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Cosa ci distingue dalla sinistra borghese
Avviso ai naviganti n. 2 - 9.11.2011

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Avviso ai naviganti 1

29.09.2011

(versione pdf dell'avviso ai naviganti)

Il metodo delle leve e la sinistra borghese

 

Di seguito allego l’articolo di Alberto Burgio e Claudio Grassi (entrambi PRC) Invadere il campo per liberare la sinistra (il manifesto 29.09.2011, pag. 15), utile per capire meglio il metodo delle leve, ai comunisti decisi a “invadere il campo per” far fare alla sinistra borghese (personaggi e gruppi) quello che deve fare per costituire il GBP.

La seconda parte dell’articolo (che ho diviso con asterischi dalla prima) illustra il contesto da cui nasce il ns metodo delle leve e in cui il partito comunista che lo conosce lo usa efficacemente a tre condizioni:

1. se ha delle idee (concezione del mondo che lo guida, linee e metodi di lavoro) giuste: giuste vuol dire conformi alle leggi della trasformazione di cui la società attuale è gravida e quindi alla trasformazione che le masse popolari hanno bisogno di compiere per superare la contraddizione in cui si dibattono e che le lacera;

2. se usa il metodo delle leve non per dialogare e confondersi con i partiti del centro sinistra (esponenti della sinistra borghese, frammenti della sinistra borghese, sindacalisti, sinistra della società civile, PD, ecc.) e tanto meno per mettersi al loro seguito e servizio, ma per far fare ad essi (gruppi e personaggi) quello che stante la loro attuale posizione sociale possono fare per creare le condizioni della costituzione e costituire il GBP, anche se non ci pensano proprio e non hanno intenzione di farlo;

3. se cerca costantemente e con intransigenza quali sono le idee giuste, in cosa nel particolare si traduce il generale, in cosa consiste l’applicare nel concreto il particolare e non pensa a unire indifferentemente idee giuste e sbagliate, idee “mes e mes””, sano buon senso, senso comune, impressioni e apparenze, ecc..

Queste tre condizioni A. Burgio e C. Grassi non le conoscono né le riconoscono. Anzi espressamente le rifiutano, essendo (al modo proprio della sinistra borghese: cioè con l’aspirazione e l’illusione di fare cose diverse da quelle che hanno fatto e fanno) rinchiusi nell’orizzonte della società borghese e non concependo altro ruolo che ritornare o arrivare a far parte del suo teatrino politico con autorevolezza e in posizione di comando (politicismo). Il loro rifiuto delle tre condizioni sopra indicate lo esprimono chiaramente rispettivamente nei passaggi dell’articolo che ho contraddistinto con [1], [2], [3].

Nella prima parte del loro articolo A. Burgio e C. Grassi espongono la loro bilancio del passato prossimo e la loro concezione della lotta politica in corso. Anche questo è istruttivo per capire la natura dei personaggi con cui abbiamo a che fare, quando reclutiamo la seconda gamba.

In conclusione, il titolo dell’articolo rispecchierebbe meglio il contenuto se fosse Come usare le masse popolari e i movimenti in corso per rientrare nel teatrino della politica borghese. Ma per attuare questo loro progetto, devono far i conti con le mp: per questo possiamo farli lavorare alla (usarli per la) costituzione del GBP.

Buona lettura.

Il marxismo non è solo una dottrina da propagandare e insegnare. Per i comunisti il marxismo è principalmente una guida per l’azione che svolgono per trasformare la società attuale. Questo vale a proposito del nostro atteggiamento verso gli esponenti della seconda gamba (e della prima) che non sono d’accordo con noi. La forza del marxismo sta anche nel fatto che possiamo farli lavorare per noi e secondo la nostra linea (a costituire il GBP) anche se non sono d’accordo. Agiscono spontaneamente nella direzione giusta per metà: dobbiamo valorizzare questa metà. Più importante di quello che uno di loro pensa, è quello che fa. Bernocchi contribuisce a creare la seconda e la terza condizione della costituzione del GBP (con il suo attivismo per il successo del 15 ottobre) anche se certamente non è d’accordo con la costituzione del GBP!

 

 

 il manifesto di giovedì 29 settembre 2011 pag. 15

Invadere il campo per liberare la sinistra

di Alberto Burgio, Claudio Grassi

 

Lo spazio sociale in cui l'unica sinistra rimasta, quella «radicale» [cioè FdS, ma qui in particolare si tratta del PRC, che sta facendo i congressi di circolo e di federazione in vista dell’8° Congresso nazionale del 2 - 4 dicembre a Napoli , ndr ] , deve operare eccede quello intercettato dalle sue forze politiche. Bisogna disseminare le nostre idee nello spazio pubblico del centrosinistra e scompigliarlo

 

C'erano una volta due sinistre, una «radicale», intenzionata a cambiare la società, l'altra «moderata», desiderosa di governare la modernizzazione e limitarne i contraccolpi sui ceti deboli. Oggi questa parrebbe una fotografia ingiallita del tempo che fu. Di sinistra si direbbe esserne rimasta una sola, costituita dalle forze che tre anni fa furono (non per caso) espulse dal parlamento. Dopo un trentennio di macelleria sociale e di privatizzazione della finanza pubblica è evidente a tutti che la «terza via» di blairiana memoria era una bufala. E che, quali che siano in teoria i margini per un governo temperato del neoliberismo, la sinistra moderata d'antan ha introiettato l'ideologia mercatista, secondo cui libertà di movimento dei capitali e precarietà del lavoro sono infallibili vettori di progresso.

