Indice degli scritti di Lenin


Lenin, Opere complete - Editori Riuniti vol. 23 pp. 237-254 - Scaricate il test in versione Open Office o Word

RAPPORTO SULLA RIVOLUZIONE DEL 1905

*[Conferenza tenuta da Lenin il 22 gennaio 1917 alla Casa del Popolo di Zurigo a una assemblea di giovani operai svizzeri, ndr]

Scritto in tedesco prima del 9 (22) gennaio 1917.

Pubblicato per la prima volta nella Pravda, 1925, n. 18.

Firmato: N. Lenin.

 

Giovani amici e compagni, ricorre oggi il dodicesimo anniversario della “domenica di sangue”, che è considerata a piena ragione come l’inizio della rivoluzione russa.

Migliaia di operai, non socialdemocratici, ma credenti e sudditi fedeli, affluivano, sotto la guida del pope Gapon, da tutti i quartieri della capitale verso il centro, verso la piazza del Palazzo d’inverno, per consegnare allo zar una petizione. Gli operai procedevano recando le sacre icone e Gapon, il loro capo, aveva già dichiarato per iscritto allo zar che si rendeva garante della sua incolumità personale e lo pregava quindi di mostrarsi al popolo.

Vennero chiamati i soldati. Gli ulani e i cosacchi caricarono la folla all’arma bianca e spararono contro gli operai inermi, che, in ginocchio, supplicavano i cosacchi di farli andare dallo zar. Secondo i rapporti di polizia si contarono più di mille morti e più di duemila feriti. L’indignazione degli operai toccò il culmine.

Questo, a grandi linee, il quadro del 22 gennaio 1905, della “domenica di sangue”.

Per chiarire meglio la portata storica di questo evento, leggerò alcuni brani della petizione degli operai. Il documento si apre con queste parole:

“Noi, operai, abitanti di Pietroburgo, siamo venuti da Te. Noi siamo schiavi miserabili e umiliati, oppressi dal dispotismo e dall’arbitrio. Quando il calice della pazienza fu colmo, cessammo di lavorare e pregammo i nostri padroni di darci quel tanto senza di cui la vita è un supplizio. Ma tutto questo ci fu rifiutato, tutto questo sembrò illegittimo agli industriali. Noi che siamo qui in molte migliaia, al pari di tutto il popolo russo, non abbiamo nessun diritto umano. Grazie ai Tuoi funzionari, siamo diventati schiavi”.

La petizione elenca le seguenti richieste: amnistia, libertà civili, salario normale, passaggio graduale della terra al popolo, convocazione di un’Assemblea costituente mediante il suffragio universale e uguale, c si conclude con queste parole:

“Signore! Non rifiutarTi di aiutare il Tuo popolo! Abbatti il muro che Ti divide dal Tuo popolo! Ordina e giura che i nostri voti saranno appagati e Tu renderai felice la Russia. Se non lo farai, siamo pronti a morire qui. Noi abbiamo due sole vie: o la libertà e la felicità o la tomba”.

Si prova, oggi una strana impressione nel leggere questa petizione di operai incolti e analfabeti, guidati da un prete patriarcale. Senza volerlo si è indotti a istituire un parallelo tra l’ingenua petizione e le risoluzioni odierne dei socialpacifisti, cioè di coloro che vogliono essere socialisti ma sono di fatto solo dei ciarlatani borghesi. Gli operai non coscienti della Russia prerivoluzionaria non sapevano che lo zar è il capo della classe dominante o, meglio, dei grandi proprietari fondiari, i quali sono già legati per mille fili con la grande borghesia e sono pronti a difendere con tutti i mezzi propri della violenza il loro monopolio, i loro privilegi e profitti. I socialpacifisti dei nostri giorni, che - senza scherzi! - vogliono passare per uomini di “grande cultura”, ignorano che è altrettanto sciocco attendersi una pace “democratica” dai governi borghesi impegnati in una guerra imperialista di rapina quanto credere che uno zar sanguinario possa essere indotto a concedere riforme democratiche per mezzo di pacifiche petizioni.

E tuttavia c’è una grande differenza: i socialpacifisti odierni sono, per la maggior parte, degli ipocriti, che cercano di distogliere il popolo dalla lotta rivoluzionaria, consigliandogli la calma; gli operai incolti della Russia prerivoluzionaria hanno invece dimostrato con le loro azioni di essere gente onesta, ridestatasi per la prima volta alla coscienza politica.

In questo risveglio delle grandi masse popolari alla coscienza politica e alla lotta rivoluzionaria sta tutto il significato storico del 22 gennaio 1905.

“Non c’è ancora in Russia un popolo rivoluzionario”, scriveva due giorni prima della “domenica di sangue” il signor Piotr Struve, che capeggiava allora i liberali russi e ne dirigeva un organo di stampa illegale, libero, pubblicato all’estero. A tal punto sembrava assurda a questo capo “coltissimo”, presuntuoso e arcistupido dei riformisti borghesi l’idea che un paese di contadini analfabeti potesse generare un popolo rivoluzionario! A tal punto era radicata nei riformisti di allora - come in quelli di oggi - la convinzione dell’impossibilità di una vera rivoluzione!

