L’empirismo, il determinismo e il meccanicismo

Rapporti Sociali n. 7 - maggio 1990  (versione Open Office / versione MSWord )

 

Oggi il crollo dei regimi politici dei paesi dell’Est è un fatto. Di quale processo fa parte, di quale processo costituisce un anello? Questa è la domanda che deve porsi chi vuole capire cosa sta succedendo e quindi chi vuole svolgere un ruolo d’avanguardia. Il revisionismo moderno ha quasi ovunque arrestato e chiuso i processi di trasformazione delle società messi in moto dalle rivoluzioni socialiste e dalle lotte antimperialiste di liberazione nazionale iniziate nel 1917. È un fatto. Ma di quale processo fa parte? Cosa prepara questo?

Gli empiristi e in generale gli apologeti della borghesia hanno pronta la risposta: vuol dire che il comunismo è impossibile. Molto semplice. Ma allora come mai è nato il comunismo? Alcuni a fronte di questa domanda hanno un moto di fastidio. Vogliono smettere di parlare dei compiti non assolti, degli obiettivi non raggiunti, andare oltre con il discorso, oltrepassare con le parole e individualmente quello che invece continua a presentarsi ogni giorno nella vita di milioni di uomini, nonostante gli “oltrepassatori”.

Il capitalismo giunto ad un certo livello del suo sviluppo ha spinto le masse a rivolte che, in certe condizioni (leninismo), hanno avuto successo. I marxisti sostenevano che ciò era l’inizio della transizione dalla società borghese al comunismo (Stalin: il leninismo è il marxismo dell’epoca delle rivoluzioni socialiste e del tramonto del capitalismo - Principi del leninismo 1924). A distanza di quasi ottanta anni dalla prima rivoluzione vittoriosa, la Rivoluzione d’Ottobre, ci troviamo a fare i conti con un massiccio movimento di restaurazione del capitalismo in Unione Sovietica.

Per gli empiristi è semplice: se la transizione al comunismo non è proceduta vuol dire che non era possibile. Ma non è una concezione meccanicistica, determinista, questa?

I meccanicisti e i deterministi sostengono che data una cosa, essa può trasformarsi solo in un’altra e si trasforma necessariamente e fatalmente in quest’altra. Al contrario i materialisti dialettici sostengono

- che ogni realtà è contraddittoria e si trasforma grazie alle contraddizioni che la animano e la lacerano: l’uno si divide in due;

- che queste contraddizioni definiscono alcune linee di tendenza, pongono cioè alcune trasformazioni come possibili, mentre ne escludono altre (un uovo può trasformarsi in una frittata, in un pulcino, in un grumo di materia organica in putrefazione: non può trasformarsi in una pallina da ping pong, quali che siano gli sforzi dei nostri soggettivisti);

- che il prodursi effettivo di una piuttosto che di un’altra fra le trasformazioni possibili, il quando e il come una trasformazione si effettua, ciò è frutto delle mediazioni fra la natura della cosa (le sue contraddizioni) e le circostanze esterne.(1)

 

(1) Mao Tse-tung, Sulla contraddizione, (agosto 1936). Vedasi anche Rapporti Sociali, n. 2, pag. 14.

 

Essi quindi a fronte di ogni avvenimento

- anzitutto ricercano ciò che rendeva possibile il suo prodursi;

- in secondo luogo, e solo alla luce del primo risultato, ricostruiscono quali circostanze lo hanno fatto effettivamente venire alla luce e crescere.

Analogamente, a fronte della realtà di oggi,

- anzitutto ricercano quali sviluppi di essa sono possibili, di quali eventi essa è gravida;

- in secondo luogo, e solo alla luce di questo primo risultato, definiscono quali attività svolgere affinché si produca, tra gli eventi possibili, quello che essi vogliono.

Ogni attività di individuo o di gruppo tesa a far avvenire un evento la cui possibilità non è già nella realtà di oggi, è infatti un agitarsi a vuoto e uno spreco di energia.

 I materialisti dialettici riconoscono così sia l’importanza determinante delle cause accidentali, dell’azione cosciente degli uomini e dei gruppi, sia i limiti entro i quali queste (cause accidentali e azione cosciente) possono influire sui processi in corso.

Nessuno può far trasformare una cosa in un’altra in cui la stessa cosa non è per sua natura passibile di trasformarsi. Tra le varie trasformazioni di cui una cosa è passibile se ne realizzerà una per la cui realizzazione si sono formate cause esterne o comunque cause accidentali adeguate.

L’esperienza storica e l’esperienza della vita corrente mostrano all’infinito che una trasformazione può fallire varie volte per cause accidentali, prima di realizzarsi. Una covata di uova è messa in un’incubatrice: un black-out dell’energia elettrica, prodottosi per motivi che non c’entrano nulla con le uova, toglie il riscaldamento e le uova non si trasformeranno in pulcini. “Tentare e fallire, tentare e fallire, tentare e aver successo”: questo è quanto hanno fatto i promotori di quasi ogni rivolgimento di cui è rimasta traccia nella storia.

Cercare dopo ogni fallimento le cause della sconfitta per lanciare il nuovo assalto con maggiori possibilità di successo: questo è l’atteggiamento dei rivoluzionari.

La comprensione se il comunismo è possibile o no, può derivare solo dalla comprensione della natura delle società capitaliste. Si affrettano a derivarla dal fallimento dei primi tentativi solo quelli che erano già convinti del fallimento o sperano nell’efficacia degli esorcismi. Le tesi degli attuali liquidatori del comunismo, per quanto i mezzi di comunicazione della classe dominante le diffondano e sbandierino, la dicono lunga solo sulla natura dei loro estensori. Esse invece non dicono praticamente nulla sul processo storico di cui pretendono di parlare e non apportano alcun contributo alla comprensione delle tendenze di sviluppo della realtà attuale.

Quelli che riconoscono che una cosa è possibile solo dal fatto che si è realizzata e dopo che si è già realizzata, sono ovviamente alla coda degli avvenimenti: per quanto si proclamino d’avanguardia, sono codisti.

Al contrario il bilancio delle esperienze della rivoluzione proletaria e delle lotte antimperialiste di liberazione nazionale sviluppatesi nella prima parte di questo secolo, porta ai comunisti ricchi insegnamenti per le lotte che la natura delle società capitaliste genererà inevitabilmente nel prossimo futuro. Così la sconfitta è madre della vittoria.