può in questo
momento consolidare il passaggio della Russia al socialismo solo se assolve
praticamente, nonostante l’opposizione della borghesia, dei menscevichi e dei
socialisti-rivoluzionari di destra, proprio questi elementarissimi compiti per
conservare le basi dell’ordine sociale. Assolvere in pratica questi compiti
elementarissimi e superare le difficoltà organizzative dei primi passi verso il
socialismo sono ora - in virtù delle particolarità concrete della situazione
attuale e dell’esistenza del potere dei soviet con le sue leggi sulla
socializzazione della terra, sul controllo operaio, ecc. - le due facce della
stessa medaglia.
Tieni accuratamente e coscienziosamente i
tuoi conti, fa economie, non lasciarti prendere dalla pigrizia, non rubare,
osserva la più rigorosa disciplina nel lavoro: sono appunto queste le parole
d’ordine, giustamente derise dai proletari rivoluzionari quando la borghesia
camuffava con tali discorsi il suo dominio di classe sfruttatrice, che divengono
ora, dopo l’abbattimento della borghesia, parole d’ordine urgenti e principali
del momento. La realizzazione pratica di queste parole d’ordine da parte della
massa dei lavoratori è, da un lato, l’unica condizione per salvare
il paese torturato quasi a morte dalla guerra imperialista e dai briganti
imperialisti (con Kerenski alla testa); dall’altro lato, l’attuazione pratica di
queste parole d’ordine da parte del potere sovietico, con i suoi
metodi, in base alle sue leggi, è necessaria
e sufficiente per la vittoria completa del socialismo. È
ciò che non possono comprendere appunto coloro che rifuggono sprezzantemente dal
mettere in primo piano parole d’ordine così “trite” e “triviali”. In un paese di
piccoli contadini, che da appena un anno ha abbattuto lo zarismo e da meno di
sei mesi si è liberato dei vari Kerenski, naturalmente è rimasto non poco
anarchismo spontaneo, aggravato dalla brutalità e dalla barbarie che
accompagnano ogni guerra lunga e reazionaria. Si è diffuso uno stato d’animo di
esasperazione e di irritazione confusa. Se a questo si aggiunge la politica di
provocazione dei lacchè della borghesia (menscevichi, socialisti-rivoluzionari
di destra), sarà assai facile capire quali sforzi tenaci e perseveranti devono
compiere gli operai e i contadini migliori e più coscienti per creare una svolta
radicale nello stato d’animo della massa e farla passare a un lavoro regolare,
continuo e disciplinato. Solo questo passaggio, attuato dalla massa dei poveri
(proletari e semiproletari), è capace appunto di completare la vittoria sulla
borghesia e in particolare sulla borghesia contadina, che è la più ostinata e la
più numerosa.
La
nuova fase della lotta contro la borghesia
La borghesia da noi è stata vinta, ma non è ancora stata sradicata, annientata e
nemmeno abbattuta fino in fondo. Si pone perciò all’ordine del giorno una nuova,
superiore forma di lotta contro la borghesia, il passaggio dal compito più
semplice di continuare ad espropriare i capitalisti, al compito assai più
complesso e difficile di creare condizioni tali che la borghesia non possa né
continuare ad esistere, né rinascere. È chiaro che questo compito è
infinitamente più alto e che se non
lo
assolveremo non avremo ancora il
socialismo.
Se prendiamo come elemento di paragone
le
rivoluzioni dell’Europa occidentale, noi ci
troviamo all’incirca al livello raggiunto nel 1793 [con la direzione dei
Giacobini nella Rivoluzione Francese, ndr] e nel 1871 [con l’instaurazione della
Comune di Pari, ndr]. Abbiamo pieno diritto di essere fieri di aver raggiunto
questo livello e di averlo perfino superato sotto un certo aspetto, e
precisamente: noi abbiamo decretato e instaurato in tutta la Russia un
tipo
superiore di Stato, il potere dei soviet. Ma non possiamo in nessun caso
accontentarci di
ciò
che è stato raggiunto, poiché abbiamo appena
iniziato il passaggio al socialismo, ma non abbiamo
ancora
realizzato
ciò
che è decisivo
a
questo
riguardo.
Decisiva è l’organizzazione di un
inventario e di un controllo popolare rigorosissimo sulla produzione e sulla
distribuzione dei prodotti. Va detto a questo proposito che nelle imprese, nelle
branche e nei settori dell’economia che noi abbiamo strappato alla borghesia,
non
siamo
ancora
riusciti a organizzare l’inventario e il controllo: senza questo non si può
nemmeno parlare della seconda, e altrettanto essenziale, condizione materiale
per instaurare il socialismo, cioè dell’aumento su scala nazionale della
produttività del lavoro [che allora in Russia era molto inferiore a quella dei
paesi imperialisti, ndr].
Non si potrebbe perciò definire il compito
del momento attuale con la semplice formula: proseguire l’offensiva contro il
capitale. Anche se, indubbiamente, non abbiamo ancora inferto al capitale il
colpo di grazia e dobbiamo assolutamente continuare l’offensiva contro questo
nemico dei lavoratori, una tale definizione sarebbe imprecisa e astratta, poiché
non terrebbe conto della
peculiarità
del momento attuale, in cui, per garantire il successo dell’offensiva
ulteriore,
dobbiamo
ora
“arrestare” l’offensiva.
Ciò si può spiegare paragonando la
situazione in cui ora noi ci troviamo nella guerra contro il capitale alla
situazione di un esercito vittorioso che ha tolto al nemico, poniamo, la metà o
due terzi del territorio ed è costretto ad arrestare l’offensiva per raccogliere
le forze, reintegrare le scorte di materiale bellico, riparare e fortificare le
linee di comunicazione, costruire nuovi depositi, far affluire nuove riserve,
ecc. In tali condizioni l’arresto dell’offensiva dell’esercito vittorioso è
necessario proprio al fine di strappare al nemico il rimanente territorio, di
conseguire cioè la completa vittoria. Chi non ha capito che questo è
precisamente l’“arresto” dell’offensiva contro il capitale dettatoci dalla
situazione obiettiva del momento, non ha capito nulla del momento politico che
attraversiamo.
S’intende, si può parlare di “arresto”
dell’offensiva contro il capitale solo tra virgolette, cioè solo
metaforicamente. In una guerra come le altre si può dare l’ordine di sospendere
l’offensiva su tutta la linea, si può in effetti arrestare l’avanzata. Ma nella
guerra contro il capitale non si può arrestare l’avanzata e non si può nemmeno
pensare di rinunciare all’ulteriore espropriazione del capitale. Si tratta di
spostare il
centro di gravità
del nostro lavoro economico e politico.
Finora sono stati in
primo piano
i
provvedimenti di immediata espropriazione degli espropriatori. Ora passa in
primo piano
l’organizzazione dell’inventario e del controllo nelle aziende
in cui i capitalisti sono già stati espropriati e in tutte le altre.
Se volessimo ora continuare ad espropriare
il capitale con lo stesso ritmo di prima, certamente subiremmo una sconfitta,
giacché è chiaro, evidente per ogni uomo pensante, che il nostro lavoro di
organizzazione dell’inventario e del controllo proletario è
rimasto indietro rispetto al lavoro di
immediata
“espropriazione degli espropriatori”. Se ci
accingeremo ora con tutte le forze al lavoro di organizzazione dell’inventario e
del controllo, potremo risolvere questo problema, guadagneremo il tempo perduto
e porteremo vittoriosamente a termine
tutta
la
nostra “campagna” contro il capitale.
Ma riconoscere che si deve guadagnare il
tempo perduto, non equivale ad ammettere che si è commesso qualche errore?
Niente affatto. Portiamo di nuovo un esempio di tipo militare. Se si può
sconfiggere e respingere il nemico con i soli reparti della cavalleria leggera,
bisogna farlo. Ma se lo si può fare con successo solo fino ad un certo punto, è
perfettamente concepibile che, al di là di questo limite, sorge la necessità di
fare intervenire l’artiglieria pesante. Ammettendo ora che bisogna guadagnare il
tempo perduto e fare entrare subito in azione l’artiglieria pesante, non
riconosciamo affatto come un errore il vittorioso attacco con la cavalleria
leggera.
I lacchè della borghesia ci hanno spesso
rimproverato di aver condotto l’attacco contro il capitale “con la guardia
rossa”. È un’accusa assurda, degna appunto dei lacchè del sacco di denari.
Infatti l’attacco contro il capitale “con la guardia rossa” fu
a
suo tempo
imposto assolutamente dalle circostanze.
In primo luogo, il capitale oppose, allora,
una resistenza militare nella persona di Kerenski e di Krasnov, di Savinkov e di
Gots (Ghegheckori si oppone tuttora così), di Dutov, di Bogaievski [vari capi
della lotta armata condotta dalla controrivoluzione contro il governo sovietico
subito dopo la sua costituzione alla fine dell’ottobre 1917, ndr]. La resistenza
armata non può essere infranta che con mezzi militari, e le guardie rosse hanno
compiuto la nobilissima e importantissima opera storica di liberare i lavoratori
e gli sfruttati dal giogo degli sfruttatori.
In secondo luogo, non avremmo potuto allora
porre in primo piano i metodi dell’amministrazione invece che i metodi della
repressione, appunto perché l’arte di amministrare non è innata negli uomini, ma
si acquista con l’esperienza. Allora questa esperienza non l’avevamo. Ora
l’abbiamo.
In terzo luogo, allora non potevamo avere a
disposizione specialisti per i vari settori della scienza e della tecnica,
perché questi o combattevano nelle file dei Bogaievski, o avevano ancora la
possibilità di opporre una resistenza passiva, tenace e sistematica mediante il
sabotaggio. Ma ora abbiamo spezzato il sabotaggio. L’attacco contro il capitale
“con la guardia rossa” è riuscito, è stato vittorioso, poiché abbiamo vinto la
resistenza opposta dal capitale sia con le armi che con il sabotaggio.
Ciò vuol forse dire che l’attacco al
capitale “con la guardia rossa”
è sempre
opportuno, in
ogni
circostanza e che noi
non
abbiamo altri metodi di lotta contro il capitale? Sarebbe puerile pensarlo.
Abbiamo vinto con la cavalleria leggera, ma possediamo anche l’artiglieria
pesante. Abbiamo vinto con i metodi della repressione, sapremo vincere anche con
i metodi dell’amministrazione. Bisogna saper cambiare i metodi di lotta contro
il nemico, quando mutano le circostanze. Noi non rinunceremo mai nemmeno, per un
istante, a reprimere “con la guardia rossa” i signori Savinkov e Ghegheckori,
come qualsiasi altro contro-rivoluzionario borghese e latifondista. Ma non
saremo mai tanto sciocchi da porre in primo piano i metodi “da guardia rossa”
nel momento in cui l’epoca in cui erano necessari gli attacchi delle guardie
rosse
è sostanzialmente
terminata (e terminata vittoriosamente) e batte alle porte l’epoca in cui il
potere statale e proletario dovrà utilizzare gli specialisti borghesi per
dissodare nuovamente il terreno in modo tale che su di esso non possa
assolutamente più spuntare nessuna borghesia.
Questa
è
un’epoca particolare, o meglio una fase di sviluppo
particolare, e per vincere completamente il capitale bisogna saper adattare le
forme della nostra lotta alle condizioni particolari di questa fase.
