Per il marxismo-leninismo-maoismo
Per il maoismo

Rapporti Sociali n. 9/10, settembre 1991  (versione Open Office / versione MSWord )

 

Le Edizioni Rapporti Sociali hanno iniziato la pubblicazione della raccolta più completa possibile delle opere di Mao Tse-tung. Una volta resi disponibili gli scritti di Mao Tse-tung, il problema diventa l'uso che ne viene fatto.

Alcuni compagni hanno accolto la nostra iniziativa come una "divagazione editoriale", un modo come un altro per "perdere tempo" e "andare per lucciole": "attendismo".

Alcuni altri compagni hanno accolto con favore l'iniziativa, perché "pubblicare le opere dei classici è sempre utile". Come dire "ecco un altro quadro che appenderemo in casa nostra, ci starà bene!". "E chi non è d'accordo con il vecchio Mao?".

Abbiamo intrapreso questa iniziativa per motivi strettamente legati alla fase politica; la pubblicazione delle opere di Mao Tse-tung per noi non è una "iniziativa editoriale" e nemmeno la "pubblicazione di un classico". Siamo convinti che noi comunisti italiani abbiamo bisogno di assimilare e applicare il maoismo per superare le nostre attuali difficoltà.

 

1. Le nostre attuali difficoltà

Da dove vengono le difficoltà che le forze soggettive della rivoluzione socialista incontrano nel loro sviluppo nel nostro paese (e negli altri paesi imperialisti dell'Europa occidentale)?

A questa domanda, che ogni rivoluzionario e ogni comunista si pone, vengono date varie risposte.

Alcune risposte non sono serie. È chiaro che non sono una risposta seria le affermazioni del tipo "i comunisti nel nostro paese sono pochi", "i comunisti nel nostro paese sono disgregati", "la borghesia è forte", "la borghesia usa contro di noi tutti i mezzi possibili", ecc. Nel migliore dei casi queste sono tautologie. Non vale la pena prendere seriamente in esame le risposte non serie.(1)

 

1. Basta pensare solo alle vicende politiche dei primi anni '70 (anche senza andare più indietro, alla Resistenza antifascista, ecc.) per comprendere come siano poco serie le risposte che abbiamo richiamato.

 

Occupandoci delle risposte serie, è giocoforza riconoscere che esse si riducono a due.

Alcuni attribuiscono le difficoltà principalmente alla situazione oggettiva: "alcune condizioni oggettive della rivoluzione sono ancora in via di maturazione" e ciò inchioderebbe le forze soggettive alla loro attuale condizione. Altri attribuiscono le difficoltà principalmente alla concezione del mondo sbagliata che predomina tra i comunisti e i rivoluzionari del nostro paese, alla concezione del mondo non materialista dialettica che predomina nelle nostre fila, in definitiva all'influenza ideologica della borghesia sui rivoluzionari che nel nostro paese è ancora abbastanza forte da rendere loro difficile e tormentoso compiere i passi necessari per crescere.

Vi sono anche risposte del tipo "una cosa e anche l'altra", "tutte due le cose che si influenzano reciprocamente", ecc. Sgomberiamo il campo anche da questo ultimo tipo di risposte apparentemente dialettiche, che apparentemente "tengono conto di tutti gli aspetti della situazione". In realtà si tratta di risposte eclettiche, appunto perché non tengono conto di come i vari elementi della situazione, che sempre interagiscono tra loro, interagiscono nel caso concreto, vale a dire non tengono conto di qual è l'elemento principale, di qual è, nella situazione concreta, la gerarchia tra i vari elementi, di qual è quello su cui le esistenti forze soggettive della rivoluzione devono far leva, concentrarsi, quello che devono assumere ad elemento principale per decidere cosa fare. La differenza tra il sofista e il dialettico non sta nel fatto che quest'ultimo considera tutti gli aspetti (questo lo fa anche il sofista), ma nel fatto che il dialettico individua  qual è nella situazione concreta l'aspetto principale, qual è nella situazione concreta la specifica interazione tra i vari aspetti. L'eclettismo, come al solito, anche in questo caso porta all'immobilismo o a dare colpi un po' qui un po' là, sostanzialmente alla cieca, come capita, come il vento soffia, sperando che "prima o poi la situazione cambierà". Come si può pretendere di essere avanguardia, direzione, guida con una posizione di questo genere?

Fin dall'inizio della nostra attività, noi, gruppo redazionale di Rapporti Sociali, abbiamo sostenuto che nel nostro paese l'ostacolo principale allo sviluppo delle forze soggettive della rivoluzione socialista, il collo di bottiglia della situazione, è la concezione del mondo che predomina al loro interno.

All'inizio degli anni '20 Lenin enunciò la tesi che la nostra è l'epoca del declino del capitalismo e delle rivoluzioni proletarie, che la fase imperialista del capitalismo è la fase della putrefazione del capitalismo, della sua decadenza e del suo trapasso nella società socialista. È nostra convinzione che questa tesi di Lenin non è una "frase propagandistica", ma la sintesi di un'analisi scientifica i cui passaggi sono:

- a partire dalla seconda metà del secolo scorso il carattere collettivo è diventato l'aspetto principale delle forze produttive della società;

- la relazione principale tra le forze produttive della società e il rapporto di produzione capitalista è diventato l'antagonismo (il rapporto di produzione capitalista è diventato una camicia di forza per le forze produttive esistenti);(2)

 

2. I pedanti interpretano questa tesi come "nell'ambito del modo di produzione capitalista non vi può più essere sviluppo delle forze produttive", tesi palesemente smentita dalla realtà che abbiamo sotto il naso. L'antagonismo tra il rapporto di produzione capitalista e le esistenti forze produttive e il loro sviluppo ha la sua più macroscopica e più diffusa manifestazione

- nelle ripetute guerre di distruzione delle forze produttive sociali che proprio i rapporti specifici dell'imperialismo hanno generato in questo secolo,

- nelle progressiva distruzione delle attività economiche nella maggior parte del mondo (quella parte del mondo che la pubblicistica borghese pudicamente chiama "paesi in via di sviluppo"),

- nella crescita dell'emarginazione di ampie masse dalle attività produttive negli stessi paesi imperialisti,

- nel disastro ecologico.

Il rilievo che questi fenomeni acquistano nella fase imperialista di pari passo con la crescita della produttività del lavoro umano, il loro carattere endemico e cronico sono, nell'insieme, la manifestazione dell'antagonismo tra forze produttive esistenti e il rapporto di produzione capitalista.

 

- l'affermazione della classe operaia come nuova classe dirigente è diventata oggettivamente matura (ossia possibile);

- la realizzazione dell'assunzione della direzione della società da parte della classe operaia è quindi diventata principalmente una questione politica, cioè dipendente dall'arte della politica, ossia dalla capacità delle forze soggettive che in essa sorgono e ne dirigono la lotta, di guidarla alla vittoria.

Dalla fine del secolo scorso il movimento politico della società borghese è diventato oggettivamente tale da contenere in sé la possibilità dell'affermazione vittoriosa delle forze soggettive della rivoluzione socialista. Da quando è iniziata quest'epoca, i regimi politici di tutti i paesi imperialisti hanno ripetutamente attraversato periodi di crisi e di instabilità (situazioni rivoluzionarie) derivanti, attraverso una serie di anelli intermedi (mediazioni), dalle vicissitudini del movimento economico della società. Riuscire o no ad approfittare di questi periodi di crisi politica per prendere il potere è una questione di capacità politica. Ciò vuol forse dire che è diventata una questione arbitraria, in cui "ognuno può fare quel che vuole"? Ovviamente no, perché anche la lotta politica non è per nessuno (né per un partito borghese né per un partito proletario né per un uomo politico borghese né per un comunista) un campo in cui ci si può muovere ad arbitrio. Essa è al contrario un campo in cui la vittoria possibile si può effettivamente raggiungere solo se si adegua la propria azione alle leggi oggettive del movimento politico della società. Nell'epoca attuale la borghesia può conservare il potere e il proletariato può conquistare il potere. In ogni scontro di quest'epoca ambedue gli eventi sono oggettivamente possibili. Quale dei due si realizza è deciso dalla capacità delle forze politiche di ognuna delle due classi di adeguare la  propria azione alle leggi oggettive del movimento politico della società.(3)

 

3. Individui e gruppi organizzi tracciano una linea e fanno piani d'azione: ciò è un'operazione soggettiva che segue a una immagine della situazione che il soggetto ha, immagine che a sua volta deriva dal combinazione della concezione del mondo e dell'esperienza diretta e indiretta del soggetto. Tutto ciò è soggettivo, si tratta di operazioni compiute dal soggetto.

