Capitolo 3
Menscevichi e
bolscevichi durante la guerra russo-giapponese e la prima
rivoluzione russa
1. La guerra russo-giapponese. L'ulteriore ascesa del
movimento rivoluzionario in Russia. Gli scioperi di Pietroburgo. Dimostrazione
degli operai dinanzi al Palazzo d'Inverno, il 9 gennaio 1905. Massacro dei
manifestanti. Inizio della rivoluzione.
(...)
2. Scioperi politici e dimostrazioni operaie. Sviluppo
del movimento rivoluzionario contadino. Rivolta sulla corazzata Potiomkin.
(...)
3. Le divergenze tattiche tra bolscevichi e
menscevichi. Il III congresso del partito. Il libro di Lenin
Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica. I
principi tattici del partito marxista.
Salvo indicazione diversa, tutte le citazioni di Lenin
sono tratte da Lenin, Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione
democratica, reperibile in Opere
Complete vol. 9.
La rivoluzione aveva messo in moto tutte le classi
sociali.
La svolta provocata dalla rivoluzione nella vita
politica del paese le aveva smosse dalle loro vecchie posizioni tradizionali e
le aveva spinte a raggrupparsi secondo la nuova situazione. Ogni classe, ogni
partito si sforzava di stabilire la propria tattica, la linea di condotta, i
rapporti con le altre classi, col governo. Perfino il governo dello zar fu
costretto ad adottare una tattica nuova ben lontana dalle sue abitudini,
promettendo di convocare un organo rappresentativo, la Duma di Bulyghin.
Anche il partito socialdemocratico doveva elaborare la
propria tattica. Lo imponeva l'ascesa sempre più vigorosa della rivoluzione. Lo
imponevano le questioni pratiche che si ponevano con urgenza di fronte al
proletariato: organizzazione dell'insurrezione armata, rovesciamento del governo
zarista, formazione di un governo rivoluzionario provvisorio, partecipazione
della socialdemocrazia a questo governo, atteggiamento da assumere verso i
contadini, verso la borghesia liberale, ecc. Era indispensabile elaborare una
tattica socialdemocratica marxista, unica, frutto di mature riflessioni.
Ma l’opportunismo e l'azione scissionista
dei menscevichi fecero sì che la socialdemocrazia della Russia si trovasse, in
quel periodo, divisa in due frazioni. Senza dubbio la scissione non si poteva
ancora considerare come completa. Le due frazioni infatti non erano ancora
ufficialmente due partiti distinti, ma in realtà ne avevano quasi
tutte le caratteristiche, possedendo ognuna il proprio centro direttivo e i
propri giornali.
II fatto che alle loro vecchie divergenze con la
maggioranza del partito sui problemi di organizzazione i menscevichi
avevano aggiunto nuove divergenze sulle questioni tattiche, approfondiva
la scissione.
Dalla mancanza di un partito unico derivava la mancanza
di una tattica unica.
Si sarebbe potuto trovare una via d'uscita da questa
situazione se si fosse convocato d'urgenza il III Congresso ordinario del
partito, se si fosse stabilita al congresso una tattica unica e costretta la
minoranza ad applicare onestamente le decisioni del congresso e a sottomettersi
alle decisioni della maggioranza. Appunto una tale via d'uscita proposero i
bolscevichi ai menscevichi. Ma costoro non volevano sentir parlare di III
Congresso. Cosicché, ritenendo che sarebbe stato delittuoso lasciare più a lungo
il partito senza una tattica approvata e obbligatoria per tutti i suoi iscritti,
i bolscevichi decisero di prendere l'iniziativa della convocazione del III
Congresso.
Al III Congresso vennero convocate tutte le
organizzazioni del partito, bolsceviche e mensceviche. Ma i menscevichi
rifiutarono di parteciparvi e decisero di convocare un loro congresso al quale,
dato il piccolo numero dei delegati, dettero il nome di conferenza, mentre di
fatto era un congresso, il congresso del partito menscevico, le cui decisioni
erano considerate obbligatorie per tutti i menscevichi.
Nell'aprile del 1905 si riunì a Londra il III Congresso
del Partito Socialdemocratico di Russia, a cui parteciparono 24 delegati di 20
comitati bolscevichi. Tutte le organizzazioni importanti del partito vi erano
rappresentate.
Il congresso, dopo aver condannato i menscevichi come
“una parte dissidente del partito”, passò all'esame dei problemi posti
all'ordine del giorno allo scopo di stabilire la tattica del partito.
Contemporaneamente al Congresso di Londra, a Ginevra si
svolgeva la conferenza dei menscevichi. “Due congressi, due partiti”, così Lenin
aveva definito la situazione.
Tanto il congresso che la conferenza discussero, in
sostanza, le stesse questioni tattiche, ma le decisioni prese furono
assolutamente opposte. Le due serie di risoluzioni, approvate dal congresso e
dalla conferenza, rivelarono quanto profonde fossero le divergenze tattiche fra
il III Congresso del partito e 1a conferenza dei menscevichi, fra bolscevichi e
menscevichi.