Prima del 22 gennaio (cioè prima del 9 gennaio secondo il vecchio calendario) il partito rivoluzionario era composto di un piccolo pugno di uomini che i riformisti di allora (proprio come quelli di oggi) chiamavano per derisione una “setta”. Alcune centinaia di organizzatori rivoluzionari, alcune magliaia di aderenti alle organizzazioni rivoluzionarie, una mezza dozzina di fogli rivoluzionari che non uscivano più di una volta al mese, che erano per lo più pubblicati all’estero e venivano introdotti in Russa clandestinamente, tra incredibili difficoltà e a prezzo di grandi sacrifici: tali erano prima del 22 gennaio 1905 i partiti rivoluzionari in Russia, tale era, in prima linea, la socialdemocrazia rivoluzionaria. Questo stato di cose dava in apparenza ai riformisti gretti e presuntuosi il diritto di affermare che in Russia non esisteva ancora un popolo rivoluzionario.

Eppure, nello spazio di pochi mesi, il quadro mutò radicalmente. Le poche centinaia di socialdemocratici rivoluzionari divennero “di colpo” migliaia e si posero alla testa di due o tre milioni di proletari. La lotta proletaria suscitò un grande fermento e, in parte, persino un movimento rivoluzionario in una massa di cinquanta o cento milioni di contadini; il movimento contadino ebbe una ripercussione nell’esercito e portò a rivolte di soldati e a scontri armati tra le diverse unità. Così, un immenso paese di centotrenta milioni di abitanti si immise nel processo rivoluzionario; così, la Russia sonnolenta si trasformò nella Russia del proletariato e del popolo rivoluzionario.

È indispensabile studiare questa trasformazione, comprenderne la possibilità e, per così dire, i metodi e le vie.

Lo sciopero di massa fu lo strumento principale della trasformazione. L’originalità della rivoluzione russa è da ricercare nel fatto che essa fu democratica borghese per il suo contenuto sociale, ma proletaria per i suoi mezzi di lotta. Fu democratica borghese perché tendeva immediatamente, e poteva pervenire subito con le proprie forze, alla repubblica democratica, alla giornata lavorativa di otto ore, alla confisca delle grandi proprietà fondiarie della nobiltà, cioè alle misure realizzate quasi per intero in Francia dalla rivoluzione borghese nel 1792 e nel 1793.

La rivoluzione russa fu nello stesso tempo una rivoluzione proletaria, non solo perché il proletariato fu la forza dirigente, l’avanguardia del movimento, ma anche perché un mezzo di lotta specificamente proletario, come lo sciopero, fu lo strumento principale per scuotere le masse e l’aspetto più caratteristico dell’ondata travolgente dei fatti decisivi.

Nella storia mondiale la rivoluzione russa è la prima - ma non sarà certamente l’ultima - grande rivoluzione in cui lo sciopero politico di massa abbia assolto una funzione eccezionalmente grande. Si può anzi affermare che non è possibile comprendere le vicende della rivoluzione russa e la successione delle sue forme politiche, se non se ne ricercano le basi nella statistica degli scioperi.

So benissimo quanto l’aridità delle statistiche sia poco adatta per una conferenza e possa intimorire l’uditorio. E tuttavia sono costretto a citare alcune cifre approssimative, perché possiate valutare il fondamento reale oggettivo di tutto il movimento. Nei dieci anni che precedettero la rivoluzione il numero medio annuo degli scioperanti fu in Russia di 43.000. Cioè in tutto il decennio vi furono complessivamente 430.000 scioperanti. In gennaio del 1905, nel primo mese della rivoluzione, il numero degli scioperanti fu di 440.000. Cioè in un solo mese più che in tutto il decennio precedente!

In nessun paese del mondo capitalista, neanche nei paesi più progrediti, come l’Inghilterra, gli Stati Uniti d’America, la Germania, si è mai visto sinora un movimento di scioperi così grandioso come quello sviluppatosi in Russia nel 1905. Il numero complessivo degli scioperanti fu, in quell’anno, pari a 2.800.000, pari cioè al doppio del numero complessivo degli operai industriali! Naturalmente, questo non significa che nelle città russe gli operai di fabbrica fossero più istruiti o più forti o più preparati alla lotta dei loro fratelli dell’Europa occidentale. È anzi vero il contrario.

Questo mostra però quanto possa essere grande l’energia che sonnecchia nel proletariato. E attesta che in un periodo rivoluzionario - lo dico senza alcuna esagerazione ma in base ai dati concreti della storia russa - il proletariato può dispiegare un’energia di lotta cento volte maggiore che in un normale periodo di quiete. Ne deriva che prima del 1905 l’umanità non sapeva ancora quanto grande possa essere, e sarà, la tensione delle forze del proletariato, quando si tratti di battersi per obiettivi realmente grandi e in modo veramente rivoluzionario.

La storia della rivoluzione russa dimostra che proprio l’avanguardia, la parte migliore degli operai salariati ha combattuto con maggiore tenacia e abnegazione. Quanto più grandi erano le fabbriche, tanto più ostinati e frequenti erano gli scioperi nel corso dello stesso anno. Quanto più grande era la città, tanto più importante era la funzione del proletariato nella lotta. Tre grandi città, Pietroburgo, Riga e Varsavia, dove gli operai erano più numerosi e coscienti, hanno dato, rispetto al complesso degli operai, un numero di scioperanti incomparabilmente più alto di tutte le altre città, per non parlare delle campagne.