La sua immagine della situazione è sufficientemente aderente alla realtà, è realistica? Tiene abbastanza esattamente conto delle motivazioni che muovono le forze in campo, della loro esperienza, delle tendenze che urgono nella realtà e la spingono a muoversi in date (e non in altre) direzioni? Ossia, ciò che è soggettivo, riflette abbastanza esattamente ciò che è oggettivo, esterno al soggetto e indipendente da esso?

Il soggetto può mutare decisioni, linee e piani, può migliorare la sua immagine della situazione, può modificare la sua concezione del mondo e allargare le sue esperienze. In questa fase lo aiutano la riflessione sul proprie esperienze, lo studio delle esperienze altrui, le inchieste, la sperimentazione scientifica, lo studio delle teorie elaborate da chi ha compiuto con successo lo stesso compito, lo studio degli errori di chi ha tentato senza successo. In questa prima fase il soggetto non può però modificare l'oggetto.

Solo se lo ha compreso abbastanza bene e se i suoi piani d'azione sono abbastanza coerenti con la natura e il movimento propri dell'oggetto, mettendo in opera i suoi piani d'azione egli modifica l'oggetto, nel senso che elimina una delle due possibilità secondo cui l'oggetto di per se stesso poteva trasformarsi e fa sì che di fatto si trasformi secondo l'altra. Ciò vale nel rapporto di un individuo (e di un gruppo) con gli oggetti inanimati, con gli animali, con altri uomini e gruppi; sia nella lotta per la produzione sia nella lotta di classe.

A proposito delle analisi del reale, attualmente nel movimento rivoluzionario esistono due deviazioni principali.

Per alcuni le analisi sono esposizione in forma organica e sistematica di quello che essi pensano, anziché scoperta delle leggi oggettive del movimento politico della società e verifica se il proprio pensiero è conforme ad esse.

Per alcuni altri le analisi consistono nel ricavare dai testi e dare forma sistematica a ciò che a proposito dell'argomento pensava (o pensava “veramente”) Marx (o Lenin, o Stalin o Mao Tse-tung, o addirittura qualche altro meno autorevole personaggio).

 

Tutta la storia dell'epoca imperialista conferma queste affermazioni, come le conferma la storia dell'epoca delle rivoluzioni borghesi, cioè dell'epoca in cui la borghesia lottò per la sua affermazione come classe dominante contro la classe dei feudatari.

Nella prima metà di questo secolo abbiamo avuto un lungo periodo, grossomodo dall'inizio del secolo al 1945, di instabilità, di precarietà, di crisi dell'assetto politico internazionale e, all'interno di esso, di instabilità e di crisi del regime politico di quasi tutti i paesi imperialisti. Le forze soggettive della rivoluzione proletaria in alcuni paesi seppero approfittare delle opportunità che la situazione offriva loro per crescere fino a rovesciare il rapporto di forza rispetto alla classe dominante e prendere il potere. Quelle di altri paesi non ne furono capaci. Il problema diventa: in

che cosa si scostò dall'effettivo movimento politico della società l'immagine che chi dirigeva aveva di esso? È giocoforza riconoscere che lungo quel periodo nei paesi del l'Europa Occidentale i partiti comunisti oscillarono tra restare ancorati alle forme di lotta nate e collaudate durante il precedente periodo in cui il proletariato si era formato come classe politicamente a sé stante (grossomodo il periodo che va dai primi decenni alla fine d secolo XIX) e una concezione "puramente militare e organizzativistica" della lotta d proletariato.(4)

A partire dagli anni '70 un altro periodo analogo è incominciato, sia a livello dei rapporti internazionali sia a livello dei regimi politici di molti paesi. Di questo nuovo periodo trattiamo più dettagliatamente nello scritti Sulla situazione rivoluzionaria in sviluppo in questo stesso numero di Rapporti Sociali.

 

4. Basta pensare

- da una parte all'applicazione che nei paesi dell'Europa Occidentale venne data alla linea del Fronte Antifascista adottata nel 1935 dal settimo Congresso dell'Internazionale Comunista confrontandola con l'applicazione che diedero alla stessa linea i partiti comunisti, anch'essi membri dell'Internazionale, cinese, vietnamita, coreano, albanese, jugoslavo, ecc.;

- dall'altra parte alla polemica sulla dottrina militare del proletariato e sul suo rapporto con la lotta politica, polemica svoltasi in Unione Sovietica fin dai primi tempi della Guerra civile; alle tesi esposte in Neuberg L'insurrezione armata (si veda la disanima che ne fa Collazo in La guerra rivoluzionaria, ed. Rapporti Sociali); alla conduzione delle Resistenza antifascista. Questa fu l'ultimo "episodio" di lotta del proletariato europeo in quel periodo ed è significativo che i suoi gruppi dirigenti lo portarono a svolgere un ruolo prevalentemente militare (e infatti il proletariato diede il contributo di gran lunga principale allo sforzo militare), mentre non puntarono alla sua vittoria politica.

 

Le vicende politiche dei primi anni di questo periodo hanno già mostrato che nel nostro paese la capacità politica delle  forze soggettive della rivoluzione socialista (e quindi la loro concezione del mondo da cui deriva la capacità politica)(5) si ripresenta come l'elemento di freno (il "collo di bottiglia") del processo rivoluzionario.

Negli anni '70 il proletariato e le masse popolari del nostro paese(6) hanno compiute esperienze di lotte svariate, diffuse e prolungate. Ancora oggi i capitalisti e i loro amici ricordano quegli anni come un incubo e si congratulano del fatto che "per fortuna" sono finiti. Un coro di intellettuali, in gran parte reduci pentiti (sia ex spettatori plaudenti, sia gente che "si è sporcata le mani"), si guadagnano la loro "riconoscenza" gettando fango su quegli anni e facendo gli scongiuri che siano finiti "per sempre". Anche nel campo del popolo alcuni hanno un cattivo ricordo di quegli anni, ricordano con amarezza o rancore gli errori commessi o le sconfitte subite. L'unico atteggiamento degno di comunisti di fronte alle lotte di quegli anni è studiare 1e preziose esperienze (farne il bilancio) per ricavarne tutti gli insegnamenti possibili per raggiungere una migliore comprensione del movimento politico delle società imperialiste e quindi definire una linea guida per la rivoluzione socialista nel nostro paese: infatti persino gli errori e le sconfitte di quegli anni rivelano sulla natura della nostra società, sulla sua composizione di classe, sull'atteggiamento delle varie classi nei confronti della rivoluzione e sulla natura dei passaggi e dei "meccanismi" attraverso cui gli interessi delle varie classi si trasformano in azione politica, più di quanto contengono tutti i manuali di sociologia e di politica della cultura corrente.

 

5. Secondo la cultura borghese la capacità politica è questione o di "persone dotate" e "persone non dotate" oppure di maggior o minor possesso di una tecnica (per cui gli "animali politici", i "leaders", le "persone carismatiche", ecc. potrebbero indifferentemente servire una classe o l'altra). Noi sulla scorta dell'esperienza sosteniamo che, guardando all'aspetto principale della cosa, le caratteristiche che occorrono per essere un efficace dirigente politico proletario sono molto diverse da quelle che occorrono per essere un efficace dirigente politico borghese (e lo stesso vale per il dirigente militare, per il dirigente d'impresa, ecc.).