Ecco i punti essenziali di queste divergenze.
Linea tattica
del III Congresso del partito.
Il congresso diceva: nonostante il carattere
democratico-borghese della rivoluzione in corso e sebbene essa non possa, in
questo momento, uscire dal quadro di ciò che è possibile sotto il capitalismo,
alla sua vittoria totale è interessato innanzi tutto il proletariato, poiché la
vittoria di questa rivoluzione deve dare al proletariato la possibilità di
organizzarsi, di elevarsi politicamente, di acquistare l'esperienza e la pratica
della direzione politica delle masse lavoratrici e di passare dalla rivoluzione
borghese alla rivoluzione socialista.
La tattica del . proletariato, che mira alla piena
vittoria del-la rivoluzione democratico-borghese, può essere appoggiata solo dai
contadini, giacché questi non possono né vincere i proprietari fondiari né
impadronirsi delle loro terre senza la vittoria completa della rivoluzione.
Quindi i contadini sono gli alleati naturali del proletariato.
La borghesia liberale non è interessata alla vittoria
completa di questa rivoluzione, dato che essa ha bisogno del potere zarista per
servirsene come di uno staffile contro gli operai e i contadini, che essa teme
più di ogni altra cosa. La borghesia liberale si sforzerà quindi di conservare
il potere dello zar, limitandone un po' le prerogative. La borghesia liberale si
sforzerà di risolvere il problema mediante un'intesa con lo zar,
sulla base di una monarchia costituzionale.
La rivoluzione vincerà solo se il proletariato si
metterà alla sua testa; se il proletariato, come capo della rivoluzione, saprà
assicurarsi l'alleanza con i contadini; se la borghesia liberale sarà isolata;
se la socialdemocrazia parteciperà attivamente all'organizzazione
dell'insurrezione popolare contro lo zarismo; se sarà creato, in seguito alla
vittoria dell'insurrezione, un governo rivoluzionario provvisorio, capace di
sradicare la controrivoluzione e di riunire l'Assemblea costituente di tutto il
popolo; se la socialdemocrazia non si rifiuterà, se le condizioni lo
permetteranno, di partecipare ai governo rivoluzionario provvisorio per condurre
fino in fondo la rivoluzione.
Linea tattica
della conferenza menscevica.
Siccome si tratta di una rivoluzione borghese, solo la
borghesia liberale può esserne il capo. Il proletariato non deve avvicinarsi ai
contadini, ma alla borghesia liberale. Ciò che importa soprattutto è che il
proletariato non spaventi la borghesia liberale col suo spirito rivoluzionario e
che non le dia un pretesto per distaccarsi dalla rivoluzione, perché, in tal
caso, la rivoluzione s'indebolirà.
È possibile che l'insurrezione sia vittoriosa, ma la
socialdemocrazia, dopo la vittoria dell'insurrezione, deve mettersi
in disparte per non spaventare la borghesia liberale. È possibile che, in
seguito all'insurrezione, sia creato un governo rivoluzionario
provvisorio, ma la socialdemocrazia non dovrà parteciparvi in nessun caso, dato
che tale governo non avrà un carattere socialista e che, soprattutto, con la sua
partecipazione e con il suo `spirito rivoluzionario, la
socialdemocrazia potrebbe spaventare la borghesia liberale e compromettere in
tal modo la rivoluzione.
Dal punto di vista delle prospettive della rivoluzione,
sarebbe preferibile che fosse convocato qualche organo rappresentativo come uno
Zemski Sobor o una
Duma di Stato, sul quale la classe operaia potrebbe premere dal di fuori, per
trasformarlo in un'Assemblea costituente o per spingerlo a convocare questa
Assemblea.
Il proletariato ha i suoi interessi particolari,
prettamente operai e dovrebbe occuparsi precisamente di questi interessi e non
aspirare a divenire il capo della rivoluzione borghese, che è una rivoluzione
politica generale e riguarda, quindi, tutte le classi e non il solo
proletariato.
Queste, in breve, le due tattiche delle due frazioni
del Partito Operaio Socialdemocratico di Russia.
La critica classica della tattica dei menscevichi e la
dimostrazione geniale della giustezza della tattica bolscevica sono
esposte da Lenin nel suo storico libro Due tattiche della socialdemocrazia
nella rivoluzione democratica.
Questo libro fu pubblicato nel luglio 1905, ossia due
mesi dopo il III Congresso del partito. Dal titolo del libro si potrebbe pensare
che Lenin vi esamini solo le questioni tattiche che si riferiscono al periodo
della rivoluzione democratico-borghese e abbia in vista soltanto i menscevichi
russi. Ma in realtà, criticando la tattica dei menscevichi, egli denuncia al
tempo stesso la tattica dell'opportunismo internazionale. Gettando le basi della
tattica dei marxisti nel periodo della rivoluzione borghese e distinguendo la
rivoluzione borghese dalla rivoluzione socialista, egli formula in pari tempo i
principi della tattica marxista nel periodo di transizione dalla rivoluzione
borghese alla rivoluzione socialista.