Senza specialisti che dirigano i diversi
settori della scienza, della tecnica, della ricerca, il passaggio al socialismo
è
impossibile, giacché il socialismo esige un’avanzata cosciente delle masse verso
una produttività del lavoro maggiore rispetto a quella del capitalismo e che
parta dai risultati raggiunti dal capitalismo. Il socialismo deve attuare questa
avanzata
a suo modo, con
i
suoi metodi: diciamo, più concretamente, con i metodi
sovietici.
E gli specialisti sono necessariamente,
nella loro massa, borghesi, a causa di tutte le condizioni della vita sociale
che ha fatto di loro degli specialisti. Se il nostro proletariato, una volta
conquistato il potere, avesse risolto rapidamente il compito di instaurare un
inventario, un controllo, un’organizzazione su scala nazionale (ciò non si è
potuto realizzare a causa della guerra e dell’arretratezza della Russia),
allora, spezzato il sabotaggio con l’inventario e il controllo generale, avremmo
potuto attrarre completamente al nostro servizio anche gli specialisti borghesi.
A causa del “considerevole ritardo” dell’inventario e del controllo in generale,
anche se siamo riusciti a vincere il sabotaggio,
non
abbiamo
ancora
creato tuttavia le condizioni adatte a mettere a nostra disposizione gli
specialisti borghesi; la massa dei sabotatori
“si
reca al lavoro”, ma i migliori
organizzatori e i più grandi specialisti possono essere impiegati dallo Stato
solo alla vecchia maniera, alla maniera borghese, cioè con alti compensi o alla
maniera nuova, proletaria (cioè creando con l’instaurazione di un inventario e
di un controllo popolare dal basso, le condizioni che permettano automaticamente
di assoggettare e attrarre gli specialisti).
Abbiamo dovuto per ora ricorrere al vecchio
mezzo borghese e acconsentire a pagare a caro prezzo i “servizi” dei massimi
specialisti borghesi. Tutti coloro che sono al corrente della questione lo
vedono, ma non tutti riflettono sul significato che ha una tale misura presa da
uno Stato proletario. È chiaro che questo provvedimento è un compromesso, una
deviazione dai principi della Comune di Parigi, di ogni potere proletario, i
quali esigono che gli stipendi siano portati al livello della paga di un operaio
medio ed esigono che si lotti con i fatti e non a parole contro il carrierismo.
E non è tutto. È chiaro che un tale
provvedimento non solo è un arresto - in un certo campo e in una certa misura -
dell’offensiva contro il capitale (perché il capitale non è una somma di denaro
ma un determinato rapporto sociale), ma anche un passo
indietro
del nostro potere statale socialista, sovietico, che fin dall’inizio ha
proclamato e attuato una politica mirante a ridurre gli alti stipendi al livello
salariale dell’operaio medio. [Per decreto del Consiglio dei commissari del
popolo in data 18 novembre (1° dicembre) 1917, lo stipendio massimo mensile dei
commissari del popolo era fissato in 500 rubli. Su richiesta del Commissariato
del popolo al lavoro, il Consiglio decise poco dopo che si potevano dare
stipendi più elevati agli scienziati e ai tecnici altamente qualificati].
Naturalmente, i lacchè della borghesia, in
particolare quelli di piccolo calibro, come i menscevichi, gli uomini della
Novaia Gizn, i
socialisti-rivoluzionari di destra, sogghigneranno di fronte alla nostra
ammissione di aver fatto un passo indietro. Ma noi non dobbiamo badare ai loro
sogghigni. Noi dobbiamo studiare le particolarità della nuova e difficilissima
via che porta al socialismo, senza nascondere i nostri errori e le nostre
debolezze, ma sforzandoci di completare a tempo ciò che è ancora incompiuto.
Nascondere alle masse il fatto che attirare gli specialisti borghesi con
retribuzioni eccezionalmente elevate
è
una deviazione
dai principi della Comune, significherebbe scendere al
livello dei politicanti borghesi e ingannare le masse. Spiegare apertamente come
e perché abbiamo fatto un passo indietro, e discutere poi pubblicamente i mezzi
che ci possono far riguadagnare il tempo perduto, significa educare le masse e
imparare insieme con loro, sulla base dell’esperienza, a costruire il
socialismo. Difficilmente si può trovare nella storia una sola campagna militare
vittoriosa in cui il vincitore non abbia commesso degli errori, non abbia subito
sconfitte parziali, non abbia dovuto effettuare qualche temporanea ritirata. E
la “campagna” da noi intrapresa contro il capitalismo è un milione di volte più
difficile della più difficile campagna militare: sarebbe sciocco e vergognoso
cadere in preda all’avvilimento per una ritirata isolata e parziale.
Esaminiamo la questione dal lato pratico.
Ammettiamo che la repubblica sovietica russa abbia bisogno di 1.000 scienziati e
specialisti di prim’ordine nei settori della scienza, della tecnica,
dell’esperienza pratica, per dirigere il lavoro del popolo al fine di assicurare
lo sviluppo economico più rapido possibile del paese. Ammettiamo che queste
“stelle di prima grandezza” si
debbano pagare 25.000 rubli all’anno.
Ammettiamo che questa somma (25 milioni di rubli) debba essere raddoppiata
(considerando l’assegnazione di premi per l’esecuzione particolarmente felice e
rapida dei più importanti compiti tecnici e organizzativi) o addirittura
quadruplicata (considerando l’assunzione di alcune centinaia dei più esigenti
specialisti stranieri). Si domanda: la spesa di 50 o 100 milioni di rubli
all’anno per riorganizzare il lavoro nazionale secondo l’ultima parola della
scienza e della tecnica, può essere considerata eccessiva o troppo pesante per
la repubblica sovietica? Certamente no. La schiacciante maggioranza degli operai
e dei contadini coscienti approverà questa spesa, ben sapendo dalla vita pratica
che la nostra arretratezza ci fa perdere miliardi e che noi
non
abbiamo
ancora
raggiunto, un tale grado di organizzazione, di inventario e di controllo da
provocare la partecipazione generale e volontaria delle “stelle”
dell’intellettualità borghese al
nostro
lavoro.
È evidente che la questione ha anche un
altro aspetto. È infatti indiscutibile che gli alti stipendi hanno un’influenza
corruttrice sia sul potere sovietico (tanto più che, data la rapidità della
rivoluzione, non poteva non attaccarsi a questo potere un certo numero di
avventurieri e di malandrini, i quali, insieme con certi commissari [membri dei
governi sovietici centrale e locali, emanazioni dei soviet, ndr] inetti e senza
scrupoli, non sono alieni dall’inserirsi tra le “stelle di prima grandezza” ...
nell’arte di saccheggiare il denaro pubblico), sia sulla massa operaia. Ma tutti
gli elementi coscienti
e
onesti tra gli operai e i contadini poveri
saranno d’accordo con noi e riconosceranno che non siamo in grado di liberarci
d’un colpo dalla cattiva eredità del capitalismo e che l’unico modo di liberare
la repubblica sovietica dal “tributo” di 50 o 100 milioni di rubli (tributo
impostoci dal nostro ritardo nell’organizzare l’inventario e il controllo
popolare, cioè dal basso), è
quello di organizzare, rafforzare la disciplina nelle nostre file,
liberandole da tutti coloro che “conservano l’eredità del capitalismo”,
“osservano le tradizioni del capitalismo”, cioè i parassiti, i fannulloni,
i
saccheggiatori dell’erario (adesso tutta la terra, tutte le fabbriche, tutte
le
ferrovie sono “erario” della repubblica
sovietica). Se gli elementi avanzati e coscienti fra gli operai e i contadini
poveri riuscissero entro un anno, con l’aiuto delle istituzioni sovietiche, a
organizzarsi, a darsi una disciplina, a galvanizzarsi, a creare una forte
disciplina nel lavoro, noi potremmo allora scrollarci di dosso entro un anno
questo “tributo”, che potremmo ridurre anche prima ... esattamente secondo i
successi conseguiti dalla nostra disciplina nel lavoro e dalla nostra capacità
di organizzazione operaia e contadina. Quanto più rapidamente noi, operai e
contadini, impareremo ad applicare una migliore disciplina e una più elevata
tecnica nel lavoro, utilizzando per questo gli specialisti borghesi, tanto più
rapidamente ci libereremo da qualsiasi “tributo” verso questi specialisti.
Il nostro lavoro per organizzare, sotto la
direzione del proletariato, l’inventario e il controllo di tutto il popolo sulla
produzione e la distribuzione dei prodotti è in forte ritardo rispetto al nostro
lavoro di diretta espropriazione degli espropriatori. Questo è un postulato
fondamentale per comprendere le particolarità del momento attuale e i compiti
del potere sovietico che ne derivano. Il centro di gravità nella lotta contro la
borghesia si sposta verso l’organizzazione di questo inventario e di questo
controllo. Solo partendo da questo si possono giustamente determinare i compiti
immediati della politica economica e finanziaria per quanto concerne la
nazionalizzazione delle banche, il monopolio del commercio estero, il controllo
statale sulla circolazione monetaria, l’istituzione di una imposta sul
patrimonio e sul reddito che sia soddisfacente dal punto di vista proletario,
l’introduzione per tutti dell’obbligo di lavorare.
Con le trasformazioni socialiste in questi
settori noi siamo in grave ritardo (e questi sono settori molto, ma molto
importanti). Siamo in ritardo proprio perché l’inventario e il controllo in
generale non sono sufficientemente organizzati. È evidente che questo compito è
tra i più difficili, che con lo sfacelo creato dalla guerra esso può essere
assolto solo lentamente. Ma non si deve dimenticare che appunto qui la borghesia
- e soprattutto la numerosa piccola-borghesia e la borghesia contadina - ci dà
asprissima battaglia, sabotando il controllo in via d’organizzazione, sabotando,
ad esempio, il monopolio statale della distribuzione dei cereali, conquistando
posizioni per la speculazione e il contrabbando. Noi siamo ancora ben lontani
dall’aver applicato a sufficienza quanto abbiamo già stabilito nei nostri
decreti. Il compito principale del momento è appunto quello di concentrare tutti
gli sforzi nell’attuazione
pratica, concreta dei principi di quelle trasformazioni che sono
già diventate legge (ma non ancora realtà).
Per portare avanti la nazionalizzazione
delle banche e proseguire fermamente l’opera volta a trasformare le banche in
centri di contabilità pubblica nel regime socialista, bisogna innanzitutto e
soprattutto ottenere reali successi, cioè aumentare il numero delle filiali
della Banca nazionale, attirare i risparmiatori, facilitare al pubblico le
operazioni di versamento e di prelevamento del denaro, eliminare le “code”,
cogliere sul fatto e
fucilare
i concussionari e i furfanti, ecc. Prima
mettere realmente in pratica le cose più semplici, organizzare per bene ciò che
già esiste; poi affrontare le cose più complesse.
Consolidare e ordinare i monopoli statali
già istituiti (sui cereali, sul cuoio, ecc.) e preparare così il monopolio
statale del commercio estero; senza un tale monopolio non potremo “sottrarci” al
dominio del capitale straniero pagandogli un “tributo”. Ma la possibilità stessa
dell’edificazione socialista dipende dalla nostra capacità o meno di difendere
la nostra indipendenza economica interna, per un certo periodo di tempo pagando
un qualche tributo al capitale straniero.