 

6. Ci pare che in quegli anni in tutti i più importanti paesi imperialisti si è manifestato un processo simile nelle linee generali a quello verificatosi in Italia negli anni '70. Questo confermerebbe che si è trattato di un fenomeno appartenente al movimento politico delle società imperialiste prodotto dalla svolta realizzatasi in quegli anni nel movimento economico del sistema imperialista mondiale: il passaggio dal periodo di ripresa e sviluppo (grosso modo 1945-1975) ad un nuovo periodo di crisi: la nuova crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale su cui in Rapporti Sociali siamo più volte e da più parti intervenuti.

 

Qual è stata la causa principale delle sconfitte in quel periodo? Qual è la genesi dell'attuale situazione delle forze soggettive della rivoluzione socialista?

Per fare un bilancio fruttuoso dell'esperienza è indispensabile porsi da un giusto punto di vista. Alcuni confrontano le aspirazioni e gli obiettivi che avevano in testa in quegli anni con il loro presente: è inevitabile che un bilancio di questo genere favorisca il disfattismo e il liquidazionismo e non produca niente di utile al fine di "trasformare la sconfitta in vittoria". Alcuni guardano alle lotte di quegli anni come ad un derivato o un sottoprodotto delle loro iniziative e della loro linea.(7) Neanche un bilancio di questo genere può condurre ad alcunché di utile. I suoi esponenti hanno in comune con i primi la concezioni idealista e soggettivista del movimento politico della società. Secondo questa concezione l'elemento motore della trasformazione della società sarebbero le idee e le iniziative degli individui e dei gruppi che "cadrebbero dal cielo" o "nascerebbero dal loro genio".

 

7. Tra questi ultimi vale la pena ricordare, ad illustrazione del concetto, gli attuali aspiranti "ricreatori del movimento" (di cui sono esponenti i redattori della rivista liquidatoria Politica e classe): questi, coerentemente e illusoriamente, si propongono di creare oggi un "nuovo movimento", essendo convinti di essere stati i creatori di quello di ieri.

 

Noi partiamo da tutt'altro punto di vista. Le idee e le iniziative dei gruppi e degli individui sono comprensibili solo alla luce del movimento delle masse. È questo movimento che le ha fatte sorgere ed esso a sua volta è determinato, nel suo corso fondamentale e attraverso una serie di mediazioni, dal movimento economico della società e quindi diventa comprensibile solo alla luce di questo: solo alla luce di questo è possibile individuarne gli sviluppi possibili, che sono sempre, in definitiva due e solo due: o la conservazione (in forme mutate) del potere della borghesia o la rivoluzione  socialista.

Negli anni '70 il movimento delle masse fu abbastanza vasto e diffuso da

- costringere i revisionisti moderni a rincorrere le masse e a "cavalcare la tigre" delle loro rivendicazioni;

- lacerare in molti punti e a vari livelli il controllo dei revisionisti moderni e di quelli che svolgevano un ruolo analogo al loro;(8)

- fare emergere dal suo seno una sua nuova avanguardia che si è sviluppata fino ad un certo punto.

A questa avanguardia il problema che si pose fu se sarebbe riuscita a raggiungere un livello di "autonomia" dal movimento che l'aveva generata, sufficiente a far fronte ai compiti nuovi che proprio il successo del movimento poneva all'ordine del giorno; se sarebbe riuscita ad "elevarsi" dal movimento che l'aveva espressa fino al livello del movimento comunista internazionale; se sarebbe riuscita a far propri la concezione del mondo e il patrimonio di verità universali del movimento comunista internazionale per tradurli in un "pensiero guida”, in una linea specifica che, unendo l'universale con gli aspetti specifici della nostra formazione economico-sociale, la rendesse capace di guidare alla vittoria la rivoluzione nel nostro paese. È il problema di fronte a cui si sono trovate anche le avanguardie espresse dal movimento rivoluzionario di altri paesi.(9)

Questa avanguardia ha "messo alla prova" la cultura borghese di sinistra e la cultura del revisionismo moderno. Un bilancio realista dello sviluppo di questa avanguardia, dei suoi successi e della sua crisi attuale, porta al conclusione che i suoi successi furono dovuti alla forza possente del movimento delle masse che la sorreggeva e la spinse avanti e di cui essa raccolse e sviluppò, con la forza che deriva dall'organizzazione, la volontà di lotta rivoluzionaria e la coscienza dell'antagonismo di classe che nelle masse erano presenti in forma dispersa e non sistematica, benché forte al punto che le organizzazioni politiche che non le raccolsero entrarono in una crisi irreversibile. Gli insuccessi furono dovuti all'incapacità della stessa avanguardia di operare una sintesi superiore di quella volontà e di quella coscienza da riportare alle masse perché la traducessero in un'azione rivoluzionaria di più alto livello. Solo così la lotta delle masse poteva proseguire, trasformandosi in una lotta di livello più alto. In sostanza, quella avanguardia non riuscì a liberarsi dalla cultura borghese di sinistra e dalla cultura del revisionismo moderno. Il movimento degli anni '70 di conseguenza si esaurì, dopo aver prodotto molto sul piano pratico, delle esperienze e dei risultati politici, quasi nulla sul piano teorico perché la cultura dominante nelle sue avanguardie restò un miscuglio, variamente dosato negli individui e nei gruppi, della cultura della Scuola di Francoforte(10) e della cultura del revisionismo moderno (quella che i denigratori della III Internazionale e del movimento comunista chiamano "cultura terzinternazionalista").

8. Il ruolo svolto dai revisionisti moderni (e dai loro omologhi negli altri paesi imperialisti) nel periodo di ripresa e sviluppo (1945-1975) si può riassumere nei seguenti punti:

- amministrare le lotte rivendicative delle masse e le conquiste da esse derivanti;

- amplificare nell'immaginario le conquiste ottenute, seminare ed alimentare l'illusione circa la possibilità che le conquiste fossero durature e crescenti e circa la trasformazione qualitativa della società per mezzo di esse;

- amplificare la potenza dei capitalisti e seminare rispetto o terrore del loro regime (in ogni caso sottomissione ad esso);

- dare "espressione politica" alle masse nell'ambito del regime esistente, essere la loro “sponda politica”;

- impedire lo sviluppo del carattere rivoluzionario del movimento delle masse.

 

9. Nella storia delle rivoluzioni proletarie alcune avanguardie si sono trovate a dover compiere il cammino dall'universale al particolare, altre il cammino dal particolare all'universale. Le prime, partite dall'assimilazione della teoria più avanzata elaborata dal movimento comunista, si sono trovate ad adempiere il compito di specificarla calandola nella pratica della rivoluzione del proprio paese. Le seconde, creatura del movimento rivoluzionario del proprio paese, con i suoi pregi e i suoi inevitabili limiti particolaristici, si sono trovate ad adempiere il compito di liberarsi da quei limiti e "collegare" la rivoluzione del proprio paese alla rivoluzione proletaria mondiale per condurre la rivoluzione nel proprio paese "al servizio" della rivoluzione mondiale.

 

10. Per la caratterizzazione della cultura della "scuola di Francoforte" vedasi Rapporti Sociali n. 5/6 pag. 16-20 e pag. 31-36. Il suo nucleo fondante è la fede nell'onnipotenza del capitale (e in ciò è semplicemente cultura borghese imperialista) e il lamento su questa onnipotenza (e in questo consiste il suo essere "di sinistra").

  

L'esperienza degli armi '70 ha confermato la tesi già enunciata dai marxisti-leninisti che il movimento delle masse non può svilupparsi oltre un certo livello senza una teoria rivoluzionaria e un'avanguardia (il partito comunista) che la impersoni nel movimento ponendosi alla sua direzione.