Ecco i principi tattici fondamentali sviluppati da
Lenin nella sua opera Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione
democratica.
1. Il principio tattico essenziale che ispira tutto il
libro dì Lenin risiede nell'idea che il proletariato può e deve essere il
capo della rivoluzione democratico-borghese, il dirigente della.
rivoluzione democratico-borghese in Russia.
Lenin riconosceva il carattere borghese di quella
rivoluzione, dato che essa, come egli scriveva, “non era capace di uscire
direttamente dal quadro di una rivoluzione semplicemente democratica”. Egli
considerava però che non si trattava di una rivoluzione dei soli strati
superiori, ma di una rivoluzione popolare, che metteva in moto tutto il popolo,
tutta la classe operaia, tutti i contadini. Perciò i tentativi dei menscevichi
di diminuire l'importanza per il proletariato della rivoluzione borghese, di
abbassare la funzione del proletariato nella rivoluzione stessa e di tenerlo in
disparte, erano considerati da Lenin come un tradimento degli interessi del
proletariato.
“Il marxismo - scriveva Lenin - insegna al proletariato
non ad appartarsi dalla rivoluzione borghese, a mostrarsi indifferente nei suoi
riguardi, ad abbandonarne la direzione alla borghesia, ma, al contrario, a
parteciparvi nel modo più energico, lottare nel modo più risoluto per il
democratismo proletario conseguente, per condurre a termine la rivoluzione”.
“Non dobbiamo dimenticare - scriveva più avanti Lenin - che oggi per
rendere il socialismo più prossimo non v'è e non può esservi altro mezzo che la
completa libertà politica, la repubblica democratica”.
Lenin prevedeva due possibili soluzioni della
rivoluzione:
1. o la vittoria decisiva sullo zarismo, l'abbattimento
dello zarismo e l'instaurazione della repubblica democratica;
2. o, se le forze non bastassero, una conciliazione
dello zar con la borghesia a spese del popolo, a mezzo di una costituzione
mutilata o, piuttosto, di una caricatura di costituzione.
Il proletariato era interessato alla soluzione
migliore, ossia alla vittoria definitiva sullo zarismo. Ma essa era possibile
solo se il proletariato sapeva diventare il capo, il dirigente della
rivoluzione.
“Avrà - scriveva Lenin - la classe operaia la funzione
di un ausiliario della borghesia, potente per la forza dei suo assalto contro
l'autocrazia ma impotente politicamente, oppure avrà la funzione di egemone
nella rivoluzione popolare? Da ciò dipende l'esito della rivoluzione”.
Lenin considerava che il proletariato aveva tutte le
possibilità di sfuggire alla sorte di ausiliario della borghesia e di
diventare il dirigente della rivoluzione democratico-borghese. Queste
possibilità, secondo Lenin, erano le seguenti:
- In primo luogo, “il proletariato, essendo, per la sua
collocazione nella società, la classe più avanzata e l'unica classe
rivoluzionaria conseguente, è per ciò stesso chiamato ad avere una funzione
dirigente nel movimento generale democratico rivoluzionario in Russia”.
- In secondo luogo, il proletariato ha il suo partito
politico, indipendente dalla borghesia, partito che gli dà la possibilità di
raggrupparsi “in una forza politica unica e indipendente”.
- In terzo luogo, il proletariato è più interessato
della borghesia alla vittoria completa della rivoluzione; perciò “la rivoluzione
borghese, è, in un certo senso, più
vantaggiosa per il proletariato che per la borghesia”.
“Per la borghesia è utile - scriveva Lenin -
appoggiarsi su alcuni residui del passato, contro il proletariato, ad esempio
sulla monarchia, sull'esercito permanente, ecc. Per la borghesia è utile che la
rivoluzione borghese non spazzi via troppo risolutamente tutti i residui del
passato, ma ne lasci sussistere qualcuno; in altre parole, che la rivoluzione
non sia completamente conseguente e compiuta, non sia risoluta e implacabile...
Per la borghesia è più utile che le trasformazioni necessarie nel senso della
democrazia borghese si compiano lentamente, gradualmente; prudentemente, poco
risolutamente, mediante riforme e non con una rivoluzione... che queste
trasformazioni contribuiscano il meno possibile a sviluppare l'azione
rivoluzionaria, l'iniziativa e l'energia della plebe, ossia dei contadini e
soprattutto degli operai. Perché, altrimenti, sarebbe tanto più facile per gli
operai “passare il fucile da una spalla all'altra”, come dicono i francesi,
ossia rivolgere contro la borghesia stessa le armi che la rivoluzione borghese
fornirebbe loro, la libertà che essa darebbe, le istituzioni democratiche sorte
sul terreno sbarazzato dal servaggio. Per la classe operaia, al contrario, è più
utile che le trasformazioni necessarie nel senso della democrazia borghese si
realizzino precisamente mediante la rivoluzione e non con le riforme, perché la
via delle riforme è la via degli indugi, delle tergiversazioni, della morte
lenta e dolorosa delle parti incancrenite dell'organismo nazionale. Di questa
cancrena, il proletariato e i contadini soffrono per primi e più di tutti. La
via della rivoluzione è la via dell'operazione chirurgica più rapida, meno
dolorosa per il proletariato, quella che consiste nell'amputare risolutamente le
parti cancrenose, la via del minimo di concessioni e di riguardi verso la
monarchia e le sue istituzioni infami, abiette e cancrenose, il cui fetore
appesta l'atmosfera”.