I metallurgici sono in Russia - come probabilmente negli altri paesi capitalisti - la parte più avanzata del proletariato. Si nota qui un fatto molto istruttivo: nel 1905, su 100 operai di fabbrica si ebbero in Russia 160 scioperanti. Ma su 100 metallurgici se ne ebbero 320! Secondo i calcoli fatti, in Russia ogni operaio di fabbrica ha perduto in media nel 1905, in seguito agli scioperi, 10 rubli (circa 26 franchi al corso d’anteguerra), sacrificandoli, per così dire, alla lotta. Ma, se consideriamo i soli metallurgici, la somma è tre volte maggiore! Gli elementi migliori della classe operaia marciavano alla testa, trascinando con sé gli esitanti, risvegliando i dormienti, incoraggiando i deboli.

L’intreccio degli scioperi politici con quelli economici fu assolutamente originale durante la rivoluzione. Non c’è dubbio che solo lo strettissimo legame fra queste due forme di sciopero garantì grande vigore al movimento. La vasta massa degli sfruttati non sarebbe stata trascinata nel movimento rivoluzionario, se non avesse avuto quotidianamente di fronte a sé l’esempio di operai salariati dei diversi rami dell’industria che strappavano ai capitalisti miglioramenti diretti e immediati delle loro condizioni. Grazie a questa lotta uno spirito nuovo animò tutta la massa del popolo russo. Per la prima volta, la Russia servile, pigra, patriarcale, devota, sottomessa si liberò dell’antico Adamo; per la prima volta, il popolo russo ricevette un’educazione veramente democratica e rivoluzionaria.

Quando i signori borghesi e i loro ottusi tirapiedi - i socialisti riformisti - parlano con tanta sufficienza di “educazione” delle masse, intendono riferirsi di solito a qualcosa di scolastico, di pedante, che demoralizza le masse, inculcando loro i pregiudizi borghesi.

La vera educazione delle masse non può mai essere separata da una lotta politica indipendente e, soprattutto, dalla lotta rivoluzionaria delle masse stesse. Soltanto la lotta educa la classe sfruttata; soltanto la lotta le fa scoprire l’entità della sua forza, allarga i suoi orizzonti, accresce le sue capacità, illumina la sua intelligenza e tempra la sua volontà. Ecco perché gli stessi reazionari sono costretti a riconoscere che il 1905, l’anno della lotta aperta, l’“anno folle”, ha seppellito definitivamente la Russia patriarcale.

Esaminiamo più da vicino il rapporto fra i metallurgici e i tessili in Russia, durante gli scioperi del 1905. I metallurgici sono gli operai meglio pagati, più coscienti e più istruiti. I tessili, che erano due volte e mezzo più numerosi dei metallurgici nel 1905, sono la parte più arretrata e peggio pagata, una massa che spesso non ha ancora tagliato del tutto i suoi legami con la campagna. E qui notiamo un’importantissima circostanza.

Fra i metallurgici, in tutto il 1905, gli scioperi politici prevalgono su quelli economici, sebbene, all’inizio, tale prevalenza non sia ancora grande come alla fine dell’anno. Al contrario, vediamo che all’inizio del 1905 gli scioperi economici hanno, fra i tessili, una forte prevalenza e che solo verso la fine dell’anno prevalgono gli scioperi politici. È dunque perfettamente chiaro che soltanto la lotta economica, soltanto la lotta per i miglioramenti economici immediati riesce a scuotere gli strati più arretrati della massa sfruttata, a dar loro una reale educazione e - in un periodo rivoluzionario - a trasformarli nel giro di qualche mese in un esercito di combattenti politici.

Naturalmente, a tale scopo era necessario che l’avanguardia della classe operaia non concepisse la lotta di classe come lotta per gli interessi di un esiguo strato superiore della classe, secondo ciò che i riformisti hanno consigliato molto spesso agli operai, ma che il proletariato intervenisse effettivamente come avanguardia della maggioranza degli sfruttati, trascinando questa maggioranza nella lotta, com’è avvenuto in Russia nel 1905 e come deve avvenire, e indubbiamente avverrà, nella futura rivoluzione proletaria in Europa.

L’inizio del 1905 è segnato dalla prima grande ondata di scioperi in tutto il paese. Già nella primavera assistiamo in Russia al risveglio del primo grande movimento contadino, non solo sul piano economico, ma anche su quello politico. Per comprendere tutta la portata di questa svolta storica, bisogna ricordare che i contadini russi si sono liberati dal più duro servaggio soltanto nel 1861, che sono in maggioranza analfabeti e vivono in una miseria indescrivibile, oppressi dai grandi proprietari fondiari, abbrutiti dai preti e isolati l’uno dall’altro dalle enormi distanze e dalla mancanza quasi completa di strade.