 

È a fronte di queste caratteristiche delle esistenti forze soggettive della rivoluzione socialista che l'assimilazione del maoismo si pone come necessità e passaggio risolutivo.(11)

L'opera di Mao Tse-tung abbraccia un lungo periodo. Essa riguarda la lotta del proletariato per la conquista del potere politico e la lotta del proletariato dopo la conquista del potere politico per lo sviluppo del socialismo (la transizione dal capitalismo al comunismo).

Marx ed Engels hanno tracciato la sintesi delle esperienze compiute dal proletariato ai suoi primi inizi come classe autonoma; hanno elaborato la teoria del movimento economico specifico della società borghese (del modo di produzione capitalista) che ne mette in evidenza il carattere storico (transitorio), le forze motrici, l'inevitabile trapasso nel comunismo; hanno dato forma organica alla concezione materialista dialettica della società secondo cui il movimento della struttura economica della società determina il movimento politico e culturale di essa e secondo cui il movimento della società (e in generale di ogni cosa) è determinato dalla contraddizione tra i due opposti che la compongono (di cui essa è l'unità).

 

11. A questa affermazione alcuni muoveranno la facile obiezione che "l'assimilazione del maoismo non basta ad assicurare la vittoria, come non bastò nella prima metà del secolo l'assimilazione del leninismo". È chiaro che lo studio del maoismo non basta di per sé a fare un comunista, come lo studio di un manuale di chimica, anche di un ottimo manuale di chimica, non basta a fare un chimico di successo. Ma noi proponiamo lo studio del maoismo a quanti cercano una via per la rivoluzione, supponendo in essi la capacità di assimilarlo e di applicarlo alla pratica e alle caratteristiche specifiche del movimento rivoluzionario del nostro paese; semplicemente sosteniamo che senza questo studio la loro ricerca sarà più difficile e l'esito più incerto e che il rifiuto di "unirsi" al movimento storico e internazionale di trasformazione dello stato attuale delle cose rende impossibile ad ogni gruppo dirigente locale di assurgere al ruolo di dirigente della rivoluzione socialista nel proprio paese che, al di là della coscienza che ne hanno i protagonisti, è oggettivamente parte della rivoluzione mondiale.

 

Lenin (e Stalin che, per quanto riguarda gli aspetti principali della sua attività, ne ha continuato e difeso l'opera) ha sviluppato queste concezioni facendo la sintesi delle esperienze della lotta del proletariato e dei popoli oppressi nel periodo in cui il capitalismo entrava nella fase imperialista (di declino) e il socialismo incominciava a divenire una realtà (il proletariato come classe già resasi autonoma entrava nel periodo delle rivoluzioni proletarie vittoriose).

Mao Tse-tung ha sviluppato il marxismo-leninismo e lo ha portato a un livello nuovo: è questo livello nuovo e più alto del "pensiero comunista" che chiamiamo maoismo. Egli ha costruito una teoria sistematica, organica e universale della rivoluzione proletaria prima e dopo la conquista del potere, sulla base dell'esperienza delle rivoluzioni proletarie (e delle rivoluzioni antimperialiste ed antifeudali che della rivoluzione proletaria fanno parte) di tutto questo secolo: cosa che ovviamente era impossibile sia a Marx sia a Lenin. Studiando questa teoria sviluppata da Mao Tse-tung salta subito all'occhio che egli ha evidenziato, sistematizzato, dato veste teorica organica, elevato a "verità universali" linee, misure e metodi già seguiti nella pratica da ogni partito comunista che aveva lottato con successo. Questo non sminuisce l'importanza del maoismo, al contrario ne conferma il ruolo di nuovo, più alto stadio di sviluppo del pensiero comunista. Infatti tutte le idee giuste, anche quelle dei comunisti, non "cadono dal cielo", non sono innate, non sono opera di un genio, ma vengono dall'esperienza, dal bilancio dell'esperienza e dalla verifica delle conclusioni. Quindi ogni cosa esiste (e deve esistere) nella pratica, in forma non coordinata e sistematica, prima di poter essere raccolta, resa sistematica, essere resa teoria e divenire quindi, in questa nuova veste, un più potente strumento di rivoluzionamento  della realtà.

Il maoismo è la teoria organica e universale delle esperienze accumulate dal movimento comunista internazionale dal suo inizio fino agli anni '70 di questo secolo, la sintesi più alta e più avanzata che finora ne è stata fatta. In questo senso il maoismo, come prima il marxismo e poi il leninismo, è il frutto (ultimo in ordine di tempo) di tutto il movimento comunista mondiale: in esso sono confluite le esperienze positive compiute da milioni di comunisti in tutto il mondo.

Il maoismo è quindi il più avanzato sistema organico delle verità universali finora elaborato in campo rivoluzionario. Nessuna avanguardia, di nessun paese, può prescindere da esso. Questo rende superfluo lo studio delle opere di Marx, Engels, Lenin, Stalin? No! Perché in qualunque campo gli ultimi sviluppi della conoscenza presuppongono tutte le conoscenze di quel campo.

Ovviamente le cose si possono capire anche senza leggere libri, indagandole e studiandole, ma le opere di Mao Tse-tung possono grandemente facilitare il nostro lavoro. Se si impara da soli, non si può che imparare rifacendo (“provando e riprovando”) anche errori che altri hanno già fatto, evidenziato e corretto. Se si usa l'esperienza di chi ha già fatto la stessa strada, si può riuscire a evitare, almeno in una certa misura, gli errori già messi in luce.

La teoria rivoluzionaria che guida un movimento alla vittoria è sempre l'unione di verità universali, valide per ogni paese, che riflettono l'unità internazionale del movimento economico e politico di trasformazione dello stato presente delle cose, e di linee particolari specifiche di ogni paese che riflettono le particolarità del suo movimento economico, politico e culturale.

Questo vale anche per l'insegnamento di Mao Tse-tung. Il Partito comunista peruviano(12) sintetizza questa tesi distinguendo tra maoismo (il sistema organico delle verità universali elaborate da Mao Tse-tung) e il pensiero di Mao Tse-tung (la linea del Partito comunista cinese, unione delle verità universali con la pratica specifica della rivoluzione cinese che Mao Tse-tung ha diretto). La distinzione è tanto più importante perché fino al 1956 (anno del ventesimo Congresso del PCUS che eresse il revisionismo moderno a "nuova linea generale del movimento comunista mondiale") il PCC e Mao Tse-tung non svolsero un ruolo internazionale(13) e quindi le verità universali del maoismo nelle opere di Mao Tse-tung nella maggior parte dei casi vengono enunciate nella forma concreta, applicata fino al 1949 alla rivoluzione di "nuova democrazia" e poi alla rivoluzione socialista del popolo cinese.

 

12. Guerra popular en el Perù - El pensamiento Gonzalo, ed. L.A. Borja.

 

13. Analogamente a come il Partito bolscevico e Lenin fino al 1914, anno in cui esplose il tradimento dei capi della II Internazionale e il fallimento di questa, non svolsero un esplicito ruolo internazionale.

 

2. Quali sono gli elementi del maoismo di particolare attualità per noi?

Quali sono i problemi che stanno di fronte a noi per la cui soluzione il maoismo potrà essere di grande aiuto a quanti sapranno assimilarlo e applicarlo? Crediamo che l'approccio al maoismo vada posto in questo modo. Per le persone che non hanno maturato domande dalla loro esperienza, che non si pongono quesiti circa la strada da prendere, le opere di Mao Tse-tung non possono essere di alcuna utilità. Anzi queste persone rischiano di essere incanalate, dalla lettura delle opere di Mao Tse-tung, nella sterile problematica accademica di "che cosa ha 'veramente' detto Mao Tse-tung". Le opere di Mao Tse-tung potranno essere utili a quei compagni nella cui coscienza la loro esperienza ha fatto maturare delle domande su "cosa fare" e che sono disposti a verificare nella pratica le risposte che ne verranno (infatti "per conoscere il gusto della pera, bisogna mangiarla").