Anche nella riscossione delle imposte in
generale, e delle imposte sul patrimonio e sul reddito in particolare, siamo
rimasti molto indietro. L’imposizione di tributi alla borghesia - misura
assolutamente accettabile
in
linea di principio e meritevole
dell’approvazione del proletariato - dimostra che noi a proposito di questo
siamo ancora più vicini ai metodi di conquista (strappare la Russia ai ricchi
per darla ai poveri), che ai metodi di amministrazione. Ma per diventare più
forti e reggerci più fermamente sulle nostre gambe, dobbiamo passare a questi
ultimi metodi: dobbiamo sostituire ai tributi imposti alla borghesia un’imposta
sul patrimonio e sul reddito riscossa con regolarità e nella giusta misura, che
renderà di più allo Stato proletario e che esige da noi appunto una
maggiore organizzazione, una migliore impostazione dell’inventario e del
controllo.
Il nostro ritardo nell’introdurre per tutti
l’obbligo del lavoro mostra ancora una volta che all’ordine del giorno si pone
appunto il lavoro di preparazione e di organizzazione: che, da un lato, dovrà
consolidare definitivamente ciò che è stato conquistato e che, dall’altro, è
necessario per preparare l’operazione di “accerchiamento” del capitale che lo
costringerà a “capitolare”. Noi dovremmo cominciare immediatamente ad introdurre
l’obbligo del lavoro, ma ad introdurlo con grande cautela e gradualità,
verificando ogni passo alla luce dell’esperienza pratica e naturalmente
cominciando, come primo passo, a introdurre il lavoro obbligatorio per i
ricchi. L’istituzione di un
libretto di lavoro e di consumo per ogni borghese, compresa la borghesia delle
campagne, costituirebbe un serio passo verso il “completo” accerchiamento del
nemico e l’istituzione di un inventario e di un controllo veramente popolari
sulla produzione e sulla distribuzione dei prodotti.
L’importanza della battaglia per l’inventario e il controllo popolare
Lo Stato, che è stato per secoli
un
organo di oppressione e di spoliazione del popolo, ci ha lasciato in eredità
l’odio e la sfiducia massima delle masse per tutto ciò che è statale. Superare
questi sentimenti è un compito assai difficile, che può essere assolto solo dal
potere sovietico, ma che richiede, da questo, lungo tempo e un’enorme
perseveranza. Questa “eredità” si manifesta in modo particolarmente acuto nella
questione dell’inventario e del controllo, questione
capitale
per la rivoluzione socialista all’indomani dell’abbattimento della borghesia.
Passerà inevitabilmente un certo tempo prima che le masse, che si sono sentite
per la prima volta libere dopo aver abbattuto i proprietari fondiari e la
borghesia, comprendano non dai libri, ma dalla loro stessa esperienza
sovietica - e sentano
che senza un inventario e un controllo statale generale sulla produzione
e la distribuzione dei prodotti, il potere dei lavoratori, la libertà dei
lavoratori non si può
mantenere e sarebbe inevitabile
il
ritorno sotto il giogo del capitalismo.
Tutte le abitudini e le tradizioni della
borghesia in generale, e della piccola borghesia in particolare, si oppongono
anch’esse al controllo
statale,
sostengono l’intangibilità delle "sacra proprietà privata”, della “sacra”
impresa privata. Oggi constatiamo con particolare evidenza fino a qual punto è
giusta la tesi marxista secondo cui l’anarchismo e l’anarco-sindacalismo sono
correnti
borghesi
e
quale insanabile contrasto li divide dal socialismo, dalla dittatura proletaria,
dal comunismo. La battaglia per inculcare nelle masse l’idea del controllo e
dell’inventario statale,
sovietico,
per realizzare in pratica questa idea, per rompere con il maledetto passato che
aveva insegnato a considerare la lotta per il pane e per il vestiario come un
affare “privato”, la compravendita come
un
mercato che “riguarda me solo”, è veramente
la battaglia più grandiosa, d’importanza storica universale, che la coscienza
socialista abbia intrapreso contro la spontaneità anarchico-borghese.
Il controllo operaio è stato istituito da
noi per legge, ma con difficoltà comincia a penetrare nella vita e persino nella
coscienza delle grandi masse del proletariato. Nella nostra agitazione noi non
mettiamo abbastanza in rilievo, e gli operai e i contadini avanzati non ci
pensano e non ne parlano abbastanza, che la mancanza di un controllo e di un
inventario sulla produzione e la distribuzione dei prodotti uccide i germi del
socialismo, dilapida l’erario (poiché tutti i beni ora appartengono all’erario,
l’erario è il potere dei soviet, il potere della maggioranza dei lavoratori);
che l’incuria nell’inventario e nel controllo costituisce una diretta complicità
con i Kornilov tedeschi e russi [Kornilov è passato alla storia come il
prototipo dei generali zaristi fautori dell’immediato annientamento militare dei
soviet. Contro i soviet guidò le sue truppe già nell’estate del 1917, ma fu
ucciso dall’Esercito rosso solo il 13 aprile 1918 nella battaglia di
Ekaterinodar, ndr], i quali potranno rovesciare il potere dei lavoratori
soltanto
se non adempiremo i compiti dell’inventario e del controllo. Essi con l’aiuto di
tutta la borghesia contadina, con l’aiuto dei cadetti, dei menscevichi, dei
socialisti-rivoluzionari di destra ci “attendono al varco”, aspettando il
momento opportuno. Finché il controllo operaio non sarà divenuto una realtà,
finché gli operai avanzati non avranno organizzato e condotto a termine una
campagna vittoriosa e implacabile contro i violatori del controllo o contro
coloro che lo trascurano, non si potrà dal primo passo (il controllo operaio)
passare al secondo passo verso il socialismo, cioè passare alla regolamentazione
operaia della produzione.
Lo Stato socialista può sorgere soltanto come una rete di comuni di
produzione e di consumo, che calcolano coscienziosamente la loro produzione e i
loro consumi, economizzano il lavoro, ne elevano costantemente la produttività,
riuscendo così
a
ridurre la giornata lavorativa
a
sette, a sei
ore
e anche a meno.
A questo punto non possiamo fare a meno di organizzare un
inventario e un controllo popolari rigorosissimi, un inventario e un controllo
generali sul
grano
e sulla
produzione del grano
(e
poi su tutti gli altri prodotti di prima necessità).
Il capitalismo ci ha lasciato in eredità organizzazioni di massa
capaci di facilitare il passaggio all’inventario e al controllo di massa sulla
ripartizione dei prodotti: le cooperative di consumo. In Russia esse sono meno
sviluppate che nei paesi avanzati, ma tuttavia abbracciano oltre 10 milioni di
persone. Il decreto sulle cooperative di consumo emanato in questi giorni
costituisce un fatto estremamente significativo che dimostra chiaramente la
situazione particolare e i compiti della repubblica socialista sovietica nel
momento attuale. [Il decreto sulle cooperative di consumo fu
approvato dal Consiglio dei commissari del popolo il 10 aprile, ratificato dal
CEC l’11 aprile 1918 e pubblicato a firma di V. Ulianov (Lenin), presidente del
Consiglio dei commissari del popolo sulla
Pravda
del 13 aprile e le
Izvestia
del CEC del 16 aprile 1918].
Il decreto è un accordo concluso con cooperative borghesi e con cooperative
operaie rimaste legate a un punto di vista borghese.
L’accordo o il compromesso sta, in primo luogo, nel fatto che i rappresentanti delle dette istituzioni
non solo hanno partecipato alla discussione del decreto, ma di fatto hanno anche
avuto il diritto di voto deliberativo, giacché le parti del decreto che hanno
incontrato una decisa opposizione da parte di queste istituzioni sono state
soppresse. In secondo luogo, in
sostanza, il compromesso consiste nella rinuncia del potere sovietico sia al
principio dell’adesione gratuita alle cooperative (unico principio
conseguentemente proletario) sia all’unificazione di
tutta la popolazione di una determinata
località
in
un’unica
cooperativa. In deroga a questo principio - unico principio socialista che
risponde allo scopo di eliminare le classi - è stato concesso il diritto di
esistenza alle “cooperative operaie di classe” (che in questo
caso si
chiamano “di classe” solo perché sono subordinate agli interessi di classe della
borghesia). In terzo luogo è stata
molto attenuata la proposta avanzata dal potere sovietico di escludere
completamente la borghesia dagli organi dirigenti delle cooperative: il divieto
di entrare
a
far parte degli organi dirigenti è stato
mantenuto solo per i proprietari di aziende commerciali e industriali
capitaliste, private.
Se il proletariato, che agisce attraverso
il potere sovietico, fosse riuscito a organizzare l’inventario e il controllo su
scala statale,
o
almeno a gettare le basi di questo
controllo, non ci sarebbe stata necessità di giungere a simili compromessi.
Attraverso le sezioni annonarie dei soviet, attraverso gli organismi di
approvvigionamento presso i soviet, avremmo raggruppato il ogni località la
popolazione
in
un’unica cooperativa diretta dal proletariato,
senza il concorso delle cooperative borghesi, senza far concessioni al principio
puramente borghese che spinge la cooperativa operaia a restare tale
accanto
alla cooperativa borghese
invece
di sottomettere completamente a sé questa
cooperativa borghese fondendo le due cooperative, assumendo così
su
di sé tutta
la direzione e prendendo nelle proprie mani il compito
di sorvegliare il consumo dei ricchi.
Concludendo un simile accordo con le
cooperative borghesi, il potere sovietico ha definito concretamente i suoi
compiti tattici e i suoi particolari metodi d’azione per la presente fase di
sviluppo e cioè: dirigendo gli elementi borghesi, utilizzandoli, facendo loro
certe concessioni parziali, noi creiamo le condizioni per un’avanzata che sarà
più lenta di quello che avevamo inizialmente previsto, ma al tempo stesso più
sicura, con basi
e linee di comunicazione più solide, con posizioni più saldamente conquistate. I
soviet possono (e devono)
ora misurare i propri successi nell’edificazione
socialista, tra l’altro, con un’unità di misura estremamente chiara, semplice,
pratica: vedendo
cioè
in quante comunità (comuni o villaggi, quartieri, ecc.) sono sorte cooperative e
in quale misura esse sono vicine ad abbracciare tutta la popolazione.
L’aumento della produttività del lavoro
In ogni rivoluzione socialista, dopo che è
stato risolto il compito della conquista del potere da parte del proletariato e
nella misura in cui si risolve nelle grandi linee il compito di espropriare gli
espropriatori e di schiacciarne la resistenza, si pone necessariamente in primo
piano il problema fondamentale di creare un regime sociale superiore
al
capitalismo, cioè precisamente: aumentare
al produttività del lavoro , in
relazione
con questo (e a questo scopo), creare una superiore organizzazione del lavoro.
Il nostro potere sovietico si trova appunto nella
situazione
in
cui,
grazie alle vittorie sugli sfruttatori, da Kerenski a Kornilov, ha ottenuto la
possibilità di passare direttamente a questo compito, di affrontarlo in pieno.
Qui diviene subito evidente che, mentre ci si può impadronire in pochi giorni di
un potere centrale statale, mentre in poche settimane si può schiacciare la
resistenza armata (e il sabotaggio) degli sfruttatori perfino nei diversi angoli
di un grande paese, una soluzione durevole del problema di elevare la
produttività del lavoro richiede in ogni caso (e soprattutto dopo una guerra
straordinariamente dolorosa e devastatrice) parecchi anni. La lunga durata di
questo lavoro va qui indubbiamente attribuita a circostanze oggettive.
