Il potere taumaturgico del capitale nella produzione

Rapporti Sociali n. 3, marzo 1989  (versione Open Office / versione MSWord )

 

“Il secondo tratto caratteristico, che contraddistingue specificamente il modo di produzione capitalista, è la produzione del plusvalore come scopo diretto e motivo determinante della produzione. Il capitale produce essenzialmente capitale, e fa ciò solamente nella misura in cui produce plusvalore” (da Il capitale, libro III, cap. 51). Ogni attività produttiva che ha come scopo diretto e motivo determinante il valore d’uso, ha il limite quantitativo del bisogno esistente di quel valore d’uso e entro quei limiti si mantiene. La produzione capitalista invece, proprio perché ha come scopo diretto e motivo determinante il plusvalore, ha un oggetto di per sé illimitato, il valore, che per sua natura non ha altro limite che la sua quantità e pone ogni quantità raggiunta come un ostacolo da superare. Quindi la produzione capitalista è per sua natura produzione senza limiti e implica l’aumento illimitato. Il fatto che il valore esista nella merce in unità con il valore d’uso, pone sì anche al capitale il valore d’uso (e quindi il bisogno che di esso esiste) come limite, ma esso ora è posto continuamente come ostacolo da superare, come catena da spezzare. Per aumentare illimitatamente la grandezza del valore il capitale deve aumentare illimitatamente la quantità dei valori d’uso, nella promozione di un aumento illimitato dei bisogni. L’esistenza del valore nella forma “pura” e “autonoma” del denaro toglie anche questo limite. Da ciò la tendenza del capitale a “produrre” una quantità illimitata di denaro e a trovare in questa “produzione” il suo campo di azione preferito, tanto più quanto maggiori sono gli ostacoli da superare per produrre valore in unità con valore d’uso nelle merci, forzando questa via oltre quanto gli stessi rapporti di valore e di capitale possono tollerare. Per poter aumentare continuamente la quantità dei valori d’uso, il capitale deve trasformare il modo di lavorare. “Abbiamo visto nella nostra analisi riguardante il plusvalore relativo, ed ancora più in quella riguardante la trasformazione del plusvalore in profitto, come abbia qui le sue radici un modo di lavorazione proprio del periodo capitalista, una forma particolare di sviluppo delle forze produttive sociali del lavoro, ma in quanto forze autonomizzate del capitale rispetto all’operaio, a quindi in contrasto diretto con lo sviluppo proprio dell’operaio. La produzione per il valore e il plusvalore implica, come abbiamo visto procedendo nella nostra analisi, la tendenza mai appagata a ridurre il tempo di lavoro impiegato nella produzione di una merce, ossia la sua grandezza di valore, al di sotto della media sociale data di volta in volta. Il desiderio di ridurre il prezzo di costo al suo minimo diventa la leva più forte per l’aumento della forza produttiva sociale del lavoro, che tuttavia appare qui soltanto come un aumento continuo della forza produttiva del capitale” (da Il capitale, libro III, cap. 51).

 

Aumento illimitato del plusvalore prodotto e tendenza mai appagata a ridurre il valore di ogni merce, comportano aumento illimitato della quantità e della varietà degli oggetti prodotti. E queste leggi interne del modo di produzione capitalista si impongono poi semplicemente ed inesorabilmente ad ognuno dei capitalisti, per mezzo della concorrenza tra essi, della loro reciproca azione a reazione. “La concorrenza non è infatti altro che la natura interna del capitale, la sua determinazione essenziale che si presenta e si realizza come interazione reciproca dei molti capitali, la tendenza interna posta come necessità esterna” (K. Marx, Grundrisse, ed. Einaudi, p. 381).

 

Ecco come Marx illustra in dettaglio la genesi e il segreto del potere taumaturgico del modo di produzione capitalista sulle forze produttive. “La creazione di plusvalore assoluto - di più lavoro materializzato - da parte del capitale, ha come condizione che il cerchio della circolazione si allarghi e più precisamente che si allarghi di continuo. Il plusvalore creato in un punto richiede la creazione di plusvalore in un altro punto, con il quale possa scambiarsi; anche se in un  primo momento si ha soltanto produzione di più oro e argento, di più denaro, sicché se il plusvalore non può ridiventare immediatamente capitale, esso esiste nella forma di denaro come possibilità di nuovo capitale. Una condizione della produzione fondata sul capitale è quindi la produzione di un cerchio della circolazione costantemente allargato, o direttamente, oppure creando in esso più punti di produzione. Se la circolazione a tutta prima appariva come grandezza data, qui essa appare come grandezza in movimento, che si espande attraverso la produzione stessa. Di conseguenza la circolazione si presenta essa stessa già come un momento della produzione. Se da un lato il capitale ha quindi la tendenza a creare di continuo più lavoro eccedente, dall’altro ha la tendenza integrante a creare più punti di scambio; ossia qui, dal punto di vista del plusvalore o del lavoro eccedente assoluto, la tendenza a generare più lavoro eccedente come integrazione di se stesso; in fondo la tendenza a propagare la produzione basata sul capitale o il modo di produzione a esso corrispondente. La tendenza a creare il mercato mondiale è data immediatamente nel concetto del capitale stesso. Ogni limite si presenta come un ostacolo da superare. [Il capitale tende] anzitutto a subordinare ogni momento della produzione stessa allo scambio e a sopprimere la produzione di valori d’uso immediati che non entrano nello scambio, ossia appunto a sostituire la produzione fondata sul capitale ai modi di produzione precedenti e, dal suo punto di vista, primitivi. Qui il commercio non si presenta più come funzione che ha luogo tra le produzioni autonome per lo scambio dell’eccedenza, bensì come presupposto sostanzialmente universale e momento della produzione stessa.