 

 

  

 

2.1. L'analisi delle classi in cui è divisa la società

Lenin ha sviluppato la teoria marxista della lotta tra le classi e del ruolo dirigente (dittatura del proletariato) determinante della classe operaia tra le varie classi oppresse della società borghese e ha elaborato la categoria di campo rivoluzionario che nella fase imperialista a livello mondiale unisce il proletariato dei paesi imperialisti e i popoli oppressi dei paesi coloniali e semicoloniali e a livello di ogni paese unisce il proletariato e le altre classi oppresse. Egli in particolare per quante riguarda la Russia ha sistematicamente educato il Partito bolscevico a ricondurre i movimenti e i gruppi politici, alle classi di cui sono espressione e a basare i rapporti con i gruppi politici principalmente sulla loro "natura di classe".

Mao Tse-tung ha elevato l'analisi della composizione di classe del paese a campo specifico del lavoro del partito, come anello di passaggio in cui i ruoli definiti dalla struttura economica del paese si personificano in classi distinte che a loro volta sono i protagonisti delle lotte sociali (ponte tra il movimento economico e il movimento politico della società). Egli ha mostrato che il partito comunista doveva definire in ogni tappa della rivoluzione quali classi sono nel campo rivoluzionario, quali sono nel campo controrivoluzionario, quali oscillano. Solo su questa base il partito può condurre un'attività efficace che porta le masse, sulla base della esperienza che vengono direttamente facendo, ad assumere comportamenti politici coerenti con i loro interessi. Solo su questa base il partito può dare un'impostazione materialista, solida, scientifica della sua linea, della sua strategia e della sua tattica.(14)

 

14. Analisi delle classi della società cinese (1926) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 2, Edizioni Rapporti Sociali

 

Per capire l'importanza che ha questa teoria maoista per il movimento rivoluzionario del nostro paese basta pensare

- che in Italia a 100 anni dalla fondazione de primo partito socialista (Genova 1892) e a 70 anni dalla fondazione del partito comunista (Livorno 1921) non abbiamo mai avuto un'analisi delle classi in cui la popolazione del paese era divisa e del loro atteggiamento verso la rivoluzione socialista;

- alle analisi schematiche (borghesia, proletariato, classi medie) in cui alcuni per tanto tempo si sono cullati, "analisi" di nessuna utilità ai fini della lotta politica. Cosa che in realtà portava a fare dell'analisi del movimento economico qualcosa a sé stante, senza effetti sulla politica e a fare della politica il campo d'azione dei maneggioni, del fiuto, dell'estro del politicantismo;

- alle conseguenze nefaste della ricerca del "soggetto rivoluzionario" (studenti, dipendenti statali, movimenti indipendentisti, sottoproletariato, proletari prigionieri, "proletariato extralegale", ecc.) a cui si sono dedicati alcuni settori dell'avanguardia emersa da movimento degli anni '70, confondendo effimere manifestazioni politiche con gli interessi che muovono le classi e, di conseguenza, non riuscendo neanche a far fruttare quanto possibile in quelle;

- alle politiche di alleanza senza basi di classe praticate nel nostro paese: dalla "alleanza con i cattolici" al "milazzismo"!

 

2.2. La situazione rivoluzionaria in sviluppo

Marx ed Engels hanno combattuto la politica di setta, di piccolo gruppo e la strategia da colpo di mano praticata da alcuni dei primi gruppi socialisti e hanno messo in luce che essa mutuava concezione del movimento politico della società e forme di lotta dalla rivoluzione borghese, che non corrispondevano però alle condizioni specifiche della nuova società creata dalla stessa borghesia e quindi alle condizioni specifiche della rivoluzione proletaria. Essi misero in luce  che la rivoluzione socialista doveva essere (e non poteva che essere) opera della classe operaia stessa che dirigeva le altre classi oppresse della società borghese.

Lenin ha sviluppato questa teoria di Marx ed Engels nella teoria della “situazione rivoluzionaria”. Egli ha mostrato che la rivoluzione non è possibile senza una situazione rivoluzionaria, una crisi che coinvolge “l’intera società” e che, quindi, il partito comunista doveva basare la sua direzione sulla comprensione dello svolgimento della situazione rivoluzionaria stessa.

Mao Tse-tung ha sviluppato la teoria leninista della situazione rivoluzionaria nella teoria della “situazione rivoluzionaria in sviluppo”, cioè di un periodo relativamente lungo in cui il regime politico borghese, per precise cause economiche proprie della fase imperialista del capitalismo, non riesce ad avere un assetto stabile. In periodi di questo genere le forze soggettive della rivoluzione possono, se sfruttano le leggi proprie del periodo e regolano su di esse la loro tattica, crescere fino a rovesciare il rapporto di forza e prendere il potere.(15)

 

15. Una scintilla può dar fuoco a tutta la prateria (1930) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 2, Edizioni Rapporti Sociali.

 

Egli quindi da una parte ha tenuto ferma la tesi antisoggettivista che la “situazione oggettiva” regola l’attività rivoluzionaria, che le forze soggettive della rivoluzione devono regolare la loro strategia e la loro tattica in base allo sviluppo concreto di quella ed ha rilevato che questo non riguarda solo il “colpo finale” portato al vecchio regime, ma riguarda anche il processo di accumulazione delle forze.

Se ripensiamo alle vicende dei paesi europei nel periodo 1915-1945 balza agli occhi la fecondità della categoria “situazione rivoluzionaria in sviluppo”.

Se pensiamo alla situazione attuale alla luce della teoria maoista della “situazione rivoluzionaria in sviluppo”, la situazione attuale cessa di avere quei connotati da minaccia incombente con cui la presentano i revisionisti moderni e i riformisti, promossisi a difensori dello status quo politico e a impotenti conservatori delle sue forme (“la Costituzione non si tocca!”), e assume anche nella nostra mente i reali connotati di situazione in cui le vecchie forme del potere della classe dominante non funzionano più e questa non ne ha ancora trovate di nuove: quindi una situazione particolarmente ricca di possibilità di sviluppo per le forze soggettive della rivoluzione.

 

2.3. La teoria della conoscenza e lo stile di lavoro del partito

Come si raggiunge la comprensione della composizione di classe della società, la comprensione della reale natura della situazione? Da dove vengono le idee giuste?

Marx ha chiaramente formulato la tesi che il pensiero è un derivato della realtà, un prodotto della materia, abbracciando la teoria materialista.

Lenin ha sviluppato questa tesi nella teoria del riflesso: le idee, i concetti e le teorie sono il risultato dell’elaborazione del riflesso della realtà nel cervello dell’uomo.

Mao Tse-tung ha elaborato una teoria generale del processo conoscitivo.

“Da dove provengono le idee giuste? Cadono dal cielo? No. Sono innate? No. Esse provengono dalla pratica sociale e solo da essa. Provengono da tre tipi di pratica sociale: la lotta per la produzione, la lotta di classe e la sperimentazione scientifica. E’ l’esistenza sociale dell’uomo che determina le sue idee; a loro volta le idee giuste, caratteristiche della classe avanzata, una volta che le masse se ne sono impadronite, si trasformano in una forza materiale capace di trasformare la società e il mondo. Nella loro pratica sociale gli uomini si impegnano in vari tipi di lotta e acquistano una ricca esperienza, sia dai successi sia dagli insuccessi. Innumerevoli fenomeni del mondo oggettivo esterno si riflettono  nel cervello dell’uomo attraverso i cinque sensi: vista, udito, odorato, gusto e tatto. All’inizio la conoscenza è percettiva. Quando si sono accumulate sufficienti conoscenze percettive, si verifica un salto per cui queste si trasformano in conoscenza razionale, cioè in pensiero. Questo è una parte del processo della conoscenza. E’ la prima fase dell’intero processo della conoscenza, è la fase del passaggio dalla materia, oggettiva, allo spirito, soggettivo; dall’esperienza al pensiero.