L’aumento della produttività del lavoro esige anzitutto che siano garantite le
basi materiali della grande industria: lo sviluppo della produzione dei
combustibili, del ferro, delle macchine, dell’industria chimica. La repubblica
sovietica russa si trova in condizioni favorevoli in quanto essa dispone - anche
dopo la pace di Brest-Litovsk - di gigantesche riserve di minerali ferrosi
(negli Urali), di combustibile nella Siberia occidentale (carbon fossile), nel
Caucaso e nel Sud-est (petrolio), nel Centro (torba), di immense ricchezze
forestali, idriche, di materie prime per l’industria chimica (Karbugaz), ecc. La
trasformazione di queste ricchezze naturali con i metodi della tecnica più
moderna fornirà la base a un progresso mai visto finora delle forze produttive.
Un’altra condizione per elevare la produttività del lavoro è in primo luogo lo sviluppo educativo e culturale della massa della
popolazione: questo sviluppo procede ora con enorme rapidità, cosa che non
vedono coloro che sono accecati dalla routine borghese e sono incapaci di
comprendere quale slancio e quale spirito d’iniziativa si manifesta oggi negli
“strati inferiori” del popolo grazie all’organizzazione sovietica. In
secondo luogo condizione del progresso
economico sono una maggiore disciplina dei lavoratori, una maggiore capacità,
solerzia e intensità nel lavoro, una
migliore organizzazione. Da questo punto i
vista, se si dovesse credere a coloro che si lasciano spaventare dalla borghesia
o che la servono per il proprio interesse, le cose andrebbero molto male da noi,
sarebbero addirittura disperate. Ma costoro non capiscono che non v’è stata mai
né vi può essere rivoluzione senza che i fautori del vecchio regime non gridino
alla rovina, all’anarchia, ecc. È naturale che le masse che si sono appena
scrollate di dosso un giogo di una barbarie inaudita, siano in profondo e vasto
fermento, che l’elaborazione dei nuovi principi di disciplina del lavoro da
parte delle masse sia un processo molto lungo, che una tale elaborazione non
possa nemmeno cominciare prima della vittoria completa sui grandi proprietari
fondiari e sulla borghesia. Ma, senza lasciarci minimamente prendere dalla
disperazione, spesso artificiosa, che viene diffusa dai borghesi e dagli
intellettuali legati alla borghesia (che disperano di mantenere i loro vecchi
privilegi), noi non dobbiamo affatto nascondere i mali evidenti. Al contrario
dobbiamo metterli in luce e intensificare i metodi sovietici di lotta contro di
essi, poiché il successo del socialismo non è concepibile senza che lo spirito
di disciplina proletaria cosciente abbia vinto la spontanea anarchia
piccolo-borghese che è la premessa di una eventuale restaurazione del regime dei
Kerenski e dei Kornilov.
L’avanguardia più cosciente del
proletariato russo si è già posto il compito di elevare la disciplina del
lavoro. Per esempio, nel CC del sindacato dei metallurgici e nel Consiglio
centrale dei sindacati è cominciata un’elaborazione dei relativi provvedimenti e
progetti di decreti. [Si tratta della
Decisione sulla disciplina del lavoro
adottata dal Consiglio dei sindacati di tutta la
Russia, pubblicata sulla rivista
Narodnoe Khoziaistvo
(Economia nazionale), n. 2, aprile 1918].
Bisogna appoggiare questo lavoro e
spingerlo avanti con tutte le forze. Bisogna mettere all’ordine del giorno,
applicare praticamente e sperimentare il lavoro a cottimo. Bisogna applicare
quel tanto che vi è di scientifico e di progressivo nel sistema Taylor, rendere
il salario proporzionale ai risultati complessivi della produzione o del lavoro
svolto dai trasporti ferroviari, marittimi, fluviali, ecc. [Si tratta del
principio che deve regolare la distribuzione dei prodotti nella fase del
socialismo: a ciascuno secondo il suo lavoro, ndr].
In confronto ai lavoratori delle nazioni
progredite, il russo è un cattivo lavoratore. Non poteva essere altrimenti sotto
il regime zarista in cui sopravvivevano i resti del regime feudale. Imparare a
lavorare: ecco il compito che il potere dei soviet deve porre di fronte al
popolo in tutta la sua ampiezza. L’ultima parola del capitalismo a questo
proposito, il sistema Taylor - come tutti i progressi del capitalismo - combina
in sé
la
crudeltà raffinata dello sfruttamento borghese e
una serie di ricchissime
conquiste scientifiche per quanto riguarda
l’analisi
dei
movimenti meccanici durante il lavoro,
l’eliminazione dei movimenti
superflui
e
maldestri, l’elaborazione dei metodi di
lavoro più razionali, l’introduzione dei migliori sistemi di inventario e di
controllo, ecc. La repubblica
sovietica deve a ogni costo assimilare
tutto ciò che vi è di prezioso tra le conquiste della scienza e della tecnica in
questo campo. La possibilità di realizzare il socialismo sarà determinata
appunto dai successi che sapremo conseguire nel combinare il potere sovietico e
l’organizzazione amministrativa sovietica con i più avanzati progressi del
capitalismo. Bisogna introdurre in Russia lo studio e l’insegnamento del sistema
Taylor, sperimentarlo e adattarlo sistematicamente. Mentre si opera per
aumentare la produttività del lavoro bisogna al tempo stesso tener conto delle
particolarità del periodo di transizione dal capitalismo
al
socialismo, le quali da un lato esigono che siano gettate le basi
dell’organizzazione
socialista
dell’emulazione e dall’altro richiedono l’uso
della
costrizione, sì
che
la
parola d’ordine della dittatura del proletariato non sia oscurata dalla
inconsistenza del potere proletario nella pratica.
L’organizzazione dell’emulazione
Nel novero delle assurdità che la borghesia
diffonde volentieri a proposito del socialismo vi è quella secondo cui i
socialisti negherebbero l’importanza dell’emulazione. In realtà solo il
socialismo, eliminando le classi e, di conseguenza, l’asservimento delle masse,
apre per la prima volta la strada a un’emulazione veramente di massa. È appunto
l’organizzazione sovietica che, passando dalla democrazia formale della
repubblica borghese all’effettiva partecipazione delle masse lavoratrici al
governo,
crea per la prima volta ampie possibilità
per l’emulazione. Questo è molto più facile farlo nel campo politico che non in
quello economico, ma è proprio quest’ultimo che è importante per il successo del
socialismo.
Prendiamo un mezzo di organizzazione
dell’emulazione come la stampa che rende di dominio pubblico i fatti economici.
La repubblica borghese la garantisce solo formalmente ma di fatto essa
assoggetta la stampa al capitale, diverte il “volgo”
con piccanti futilità politiche e
nasconde
ciò che avviene nei luoghi di lavoro, negli
affari commerciali, nelle forniture, ecc., con il pretesto del “segreto
commerciale” che tutela la “proprietà privata”. Il potere dei soviet ha abolito
il segreto commerciale, si è
messo
su una strada nuova, ma per sfruttare la pubblicità dei fatti economici ai fini
dell’emulazione economica non abbiamo fatto ancora quasi nulla. Bisogna mettersi
sistematicamente al lavoro perché, accanto alla repressione implacabile contro
la stampa borghese profondamente menzognera e sfrontatamente calunniatrice, si
conduca un’azione per creare una stampa che non diverta e non inganni le masse
con piccanti stupidità politiche, ma sottoponga al giudizio delle masse le
questioni economiche di ogni giorno e le aiuti a studiarle seriamente. Ogni
fabbrica, ogni villaggio è una comune di produzione e di consumo, che ha il
diritto e il dovere di applicare a suo modo le disposizioni legislative
sovietiche (“a suo modo” non nel senso di violarle o eluderle, ma nel senso
della diversità delle forme di applicazione), di risolvere a suo modo il
problema dell’inventario della produzione e della distribuzione dei prodotti.
Nel regime capitalista questo era un “affare privato” del singolo capitalista,
grande proprietario fondiario o kulak. Sotto il potere sovietico non è un affare
privato, ma un importantissimo affare di Stato.
Noi però non abbiamo ancora quasi per nulla
affrontato l’enorme, difficile, ma fecondo lavoro di organizzare l’emulazione
tra le comuni, per introdurre il controllo pubblico nel processo di produzione
dei cereali, dell’abbigliamento, ecc., per trasformare i rendiconti aridi,
morti, burocratici in vivi esempi che respingano o attraggano. Con il metodo di
produzione capitalista l’importanza del singolo esempio, poniamo di una
qualsiasi cooperativa di produzione, era per forza di cose limitatissima; solo
l’illusione piccolo-borghese poteva sognare di “emendare” il capitalismo,
influenzandolo con il modello di ottime istituzioni. Dopo che il potere politico
è passato nelle mani del proletariato e che gli espropriatori sono stati
espropriati, le cose mutano radicalmente e - come i più illustri socialisti
hanno più volte indicato - la forza dell’esempio acquista per la prima volta la
possibilità di esercitare una sua
azione di
massa. Le comuni modello debbono servire e serviranno da centri di educazione,
di istruzione, di incitamento delle altre comuni. La conoscenza diffusa delle
questioni economiche deve servire da strumento dell’edificazione socialista,
facendo conoscere in tutti i particolari i successi conseguiti dalle comuni
modello, studiando le cause dei loro successi, i metodi della loro gestione e
mettendo, d’altro lato, “sul libro nero” le comuni che si ostinano a conservare
le “tradizioni del capitalismo”, cioè l’anarchia, la negligenza, il disordine,
la speculazione. Nella società capitalista la statistica era oggetto di
competenza esclusiva dei “funzionari statali” o di ristretti circoli di
specialisti: noi dobbiamo portarla tra le masse, popolarizzarla, affinché i
lavoratori imparino gradualmente a capire e a vedere da sé come e quanto si deve
lavorare, come e quanto si può riposare, affinché
il confronto tra i risultati
economici delle singoli comuni divenga oggetto di interesse e di studio
generale, affinché le comuni migliori vengano immediatamente premiate (con la
riduzione per un certo periodo della giornata lavorativa, con l’aumento dei
salari, con l’assegnazione di una maggior quantità di beni e valori culturali o
estetici, ecc.).
Quando una nuova classe appare sulla scena
della storia
in
veste di guida e dirigente della società, ciò non
avviene mai senza un periodo di violentissimi “scossoni”, di perturbazioni, di
lotte e di tempeste, da un lato;
e
di passi incerti, di esperimenti, di
oscillazioni, di esitazioni nella scelta dei nuovi metodi rispondenti alla nuova
situazione oggettiva, dall’altro. L’agonizzante
nobiltà
feudale si vendicava della borghesia vittoriosa che la soppiantava, non soltanto
con complotti, tentativi di rivolta e di restaurazione, ma anche con torrenti di
scherno contro l’incapacità, la goffaggine, gli errori dei “nuovi ricchi”, degli
“sfrontati” che avevano osato prendere nelle loro mani il “sacro timone” dello
Stato senza avere la preparazione secolare dei principi, dei baroni, dei
nobili, dei magnati. Esattamente come oggi in Russia i Kornilov e i Kerenski, i
Gots e i Martov, tutta questa confraternita di eroi dell’affarismo e dello
scetticismo borghese, si vendicano della classe operaia per il suo “temerario”
tentativo di prendere il potere.