Nell'ultimo quarto di secolo la sinistra moderata non è più stata una controparte del capitale, ma una sua forza di complemento. Questo in Europa non meno che negli Stati Uniti, considerato il ruolo svolto dall'élite del socialismo francese, alla guida del Fmi (Camdessus) e della Commissione europea (Delors e Lamy [in realtà Lamy fu presidente della OMC, non della Commissione Europea , ndr] , nelle liberalizzazioni dei primi anni Ottanta. Di qui - per stare alla provincia italiana - la scelta di fondere in un partito «riformista» [PD] , equidistante da capitale e lavoro, le maggiori forze politiche discendenti dai due partiti [DC , PCI] che nella prima Repubblica si combattevano sulla difesa o sul superamento del capitalismo. Di qui anche la ferma opzione del Pds e dei suoi eredi per il bipolarismo che, come insegna l'esperienza dei paesi anglosassoni, presuppone che entrambi i poli condividano le coordinate fondamentali della politica economica e sociale e cooperino per escludere le forze critiche dalle istituzioni rappresentative.

Ormai, dunque, sembrerebbe esserci una sola sinistra [la sinistra radicale , ndr ] . Per ciò stesso costretta - parrebbe inevitabile dedurne - a far da sé, prendendo atto della distanza incolmabile che la separa da tutte le altre aree politiche. Invece le cose stanno esattamente all'opposto. Non perché non sia vero che nel Pd operano potenti spinte tese a trasformare il partito in una forza organicamente centrista, ma proprio per questo. La sinistra rischia effettivamente di ridursi alla sola ala «radicale» [FdS] . Ma, per paradossale che ciò possa apparire, proprio questa è la ragione per cui la strada del dialogo e dell'unità delle forze avverse al centrodestra è obbligata. Vediamo perché, partendo dalla configurazione delle forze politiche e dal loro rapporto con la società.

 

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L'articolazione dei gruppi dirigenti è la fisiologia dei partiti, che sono sedi di confronto, non caserme in cui si canta all'unisono. Questo aspetto passa inosservato per via di una regressione. Dentro i partiti della prima Repubblica convivevano posizioni diverse. Da vent'anni a questa parte (grazie al bipolarismo e a leggi elettorali che avrebbero dovuto ridurre la frammentazione della rappresentanza e hanno invece accresciuto a dismisura le rendite di posizione delle micro formazioni) il confronto interno tende a degenerare nella rissa e ad essere risolto coercitivamente. Resta che - per fare un esempio - nel Pd si registrano posizioni diverse su questioni cruciali come le politiche sociali e del lavoro e le riforme istituzionali, posizioni tra le quali la segreteria è costretta a tentare difficili sintesi e che sono in parte molto vicine a quelle della sinistra [radicale, cioè borghese: FdS, ecc. , ndr ] .

La complessità riguarda soprattutto il rapporto tra i partiti e i settori sociali di riferimento. Qui veniamo al dunque. C'è ragione di ritenere che lo spazio sociale in cui la sinistra può e deve operare ecceda di molto quello oggi intercettato dall'insieme delle sue forze. Da vent'anni a questa parte la politica (non solo in Italia) è in crisi per un fatto strutturale. La tanto celebrata crisi delle ideologie è l'epifenomeno di una scissione profonda tra bisogni sociali e sistema della rappresentanza [esatto: una scissione profonda tra bisogni sociali e sistema della rappresentanza - qui sta il contesto per cui il metodo delle leve è un metodo efficace , ndr] , di cui la crescita esponenziale dell'astensionismo e dell'antipolitica sono i sintomi più vistosi. Tra la domanda di rappresentanza di quello che in passato definivamo «popolo della sinistra» e l'offerta politica disponibile vi è uno scarto enorme. Il fatto che i partiti tentino di lucrare consenso attraverso leggi elettorali che producono quella aberrazione che va sotto il nome di «voto utile» (utile non perché risponda alle convinzioni dell'elettore, ma perché è verosimilmente in grado di contribuire all'elezione di un parlamentare purchessia) è la sanzione esplicita di tale stato di cose.