“Ecco perché - continuava Lenin - il proletariato lotta
in prima fila per la repubblica respingendo con disprezzo il consiglio, sciocco
e indegno di lui, di tenere nel dovuto conto la possibile defezione della
borghesia”
Perché le possibilità di una direzione
proletaria della rivoluzione si trasformino in realtà, perché il
proletariato diventi realmente il capo, il dirigente della rivoluzione
borghese, sono necessarie, secondo Lenin, almeno due condizioni.
È necessario, in primo luogo, che il proletariato abbia
un alleato interessato alla vittoria decisiva sullo zarismo e propenso ad
accettare la direzione proletaria. Ciò era richiesto dal concetto stesso di
direzione, perché il dirigente cessa di esser un dirigente se non ha nessuno da
dirigere, il capo cessa di essere un capo se non ha nessuno da guidare. I
contadini erano, secondo Lenin, questo alleato.
È necessario, in secondo luogo, che la classe che
contende al proletariato la direzione della rivoluzione e vuol esserne l'unico
dirigente, sia scartata dalla direzione e isolata. Ciò era richiesto anche dal
concetto stesso di direzione, che esclude la possibilità di due dirigenti nella
rivoluzione. Questa classe era, secondo Lenin, la borghesia liberale.
“Solo il proletariato - scriveva Lenin - può combattere
in modo conseguente per la democrazia. Ma potrà vincere in questo combattimento
soltanto se le masse contadine si uniranno alla sua lotta rivoluzionaria”.
E più avanti:
“Tra i contadini vi è una massa di elementi
semiproletari, accanto agli elementi piccolo-borghesi. Ciò rende anche loro
instabili, obbligando il proletariato a raggrupparsi in un partito rigorosamente
classista. Ma l’instabilità dei contadini differisce in modo radicale
dall'instabilità della borghesia, perché nel momento attuale i
contadini sono interessati non tanto alla conservazione assoluta della proprietà
privata, quanto alla confisca delle terre dei proprietari fondiari, una delle
forme principali di questa proprietà. Senza diventare con ciò socialisti, senza
cessare di essere piccolo-borghesi, i contadini possono diventare partigiani
decisi, e tra i più radicali, della rivoluzione democratica. Essi lo
diventeranno inevitabilmente, purché il corso degli avvenimenti rivoluzionari
che li sta educando non sia interrotto troppo presto dal tradimento della
borghesia e dalla disfatta del proletariato. A questa condizione, i contadini
diventeranno certamente il baluardo della rivoluzione e della repubblica, perché
solo una rivoluzione completamente vittoriosa potrà dar loro tutto nel
campo delle riforme agrarie, tutto ciò che essi desiderano, che sognano,
che è loro vera-mente indispensabile”.
Analizzando le obiezioni dei menscevichi i quali
pretendevano che questa tattica dei bolscevichi “avrebbe obbligato le classi
borghesi ad allontanarsi dalla rivoluzione e ne avrebbe quindi ristretto
l'ampiezza” e definendole coane “una tattica di tradimento della rivoluzione”,
come una “tattica che trasforma il proletariato in una miserevole appendice
delle classi borghesi”, Lenin scriveva:
“Chi comprende veramente la funzione dei contadini
nella rivoluzione russa vittoriosa, non dirà mai che l'ampiezza della
rivoluzione diminuirà quando la borghesia se ne sarà allontanata. Poiché il vero
slancio della rivoluzione russa comincerà veramente, raggiungerà veramente la
massima ampiezza rivoluzionaria possibile nell'epoca della
rivoluzione democratica borghese, solo quando la borghesia se ne sarà
allontanata e quando i contadini, a fianco del proletariato, vi assumeranno una
funzione rivoluzionaria attiva. Per essere condotta a termine in modo
conseguente la nostra rivoluzione democratica deve appoggiarsi su forze capaci
di paralizzare l'inevitabile inconseguenza della borghesia, ossia capaci
precisamente di “obbligarla ad allontanarsi””.
Questo è il principio tattico fondamentale riguardante
il proletariato come capo della rivoluzione borghese, il principio tattico
essenziale sull'egemonia (funzione dirigente) del proletariato nella rivoluzione
borghese, principio sviluppato da Lenin nel suo libro Due tattiche della
socialdemocrazia nella rivoluzione democratica.