È evidente che occorrono non settimane, ma
lunghi mesi o anni perché la nuova classe sociale, e tra l’altro una classe
finora oppressa, schiacciata dal bisogno e dall’ignoranza, possa adattarsi alla
nuova situazione, a orientarsi, a organizzare il proprio lavoro, a esprimere
i propri organizzatori. È
chiaro che il partito che dirige il proletariato rivoluzionario non ha potuto
acquistare la pratica e l’esperienza dei grandi provvedimenti organizzativi
validi per milioni e decine di milioni di cittadini e che la trasformazione dei
vecchi metodi, quasi esclusivamente agitatori, richiede molto tempo. Ma non v’è
qui nulla di impossibile. Una volta che avremo acquisito la chiara coscienza
della necessità di questo mutamento, la salda decisione di realizzarlo e la
tenacia nel perseguire questo grandioso e difficile compito, noi saremo capaci
di adempierlo. Nel “popolo”, cioè tra gli operai e coloro che non sfruttano il
lavoro
altrui, c’è una vera e propria massa di talenti organizzativi; il capitale li ha
oppressi, soffocati, respinti a migliaia;
noi
non sappiamo ancora scoprirli, incoraggiarli, elevarli, portarli avanti. Ma
impareremo, se ci accingeremo a farlo con tutto l’entusiasmo rivoluzionario,
senza il quale non vi possono essere rivoluzioni vittoriose.
Nella storia non è mai avvenuto un profondo e possente
movimento popolare senza
che
apparisse una schiuma fangosa, senza che
agli inesperti innovatori non si aggregassero avventurieri e furfanti, fanfaroni
e schiamazzatori, senza un’assurda baraonda e confusione,
senza vano affaccendarsi, senza che certi “capi” tentassero di accingersi a venti imprese
senza portarne a termine neppure una. Guaiscano e abbaino pure i botoli della
società borghese, da Bielorussov a Martov, per ogni scheggia in più che vola
durante il taglio della grande, vecchia foresta! Per questo appunto sono botoli,
perché abbaiano contro l’elefante proletario (la maggior parte di loro,
naturalmente, quanto più è corrotta dai costumi borghesi tanto più volentieri
grida alla corruzione degli operai). Abbaino pure!
Noi seguiremo la nostra strada cercando di sperimentare e di individuare, con la
maggior cautela e pazienza possibile, i veri organizzatori, gli uomini di sano
intelletto e dotati di spirito pratico, gli uomini che uniscono alla fedeltà
verso il socialismo la capacità di organizzare senza chiasso (e nonostante la
confusione e il chiasso) il lavoro comune energico e concorde di un grande
numero di persone nel quadro dell’organizzazione sovietica.
Soltanto
questi uomini, dopo essere stati messi dieci volte alla prova e promossi dai
compiti più semplici ai più difficili, devono essere portati a ricoprire i posti
di responsabilità, di dirigenti del lavoro del popolo, di dirigenti
dell’amministrazione. Non abbiamo ancora imparato a farlo, ma impareremo.
“Buona organizzazione” e dittatura
La risoluzione dell’ultimo congresso dei
soviet (tenuto a Mosca) pone come primissimo compito del momento la creazione di
una “organizzazione funzionale” e il rafforzamento della disciplina. [Si tratta
del IV Congresso straordinario dei soviet di tutta la Russia, tenutosi a Mosca
tra il 14 e il 16 marzo 1918. La ricoluzione è riportata in
Opere vol. 29, pagg. 178-179]. Tutti
ora “votano” e “sottoscrivono” volentieri risoluzioni di questo genere, ma di
solito non riflettono molto sul fatto che per metterle in pratica è necessaria
la costrizione e precisamente la costrizione sotto forma di dittatura. Sarebbe
tra l’altro una grossissima sciocchezza e ridicolissimo utopismo ritenere che
senza costrizione e senza dittatura sia possibile passare dal capitalismo
al socialismo. Già da molto tempo e con la maggiore decisione la teoria di Marx
ha
criticato questa assurdità anarchica e piccolo-borghese. La Russia del 1917-1918
conferma la teoria di Marx a questo riguardo in modo così evidente, tangibile e
persuasivo, che solo uomini irrimediabilmente ottusi o testardamente decisi al
rifiuto della verità possono ancora sbagliare a questo proposito. O la dittatura
di Kornilov (se lo si considera il tipo russo del Cavaignac borghese [nome del
generale che nel giugno 1848 schiacciò militarmente il popolo di Parigi insorto
contro la repubblica borghese, ndr]), o la dittatura del proletariato:
per un paese che compie uno sviluppo
estremamente rapido segnato da svolte eccezionalmente brusche, in preda al più
tremendo sfacelo creato dalla più crudele delle guerre,
non si può nemmeno parlare
di un’altra via d’uscita. Tutte le soluzioni intermedie sono un tentativo della
borghesia di ingannare il popolo, della borghesia che non può dire la verità,
che non può dire di aver bisogno di un Kornilov; oppure sono un’ottusa
escogitazione di democratici piccolo-borghesi, dei Cernov, Tsereteli e Martov,
con le loro chiacchiere sull’unità della democrazia, sulla dittatura della
democrazia, sul fronte comune della democrazia e altre sciocchezze simili. Chi
non ha imparato nemmeno da tutto il corso della rivoluzione russa del 1917-1918
che le soluzioni intermedie non sono possibili, è un uomo da non prendere in
alcuna considerazione.
D’altro canto non è difficile convincersi
che in ogni periodo di transizione dal capitalismo al socialismo la dittatura è
necessaria per due ragioni principali o in due principali direzioni.
In
primo luogo, non si
può
vincere e sradicare
il capitalismo senza schiacciare implacabilmente
la resistenza degli sfruttatori, che non possono essere privati di colpo delle
loro ricchezze, dei loro vantaggi nel campo dell’organizzazione e del sapere e
quindi, per un periodo abbastanza lungo, tenteranno inevitabilmente di
rovesciare l’odiato potere dei poveri.
In
secondo luogo, ogni grande rivoluzione, e in particolare la rivoluzione
socialista, anche se non ci fosse una guerra esterna, è inconcepibile senza una
guerra interna,
cioè
una guerra civile, che significa
uno
sfacelo
ancora
maggiore
della guerra esterna, che significa migliaia e milioni di casi di
esitazione e di passaggio dall’uno all’altro campo, che
significa
uno stato di estrema incertezza, di squilibrio, di caos.
È
naturale
che in una rivoluzione così profonda tutti gli elementi di disgregazione della
vecchia società, inevitabilmente assai numerosi e collegati soprattutto con la
piccola borghesia (giacché questa è la più colpita e rovinata da ogni guerra e
da ogni crisi), non possono “non manifestarsi”. Questi elementi disgregatori
non possono
“manifestarsi” altrimenti che moltiplicando i delitti, gli
atti di teppismo, la corruzione, la speculazione e altre malefatte di ogni
genere. Per far fronte a tutto questo ci vuole tempo e ci vuole
un
pugno
di ferro.
Nella storia non c’è stata mai una grande
rivoluzione in
cui
il popolo non l’abbia sentito
istintivamente e non abbia mostrato salutare fermezza fucilando i ladri sul
posto. Il guaio delle precedenti rivoluzioni è stato che l’entusiasmo
rivoluzionario delle masse, che sosteneva il loro stato di tensione e dava loro
la forza di reprimere senza pietà gli elementi disgregatori, non durava a lungo.
La causa sociale, cioè di classe, di questa instabilità dell’entusiasmo
rivoluzionario delle masse, era la debolezza del proletariato, l’unico e il
solo che sia in grado (se è abbastanza numeroso, cosciente e disciplinato)
di raccogliere intorno a sé la
maggioranza
dei lavoratori e degli sfruttati (la maggioranza dei poveri, per parlare in modo
più semplice e popolare) e di conservare il potere abbastanza a lungo per
reprimere definitivamente sia tutti gli sfruttatori che tutti gli elementi di
disgregazione.
Questa esperienza storica di tutte le
rivoluzioni, questa lezione economica e politica derivante dalla storia
universale, fu riassunta da Marx nella formula breve, netta, precisa e chiara:
dittatura del proletariato. Che la rivoluzione russa si sia accinta in modo
giusto all’attuazione di questo compito d’importanza storica universale,
è
dimostrato
dalla marcia trionfale che l’organizzazione
sovietica ha compiuto tra tutti i popoli e le nazionalità della Russia. Giacché
il potere sovietico non è altro che la forma organizzativa della dittatura del
proletariato, della dittatura della classe più avanzata, che eleva a una nuova
forma di democrazia, alla partecipazione autonoma al governo dello Stato decine
e decine di milioni di lavoratori e di sfruttati, i quali imparano per propria
esperienza a vedere nell’avanguardia disciplinata e cosciente del proletariato
la loro guida più sicura.
Ma dittatura è una grande parola e le
grandi parole non possono essere gettate al vento. La dittatura è un potere
ferreo, rapido e audace in senso rivoluzionario, implacabile nella repressione
sia degli sfruttatori che dei criminali. Il nostro potere invece è
eccessivamente mite, addirittura più simile alla gelatina che al ferro. Non
bisogna dimenticare nemmeno un istante che gli elementi borghesi e
piccolo-borghesi combattono contro il potere sovietico in due modi: da un lato
agendo dall’esterno, con i metodi dei Savinkov, dei Gots, dei Ghegheckori, dei
Kornilov, con complotti e rivolte e con la loro sudicia espressione
“ideologica”: i fiumi di menzogne e di calunnie che appaiono sulla stampa dei
cadetti, dei socialisti-rivoluzionari di destra e dei menscevichi; dall’altro
lato, questo elemento agisce dall’interno, sfruttando ogni elemento di
disgregazione, ogni debolezza per corrompere, per aggravare l’indisciplina, la
trascuratezza, il caos. Quanto più ci avviciniamo alla completa vittoria sulla
rivolta armata della borghesia, tanto più è l’elemento anarchico
piccolo-borghese che diviene pericoloso per noi. La lotta contro questo elemento
non va condotta soltanto con la propaganda e l’agitazione, soltanto organizzando
l’emulazione, soltanto con la selezione degli organizzatori: la lotta va
condotta anche con la costrizione.
A mano a mano che il compito fondamentale
del potere diventerà non più la repressione di carattere militare ma
l’amministrazione, la tipica manifestazione della repressione
e
della coercizione non sarà
più
la fucilazione sul posto, ma il processo in
tribunale. Anche da questo punto di vista, dopo il 25 ottobre 1917 le masse
hanno imboccato la strada giusta e hanno dimostrato la vitalità della
rivoluzione cominciando a organizzare i loro tribunali operai e contadini ancora
prima che qualunque decreto sancisse lo scioglimento dell’apparato giudiziario
burocratico-borghese. Ma i nostri tribunali rivoluzionari e popolari sono
eccessivamente, incredibilmente deboli. Si sente che non è stata ancora
definitivamente battuta la concezione lasciataci in eredità dal giogo dei grandi
proprietari fondiari e della borghesia, la concezione per cui il popolo
considera il tribunale come qualcosa di burocraticamente estraneo. Non c’è
sufficiente coscienza del fatto che ora invece il tribunale è un organo
destinato a far partecipare tutti i poveri alla direzione dello Stato (giacché
l’attività giudiziaria è una delle funzioni dell’amministrazione dello Stato);
che il tribunale ora è
l’organo del potere
del proletariato e dei contadini poveri; che il tribunale ora è
diventato uno strumento di
educazione alla disciplina.