Nel 1825 la Russia aveva conosciuto per la prima volta un movimento rivoluzionario diretto contro lo zarismo e rappresentato quasi esclusivamente dai nobili. Da quel momento fino al 1881, quando Alessandro II fu ucciso dai terroristi, gli intellettuali del ceto medio furono alla testa del movimento. Essi diedero prova del più grande spirito di sacrificio, e il loro metodo terroristico di lotta meravigliò il mondo intero. Indubbiamente, le vittime di questa lotta non sono cadute invano; indubbiamente, esse contribuirono - in maniera diretta o indiretta - all’ulteriore educazione rivoluzionaria del popolo russo, ma non raggiunsero, e naturalmente non potevano raggiungere, il loro scopo immediato, l’esplosione di una rivoluzione popolare.

Soltanto la lotta rivoluzionaria del proletariato vi riuscì. Soltanto gli scioperi di massa, che si estesero a tutta la Russia in rapporto ai terribili insegnamenti della guerra imperialista russo-giapponese, trassero dal letargo le grandi masse contadine. La parola “scioperante” assunse per i contadini un significato completamente nuovo: essa designava una specie di ribelle, di rivoluzionario, ciò che prima si esprimeva con la parola “studente”. Ma, poiché lo “studente” apparteneva al ceto medio, alla categoria di coloro “che studiano” e dei “signori”, egli era estraneo al popolo. Al contrario, lo “scioperante” proveniva lui stesso dal popolo, apparteneva lui stesso al numero degli sfruttati. Espulso da Pietroburgo, molto spesso ritornava al villaggio, dove parlava ai suoi compaesani dell’incendio che divampava nelle città, minacciando di annientare sia i capitalisti che i nobili. Nel villaggio russo sorse un nuovo tipo: il giovane contadino cosciente. Egli era in contatto con gli “scioperanti”, leggeva i giornali, raccontava ai contadini gli avvenimenti delle città, spiegava ai suoi compagni il significato delle rivendicazioni politiche, li stimolava a lottare contro la grande nobiltà fondiaria, contro i preti e i funzionari.

I contadini costituivano dei gruppi, esaminavano la loro situazione e, a poco a poco, entravano nella lotta; marciavano in folla contro i grandi proprietari fondiari; ne incendiavano i palazzi e le tenute; ne sequestravano le provviste, s’impadronivano del grano e d’altri viveri; uccidevano i poliziotti ed esigevano che gli enormi possedimenti dei nobili fossero dati al popolo.

Nella primavera del 1905 il movimento contadino era appena all’inizio e abbracciava soltanto la minoranza, circa un settimo, dei distretti.

Ma la fusione dello sciopero proletario di massa nelle città con il movimento contadino nelle campagne fu sufficiente per scuotere il più “saldo” e ultimo sostegno dello zarismo. Voglio dire l’esercito.

Incominciano le rivolte militari nella marina e nell’esercito. Ogni nuova ondata di scioperi e di moti contadini nel corso della rivoluzione è accompagnata da ammutinamenti in tutte le zone della Russia. Il più celebre è quello della corazzata Principe Potiomkin, della flotta del mar Nero, che, caduta nelle mani degli insorti, prese parte alla rivoluzione a Odessa, e, dopo la disfatta della rivoluzione e gli infruttuosi tentativi di occupare altri porti (per esempio, Feodosia in Crimea), si arrese alle autorità romene a Costanza.

Permettetemi di soffermarmi più a lungo su un piccolo episodio dell’insurrezione della flotta del mar Nero, per darvi un quadro concreto degli avvenimenti nel loro punto culminante.

Si organizzarono assemblee di operai rivoluzionari e di marinai, che diventarono sempre più frequenti. Poiché non si permetteva ai militari di frequentare i comizi degli operai, questi ultimi cominciarono a frequentare in massa i comizi militari. Operai e soldati si riunivano a migliaia. L’idea dell’azione comune fu accolta con entusiasmo. Nei reparti più coscienti si elessero dei delegati.

Il comando militare decise allora di prendere dei provvedimenti. I tentativi di singoli ufficiali di pronunciare discorsi “patriottici” nei comizi diedero risultati assai penosi: i marinai, abituati alla discussione, costrinsero i loro superiori a una fuga ignominiosa. A causa di questi insuccessi, si decise di proibire, in generale, tutti i comizi. La mattina del 24 novembre 1905, dinanzi all’ingresso della caserma della marina, fu schierata una compagnia in assetto di guerra. Il contrammiraglio Pisarevski diede ad alta voce il seguente ordine: “Nessuno esca dalla caserma! In caso d’insubordinazione, sparate!”. Dalle file uscì allora il marinaio Petrov, che caricò davanti a tutti il suo fucile: con un primo colpo uccise il tenente Stein del reggimento di Bielostok e poi, con un secondo colpo; ferì il contrammiraglio Pisarevski. Un ufficiale comandò: “Arrestatelo!”. Nessuno si mosse. Petrov gettò a terra il fucile: “Che fate? Prendetemi, dunque!”. Fu arrestato. I marinai, che accorrevano da tutte le parti, chiesero imperiosamente il suo rilascio, dichiarandosi garanti per lui. Il fermento era al colmo.

- Petrov, domandò un ufficiale, per trovare una via d’uscita, è vero che il colpo è partito casualmente?