Questa era la nuova posizione del partito marxista sui
problemi della tattica durante la rivoluzione democratico-borghese, posizione
fondamentalmente distinta dalle concezioni tattiche preesistenti nell'arsenale
marxista. Fino a quel tempo le cose si erano presentate così: nelle rivoluzioni
borghesi, per esempio in Occidente, la direzione era esercitata dalla borghesia,
mentre il proletariato, volente o nolente, era l'ausiliario e i contadini la
riserva della borghesia. I marxisti consideravano più o meno inevitabile una
tale situazione; con la riserva, però, che il proletariato doveva difendere il
più possibile le proprie rivendicazioni immediate di classe e possedere un
proprio partito politico. Ma ora, nella nuova situazione storica, le cose,
secondo la concezione di Lenin, si presentavano così: il proletariato diveniva
la forza dirigente della rivoluzione borghese, la borghesia era sempre più
scartata dalla direzione della rivoluzione, mentre i contadini si trasformavano
in una riserva del proletariato.
L'affermazione che Plekhanov “era anche lui” per
l’egemonia del proletariato è basata su di un malinteso. Plekhanov civettava con
l'idea dell'egemonia del proletariato e non era contrario a riconoscerla a
parole: ciò è vero; ma in realtà era contro la sostanza di questa idea.
L'egemonia del proletariato è la funzione dirigente del proletariato nella
rivoluzione borghese, quando il proletariato conduce una politica di alleanza
con i contadini e una politica di isolamento della borghesia
liberale. Invece Plekhanov era, com'è noto, contro la politica di
isolamento della borghesia liberale, per la politica di intese con
essa, contro la politica di alleanza del proletariato con i contadini. In
realtà, la posizione tattica di Plekhanov era una posizione menscevica di
negazione dell'egemonia del proletariato.
2. Il mezzo essenziale per rovesciare lo zarismo e per
arrivare alla repubblica democratica, Lenin lo scorgeva nella vittoria
dell'insurrezione armata del popolo. All'opposto dei menscevichi, Lenin
considera che “il movimento rivoluzionario democratico generale ha già
condotto alla necessità di
un'insurrezione armata”, che “l'organizzazione del proletariato per
l’insurrezione” è già “messa all'ordine del giorno come uno dei compiti
principali, essenziali e necessari
per il partito”, che è necessario “prendere i provvedimenti più
energici per armare il proletariato e per assicurare la possibilità della
direzione immediata dell'insurrezione”.
Per condurre le masse all'insurrezione e fare in modo
che l'insurrezione fosse opera di tutto il popolo, Lenin riteneva necessario
lanciare parole d'ordine, appelli capaci di sprigionare l'iniziativa
rivoluzionaria delle masse, di organizzarle per l'insurrezione e di
disorganizzare l'apparato del potere zarista. Tali parole d'ordine erano,
secondo Lenin, le risoluzioni tattiche del III Congresso del partito, alla cui
difesa era consacrato il suo libro Due tattiche della socialdemocrazia nella
rivoluzione democratica.
Secondo Lenin, quelle parole d'ordine erano:
1. attuare degli “scioperi politici di massa che
possono avere una grande importanza all'inizio e nel corso stesso della
insurrezione”;
2. procedere all’“applicazione immediata, per via
rivoluzionaria, della giornata lavorativa di 8 ore e di altre rivendicazioni
urgenti della classe operaia”;
3. procedere all'“organizzazione immediata di comitati
contadini rivoluzionari per l'applicazione”, con metodi rivoluzionari,,
“di tutte le trasformazioni democratiche”, fino e compresa la confisca delle
terre dei grandi proprietari fondiari;
4. armare gli operai.
E qui sono soprattutto importanti due elementi:
In primo luogo: la tattica dell'applicazione
rivoluzionaria della giornata lavorativa di 8 ore nelle città e delle
trasformazioni democratiche nelle campagne, ossia di un'applicazione che non
tenga conto delle autorità, non tenga conto della legge, ignori sia i poteri
costituiti sia la legalità, spezzi le leggi esistenti e stabilisca un nuovo
ordine di cose, di propria iniziativa come fatto compiuto. Nuovo sistema
tattico, la cui applicazione paralizzò l'apparato del potere zarista e diede
libero corso all'attività e all'iniziativa creatrice delle masse. È
sulla base di questa tattica che sorsero i comitati rivoluzionari di sciopero
nelle città e i comitati rivoluzionari contadini nelle campagne: i primi
divennero in seguito i Soviet dei deputati operai e i secondi i Soviet dei
deputati contadini.
In secondo luogo: l'applicazione degli scioperi
politici di massa, degli scioperi politici generali che ebbero poi, nel
corso della rivoluzione, una funzione di prim'ordine per la mobilitazione
rivoluzionaria delle masse. Arma nuova, molto importante nelle mani del
proletariato, sconosciuta sino ad allora nella pratica dei partiti marxisti e
che acquistò in seguito diritto di cittadinanza.
