La merce

Rapporti Sociali n. 5/6,  gennaio 1990 (versione Open Office / versione MSWord )

Per merce non intendiamo l’oggetto, la prestazione (il servizio) prodotto e usato (il valore d’uso). Con il termine merce intendiamo il carattere che assumono l’oggetto e il servizio quando sono prodotti da un individuo membro di una società di individui ognuno dei quali produce oggetti e servizi per altri con i quali non ha, rispetto alla produzione, alcun obbligo o vincolo, né affettivo, né abitudinario, né culturale, né di parentela, né legale.

Le caratteristiche che l’oggetto e il servizio prodotti assumono in questo contesto, sono ciò che ne fanno una merce.

L’oggetto e il servizio in realtà per un verso sono uguali all’oggetto e al servizio prodotti in atri contesti (la patata che il coltivatore diretto produce per venderla è eguale alla patata che esso produce per portarla a casa alla sua famiglia), ma l’attività produttiva del produttore è invece diversa, sottoposta a altre leggi “naturali” (non legali, non statali) che ne determinano nuove caratteristiche (ad es. non può dedicare alla sua produzione più tempo di lavoro di tanto, ecc.).

Queste caratteristiche dell’attività del produttore (indotte dal suo legame sociale, dal rapporto di produzione nel cui ambito egli lavora) si presentano agli altri membri della società come caratteristiche del prodotto (il suo valore, il denaro) e acquistano nella società vita autonoma dal produttore; le leggi “naturali”, socialmente oggettive (1), che regolano le relazioni tra le attività dei produttori, si presentano come leggi oggettive che regolano lo scambio tra i prodotti.

Con la produzione mercantile avviene qualcosa che non avveniva con gli altri modi di produzione: nella società, mano a mano che si sviluppa la produzione mercantile, nasce come riflesso dell’attività produttiva umana un sistema di relazioni tra i beni prodotti che sembra autonomo dai produttori e in effetti si presenta ad ogni produttore come indipendente da lui, come una necessità oggettiva, a cui egli deve per forza soggiacere. È il mondo feticistico delle merci, del valore del denaro. In esso le caratteristiche delle relazioni che connettono tra loro le varie attività produttive umane si presentano come caratteristiche delle cose prodotte da queste attività e gli uomini solo trattando delle cose trattano di fatto delle loro attività produttive (al modo in cui ad alcuni popoli primitivi le forze e i fenomeni della natura apparivano come poteri di oggetti o di animali (i feticci) e di conseguenza trattavano con questi come se trattassero con quelli).

In realtà, queste caratteristiche degli oggetti e le relazioni tra esse che per ogni produttore sono una necessità oggettiva, una legge oggettiva cui egli deve adeguarsi, non sono che le caratteristiche della sua attività produttiva in quanto attività associata, sociale.

Ed esse possono essere dominate, modificate (cessa insomma la loro autonomia e oggettività “naturale”) solo dalla società dei produttori se essa esiste anche come struttura capace di esprimere una volontà collettiva dei suoi membri e tracciare una loro comune linea di condotta rispetto alle loro proprie attività produttive. Ma la società dei produttori non ha ancora questa esistenza, che anzi è contraddittoria con il presupposto (individui che producono liberi da obblighi e vincoli reciproci).