- Come, per caso!? Mi sono fatto avanti, ho caricato il fucile e ho mirato: tutto questo è stato un caso?

- Vogliono il tuo rilascio...

Petrov fu rilasciato. Ma i marinai non si accontentarono di questo; tutti gli ufficiali di servizio furono arrestati, disarmati, rinchiusi in un ufficio della caserma... I delegati dei marinai, circa quaranta, discussero tutta la notte. Decisero di liberare gli ufficiali e di non farli più entrare in caserma...

Quest’episodio mostra chiaramente come si siano svolti i fatti nella maggior parte delle rivolte militari. Il fermento rivoluzionario del popolo non poteva non guadagnare anche l’esercito. È caratteristico che alla testa del movimento rivoluzionario nell’esercito e nella flotta si trovassero proprio gli elementi che provenivano dalle file degli operai industriali e per i quali si richiedeva una buona preparazione tecnica, come i genieri, per esempio. Ma le grandi masse erano ancora troppo ingenue, troppo pacifiche, troppo indulgenti, con una mentalità troppo cristiana. Esse s’infiammavano abbastanza facilmente: un’ingiustizia, l’atto brutale di un ufficiale, la cattiva alimentazione, ecc., ecc. potevano provocare un ammutinamento. Mancava però la tenacia, la chiara consapevolezza dei propri compiti, non si comprendeva sufficientemente che solo la più energica continuazione della lotta armata, solo la vittoria sulle autorità militari e civili, solo il rovesciamento del governo e la conquista del potere in tutto il paese potevano garantire il successo della rivoluzione.

Le grandi masse dei marinai e dei soldati iniziavano con facilità una rivolta, ma con la stessa facilità commettevano l’ingenua sciocchezza di rilasciare gli ufficiali arrestati; si lasciavano convincere dalle promesse e dalle esortazioni dei superiori, che guadagnavano così un tempo prezioso, ricevevano rinforzi, dividevano le forze degli insorti, dopo di che reprimevano ferocemente il movimento e ne mandavano a morte i capi.

Particolare interesse presenta il confronto tra le rivolte militari del 1905 e quella dei decabristi del 1825. La direzione del movimento politico era allora quasi esclusivamente nelle mani degli ufficiali, e soprattutto dei nobili, che avevano subìto l’influenza delle idee democratiche dell’Europa durante le guerre napoleoniche. La massa dei soldati, composta ancora di servi della gleba, era passiva.

La storia del 1905 ci offre un quadro completamente diverso. Salvo qualche eccezione, lo stato d’animo degli ufficiali è liberale borghese, riformistico, o nettamente controrivoluzionario. Gli operai e i contadini in uniforme sono l’anima dell’insurrezione. Il movimento divenuto popolare e, per la prima volta nella storia russa, abbraccia la maggioranza degli sfruttati. Manca però a questo movimento, da un lato, la tenacia, la risolutezza di masse ancora troppo affette dal morbo della credulità; manca, dall’altro, l’organizzazione degli operai socialdemocratici rivoluzionari in uniforme, che non sono ancora capaci di prendere la direzione del movimento nelle loro mani, di mettersi alla testa dell’esercito rivoluzionario e di passare all’offensiva contro il potere governativo.

Notiamo in proposito che questi due difetti saranno eliminati, forse più lentamente di quanto vorremmo, ma con certezza, non soltanto dallo sviluppo generale del capitalismo, ma anche dalla guerra in corso...

In ogni caso, la storia della rivoluzione russa, come quella della Comune di Parigi del 1871, ci offre un insegnamento inconfutabile: il militarismo non può in nessun caso essere vinto e annientato, se non con la lotta vittoriosa di una parte dell’esercito contro l’altra. Non basta tuonare contro il militarismo, maledirlo, “condannarlo”, criticarlo e mostrarne la dannosità; è stolto rifiutarsi pacificamente di servire nell’esercito; bisogna invece tener desta la coscienza rivoluzionaria del proletariato, e non solo genericamente, ma anche preparando concretamente i suoi migliori elementi a mettersi alla testa dell’esercito rivoluzionario nel momento in cui il fermento fra il popolo ha raggiunto la massima profondità.

L’esperienza quotidiana di qualsiasi Stato capitalista ci offre lo stesso insegnamento. Ogni “piccola” crisi di uno di questi Stati ci offre in miniatura gli elementi e i tratti delle battaglie che nei periodi di grande crisi si riproducono inevitabilmente su più larga scala. Forse che, per esempio, uno sciopero qualsiasi non è una piccola crisi della società capitalista? Forse che non aveva ragione von Puttkamer, ministro prussiano degli affari interni, quando pronunciò il detto memorabile: “In ogni sciopero si annida l’idea della rivoluzione”? Forse che l’intervento dei soldati negli scioperi in tutti i paesi capitalisti e perfino, se è lecito esprimersi così, nei paesi più pacifici e più “democratici” non ci dimostra come andranno le cose nelle crisi veramente gravi?

Ma ritorno alla storia della rivoluzione russa.

Ho tentato di mostrarvi in che modo gli scioperi degli operai scossero tutto il paese e i più vasti strati arretrati degli sfruttati, come cominciò il movimento contadino e come fu accompagnato dalle rivolte militari.