Non c’è abbastanza coscienza del fatto,
così semplice ed evidente, che se i mali principali della Russia sono la fame e
la disoccupazione perché le fabbriche sono ferme, nessuno slancio potrà vincere
questa calamità: la potrà vincere solo un’organizzazione e una disciplina
generale di tutto il popolo, che consentirà di aumentare la produzione del pane
per gli uomini e del pane per l’industria (il combustibile), di trasportarlo in
tempo utile e di distribuirlo in modo giusto; che perciò
chiunque
trasgredisce la disciplina del lavoro in qualsiasi azienda, in qualsiasi
officina, in qualsiasi impresa è colpevole delle sofferenze causate dalla
carestia e dalla disoccupazione; che i colpevoli devono essere scoperti,
trascinati davanti al tribunale e puniti senza pietà. L’elemento
piccolo-borghese contro il quale dobbiamo ora condurre la lotta più
perseverante, si rivela appunto nella scarsa coscienza del nesso economico e
politico esistente tra la carestia e la disoccupazione da un lato e la
negligenza di tutti e di ciascuno nel campo dell’organizzazione e della
disciplina dall’altro; nell’ostinata concezione
piccolo-borghese:
riempiamo
il nostro sacco il più possibile e poi avvenga quel che avvenga!
Nel settore delle ferrovie, che forse
incarnano nel modo più evidente i nessi economici tra le varie parti
dell’organismo creato dal grande capitale, questa lotta dell’elemento della
negligenza piccolo-borghese contro lo spirito di organizzazione del proletario
si manifesta con particolare evidenza. L’elemento “amministrativo” fornisce
sabotatori e concussionari in grande abbondanza; l’elemento proletario nella sua
parte migliore lotta per la disciplina; ma nell’uno e nell’altro elemento,
naturalmente, vi sono molti esitanti, “deboli”, incapaci di resistere alla
“tentazione” delle speculazioni, delle bustarelle, del lucro personale ottenuto
a danno di tutto l’apparato, dal buon funzionamento del quale dipende la
vittoria sulla fame e la disoccupazione.
Caratteristica è la lotta che si è accesa
su questo terreno intorno all’ultimo decreto sull’amministrazione delle
ferrovie, decreto che conferisce pieni poteri, poteri dittatoriali (o “poteri
illimitati”) a singoli dirigenti. [Si tratta del decreto del Consiglio dei
commissari del popolo
Sulla centralizzazione della direzione,
la
tutela delle vie di comunicazione e il loro migliore esercizio.
Il decreto fu approvato dal Consiglio il 23
marzo 1918 e pubblicato il 26 marzo con la firma di Lenin].
I
rappresentanti coscienti (ma per lo più, probabilmente, incoscienti) della
negligenza piccolo-borghese hanno voluto vedere nel conferimento di poteri
“illimitati” (cioè dittatoriali) a singole persone una deroga dal principio
della collegialità, dalla democraticità e dai principi del potere sovietico. Tra
i socialisti-rivoluzionari di sinistra si è sviluppata qua e là contro il
decreto sui poteri dittatoriali un’agitazione veramente teppistica, che faceva
cioè appello ai peggiori istinti e alla tendenza piccolo-proprietaria di
“riempire il nostro sacco”.
La questione ha assunto veramente una
enorme importanza: in primo luogo, in
linea di principio la designazione di singole persone investite di poteri
illimitati, dittatoriali, è o no compatibile con i principi fondamentali del
potere sovietico; in secondo luogo,
quale rapporto esiste tra questo caso, se volete questo precedente e i compiti
specifici del potere nell’attuale situazione concreta. Su ambedue le questioni
bisogna soffermarsi con la massima attenzione.
-
Che nella storia dei movimenti rivoluzionari la dittatura di
singoli
individui sia stata assai spesso espressione, veicolo, strumento della dittatura
delle classi rivoluzionarie, lo dimostra l’inconfutabile esperienza della
storia. Che la democrazia borghese sia stata compatibile con la dittatura di
singoli è fuor di dubbio. Ma su questo punto i denigratori borghesi del potere
sovietico, nonché i loro tirapiedi piccolo-borghesi, dimostrano sempre una
grande destrezza: da una parte dichiarano che il potere sovietico è
semplicemente qualcosa di assurdo, di anarchico, di selvaggio, eludendo
accuratamente tutti i nostri paralleli storici e tutte le nostre dimostrazioni
teoriche che provano come i soviet costituiscano la forma superiore di
democrazia, anzi di più, l’inizio della forma socialista della
democrazia; dall’altra parte invece essi esigono da noi una forma di democrazia
più alta di quella borghese e dicono: con la vostra democrazia sovietica,
bolscevica (cioè non borghese, ma
socialista), la dittatura personale è assolutamente incompatibile.
Sono ragionamenti che non stanno in piedi.
Se non siamo anarchici, dobbiamo ammettere la necessità di uno Stato,
cioè
della coercizione,
per il passaggio dal capitalismo al socialismo. La forma della coercizione è
determinata dal grado di sviluppo
della classe rivoluzionaria, poi da
particolari circostanze, come,
ad esempio, l’eredità di una guerra lunga e
reazionaria, infine dalle forme di resistenza della borghesia e della piccola
borghesia. Perciò
non vi
è
decisamente nessuna contraddizione di principio tra la democrazia sovietica
(cioè
socialista) e l’impiego del potere dittatoriale di singoli
individui. La differenza tra la dittatura proletaria e la dittatura borghese è
anzitutto che la prima dirige i suoi colpi contro la minoranza sfruttatrice
nell’interesse della maggioranza sfruttata, poi che essa è realizzata
- anche attraverso i singoli
individui - non
solo dalle masse lavoratrici e sfruttate,
ma anche da organizzazioni costituite in modo tale da risvegliare queste masse e
portarle all’altezza
dell’azione storicamente creativa (le organizzazioni sovietiche appartengono a
questo tipo di organizzazioni).
- Sulla seconda questione, cioè
sull’importanza di un potere dittatoriale personale dal punto di vista dei
compiti specifici del momento attuale, bisogna dire che qualsiasi grande
industria meccanica - cioè appunto la fonte materiale, produttiva e il
fondamento del socialismo - esige un’assoluta e rigorosissima
unità
di volontà, che diriga il lavoro comune di centinaia, migliaia e decine di
migliaia di uomini. Tecnicamente, economicamente, storicamente questa necessità
è evidente e tutti coloro che pensano al socialismo l’hanno sempre riconosciuta
come una sua condizione. Ma come può essere assicurata la più rigorosa unità di
volontà? Con la sottomissione della volontà di migliaia di persone alla volontà
di uno solo.
Se i partecipanti al lavoro comune danno
prova di una coscienza e di uno spirito di disciplina ideali, questa
sottomissione può ricordare più
che altro la direzione delicata di un
direttore d’orchestra. Se non c’è questa disciplina
e questa coscienza ideale, può assumere
le
dure forme della dittatura. Ma, in un modo
ciò nell’altro, la
sottomissione
senza
riserve
ad
un’unica volontà è assolutamente necessaria per il successo dei processi di
lavoro organizzato sul modello della grande industria meccanica. Per le ferrovie
essa è due volte, tre volte necessaria.
È appunto questo passaggio da un compito
politico all’altro compito economico,
esteriormente
del tutto diverso, che costituisce tutta l’originalità del momento attuale. La
rivoluzione ha appena spezzato le più antiche, solide e pesanti catene a cui le
masse erano state assoggettate dal regime del bastone. Questo accadeva ieri. Ma
oggi
la rivoluzione stessa, e proprio
nell’interesse del suo sviluppo e del suo consolidamento, nell’interesse del
socialismo, esige la
sottomissione senza riserve
delle masse
alla volontà unica
di chi dirige il processo
lavorativo ed è chiaro che un tale passaggio non è pensabile avvenga
di colpo. È chiaro che esso è realizzabile solo a prezzo di fortissimi urti,
scosse, ritorni all’antico, di una enorme tensione di energie da parte
dell’avanguardia proletaria che guida il popolo verso la creazione del nuovo. A
questo non pensano coloro che cadono in preda all’isterismo filisteo della
Novaia Gizn o
del
Vperiod,
del
Dielo Naroda o
del
Nasc Viekh.
Prendete la mentalità del rappresentante
medio, di base, della massa lavoratrice sfruttata e confrontatela con le
condizioni materiali, oggettive della sua vita sociale. Prima della Rivoluzione
d’Ottobre egli
non
aveva ancora visto nella realtà che le
classi possidenti, sfruttatrici, sacrificassero qualcosa di effettivamente serio
per le classi sfruttate, che agissero in loro favore. Egli non aveva
ancora
visto che gli dessero la terra più volte promessa e la libertà, che gli dessero
la pace, che rinunciassero agli interessi della “posizione di grande potenza” e
ai trattati segreti da grande potenza, che rinunciassero al capitale e ai
profitti. Questo l’ha visto solo
dopo
il 25 ottobre 1917, allorché ha preso tutto questo da sé con la forza e con la
forza ha poi dovuto difenderlo dai Kerenski, dai Gotz, dai Ghegheckori, dai
Dutov, dai Kornilov. Si capisce che per un certo tempo tutta la sua attenzione,
tutti i suoi pensieri e le sue forze sono stati tesi esclusivamente a uno scopo:
tirare il fiato, raddrizzare la schiena, guardarsi intorno, afferrare i beni
della vita che aveva a portata di mano, che ora gli era possibile prendere e che
gli sfruttatori ora abbattuti non gli avevano mai concesso. Si capisce che è
necessario un certo tempo prima che il rappresentante medio della massa non solo
veda con i propri occhi e si convinca, ma senta anche che non si può
semplicemente “prendere”, afferrare, strappare, che ciò aggrava lo sfacelo,
porta alla rovina, al ritorno dei Kornilov. Il mutamento nelle condizioni di
vita (e quindi anche nella mentalità) della grande massa lavoratrice comincia
appena.
Tutto il nostro compito, il compito del
partito comunista (bolscevico), che è I’espressione cosciente delle aspirazioni
degli sfruttati all’emancipazione, è di rendersi conto di questo mutamento, di
comprenderne la necessità, di mettersi alla testa delle masse esauste e che
cercano stancamente una via d’uscita, di condurle sulla giusta via, sulla via
della disciplina nel lavoro, sulla via che permetta di conciliare il compito di
discutere nelle riunioni
sulle
condizioni di lavoro con il compito di obbedire senza riserve alla volontà del
dirigente, del dittatore sovietico,
durante il
lavoro.
I borghesi, i menscevichi, gli uomini della
Novaia Gizn,
che vedono solo il caos, la confusione, le esplosioni di egoismo
piccolo-proprietario, ridono della “mania delle riunioni” e ancor più spesso se
ne fanno malignamente beffe. Ma senza le riunioni la massa degli oppressi non
potrebbe mai passare dalla disciplina imposta dagli sfruttatori alla disciplina
cosciente e volontaria. Discutere nelle riunioni, questo è appunto la vera
democrazia dei lavoratori, il loro modo di raddrizzare
la
schiena, di risvegliarsi a una nuova vita,
ciò che fa fare loro i primi passi su un terreno che essi stessi hanno ripulito
dai rettili (sfruttatori, imperialisti, proprietari fondiari, capitalisti) ma
che vogliono imparare a organizzare da soli a loro modo, per se stessi, in base
ai principi del loro potere
sovietico
e
non di un potere estraneo, aristocratico, borghese. Occorreva appunto la
vittoria dell’Ottobre che i lavoratori hanno riportato sugli sfruttatori,
occorreva un’intera fase storica in cui i lavoratori cominciassero a discutere
essi stessi le nuove condizioni di vita e i nuovi compiti, perché diventasse
possibile un passaggio durevole a forme superiori di disciplina nel lavoro, a
una cosciente assimilazione della necessità della dittatura del proletariato,
alla sottomissione senza riserve alle disposizioni impartite dai singoli
rappresentanti del potere sovietico durante il lavoro.