In questa fase non è ancora provato se lo spirito, o pensiero (che include teorie, linea politica, piani e metodi) riflettono correttamente le leggi del mondo oggettivo esterno; non è ancora possibile determinare se esso sia o no giusto. Segue la seconda fase del processo della conoscenza, la fase del passaggio dallo spirito alla materia, dal pensiero all’essere, in cui si applica alla pratica sociale la conoscenza acquisita durante la prima fase per vedere se le teorie, la linea politica, i piani e i metodi danno i risultati previsti. In generale è giusto ciò che riesce, sbagliato ciò che fallisce; (...).

Attraverso la prova della pratica, la conoscenza dell’uomo compie un salto, più importante del precedente. Solo questo salto, in effetti, permette di provare la validità del primo, cioè la validità delle idee, delle teorie, della linea politica, dei piani, dei metodi, ecc., elaborati nel corso del processo di riflessione del mondo oggettivo esterno. Non vi sono altri mezzi per provare la verità.

Il proletariato mira a conoscere il mondo per trasformarlo, al di fuori di questo non c’è altro. Spesso si può giungere a una conoscenza giusta solo dopo molte ripetizioni del processo di passaggio dalla materia allo spirito, poi dallo spirito alla materia, cioè dalla pratica alla conoscenza, poi dalla conoscenza alla pratica.

Questa è la teoria marxista della conoscenza, la teoria materialista dialettica della conoscenza”.(16)

 

16. I dieci punti (1963) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 20, Edizioni Rapporti Sociali.

 

Mao Tse-tung mostra lo stretto legame tra lo stile di lavoro del partito comunista e la teoria materialista dialettica della conoscenza.

“Una tattica giusta e decisa del partito comunista non può assolutamente essere opera di un pugno di uomini seduti in una stanza; essa non può che scaturire nel corso delle lotte di massa, vale a dire dall’esperienza pratica. Per questo dobbiamo avere una costante comprensione della situazione sociale, svolgere costantemente inchieste sui fatti. (...)

Non riuscite a risolvere un problema? Ebbene, andate a indagare sul suo stato attuale e sui precedenti. Quando un’indagine esauriente vi avrà fatto capire come stanno le cose, avrete anche i mezzi per risolvere quel problema. Ogni conclusione scaturisce alla fine dell’indagine, non si trova all’inizio di quella. Solo gli idioti “escogitano sistemi” e “prendono decisioni” da soli o convocando un piccolo gruppo di persone, senza fare inchieste, ma accontentandosi di ardue elucubrazioni. Dovete sapere che così non è possibile escogitare nessun buon sistema né prendere buone decisioni. In altre parole, ne deriveranno certamente sistemi sbagliati e decisioni sbagliate. (...)

Dalla mancanza di inchieste sui fatti derivano una valutazione delle classi e direttive di lavoro di tipo idealista. Il risultato sarà l’opportunismo o l’avventurismo. (...)

Ritenere che tutto quello che sta nei libri è giusto, è una mentalità tuttora esistente tra i contadini cinesi culturalmente arretrati. (...) Anche nello studio delle scienze sociali il metodo di ricerca libresco è uno dei più pericolosi, può addirittura portare sulla via della controrivoluzione. In Cina diversi comunisti che si dedicavano allo studio delle scienze sociali traendo alimento dai libri non sono forse diventati, un gruppo dopo l’altro, dei controrivoluzionari? Questa è una prova lampante. Noi diciamo che il marxismo è giusto non perché Marx sia qualcosa come un “sapiente del tempo antico”, ma perché le sue teorie si sono rivelate giuste nella nostra pratica e nelle nostre lotte. Nella nostra lotta abbiamo bisogno del marxismo. Nella nostra adesione a questa teoria non c’è niente di formalistico o addirittura di mistico, come nel concetto di “sapiente del tempo antico”. Molti che hanno letto i testi del marxismo sono diventati dei  rinnegati della rivoluzione, mentre spesso operai che non sanno leggere, sanno però impadronirsi ottimamente del marxismo. I testi del marxismo vanno studiati, ma debbono essere integrati con la conoscenza della nostra situazione reale. Abbiamo bisogno dei libri, ma dobbiamo senz’altro correggere la mentalità libresca che prescinde dalla situazione reale.

Come si può correggere questa mentalità libresca? Solo svolgendo indagini sulla situazione reale (...).(17)

Non è qualcosa che fa a pugni con l’abitudine diffusa tra noi di “teorizzare” sulla base di ciò che abbiamo letto: per di più, assai spesso, letto su libri e periodici borghesi, quindi di un teorizzare sulla base di un’immagine del mondo e di una selezione di elementi trasmesseci dal nostro nemico?(18) C’è da meravigliarsi che “la situazione è complessa”, “la situazione è confusa”?

 

17. Contro la mentalità libresca (1930) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 3, Edizioni Rapporti Sociali.

 

18. Per la classe dominante i importante ciò che è. Per noi comunisti (e per il materialista dialettico in generale) è importante ciò che oggi esiste in germe, ma è suscettibile di svilupparsi. È quindi chiaro che la selezione degli aspetti importanti attuali è totalmente diversa per la classe dominante e per noi.

 

Valorizzare l’esperienza come mezzo per conoscere significa sia rompere uno dei canali attraverso cui si afferma l’egemonia culturale della classe dominante, sia rompere con il ruolo teorico riservato agli intellettuali e il ruolo esecutivo riservato ai lavoratori nell’attività rivoluzionaria e nel partito. Ogni uomo ha un ricco patrimonio di esperienze: il problema sta nell’usarle come fonte di conoscenza e mettere in moto un processo di verifica delle conoscenze che, nel caso della scienza sociale, non può che essere il processo della lotta di classe; mentre il partito comunista è l’organo che compie questi processi.

 

2.4. I metodi di direzione del partito comunista nella guerra rivoluzionaria

Mao Tse-tung ha sintetizzato l’esperienza acquisita dai partiti comunisti nelle rivoluzioni socialiste e nelle lotte antimperialiste di liberazione nazionale e ha creato una teoria organica dei metodi di direzione e di lavoro dei partiti comunisti nella guerra rivoluzionaria.

L’analisi della situazione e l’analisi delle classi portano alla definizione di due campi. Il campo delle forze e dei gruppi sociali non ostili alla rivoluzione (il popolo) e il campo delle forze e dei gruppi sociali nemici della rivoluzione (i nemici del popolo).

La linea di demarcazione tra i due campi è definita dai compiti specifici della tappa della rivoluzione, quindi risulta dalla definizione della fase economica e politica. Nessuno dei due campi è definito una volta per tutte. “La nozione di popolo acquista significati differenti nei diversi paesi e nei diversi periodi storici di ogni paese”.(19) Ad ogni tappa della rivoluzione il partito deve individuare chiaramente i campi in relazione ai compiti specifici di quella tappa.

 

19. A proposito l’esperienza storica della dittatura del proletariato (1956) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 13, Edizioni Rapporti Sociali.

 

Ogni cosa è unità contraddittoria di elementi opposti e la contraddizione è il motore di ogni trasformazione. Ogni cosa si trasforma in base alle contraddizioni proprie che definiscono le possibili trasformazioni di essa; l’interazione con il resto della realtà determina l’attuarsi di una delle sue trasformazioni possibili e la scomparsa dell’altra nel limbo delle possibilità mai realizzate. Dirigere vuol dire trattare le contraddizioni nel loro sviluppo. L’individuazione dei due campi definisce “due tipi diversi di contraddizioni sociali: le contraddizioni tra il nemico e noi e le contraddizioni in seno al  popolo”.