Tutte le volte che e nella misura in cui i produttori esistono come società capace di tracciare una linea comune di condotta dei suoi membri relativamente alle loro future attività produttive, ossia come produttori associati, tutte le volte che e nella misura in cui i produttori si uniscono ed esprimono una volontà comune sulle relazioni tra le loro attività produttive o si uniscono legando le loro attività produttive tra loro con limiti pattuiti o comunque prefissati, essi decidono le caratteristiche reciproche delle loro attività produttive. Appunto in conseguenza a ciò queste caratteristiche cessano, in quella misura, di essere “oggettive”. Non per questo cessano però di essere vincolanti per ogni individuo. Solo che ora si tratta di vincolo ad essi noto delle regole (e nato dalle regole) fissate preventivamente dalla decisione comune, che si è sostituita alla “legge naturale ” del mercato. La direzione degli uomini associati su se stessi, si è sostituita alla direzione delle cose sugli uomini. I produttori associati decidono ad esempio un limite alla  intensità o alla durata del loro lavoro, un limite all’impiego di un materiale, l’obbligo all’uso di determinate procedure, ecc. e allora questi limiti e questi obblighi che nessuno individualmente poteva adottare nella sua attività produttiva, diventano nuove basi su cui si erge la loro attività produttiva. L’obbligo e il limite da loro deciso si impone ad ognuno di essi come necessità, ma ora è chiaro che la necessità è creata dalla loro decisione collettiva.

Man mano che la produzione e la riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza è diventata un processo collettivo, i capitalisti sono stati e sono obbligati a raggiungere una mediazione con questa realtà nuova (con questa nuova caratteristica dell’attività umana).

La società per azioni, la società in nome collettivo, la cooperativa, la società che unisce più capitalisti, la politica economica dello Stato e lo Stato come capitalista collettivo più vasto, sono la produzione collettiva basata sulla proprietà individuale, produzione in cui la proprietà individuale (che resta la base del tutto) trova una mediazione con le caratteristiche sociali delle forze produttive.

In questi sviluppi è posto continuamente anche un limite al carattere di merci dei prodotti (al mercato). Non solo: anche l’accentramento della produzione nella grande attività produttiva o in unità dipendenti dallo stesso capitale elimina una massa di operazioni di scambio e sostituisce ad essi la combinazione dei prodotti secondo rapporti tecnici (anziché di valore). Anche la fissazione dei prezzi per via amministrativa o per accordo di cartello, il monopolio, gli accordi commerciali a lunga scadenza, ecc. diventano altrettanti limiti posti al carattere di merce dei prodotti. (2)

Gran parte della confusione regnante in campo teorico e della tanto declamata e abusata “complessità” del mondo moderno sta nella visione unilaterale (“intellettuale”, direbbe Hegel, ossia estraniandoli dal movimento a cui appartengono) di questi fenomeni di “superamento”, che vengono considerati staccati dalla base su cui nascono e in cui periodicamente ripiombano: la produzione di merci e la proprietà individuale delle forze produttive, mentre le forme antitetiche dell’unità sociale che ne derivano sono presentate come “nuovo sistema”, e come tali sono infinitamente tanto complesse da essere incomprensibili.

NOTE

(1). Socialmente oggettivi perché, nell’ambito della società capitalista e solo nell’ambito di essa, quei feticci sono effettivamente onnipotenti ed esclusivisti (l’onnipotenza del denaro è un’amara esperienza comune di ogni membro della società capitalista così come la disperata necessità di esso). Nessuno individuo si può sottrarre al loro potere né può fare a meno di essi. D’altra parte quegli stessi feticci perdono ogni loro potere se per qualsiasi motivo si trovano al di fuori del loro ambiente, la società capitalista. Essi si ritrovano allora ricondotti alla loro natura materiale. Su questo argomento si veda anche questo numero di Rapporti Sociali, pag. 17, l’articolo Tre questioni.

 

(2). Ogni volta che la produzione di un articolo viene spezzata tra produttori indipendenti allargando la divisione sociale del lavoro (ad es. si passa da due individui ognuno dei quali produceva zoccoli da legno e pelli, a un individuo che produce le forme di legno sagomato e le vende ad un secondo che taglia e applica i cinturini e vende zoccoli) aumenta il numero di atti di compravendita e quanto ad essi è connesso. Il contrario avviene ogni volta che la produzione di più produttori indipendenti viene concentrata un’unica unità produttiva. Ma qui non consideriamo questo tipo di variazione della estensione della produzione mercantile.