Questo passaggio è cominciato ora.
Noi abbiamo realizzato con successo il
primo compito della rivoluzione,
abbiamo visto le masse lavoratrici creare in se stesse la condizione
fondamentale del suo successo, cioè l’unione degli sforzi contro gli sfruttatori
per rovesciarli. Tappe come l’ottobre 1905, il febbraio e l’ottobre del 1917,
hanno un’importanza storica universale.
Noi abbiamo realizzato con successo il
secondo compito della rivoluzione:
risvegliare e sollevare proprio quegli strati sociali “inferiori”, che gli
sfruttatori avevano spinto in basso e che solo dopo il
25
ottobre 1917 hanno avuto piena libertà di rovesciare gli
sfruttatori e di incominciare a guardarsi intorno ed a organizzarsi a modo loro.
Le riunioni proprio della massa dei lavoratori più oppressa, più calpestata e
meno preparata, il suo passaggio dalla parte dei bolscevichi, la creazione da
parte sua della propria organizzazione sovietica in ogni dove: ecco la seconda
grande tappa della rivoluzione.
Incomincia la
terza tappa. Dobbiamo consolidare ciò che noi stessi abbiamo
conquistato, che noi stessi abbiamo decretato, legiferato, discusso, tracciato.
Dobbiamo consolidarlo nelle forme stabili di una quotidiana disciplina del
lavoro. È il compito più
difficile, ma anche il più fecondo, giacché solo quando saremo riusciti ad
adempierlo potremo avere degli ordinamenti socialisti. Bisogna imparare a unire
insieme lo spirito democratico impetuoso, violento come la piena primaverile che
trabocca da tutte le rive, amante delle discussioni e delle riunioni, lo spirito
che è proprio delle masse lavoratrici, con una disciplina ferrea durante
il lavoro, con la sottomissione senza riserve alla volontà di una sola
persona, del dirigente sovietico, durante il lavoro.
Questo non l’abbiamo ancora imparato.
Ma lo impareremo.
Ieri la restaurazione dello sfruttamento
borghese ci ha minacciato nella persona dei Kornilov, dei Gots, dei Dutov, dei
Ghegheckori, dei Bogaievski. Noi li abbiamo vinti. Questa restaurazione, la
stessa restaurazione, ci minaccia oggi in altra forma, nella forma dell’elemento
piccolo-borghese della negligenza e dell’anarchismo, nell’elemento
piccolo-proprietario che dice: “non è cosa che mi riguardi”; nella forma di
piccoli ma numerosi attacchi e colpi quotidiani che questo elemento porta allo
spirito di disciplina proletario. Dobbiamo vincere questo elemento di anarchia
piccolo-borghese e lo vinceremo.
Lo sviluppo dell’organizzazione sovietica
Il carattere socialista della democrazia sovietica - cioè proletaria,
nella sua applicazione concreta, attuale - in primo luogo consiste nel
fatto che gli elettori sono le masse lavoratrici sfruttate e che la borghesia è
esclusa; in secondo luogo consiste nel fatto che tutte le formalità burocratiche
e le limitazioni elettorali sono cessate,
le
masse stesse fissano il sistema e
i
termini delle elezioni e hanno piena
libertà di revocare gli eletti; in terzo luogo consiste nel fatto che si crea
una
migliore organizzazione di massa
dell’avanguardia dei lavoratori, cioè del proletariato
della
grande industria, che permette a questo ultimo di dirigere le più larghe masse
degli sfruttati, di farle partecipare a una vita politica autonoma, di educarle
politicamente sulla base della loro stessa esperienza; così per la prima volta
ci si accinge a far sì che realmente
tutta
la popolazione impari a governare e
comincia a governare.
Queste sono le caratteristiche principali
che distinguono la forma di democrazia che ha trovato applicazione in Russia e
che è il più alto
tipo
di democrazia, il quale segna la rottura
con la deformazione borghese della democrazia e il passaggio alla democrazia
socialista e a condizioni che permettono allo Stato di cominciare ad
estinguersi. [Per una sintetica ma efficace esposizione dell’attuazione che
questa concezione esposta da Lenin ebbe nella storia dell’Unione Sovietica fino
a quando nel 1956 nel Partito comunista sovietico prevalse la destra, vedi
l’opuscolo I
primi paesi socialisti di Marco Martinengo, Edizioni Rapporti
Sociali 2003, ndr].
Va da sé che dell’elemento della
disorganizzazione piccolo-borghese (che in
ogni
rivoluzione proletaria si manifesterà
inevitabilmente
in maggiore o minor misura e che nella nostra rivoluzione, a causa del carattere
piccolo-borghese del paese, della sua arretratezza e delle conseguenze della
guerra reazionaria, si manifesta con particolare energia) non può non esserci
l’impronta anche nei soviet.
Dobbiamo lavorare senza soste a sviluppare
l’organizzazione dei soviet e del potere sovietico. Vi è una tendenza
piccolo-borghese a trasformare i membri dei soviet
in
“parlamentari” o, d’altra parte, in
burocrati. Bisogna combattere questa tendenza, facendo partecipare praticamente
all’amministrazione
tutti i
membri dei soviet. In molte località le sezioni dei soviet si trasformano in
organi che a poco a poco si fondono con i commissariati: questa è la via da
seguire. Il nostro scopo è di far partecipare praticamente
tutti i poveri
all’amministrazione dello Stato. Tutti i passi compiuti per attuare questo
obiettivo - e quanto più vari saranno, meglio sarà - devono essere accuratamente
registrati, studiati, classificati, verificati sulla base di una più ampia
esperienza, trasformati in leggi. Il nostro scopo è di far sì che
ogni
lavoratore, dopo aver terminato le “lezioni” delle otto ore di lavoro
produttivo, adempia
gratuitamente
le funzioni statali: il passaggio a tutto questo è particolarmente
difficile, ma solo in esso è la garanzia del definitivo consolidamento del
socialismo. La novità e la difficoltà del cambiamento provocano, naturalmente,
una gran quantità di passi compiuti, per così dire, a tentoni, una gran quantità
di errori, di esitazioni, senza di che non vi può essere nessun deciso movimento
in avanti. Tutta l’originalità della situazione che attraversiamo consiste, dal
punto di vista di molti che vogliono essere considerati socialisti, nel fatto
che la gente si è abituata a contrapporre astrattamente il socialismo al
capitalismo e tra questo e quello mettono acutamente la parola “salto” (alcuni,
ricordando singoli brani letti negli scritti di Engels [AntiDühring],
con acume ancora maggiore aggiungevano: “il salto dal regno della necessità al
regno della libertà”).
Ma la maggior parte di questi sedicenti socialisti, che il socialismo “lo hanno
letto nei libri” ma non hanno mai penetrato seriamente i suoi problemi, non sono
riusciti a comprendere che per “salto” i maestri del socialismo intendevano una
svolta costituita da rivolgimenti della storia mondiale e che salti di questo
genere abbracciano periodi di dieci anni e anche più.
Naturalmente la famosa “intellettualità”
fornisce in questi periodi un gran numero di prediche: una piange l’Assemblea
costituente, l’altra la disciplina borghese, la terza l’ordine capitalista, la
quarta il grande proprietario fondiario bene educato, la quinta la posizione di
grande potenza imperialista e così via. La cosa veramente interessante
nell’epoca dei grandi salti è che l’abbondanza di rovine del passato, che a
volte si ammassano più rapidamente di quanto non appaiono i germi del nuovo (non
sempre visibili immediatamente), esige che si sappia individuare l’essenziale
nella linea o nella catena dello sviluppo. Vi sono momenti storici in cui per il
successo della rivoluzione la cosa più importante di tutte è accumulare più
rovine possibili, cioè far saltare in aria il maggior numero possibile di
vecchie istituzioni. Vi sono momenti in cui si è fatto saltare abbastanza e
sopravviene il lavoro “prosaico” (“noioso” per il rivoluzionario
piccolo-borghese) di ripulire il terreno dalle rovine. Vi sono momenti in cui la
cosa più importante è curare con sollecitudine i germi del nuovo che crescono
tra le rovine in un terreno che ancora è stato solo in minima parte ripulito
dalle macerie.
Non basta essere rivoluzionario e fautore
del socialismo o comunista in generale. Bisogna saper trovare in ogni
particolare momento il particolare anello della catena a cui bisogna aggrapparsi
con tutte le forze, per reggere tutta la catena e preparare un sicuro passaggio
all’anello successivo, ma attenzione: l’ordine degli anelli, la loro forma, il
loro concatenarsi, i tratti che li distinguono l’uno dall’altro nella catena
storica degli avvenimenti, non sono così semplici né così grossolani come in una
comune catena forgiata da un fabbro.
La lotta contro la deformazione burocratica
dell’organizzazione sovietica è garantita dalla solidità dei legami che uniscono
i soviet al “popolo”, cioè ai lavoratori e agli sfruttati, dalla duttilità e
dalla elasticità di questi legami. I parlamenti borghesi, anche della migliore
repubblica capitalista che esista al mondo quanto a livello democratico, non
sono mai considerati dai poveri come “loro” istituzioni. I soviet invece, per le masse degli operai e dei contadini, sono una cosa
“loro” non estranea. I “socialdemocratici” contemporanei, del tipo di
Scheidemann [capo dei socialdemocratici tedeschi al servizio della borghesia
imperialista durante la Grande Guerra e negli anni successivi, ndr] o, il che è
quasi lo stesso, di Martov, provano ripugnanza per i poveri, si sentono attratti
dal rispettabile parlamento borghese o dall’Assemblea costituente, come
Turgheniev sessant’anni fa si sentiva attratto dalla moderata costituzione
monarchica e nobile, perché gli ripugnava la democraticità contadina di
Dobroliubov e Cernyscevski.
È appunto questo stretto legame dei soviet
con il “popolo” lavoratore che crea le forme particolari di revoca e di altro
controllo dal basso che ora devono essere sviluppate con particolare slancio.
Per esempio, i consigli dell’istruzione pubblica, in quanto sono conferenze
periodiche di elettori sovietici e di loro delegati per discutere e controllare
l’attività delle autorità sovietiche in questo campo, meritano piena simpatia e
appoggio. Non v’è nulla di più sciocco che trasformare i soviet in qualcosa di
statico e di chiuso in se stesso. Quanto più decisamente noi dobbiamo essere
oggi per un potere implacabilmente fermo, per la dittatura dei singoli in
determinati
processi
di lavoro,
in determinati momenti dell’esercizio di funzioni
puramente esecutive,
tanto più vari debbono essere i metodi e le
forme di controllo dal basso, per paralizzare ogni ombra di possibile
deformazione del potere sovietico, per estirpare ripetutamente e
instancabilmente la cattiva erba del burocratismo.