Lenin riteneva che, dopo la vittoria dell'insurrezione
popolare, il governo dello zar doveva essere sostituito da un governo
rivoluzionario provvisorio, che avrebbe dovuto consolidare le conquiste della
rivoluzione, schiacciare la resistenza della controrivoluzione e applicare il
programma minimo del Partito Operaio Socialdemocratico di Russia. Lenin riteneva
che, senza adempiere a questi compiti, non era possibile la vittoria decisiva
sullo zarismo. E per adempiere a questi compiti e riportare una vittoria
completa e definitiva sullo zarismo, il governo rivoluzionario provvisorio non
doveva essere un governo ordinario, ma un governo della dittatura delle classi
vittoriose, degli operai e dei contadini; doveva essere la dittatura
rivoluzionaria del proletariato e dei contadini. Richiamandosi alla notissima
tesi di Marx, che “ogni organizzazione provvisoria dello Stato, dopo la
rivoluzione, esige la dittatura, e una dittatura energica”, Lenin concludeva che
il governo rivoluzionario provvisorio, se voleva assicurare la vittoria
definitiva sullo zarismo, non poteva essere che la dittatura del proletariato e
dei contadini.
“La vittoria decisiva della rivoluzione sullo zarismo -
scriveva Lenin - è 1a dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e
dei contadini... Questa
vittoria sarà precisamente una dittatura, ossia dovrà necessariamente poggiare
sulla forza armata, sull'armamento delle masse, sull’insurrezione e non su
queste o quelle istituzioni costituite per “vie legali”, 'pacifiche.
Non può essere che una dittatura perché, alla realizzazione delle trasformazioni
assolutamente e immediatamente necessarie al proletariato e ai contadini, i
proprietari fondiari, la grande borghesia e lo zarismo opporranno una resistenza
disperata. Senza la dittatura sarebbe impossibile spezzare questa resistenza,
respingere gli attacchi della controrivoluzione. Non sarà però evidentemente una
dittatura socialista, ma una dittatura democratica. Essa non potrà intaccare
(senza che la rivoluzione abbia percorso varie tappe intermedie) le basi del
capitalismo. Essa potrà, nel migliore dei casi, procedere a una redistribuzione
radicale della proprietà fondiaria a vantaggio dei contadini, applicare a fondo
un democratismo conseguente fino alla proclamazione della repubblica, sradicare,
non soltanto dalla vita delle campagne ma anche da quella delle fabbriche, tutte
le sopravvivenze del dispotismo asiatico, cominciare a migliorare seriamente le
condizioni degli operai, ad elevare il loro tenore di vita, e infine - ultimo ma
non meno importante - estendere l'incendio rivoluzionario all'Europa. Questa
vittoria non farà ancora affatto della nostra rivoluzione borghese una
rivoluzione socialista; la rivoluzione democratica non uscirà direttamente dal
quadro dei rapporti sociali ed economici borghesi. Ma nondimeno questa vittoria
avrà un'importanza immensa per lo sviluppo futuro della Russia e del mondo
intero. Nulla rafforzerà maggiormente l'energia rivoluzionaria del proletariato
mondiale, nulla accorcerà tanto il suo cammino verso la sua vittoria compieta
quanto questa vittoria decisiva della rivoluzione cominciata in Russia”.
Circa l'atteggiamento della socialdemocrazia verso il
governo rivoluzionario provvisorio e l'ammissibilità per essa di parteciparvi,
Lenin difendeva in pieno 1a risoluzione del III Congresso del partito su questa
questione:
“A seconda del rapporto di forze e di altri fattori,
che è impossibile determinare anticipatamente con precisione, è ammissibile la
partecipazione dei rappresentanti del nostro, partito al governo
rivoluzionario provvisorio, per una lotta implacabile contro tutti i tentativi
controrivoluzionari e la difesa degli interessi specifici della classe operaia.
Le condizioni necessarie per questa partecipazione sono: un severo controllo del
partito sui suoi rappresentanti e la salvaguardia continua dell'indipendenza
della socialdemocrazia che aspira a una completa rivoluzione socialista e perciò
appunto è irriducibilmente ostile a tutti i partiti borghesi; indipendentemente
dalla possibilità o meno di una partecipazione della socialdemocrazia a un
governo rivoluzionario provvisorio, occorre propagandare tra gli strati più
vasti del proletariato l'idea della necessità di una pressione costante da parte
del proletariato armato e diretto dalla socialdemocrazia sul governo
provvisorio, per salvaguardare, consolidare ed estendere le conquiste della
rivoluzione”.
I menscevichi obiettavano che il governo provvisorio
sarebbe stato, ad ogni modo, un governo borghese, che non si sarebbe potuto
ammettervi la partecipazione dei socialdemocratici per non ricadere nell'errore
del socialista francese Millerand che aveva partecipato al governo borghese in
Francia. Ma Lenin replicava dimostrando che i menscevichi confondevano due cose
diverse, e rivelavano in
pieno la loro incapacità ad affrontare da marxisti la questione: in Francia, si
trattava della partecipazione dei socialisti a un governo borghese
reazionario, in un periodo in cui, nel paese, la situazione non era
rivoluzionaria, il che imponeva ai socialisti di non parteciparvi; in Russia si
tratta invece della partecipazione dei socialisti a un governo borghese
rivoluzionario, che lotta per la vittoria della rivoluzione, nella
fase culminante della rivoluzione
- circostanza che rende ammissibile e, in condizioni favorevoli,
obbligatoria la partecipazione dei socialdemocratici a tale governo, per
battere la controrivoluzione non solo “dal basso”, dal di fuori, ma anche
“dall'alto”, dal seno del governo.