D’altro canto la produzione di valore eccedente relativo, ossia la produzione di valore eccedente fondata sull’aumento e sviluppo delle forze produttive, richiede produzione di nuovo consumo; richiede cioè che il circolo del consumo all’interno della circolazione si allarghi allo stesso modo in cui prima si allargava il circolo della produzione. In primo luogo espansione quantitativa del consumo esistente; in secondo luogo: creazione di nuovi bisogni mediante la diffusione di quelli esistenti in una cerchia più ampia; in terzo luogo: produzione di nuovi bisogni e scoperta e creazione di nuovi valori d’uso. In altri termini essa esige che il lavoro eccedente realizzato non rimanga un’eccedenza puramente quantitativa, ma che al tempo stesso la cerchia delle differenze qualitative del lavoro (e quindi del lavoro eccedente) sia costantemente ampliata, resa più varia e differenziata in se stessa. In seguito al raddoppiamento della forza produttiva basta ad esempio impiegare un capitale di 50 solamente dove in precedenza ne occorreva uno di 100, sicché si libera un capitale di 50 e il lavoro necessario a esso corrispondente; per il capitale e il lavoro liberati occorre allora creare un nuovo ramo di produzione qualitativamente diverso, che soddisfa e produce nuovo bisogno.

Il valore della vecchia industria viene conservato [con] la creazione di un fondo per una nuova industria dove il rapporto del capitale con il lavoro si pone in forma nuova. Dunque esplorazione dell’intera natura per scoprire nuove proprietà utili delle cose; scambio universale dei prodotti di tutti i climi e i paesi stranieri; nuova preparazione (artificiale) degli oggetti naturali mediante la quale si conferiscono loro nuovi valori d’uso.

 

L’esplorazione della terra in tutte le direzioni per scoprire sia nuovi oggetti utili, sia nuove proprietà utili dei vecchi; come pure nuove proprietà che essi hanno come materie prime, ecc.; lo sviluppo delle scienze naturali al suo punto più alto; come pure la scoperta, la creazione e il soddisfacimento di nuovi bisogni generati dalla società stessa; la formazione di tutte le qualità dell’uomo sociale e la produzione di esso come uomo per quanto possibile ricco di bisogni perché ricco di qualità a di relazioni - la sua produzione come prodotto sociale possibilmente totale e universale (giacché per avere un’ampia gamma di godimenti deve essere capace, ossia colto in alto grado) - tutto ciò a condizione della produzione fondata sul capitale. Ciò non è soltanto divisione del lavoro, creazione di nuovi rami di produzione, ossia di tempo eccedente qualitativamente nuovo; è invece la repulsione da se stessa della produzione determinata, come lavoro che ha un nuovo valore d’uso; lo sviluppo di un sistema in costante espansione e sempre più globale di tipi  di lavoro, di tipi di produzione, ai quali corrisponde un sistema sempre più ampio e ricco di bisogni.

 

Se da un lato la produzione fondata sul capitale crea l’industria universale - ossia lavoro eccedente, lavoro che crea plusvalore - dall’altro crea un sistema di sfruttamento generale delle qualità naturali e umane, un sistema dell’ utilità generale che appare portato dalla scienza stessa come da tutte le qualità fisiche e spirituali, mentre nulla di più elevato in sé, di giustificato per se stesso appare al di fuori di questo circolo della produzione e dello scambio sociali. Soltanto il capitale crea dunque la società borghese e l’appropriazione universale tanto della natura quanto della connessione sociale stessa da parte dei membri della società. Di qui la grande influenza civilizzatrice del capitale; la sua produzione di un livello sociale rispetto al quale tutti i livelli precedenti appaiono soltanto come sviluppi locali dell’umanità e come idolatria della natura. [Soltanto col capitale] la natura diviene puro oggetto per l’uomo, puro oggetto dell’utilità; cessa di essere riconosciuta come potenza per sé; e la stessa conoscenza teoretica delle sue leggi autonome appare soltanto come un’astuzia per assoggettarla ai bisogni umani sia come oggetto del consumo sia come mezzo della produzione. In conformità con questa sua tendenza il capitale tende a trascendere sia le barriere e i pregiudizi nazionali, sia l’idolatria della natura, sia il soddisfacimento tradizionale, modestamente chiuso entro limiti determinati, dei bisogni esistenti, e la riproduzione di un vecchio modo di vivere.

Nei confronti di tutto questo esso è distruttivo e agisce nel senso di un perenne rivoluzionamento, abbattendo tutte le barriere che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive, l’espansione dei bisogni, la molteplicità della produzione e lo sfruttamento e lo scambio delle forze della natura e dello spirito”. (K. Marx, Grundrisse, ed. Einaudi, p. 374-377)