Le contraddizioni tra il nemico e noi sono contraddizioni principalmente antagoniste. Il metodo principale e universale con cui vanno trattate è la guerra: la contraddizione può svilupparsi solo nell’eliminazione del nemico, “il potere nasce dalla canna del fucile”.

Le contraddizioni in seno al popolo presentano a loro volta due aspetti. Alcune contraddizioni non sono antagoniste; altre hanno un aspetto antagonista, ma anche un aspetto non antagonista che emerge dalla fondamentale identità di interessi del popolo nella specifica tappa in corso della rivoluzione. In generale il popolo si divide in tre parti: le forze politiche e i gruppi sociali interessati alla rivoluzione, quelli intermedi e quelli che oppongono resistenza alla rivoluzione.

Il metodo principale di direzione del partito nei confronti dei primi è “la linea di massa”.

“In ogni lavoro pratico del nostro partito, una direzione giusta può essere realizzata solo basandosi sul principio ‘dalle masse alle masse. Questo significa valutare (cioè coordinare e sistemare dopo uno studio attento) le vedute delle masse (cioè i punti di vista non coordinati né sistematici) e riportare di nuovo le idee che ne risultano alle masse, fino a che le masse le facciano proprie, le difendano e le traducano in azione, e attraverso l’azione delle masse ne venga provata la giustezza; quindi raccogliere ancora una volta in sintesi i punti di vista delle masse, di nuovo riportare le idee, che da questa sintesi risultano, alle masse per ottenere il loro fermo appoggio e così via, più e più volte, in modo che ad ogni nuovo confronto con le masse queste idee emergano con sempre maggior giustezza, divengano più vitali e significative. Questo è ciò che la teoria marxista della conoscenza ci insegna”.(20)

 

20. A proposito dell’esperienza storica della dittatura del proletariato (1956) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 13, Edizioni Rapporti Sociali.

 

Quanto alle forze politiche e ai gruppi sociali intermedi e a quelli che oppongono resistenza, i metodi da adottare variano da situazione a situazione.

“(...) Stalin formulò il giudizio secondo cui ad ogni tappa della rivoluzione lo sforzo principale doveva essere diretto a isolare le forze sociali e politiche intermedie di quella tappa. Noi dobbiamo esaminare questa teoria di Stalin adeguandoci alle circostanze da un punto di vista critico marxista. In taluni casi, può essere giusto isolare tali forze, ma non è sempre giusto isolarle in ogni circostanza. Basandoci sulla nostra esperienza, lo sforzo maggiore dovrebbe essere diretto, durante la rivoluzione, contro il nemico principale per isolarlo. Nei confronti delle forze intermedie noi dobbiamo adottare sia la politica di unirci a loro, sia di combatterle, o per lo meno di neutralizzarle, sforzandoci, quando le circostanze lo permettono, di farle passare da una posizione neutrale ad una posizione di alleanza con noi, in modo da poter aiutare lo sviluppo della rivoluzione.

(...) il Comitato centrale del Partito comunista cinese, durante gli anni della guerra contro il Giappone, sostenne il principio di ‘sviluppare le forze progressive, guadagnare le forze intermedie e isolare le forze dure a morire. Le forze progressive cui ci si riferiva erano le forze degli operai, dei contadini e degli intellettuali rivoluzionari guidate o influenzabili dal Partito comunista cinese. Le forze intermedie erano la borghesia nazionale, tutti i partiti democratici e i senza partito.

Le forze dure a morire erano le forze dei compradores e le forze feudali capeggiate da Chiang Kai-shek, che attuavano una resistenza passiva all’aggressione giapponese e si opponevano ai comunisti. L’esperienza nata dalla pratica ha dimostrato che questa politica sostenuta dal Partito comunista cinese si adattava bene alle circostanze della rivoluzione cinese ed era corretta”.(21)

 

21. A proposito dell’esperienza storica della dittatura del proletariato (1956) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 13,  Edizioni Rapporti Sociali.

Vale la pena ricordare che nel 1945, conclusa vittoriosamente la guerra di resistenza antigiapponese, la rivoluzione in Cina entrò in un’altra tappa (la Guerra di Liberazione). La nozione di popolo acquistò un altro significato. Le forze dei compradores e le forze feudali capeggiate dal Kuomintang e appoggiate dall’imperialismo anglo-americano divennero i nemici principali e la contraddizione con essi potè essere risolta solo con la guerra.

Viene spontaneo il confronto con lo scontro di linee avvenuto nel nostro paese di fronte alla Resistenza antifascista: da una parte la destra (Togliatti e soci) che fomentava una concezione statica dei campi in lotta (fascismo e antifascismo) e nascondeva le contraddizioni di classe e politiche nel campo antifascista e dall’altra gli estremisti “di sinistra” che, non prendendo atto delle tappe specifiche attraverso cui la rivoluzione si sviluppa, si opposero a concentrare lo sforzo maggiore contro il nazifascismo e in questo modo favorirono la vittoria della destra.

 

La teoria dei metodi di direzione del partito comunista riguarda il ruolo essenziale del partito, il suo ruolo d’avanguardia che è la ragione della sua esistenza; il rapporto tra democrazia e centralismo, tra unità e lotta, tra egemonia e violenza, tra lotta pacifica e guerra. Quindi qui, più ancora che per gli altri elementi del maoismo, un’esposizione sommaria è pericolosa. Questa teoria deve essere studiata attentamente e l’applicazione deve essere oggetto di verifica costante e critica. Crediamo tuttavia che questi brevi cenni bastino a farne intendere la ricchezza e l’importanza per ogni partito comunista, onde evitare, o almeno ridurre,

-gli errori di opportunismo (trattare contraddizioni antagoniste come non antagoniste) e di estremismo, avventurismo e settarismo (trattare contraddizioni non antagoniste come antagoniste);

-la confusione tra i problemi della guerra rivoluzionaria e della sua direzione e i problemi della lotta tra le due linee (nella concezione del mondo, nell’analisi delle classi e della situazione, nella definizione degli obiettivi politici e delle misure organizzative) che si svolge all’interno del popolo, delle forze rivoluzionarie e del partito.

 

2.5. L’atteggiamento verso il nemico

Già Lenin aveva elaborato la tesi che nostra è l’epoca delle rivoluzioni proletarie, l’epoca del declino del capitalismo e che l’imperialismo è capitalismo parassitario, decadente, moribondo.

Mao Tse-tung ha sviluppato questa tesi alla luce dei successi conseguiti dal proletariato e dai movimenti antimperialisti di liberazione nazionale delle colonie e delle semicolonie e dalla resistenza sempre più feroce degli imperialisti al loro tramonto. Egli ha formulato la tesi “gli imperialisti e tutti i reazionari sono tigri di carta”.

“Per la lotta contro il nemico, nel corso di un lungo periodo, ci siamo formati il concetto che strategicamente dobbiamo disprezzare tutti i nostri nemici, ma che tatticamente dobbiamo prenderli in considerazione. Questo significa anche che per quanto riguarda il tutto noi dobbiamo disprezzare il nemico, ma per quanto riguarda ciascuna singola questione concreta, dobbiamo prenderlo in seria considerazione.

Se per quanto riguarda il tutto noi non disprezzassimo il nemico, commetteremmo l’errore di opportunismo. Marx ed Engels erano due persone. Tuttavia già a quei tempi essi dichiararono che il capitalismo sarebbe stato rovesciato in tutto il mondo.

Ma trattando problemi concreti e o nemici particolari, commetteremmo l’errore di avventurismo se non li prendessimo in seria considerazione. (...)

Come non c’è nessuna cosa al mondo, che non abbia duplice natura (questa è legge dell’unità degli opposti), così l’imperialismo e tutti i reazionari hanno anch’essi duplice natura: essi sono nello stesso tempo sia tigri vere sia tigri di carta.