Ora, questa patologia va vista anche in positivo. Essa attesta l'esistenza di un vasto bacino elettorale [non solo elettorale (gli affetti da cretinismo parlamentare si limitano all’elettorale): vale anche sul terreno sindacale e in ogni campo in c u i le masse sono in qualche modo presenti e chi dirige deve avere consenso, seguito, fiducia, ecc. , ndr ] in cerca di rappresentanza e con ciò dimostra che lo scenario è in movimento. Una delle caratteristiche salienti della transizione incompiuta verso la seconda Repubblica è l'immaturità delle forze politiche - in particolare di quelle che ambiscono a rappresentare il mondo del lavoro e le classi subalterne - che , proprio per la profonda sfasatura tra la loro linea politica e gli interessi di gran parte del loro elettorato , stentano a trovare una consistenza organica. A questo stato di cose si è cercato di far fronte mediante espedienti tecnici, rimuovendo la sostanza politica. È questa la ragion d'essere del bipolarismo, del presidenzialismo di fatto e di leggi elettorali che aumentano i poteri delle segreterie dei partiti. In non casuale sintonia col proliferare di dispositivi di disciplinamento del dissenso e del disagio, in questi ultimi vent'anni il sistema politico si è venuto strutturando come una prigione [sembra di sentire Lenin illustrare la difficoltà con cui i dirigenti socialdemocratici tedeschi durante la prima guerra mondiale tenevano assieme gli operai iscritti al loro partito: Lenin, Come la polizia e i reazionari proteggono l’unità della socialdemocrazia tedesca, 3 marzo 1915, in Opere, volume 21 , ndr ] . Ciò nonostante, il sistema rimane disorganico e contraddittorio. E la situazione dinamica, suscettibile di sviluppi progressivi. Il caos, evidente, potrebbe essere produttivo, tanto più che proprio grazie alla crisi economica è dato registrare una grossa novità.

Come osservava qualche giorno fa Paul Krugman facendo quattro conti, questa crisi è un limpido esempio di lotta di classe. Non per caso le istituzioni politiche e finanziarie, braccio armato del capitale privato, sono in prima linea, a dimostrazione che non si usano metafore quando si afferma che è il capitale il vero detentore della sovranità. Naturalmente il class warfare del capitale contro il lavoro non è una novità. Nuovo è però il diffondersi della coscienza (certo, ancora embrionale) del fallimento storico del capitalismo. Sono sempre di più coloro che percepiscono la vocazione del capitalismo, dacché è padrone della scena in occidente, a produrre guerre, disoccupazione, disastri ecologici e miseria di massa, nonostante una vertiginosa crescita della produttività dei mezzi di produzione. Sono sempre più numerosi gli indignados di ogni età e provenienza, al di là di quanti scendono in piazza per manifestare. Sono sempre più vasti i settori sociali che intuiscono che il capitale è l'avversario: che divengono classe operaia, acquisendo una coscienza sovversiva. E sempre di più sono in Italia i delusi da un'opposizione che abbaia senza mai mordere e non di rado corre in soccorso della maggioranza. Che cos'altro dicono la vicenda dei referendum sull'acqua e i servizi pubblici locali e, più in generale, la popolarità del discorso dei beni comuni? Davvero non è difficile immaginare quale accoglienza incontrerebbe la proposta di una patrimoniale e di una seria riforma fiscale, del taglio delle spese militari e del ritiro dei militari italiani dall'Afghanistan, dell'introduzione di un salario sociale e di misure efficaci contro la precarietà del lavoro.

Se questo è vero, il problema cruciale per la sinistra [borghese, PRC e FdS in genere più i frammenti , ndr] oggi è stabilire una connessione con questi settori sociali ancora prigionieri del centrosinistra e tentare di organizzarne l'evasione di massa. Come? Evidentemente entrando nello spazio pubblico in cui il centrosinistra si muove, nella comunità linguistica in cui si dipana il suo discorso, nel codice della sua comunicazione, per scompigliarlo e disseminarvi le proprie idee [1] [A. Burgio e C. Grassi non si pongono neanche il problema che, anzitutto, bisogna avere idee da disseminare e , ancora più, idee giuste , ndr ] . Si tratta di imporre un nuovo ordine al discorso politico che raggiunge il mondo del lavoro e le classi subalterne. O, se si vuole, di imporre un discorso di verità. Per difendere la propria credibilità i gruppi dirigenti del centrosinistra debbono "mentire" alla loro gente, recitando la parte del nemico del sistema. La forbice tra le cose dette e quelle fatte è un tallone d'Achille di cui la sinistra deve approfittare. Per questo la cosa più sbagliata che essa possa fare in questa situazione di crisi organica del sistema della rappresentanza sarebbe la chiusura identitaria su se stessa. Questo è il momento di unificare lotte e movimenti, contrastandone la corporativizzazione, e al tempo stesso di aprire un confronto a tutto campo con il centrosinistra [2] , per far sì che il discorso «radicale» circoli per tutta l'area sociale coinvolgibile nella lotta contro le destre.

Ma tutto ciò riposa su un presupposto. Oggi, soprattutto in Italia, la sinistra è poca cosa anche per propri errori e responsabilità. Non appare credibile a tanta parte della sua gente perché in questi vent'anni ha continuato a dividersi [3]. Il primo compito che essa ha dinanzi a sé è quindi l'uscita dall'attuale frammentazione, la costruzione di una grande unità della sinistra di alternativa. Questa sarebbe, a guardar bene, la vera riforma democratica della politica. Contro quei gruppi dirigenti che custodiscono le divisioni come base e garanzia delle proprie rendite di posizione.