Nell’autunno del 1905 tutto il movimento raggiunse il punto culminante. Il 19 agosto un manifesto dello zar annunciava l’istituzione di una rappresentanza popolare. La cosiddetta Duma di Bulyghin doveva essere creata sulla base di una legge elettorale che concedeva il diritto di voto a un numero irrisorio di elettori e attribuiva a questo originale “parlamento” dei diritti puramente consultivi e nessun diritto legislativo.

La borghesia, i liberali, gli opportunisti erano pronti ad accogliere a braccia aperte questo “dono” dello zar impaurito. Come tutti i riformisti, i nostri riformisti del 1905 non seppero capire che vi sono situazioni storiche in cui le riforme, e soprattutto le promesse di riforme, perseguono esclusivamente lo scopo di placare il fermento popolare e d’indurre la classe rivoluzionaria a cessare o per lo meno ad attenuare la lotta.

La socialdemocrazia rivoluzionaria di Russia comprese molto bene il reale carattere della concessione di una Costituzione fantomatica nell’agosto del 1905. E, senza esitare un istante, lanciò le parole d’ordine: “Abbasso la Duma consultiva! Boicottare la Duma! Abbasso il governo dello zar! Continuare la lotta rivoluzionaria per abbattere questo governo! Non lo zar, ma il governo rivoluzionario provvisorio deve convocare la prima e genuina rappresentanza popolare in Russia!”.

La storia ha dimostrato che i socialdemocratici rivoluzionari avevano perfettamente ragione, poiché la Duma di Bulyghin non fu mai convocata. L’uragano rivoluzionario la spazzò via prima che fosse convocata e costrinse lo zar a promulgare una nuova legge elettorale, ad aumentare sensibilmente il numero degli elettori e a riconoscere alla Duma carattere legislativo.

L’ottobre e il dicembre 1905 segnarono il punto culminante della linea ascendente della rivoluzione russa. Tutte le sorgenti dell’energia rivoluzionaria del popolo divennero più copiose. Il numero degli scioperanti, che, come ho già detto, nel gennaio del 1905 era di 440.000, nell’ottobre superò il mezzo milione (nel corso di un solo mese!). A questa cifra, che abbraccia soltanto gli operai di fabbrica, bisogna aggiungere alcune centinaia di migliaia di operai delle ferrovie, di postelegrafonici, ecc.

Lo sciopero generale dei ferrovieri arrestò tutto il traffico ferroviario e paralizzò nel modo più efficace la forza del governo. Le università furono aperte, e le aule dove, in tempi normali, di calma, si pensa esclusivamente a instillare nei giovani la saggezza professorale e cattedratica, facendone i docili servi della borghesia e dello zarismo, servirono come luoghi di riunione a migliaia e migliaia di operai, di artigiani e di impiegati, che vennero a discutervi liberamente e apertamente i problemi politici.

La libertà di stampa fu conquistata. La censura fu soppressa in un modo assai semplice. Nessun editore osava più presentare alle autorità le copie d’obbligo, e le autorità non osavano reagire. Per la prima volta nella storia della Russia, a Pietroburgo e in altre città, i giornali rivoluzionari uscirono liberamente. Nella sola Pietroburgo apparvero tre quotidiani socialdemocratici con una tiratura di 50.000-100.000 copie.

Il proletariato era alla testa del movimento. Esso si propose di conquistare per via rivoluzionaria la giornata lavorativa di otto ore. La parola d’ordine del proletariato di Pietroburgo era allora: “Giornata di otto ore e armi!”. Per una massa sempre più vasta di operai divenne evidente che soltanto la lotta armata può decidere e decide le sorti della rivoluzione.

Nel fuoco della lotta si costituì un’originale organizzazione di massa: i celebri soviet dei deputati operai, assemblee di delegati di tutte le fabbriche. In alcune città della Russia, questi soviet dei deputati operai andarono sempre più assumendo la funzione di un governo rivoluzionario provvisorio, la funzione di organi e dirigenti dell’insurrezione. Si tentò anche di organizzare i soviet di deputati dei soldati e marinai e di unirli ai soviet dei deputati operai.

In quei giorni diverse città russe diventarono piccole “repubbliche” locali, in cui le autorità governative erano state destituite e il soviet dei deputati operai funzionava effettivamente come un nuovo potere statale. Purtroppo, questo periodo fu troppo breve, e le “vittorie” troppo deboli e sporadiche.

Il movimento contadino raggiunse nell’autunno del 1905 proporzioni ancora maggiori. I cosiddetti “disordini contadini” e le vere insurrezioni contadine abbracciarono più di un terzo di tutti i distretti del paese. I contadini incendiarono più di duemila tenute signorili e si divisero i beni rubati al popolo dai predoni della nobiltà.

Ma quest’azione rimase, purtroppo, alla superficie! I contadini distrussero solo il quindici per cento delle tenute signorili, cioè solo un settimo di ciò che avrebbero dovuto distruggere per sradicare definitivamente dalla terra russa l’ignominia della grande proprietà fondiaria feudale. Purtroppo, i contadini agirono in ordine sparso, erano troppo disorganizzati, la loro offensiva fu troppo debole, e questa è una delle cause principali della sconfitta della rivoluzione.