3. Sebbene lottasse per la vittoria della rivoluzione
borghese e l'avvento della repubblica democratica, Lenin non pensava affatto di
fermarsi alla tappa democratica e di limitare lo slancio del movimento
rivoluzionario al raggiungimento degli obiettivi democratici borghesi. Anzi,
Lenin pensava che, una volta raggiunti gli obiettivi democratici, doveva
cominciare 1a lotta del proletariato e delle altre masse sfruttate per la
rivoluzione socialista. Di
ciò Lenin aveva chiara consapevolezza e riteneva necessario che la
socialdemocrazia prendesse tutti i provvedimenti utili perché la rivoluzione
democratico-borghese cominciasse a trasformarsi in rivoluzione
socialista. La dittatura del proletariato e dei contadini era necessaria,
secondo Lenin, non per terminare la rivoluzione dopo la vittoria sullo
zarismo, ma per prolungare il
più possibile lo stato di rivoluzione, per ridurre in polvere i
rottami della controrivoluzione, per estendere all'Europa la fiamma della
rivoluzione e - dopo aver dato nel frattempo al proletariato la possibilità di
istruirsi politicamente e di organizzarsi in un grande esercito - cominciare a
passare direttamente alla rivoluzione socialista.
A proposito dell'ampiezza della rivoluzione borghese e
del carattere che il partito marxista doveva dare a questa ampiezza, Lenin
scriveva:
“Il proletariato deve condurre a termine la rivoluzione
democratica legando a sé la massa dei contadini, per schiacciare con la forza la
resistenza dell'autocrazia e paralizzare l'instabilità
della borghesia. Il proletariato deve fare la rivoluzione socialista legando a
sé la massa degli elementi semiproletari della popolazione, per spezzare con la
forza la resistenza della borghesia e paralizzare l'instabilità dei contadini e
della piccola borghesia. Tali sono i compiti del proletariato, compiti che i
seguaci della nuova Iskra (cioè i menscevichi) presentano in modo così
ristretto in tutti i loro ragionamenti e risoluzioni sull'ampiezza della
rivoluzione”.
O ancora:
“Alla testa di tutto il popolo, e soprattutto dei
contadini, per la libertà completa, per una rivoluzione democratica conseguente,
per la repubblica! Alla testa di tutti i lavoratori e di tutti gli sfruttati,
per il socialismo! Tale deve essere praticamente la politica del proletariato
rivoluzionario, tale è la parola d'ordine di classe che deve dominare e
determinare la soluzione di ogni problema tattico, di ogni azione pratica del
partito operaio durante la rivoluzione”.
Per dissipare qualsiasi dubbio Lenin, due mesi dopo la
pubblicazione del suo libro Due tattiche, nel suo articolo
L'atteggiamento della socialdemocrazia verso i1 movimento contadino diede
ancora le spiegazioni seguenti:
“Dalla rivoluzione democratica cominceremo subito,
nella misura delle nostre forze, delle forze del proletariato cosciente e
organizzato, a passare alla rivoluzione socialista. Noi siamo per la rivoluzione
ininterrotta. Non ci arresteremo a mezza strada”.
Era una nuova concezione dei rapporti tra
la rivoluzione borghese e
quella socialista, una nuova teoria del raggruppamento delle forze intorno al
proletariato, verso la fine della rivoluzione borghese, per passare direttamente
alla rivoluzione socialista - la teoria della trasformazione della
rivoluzione democratico-borghese in rivoluzione socialista.
Stabilendo questa nuova concezione Lenin si basava, in
primo luogo, sulla celebre tesi a proposito della rivoluzione ininterrotta,
formulata da Marx nel marzo 1850 nell'
Indirizzo alla Lega dei comunisti e, in secondo luogo, sull'altra
idea nota di Marx, circa la “necessità di combinare il movimento rivoluzionario
contadino con la rivoluzione proletaria, idea che egli espresse in una lettera
ad Engels del 1856: “Tutto in Germania
dipenderà dalla possibilità di appoggiare la rivoluzione proletaria con una
specie di seconda edizione della guerra dei contadini”. Ma questi geniali
pensieri di Marx non furono ulteriormente sviluppati nelle opere di Marx ed
Engels e i teorici della II Internazionale fecero di tutto per seppellirli e
farli dimenticare. Fu a Lenin che spettò il compito di riportare alla luce
quelle tesi dimenticate di Marx e di ristabilirle integralmente. Però,
ristabilendole, Lenin non si limitò - né poteva del resto limitarsi - a
ripeterle semplicemente, ma le sviluppò ulteriormente e le trasformò in una
teoria organica della rivoluzione socialista, introducendo un nuovo fattore,
come fattore obbligatorio per la rivoluzione socialista - l'alleanza
del proletariato con gli elementi semiproletari delle città e delle campagne
come una condizione per la vittoria della rivoluzione proletaria.