Conclusione
Situazione straordinariamente dura,
difficile e pericolosa dal punto di vista internazionale, necessità di manovrare
e di ritirarsi; periodo di attesa di nuove esplosioni rivoluzionarie che
maturano in Occidente con tormentosa lentezza; all’interno del paese un periodo
di lenta edificazione e di implacabile “giro di vite”, una lotta lunga e tenace
della severa disciplina proletaria contro il minaccioso elemento di negligenza e
di anarchismo piccolo-borghese: ecco in breve i tratti distintivi della
particolare fase della rivoluzione socialista che noi attraversiamo. Questo
secondo è l’anello della catena degli avvenimenti storici a cui dobbiamo ora
afferrarci con tutte le nostre forze, per dimostrarci all’altezza del compito,
fino a quando passeremo all’anello seguente, che ci attrae
con particolare splendore, con lo splendore delle vittorie della rivoluzione
proletaria internazionale. [Questo anello nella realtà non si presentò a causa
dell’arretratezza del movimento comunista nei paesi imperialisti: questo
costrinse i comunisti russi a seguire un percorso più tortuoso di quello qui
indicato da Lenin. Per maggiori dettagli in proposito vedi il Comunicato CC
33/2014 del nuovo PCI, ndr].
Provate a confrontare le parole d’ordine
che scaturiscono dalle particolarità della fase attuale: manovrare, ritirarsi,
aspettare, costruire lentamente, stringere i freni senza pietà, disciplinare
severamente, debellare la negligenza, con il concetto usuale, corrente di
“rivoluzionario” ... Ci si può forse meravigliare se alcuni “rivoluzionari”,
nell’udire questo, sono presi da un nobile sdegno e cominciano a “lanciar
fulmini” contro di noi accusandoci di dimenticare le tradizioni della
Rivoluzione d’Ottobre, di avere un atteggiamento troppo conciliante con gli
specialisti borghesi, di scendere a compromessi con la borghesia, di avere una
mentalità piccolo-borghese, di riformismo, ecc. ecc. [Lenin tratta espressamente
di questa corrente di destra nel Partito comunista russo (bolscevico),
capeggiata da Bukharin e da Trotzki e autoproclamatasi “Comunisti di sinistra”,
negli articoli Sull’infantilismo “di sinistra” e sullo spirito piccolo-borghese
pubblicati sulla Pravda il 3, 4 e 5
maggio 1918, reperibili in Opere vol.
27, pagg. 293-322. Per Bukharin era espressione di quella scarsa assimilazione
della dialettica da cui inutilmente Lenin costantemente metteva in guardia
Bukharin. Per Trotzki si trattava di quel rivoluzionarismo senza principi ma
tinto di ortodossia marxista che contraddistinse tutta la sua attività teorica e
politica, ndr].
Il guaio di questi rivoluzionari, anche di
quelli tra essi che sono animati dalle migliori intenzioni del mondo e che si
distinguono per l’assoluta devozione alla causa del socialismo, è che non
riescono a capire lo stato particolare e particolarmente “sgradevole” attraverso
il quale deve immancabilmente passare un paese arretrato, rovinato da una guerra
reazionaria e disgraziata, un paese che ha cominciato la rivoluzione socialista
molto prima dei paesi più avanzati: non riescono a mantenere il sangue freddo
nei momenti difficili di una difficile transizione.
È invece naturale che il partito dei
“socialisti-rivoluzionari di sinistra” si contrapponga al nostro partito come
opposizione “ufficiale” di
questo
genere. Certo, ci sono e ci saranno eccezioni individuali tra gli esponenti di
un gruppo e di una classe, ma i tipi sociali restano. In un paese in cui c’è
un’enorme popolazione piccolo-borghese rispetto a quella schiettamente
proletaria, la differenza tra il rivoluzionario proletario e il rivoluzionario
piccolo-borghese si farà inevitabilmente sentire e di quando in quando anche in
modo estremamente acuto. Quest’ultimo ad ogni svolta degli avvenimenti esita e
tentenna, passa dall’ardente spirito rivoluzionario del marzo 1917 all’apoteosi
della “coalizione” [con la borghesia rappresentata dai cadetti, ndr] nel maggio
1917, all’odio contro i bolscevichi (o alla deprecazione del loro
“avventurismo”), al distacco da essi, dettato dalla paura alla fine dell’ottobre
1917, all’appoggio che hanno accordato ai bolscevichi nel dicembre 1917. Infine,
nel marzo e aprile 1918, questi tipi più che mai arricciano sprezzantemente il
naso e dicono: “io non sono di quelli che cantano inni al lavoro "organico", al
praticismo e alla gradualità”.
L’origine sociale di tipi siffatti è il piccolo proprietario reso furioso dagli orrori della guerra, dall’improvvisa rovina, dalle inaudite sofferenze arrecate dalla carestia e dallo sfacelo, che si dibatte istericamente cercando una via d’uscita e di salvezza, oscillando tra la fiducia e l’appoggio al proletariato da una parte e gli accessi di disperazione dall’altra. Bisogna capire bene e fissarsi bene in mente che su questa base sociale non si può costruire nessun socialismo. Chi può dirigere le masse lavoratrici sfruttate è solo una classe che marci senza esitazioni per la sua strada, che non si abbatta e non cada in preda alla disperazione nei punti di passaggio più difficili, duri e pericolosi. Non è di slanci isterici che abbiamo bisogno, ma dei passi misurati dei ferrei battaglioni del proletariato.
Indice degli scritti di Lenin
Altri testi sono consultabili sul sito
della
Biblioteca
marxista
www.bibliotecamarxista.org
ARTICOLI
PER LA RABOCIAIA
GAZIETA
Scritti
nella seconda metà del 1899.
Pubblicati per la prima volta
nel 1925 in
Leninski
Sbornik,
III (da
Lenin,
e,
vol.
IV)
PROTESTA
DEI SOCIALDEMOCRATICI RUSSI
Scritto fra la fine di agosto e
il principio di settembre del 1899.
Pubblicato per la prima volta
all'estero nel dicembre 1899 come estratto del Raboceie
Dielo(n 4-5).
A
PROPOSITO DELLA "PROFESSION DE FOI"
(fine 1899)
UNA TENDENZA
RETROGRADA NELLA SOCIALDEMOCRAZIA RUSSA
(fine 1899)
I compiti della gioventù
rivoluzionaria
(Articolo pubblicato in
Student,
n. 2-3 di settembre 1903)
Dobbiamo organizzare la
rivoluzione?
(Vperiod,
n. 7 - 21 (8) febbraio 1905)
Sulla convocazione del
III congresso del partito
(Vperiod,
n. 8 - 28 (15) febbraio 1905)
Sulla fusione di politica e pedagogia
(giugno 1905)
Socialismo piccolo-borghese e socialismo
proletario
(Proletari,
n. 24, 7 novembre (25 ottobre) 1905)
Una nuova ascesa
(Volnà,
n. 10. , n. 7 -
6
maggio 1906)
Dal Volume XXI delle Opere complete :
Come la polizia e i
reazionari proteggono l'unità della socialdemocrazia
tedesca
(Sotsial-Demokrat, n. 39, 3 marzo 1915.)
Il
fallimento della Seconda Internazionale
(maggio
- giugno 1915)
Sulla parola d’ordine
degli Stati Uniti d’Europa
(Sotsial-Demokrat,
n. 44, 23 agosto 1915)
Wilhelm Kolb e Gheoghi
Plekhanov
(Sotsial-Demokrat, n. 51, 29 febbraio 1916.)
A proposito dell'opuscolo di Junius
(Sbornik
Sotsial Demokrata, n.
1, ottobre 1916.)
Rapporto
sulla rivoluzione del 1905
(22 gennaio
1917 Casa del Popolo - Zurigo)
Supplemento
de La
Voce
n. 25
Scritti di Lenin a proposito della situazione
rivoluzionaria in sviluppo e i compiti dei partiti comunisti dei
paesi imperialisti
Un esempio
la Svizzera negli anni 1916-1917
Di seguito l’indice degli scritti che sono stati raccolti nel supplemento de La Voce
L’IMPERIALISMO E LA SCISSIONE DEL
SOCIALISMO
ottobre 1916 Opere vol. XXIII - pag. 103
DISCORSO AL CONGRESSO DEL PARTITO
SOCIALDEMOCRATICO SVIZZERO
4 novembre 1916 Opere vol. XXIII -
pag. 119
I COMPITI DEGLI ZIMMERWALDIANI DI
SINISTRA NEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO SVIZZERO
fine ottobre,
primi di novembre 1916 Opere vol. XXIII - pag. 134
TESI SULL’ATTEGGIAMENTO DEL
PARTITO SOCIALDEMOCRATICO SVIZZERO VERSO LA GUERRA
primi di
dicembre 1916 Opere vol. XXIII - pag. 146
POSIZIONI DI PRINCIPIO SUL
PROBLEMA DELLA GUERRA
dicembre 1916 Opere vol. XXIII - pag. 149
PER L’IMPOSTAZIONE DEL
PROBLEMA DELLA DIFESA DELLA PATRIA
dicembre 1916 Opere vol.
XXIII - pag. 159
PACIFISMO BORGHESE E PACIFISMO
SOCIALISTA
1° gennaio 1917 Opere vol. XXIII - pag. 177
LETTERA APERTA A CHARLES NAINE
MEMBRO DELLA COMMISSIONE SOCIALISTA INTERNAZIONALE DI BERNA
26-27
dicembre 1916 Opere vol. 23 - pag. 221
AGLI OPERAI CHE SOSTENGONO LA
LOTTA CONTRO LA GUERRA E CONTRO I SOCIALISTI CHE SI SONO SCHIERATI
CON I LORO GOVERNI
fine dicembre 1916, metà gennaio 1917
Opere vol. 23 - pag. 231
DODICI BREVI TESI SULLE
ARGOMENTAZIONI DI H. GREULICH A FAVORE DELLA DIFESA DELLA
PATRIA
13-17 gennaio 1917 Opere vol. XXIII - pag. 255
LA DIFESA DELLA
NEUTRALITÀ
gennaio 1917 Opere vol. XXIII - pag. 261
PALUDE IMMAGINARIA O REALE?
fine
gennaio 1917 Opere vol. XXIII - pag. 279
PROPOSTE DI EMENDAMENTI ALLA
RISOLUZIONE SULLA QUESTIONE DELLA GUERRA
27-29 gennaio 1917
Opere vol. XXIII - pag. 283
STORIA DI UN BREVE PERIODO DI
VITA DI UN PARTITO SOCIALISTA
fine febbraio 1917 Opere vol. 23 -
pag. 284
LETTERA DI COMMIATO AGLI OPERAI SVIZZERI
8 aprile 1917 Opere
vol. 23 - pag. 364
Dal Volume XXIII delle Opere complete:
Riusciranno i
bolscevichi a mantenere il potere statale?
Scritto alla fine
di settembre 1917.
Pubblicato in Prosvestcenie, nn. 1-2,
ottobre 1917
Dal Volume XXV delle Opere complete:
La catastrofe incombente e come lottare contro
di essa
(Scritto tra il 10 e il 14 settembre 1917, pubblicato
in opuscolo alla fine di ottobre del 1917)
Per la revisione del programma del Partito
(Pubblicato in Prosvestcenie, nn, 1-2, ottobre 1917 -
Firmato: N. Lenin)
I compiti immediati del potere sovietico
(Pubblicato in Pravda, n.
83 e sulle Izvestia del CEC
(Comitato Esecutivo Centrale del
Congresso dei Soviet di tutta la Russia), n. 85, marzo-aprile 1918 -
Firmato: N. Lenin)
Sull’imposta in natura - (Importanza
della nuova politica e sue condizioni)
(Opuscolo
pubblicato nel maggio del 1921)
Note di un pubblicista
(Scritto alla fine
di febbraio del 1922)