Fra i popoli oppressi della Russia divampò il movimento di liberazione nazionale. In Russia, più della metà, quasi i tre quinti (esattamente il 57 per cento), di tutta la popolazione subisce l’oppressione nazionale: questi popoli non hanno nemmeno la libertà di parlare la loro lingua materna e sono russificati con la violenza. I musulmani, per esempio, che sono in Russia decine di milioni, organizzarono allora con rapidità sorprendente - era il periodo del prodigioso sviluppo delle più diverse organizzazioni - una lega musulmana.

Per dare ai presenti e, soprattutto, ai giovani un’idea dell’impetuoso sviluppo assunto dal movimento di emancipazione nazionale in rapporto al movimento operaio, citerò un piccolo episodio.

Nel dicembre 1905 gli studenti polacchi, dopo aver bruciato in centinaia di scuole tutti i libri russi, i quadri e i ritratti dello zar, picchiarono e cacciarono gli insegnanti e persino i propri compagni russi al grido di: “Andatevene in Russia!”. Le rivendicazioni degli studenti medi polacchi erano, fra le altre, le seguenti: “1) Tutte le scuole medie devono essere subordinate al soviet dei deputati operai; 2) riunioni comuni di studenti e di operai saranno convocate nelle scuole; 3) gli studenti devono essere autorizzati a indossare la camicia rossa in segno di adesione alla futura repubblica proletaria”, ecc.

Quanto più le ondate del movimento salivano, tanto più la reazione si armava con energia e risolutezza per la lotta contro la rivoluzione. La rivoluzione russa del 1905 ha confermato ciò che Kautsky scriveva nel 1902 nella Rivoluzione sociale (devo dire, in proposito, che egli era ancora, a quei tempi., un marxista rivoluzionario e non, come oggi, un difensore dei socialpatrioti e degli opportunisti). Egli scriveva:

“...La futura rivoluzione... somiglierà meno a un sollevamento repentino contro il governo che a una lunga guerra civile.

Così è stato! E così sarà, senza dubbio, nell’imminente rivoluzione europea!

L’odio dello zarismo si rivolse in particolar modo contro gli ebrei. Da una parte, gli ebrei davano un’alta percentuale di dirigenti (in rapporto al numero totale della popolazione ebraica) al movimento rivoluzionario. Notiamo a questo proposito che, ancora oggi, gli ebrei hanno il merito di dare, in confronto alle altre nazionalità, una percentuale più elevata di internazionalisti. Dall’altra parte, lo zarismo seppe sfruttare molto abilmente i più infami pregiudizi antisemiti degli strati più arretrati della popolazione, per organizzare, se non per dirigere direttamente, i pogrom, questi mostruosi massacri di pacifici ebrei, delle loro mogli e dei loro bambini, che hanno suscitato tanta indignazione in tutto il mondo civile: in quel periodo, in cento città vi furono più di 4.000 morti e più di 10.000 mutilati. Parlo, naturalmente, dell’indignazione degli elementi realmente democratici del mondo civile, che sono esclusivamente gli operai socialisti, i proletari.

La borghesia, anche quella dei paesi più liberi, delle repubbliche dell’Europa occidentale, sa unire fin troppo bene le frasi ipocrite sulle “atrocità russe” con i più scandalosi affari finanziari e soprattutto con l’appoggio finanziario allo zarismo e con lo sfruttamento imperialista della Russia mediante l’esportazione di capitali, ecc.

L’insurrezione di dicembre a Mosca segnò il culmine della rivoluzione del 1905. Un piccolo gruppo di insorti, di operai armati e organizzati, - non più di ottomila, - resistette per nove giorni al governo zarista, che non solo non poté fidarsi della guarnigione di Mosca, ma dovette tenerla rinchiusa nelle caserme e riuscì a soffocare l’insurrezione solo per l’arrivo del reggimento Semionovski, richiamato da Pietroburgo.

Alla borghesia piace deridere l’insurrezione di Mosca e definirla un movimento artificiale. Il prof. Max Weber, per esempio, in un ampio lavoro sullo sviluppo politico della Russia - che fa parte delle cosiddette pubblicazioni “scientifiche” tedesche - ha definito “putsch” l’insurrezione di Mosca. “Il gruppo leninista - scrive questo "dottissimo" professore - e una parte dei socialisti-rivoluzionari preparavano già da molto tempo quest’assurda insurrezione.”

Per apprezzare nel suo giusto valore tanta saggezza professorale di una borghesia pusillanime, basta rammentare le aride cifre della statistica degli scioperi. Nel gennaio del 1905 vi erano 13.000 scioperanti in lotta per rivendicazioni puramente politiche, nell’ottobre ve ne erano 330.000 e nel dicembre si raggiunse un massimo di 370.000 in un solo mese! Si ricordino i successi della rivoluzione, le insurrezioni dei contadini e le rivolte dei soldati, e si vedrà subito che il giudizio della “scienza borghese” sull’insurrezione di Mosca non è soltanto assurdo, ma è anche un sotterfugio verbale dei rappresentanti della pusillanime borghesia, che vede nel proletariato il suo più pericoloso nemico di classe.