Questa concezione frantumava le posizioni tattiche
della socialdemocrazia dell'Europa occidentale, la quale sosteneva che, dopo la
rivoluzione borghese, le masse contadine, comprese quelle dei contadini poveri,
dovevano immancabilmente allontanarsi dalla rivoluzione e alla rivoluzione
borghese doveva perciò subentrare un lungo periodo di tregua, un lungo
periodo di “calma” di 50-100 anni, se non più, durante il quale il proletariato
sarebbe stato “pacificamente” sfruttato mentre la borghesia si sarebbe
arricchita “legittimamente” fino a che non fosse scoccata l'ora di una nuova
rivoluzione, la rivoluzione socialista.
Questa concezione di Lenin era la nuova teoria della
rivoluzione socialista, realizzata non dal proletariato isolato contro
tutta la borghesia, ma dal proletariato egemone che ha per alleati
gli elementi semiproletari della popolazione, ossia innumerevoli “masse di
lavoratori e di sfruttati”.
Secondo questa teoria, l'egemonia del proletariato
nella rivoluzione borghese - il proletariato avendo i contadini come alleati
- doveva trasformarsi in egemonia del proletariato nella rivoluzione
socialista - il proletariato avendo le altre masse di lavoratori e di sfruttati
come alleati - e la
dittatura democratica del proletariato e dei contadini doveva preparare
il terreno per la dittatura socialista del proletariato.
Questa teoria demoliva quella in auge tra i
socialdemocratici dell'Europa occidentale, i quali negavano le possibilità
rivoluzionarie delle masse semiproletarie urbane e rurali e muovevano da questa
idea: “Oltre la borghesia e il proletariato, noi non vediamo altre forze sociali
sulle quali possano appoggiarsi, nel nostro paese, le combinazioni d'opposizione
o rivoluzionarie” (dichiarazione di Plekhanov, tipica dei socialdemocratici
dell'Europa occidentale).
I socialdemocratici dell'Europa occidentale ritenevano
che, nella rivoluzione socialista, il proletariato sarebbe stato solo
contro tutta la borghesia, senza alleati, contro tutte le
classi e gli strati non proletari. Essi non volevano tener conto del fatto che
il capitale sfrutta non soltanto i proletari, ma anche le masse innumerevoli
degli strati semiproletari urbani e rurali, oppressi dal capitalismo e che
possono essere gli alleati del proletariato nella lotta che questi sostiene per
la liberazione della società dal giogo capitalistico. I socialdemocratici
dell'Europa occidentale ritenevano perciò che le condizioni per la rivoluzione
socialista in Europa non fossero ancora maturate, e lo sarebbero divenute solo
allorché il proletariato fosse divenuto la maggioranza della nazione, la
maggioranza della società, conseguentemente all'ulteriore sviluppo economico
della società.
Questa concezione putrida e antiproletaria dei
socialdemocratici dell'Europa occidentale era decisamente demolita dalla teoria
della rivoluzione socialista formulata da Lenin.
La teoria di Lenin non conteneva ancora la diretta
conclusione che 1a vittoria del socialismo in un solo paese preso separatamente
era possibile. Ma conteneva già tutti, o quasi, gli elementi essenziali
necessari per giungere presto o tardi a questa conclusione.
Com'è noto, a tale conclusione Lenin giunse nel 1915,
ossia dieci anni dopo.
Sono questi i tre principi tattici essenziali
sviluppati da Lenin nel suo libro magistrale Le due tattiche della
socialdemocrazia nella rivoluzione democratica.
L'importanza storica di quest'opera di Lenin
consiste innanzitutto nel fatto che con essa demolì ideologicamente la
concezione tattica piccolo-borghese dei menscevichi; che con essa armò la classe
operaia di Russia per lo sviluppo ulteriore della :rivoluzione
democratico-borghese, per un nuovo assalto allo zarismo; che con essa prospettò
chiaramente ai socialdemocratici russi la necessità di trasformare la
rivoluzione borghese in rivoluzione socialista.
Ma l'importanza del libro di Lenin non si limita solo a
ciò. Il suo valore è inestimabile per aver arricchito il marxismo di una nuova
teoria della rivoluzione, per aver gettato le fondamenta della tattica
rivoluzionaria del partito bolscevico, di quella tattica che ha portato il
proletariato del nostro paese alla vittoria, nel 1917, sul capitalismo.
4. Prosegue l'ascesa della rivoluzione. Lo sciopero
politico generale nell'ottobre 1905. Lo zarismo batte in ritirata. Il manifesto
dello zar. La formazione dei soviet dei deputati operai.
(...)
5. Insurrezione armata di dicembre: sconfitta
dell'insurrezione. La rivoluzione in declino. La I Duma di Stato. Il IV
congresso (congresso di unificazione) del partito.
(...)
6. Scioglimento della I Duma di Stato. Convocazione
della II Duma di Stato. Il V Congresso del partito. Scioglimento della II Duma.
Cause della sconfitta della prima rivoluzione russa.
(...)
Conclusioni riassuntive.
(...)