In effetti, tutto lo sviluppo della rivoluzione russa portava inevitabilmente alla lotta armata decisiva fra il governo zarista e l’avari guardia del proletariato cosciente.

Ho già indicato nella mia esposizione in che cosa consistevano le debolezze della rivoluzione russa, debolezze che ne hanno provocato la temporanea sconfitta.

Dopo la repressione dell’insurrezione di dicembre ha inizio la parabola discendente della rivoluzione. In questo periodo vi sono momenti di estremo interesse, e varrebbe la pena di ricordare i due tentativi compiuti dagli elementi più combattivi della classe operaia per porre fine alla ritirata della rivoluzione e preparare una nuova offensiva.

Ma il tempo concessomi è quasi trascorso e non voglio abusare della pazienza dei miei ascoltatori. Credo, del resto, di aver già esposto - nella misura in cui un tema così ampio può essere svolto in una breve conferenza - ciò che è essenziale per la comprensione della rivoluzione: il suo carattere di classe, le sue forze motrici, i suoi metodi di lotta.

Mi resta ora da aggiungere alcune osservazioni sommarie sull’importanza mondiale della rivoluzione russa.

Sul piano storico, economico e geografico, la Russia fa parte, ad un tempo, dell’Europa e dell’Asia. Perciò vediamo che la rivoluzione russa non è soltanto riuscita a trarre definitivamente dal suo torpore il paese più grande e arretrato d’Europa e a creare un popolo rivoluzionario diretto dal proletariato rivoluzionario.

Essa non è riuscita soltanto a questo. La rivoluzione russa ha suscitato un movimento in tutta l’Asia. Le rivoluzioni in Turchia, in Persia e in Cina dimostrano che la potente insurrezione del 1905 ha lasciato tracce profonde e che le sue conseguenze sul progresso di centinaia e centinaia di milioni di uomini sono incancellabili.

Indirettamente la rivoluzione russa ha influito anche sui paesi dell’Occidente. Non dimentichiamo che il 30 ottobre 1905, quando giunse a Vienna il telegramma annunciante il manifesto costituzionale dello zar, questa notizia ebbe una parte determinante nella vittoria definitiva del suffragio universale in Austria.

Il congresso della socialdemocrazia austriaca era riunito, e il compagno Ellenbogen - che non era ancora un socialpatriota ma un compagno - teneva un rapporto sullo sciopero politico, quando quel telegramma fu deposto sul tavolo, davanti a lui. La discussione cessò immediatamente. “Il nostro posto è nella strada!”, gridarono i delegati della socialdemocrazia austriaca. E nei giorni successivi si ebbero grandi manifestazioni di strada a Vienna e le barricate a Praga. La vittoria del suffragio universale in Austria era ormai raggiunta.

Molto spesso in Europa occidentale si ragiona sulla rivoluzione russa come se le vicende, i rapporti e i metodi di lotta di questo paese arretrato non avessero quasi niente di analogo ai rapporti esistenti nell’Europa occidentale e non potessero perciò avere nessun significato pratico.

Niente è più sbagliato di una tale opinione.

Senza dubbio, le forme e i moventi delle future lotte nella futura rivoluzione europea differiranno per diversi aspetti da quelli della rivoluzione russa.

Ma la rivoluzione russa rimane tuttavia, e proprio per il suo carattere proletario, nel particolare significato che ho già indicato, il prologo dell’imminente rivoluzione europea. È indubbio che questa futura rivoluzione potrà essere soltanto proletaria, nel senso più profondo della parola, cioè proletaria, socialista anche per il suo contenuto. Questa rivoluzione dimostrerà in una misura ancora più grande, da un lato, che soltanto le lotte accanite, cioè le guerre civili, potranno liberare l’umanità dal giogo del capitale e, dall’altro lato, che soltanto i proletari con una coscienza di classe evoluta potranno agire e agiranno come capi della stragrande maggioranza degli sfruttati.

Il silenzio di tomba che regna oggi in Europa non deve trarci in inganno. L’Europa è gravida di rivoluzione. Gli orrori indescrivibili della guerra imperialista, i tormenti del carovita creano dappertutto uno stato d’animo rivoluzionario; e le classi dominanti, la borghesia, e i loro commessi, i governi, si inoltrano sempre più in un vicolo cieco dal quale non potranno uscire senza grandissimi sconvolgimenti.

Come nel 1905 il popolo di Russia, diretto dal proletariato, è insorto contro il governo dello zar, per conquistare una repubblica democratica, così nei prossimi anni, in seguito a questa guerra di rapina, i popoli d’Europa insorgeranno, diretti dal proletariato, contro il potere del capitale finanziario, contro le grandi banche, contro i capitalisti, e questi rivolgimenti potranno finire soltanto con l’espropriazione della borghesia e la vittoria del socialismo.

Noi vecchi [Lenin nel 17 aveva 47 anni e morì all'inizio del 1924, ndr] non vedremo forse le battaglie decisive dell’imminente rivoluzione. Penso però di poter esprimere la fondata speranza che i giovani, i quali militano così egregiamente nel movimento socialista della Svizzera e di tutto il mondo, avranno la fortuna non soltanto di realizzare la futura rivoluzione proletaria, ma anche di condurla alla vittoria.