Nel passato, le classi di proprietari di schiavi, dei signori feudali e la borghesia prima che conquistassero il potere e per qualche tempo dopo, erano vigorose rivoluzionarie e progressiste: erano tigri vere. Ma col passare del tempo, dato che i loro antagonisti (la classe degli schiavi, la classe dei contadini, il proletariato) diventarono gradualmente più forti  lottatori contro di esse e diventarono sempre più formidabili, queste classi dominanti si trasformarono gradualmente nel loro opposto, diventarono reazionarie, diventarono arretrate, diventarono tigri di carta. E alla fine sono state o saranno rovesciate dal popolo.

Le classi reazionarie, arretrate e decadenti, anche di fronte all’ultima lotta ad oltranza con il popolo, conservano questa duplice natura. Da un lato, da vere tigri, divorano gli uomini, li divorano a milioni e a decine di milioni. La causa della lotta popolare attraversa un periodo di difficoltà e di sofferenze, le si presenta una strada piena di tortuosità.

Il popolo cinese, nella lotta per eliminare in Cina il dominio dell’imperialismo, del feudalesimo e del capitalismo burocratico, ha dovuto spendere più di cento anni e decine di milioni di vite, prima di arrivare alla vittoria del 1949. Guardate, queste non erano forse tigri viventi, tigri di ferro, tigri vere? Ma alla fine sono diventate tigri di carta, tigri morte, tigri di soia quagliata. Questi sono fatti storici. (...)

Dunque, esaminando l’imperialismo e tutti i reazionari nella sostanza, da un punto di vista a lunga scadenza e strategico, si deve considerarli per quello che sono in realtà: tigri di carta. Su questo noi costruiamo la nostra linea strategica.

D’altra parte, essi sono tigri vive, tigri di ferro, tigri vere e mangiano gli uomini. E su questo noi costruiamo la nostra linea tattica. (...)

La storia ci insegna che tutti i rivoluzionari, inclusi naturalmente anche quelli borghesi, riescono a diventare rivoluzionari soprattutto perché osano disprezzare il nemico, osano lottare e osano conseguire la vittoria. Coloro che hanno paura del nemico e non osano lottare, non osano conseguire la vittoria, non possono che essere riformisti o capitolazionisti. Essi non possono certo essere rivoluzionari”.(22)

 

22. Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi (1963) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 19, Edizioni Rapporti Sociali.

 

Non è una questione rilevante per il nostro paese nella situazione attuale? Di contro a quanti cercano ancora di dipingere in modo roseo la società capitalista, vi è una sedicente sinistra che si distingue dai primi perché denuncia le malefatte del capitalismo, ma nello stesso tempo diffonde tra le masse il terrore di esso amplificandone la potenza. A loro dire “l’imperialismo USA è cattivo ma onnipotente, la borghesia è cattiva ma onnipotente, il regime DC è cattivo ma onnipotente”. Garavini-Cossutta si distinguono da Occhetto-Napolitano perché denunciano la malvagità dell’attuale classe dominante, ma sono d’accordo nel proclamarne l’onnipotenza. Altri continuano da anni a denunciare le stesse malefatte del regime, senza chiedersi il motivo della sterilità della loro azione.

Di fatto l’impero americano, la borghesia e il regime DC hanno molti punti deboli, presentano in misura crescente crepe in cui il movimento rivoluzionario può incunearsi e su cui può far leva per accumulare forze: infatti è solo combattendo in conformità alla situazione concreta che il partito della rivoluzione può rafforzarsi. L’imperialismo americano, la borghesia e il regime DC si armano ogni giorno di più, si affannano ad erigere nuove difese del loro potere, ricorrono a misure di provocazione, terroristiche e di sterminio più potenti e feroci: perché lo fanno? Perché i loro singoli esponenti sono nati malvagi d’animo? No! Perché in base a tutta la loro esperienza di potere sanno di essere seduti su un barile di polvere, perché vedono che la situazione sfugge loro di mano.

Quelli che denunciano le malefatte della borghesia e ne proclamano allo stesso tempo l’onnipotenza, cosa fanno se non seminare tra le masse oppresse il terrore della borghesia e spingerle alla rassegnazione e alla passività? L’obiettivo di questi avventurieri non è che i lavoratori e le masse prendano coraggio, capiscano quali sono (accanto ai propri punti deboli) i propri punti forti, quali sono (accanto ai punti forti) i punti deboli del nemico e facciano leva sui propri punti forti e sui punti deboli del nemico per combatterlo fino a vincerlo. Il loro obiettivo è che le masse, impaurite dalla  potenza degli imperialisti, si rifugino sotto la “protezione” di questi avventurieri, diano ad essi i loro voti e li appoggino nella loro scalata sociale. Essi anziché rafforzare l’attività e l’iniziativa delle masse col concorso della loro opera, vogliono servirsi delle masse per presentarsi alla borghesia e “trattare” con essa come “padroni della volontà delle masse”, “voi avete i soldi, noi abbiamo i voti”, “se non vi mettete d’accordo con noi, scateniamo le masse”.(23)

 

23. In realtà, in periodi come l’attuale, la predicazione terroristica di questi avventurieri, dove e finché fa presa, rafforza più gli imperialisti che loro, perché chi è scoraggiato e impaurito dalle loro grida finisce col rassegnarsi al padrone e, anziché riporre fiducia in “difensori” così infidi e codardi, corre a cercare la benevolenza del padrone: c’è da meravigliarsi che attualmente i “partiti di sinistra” perdano voti a vantaggio dei “partiti di destra”? C’è da meravigliarsi che i “partiti di sinistra” guadagnassero voti quando il movimento delle masse era forte e nell’azione pratica scavalcava i “partiti di sinistra”?

 

Non è chiaro che il disprezzo verso gli imperialisti e la certezza della loro sconfitta è la premessa indispensabile per poterli vincere? Avere una giusta valutazione del nemico, rifuggendo sia dall’opportunismo sia dall’avventurismo, è una questione fondamentale per il successo delle forze rivoluzionarie. Non a caso la tesi “gli imperialisti e tutti i reazionari sono tigri di carta” è stata attaccata con furore dai revisionisti moderni, tra cui Togliatti le cui affermazioni al decimo Congresso del PCI (1962) sono state lo spunto dello scritto da cui abbiamo tratto il brano sopra riportato.

 

2.6. Il popolo come campo delle forze non ostili alla rivoluzione

Marx ed Engels hanno dedicato tutta la loro opera a mettere in luce il ruolo rivoluzionario della classe operaia. Marx affermò apertamente che il suo contributo principale non consisteva nell’aver individuato che la società è divisa in classi e che la lotta tra le classi è all’origine della trasformazione della società, bensì nell’aver individuato che il superamento della società borghese comportava e doveva inevitabilmente comportare l’assunzione da parte della classe operaia del ruolo di classe dirigente dell’intera società (dittatura del proletariato). Di contro agli opportunisti che “interpretavano” il ruolo dirigente della classe operaia come il suo divenire maggioranza della popolazione (e quindi, secondo i loro conticini da ragionieri, maggioranza elettorale), egli mise in chiaro che non di maggioranza si trattava, ma di ruolo dirigente della classe operaia rispetto alle altre classi oppresse della società borghese nella comune lotta contro la borghesia. Marx ed Engels si opposero risolutamente alla tesi di Lassalle e altri secondo cui tutte le altre classi della società borghese, all’infuori del proletariato, costituivano “un’unica massa reazionaria”. Engels esplicitamente ancora nella seconda metà del secolo scorso indicava una “riedizione della Guerra dei contadini” come unica via possibile per la rivoluzione socialista in Germania.(24)

 

24. Tra il 1524 e il 1525 si svolse nelle regione germaniche una grande rivolta antifeudale dei contadini, nota con il nome di Guerra dei contadini. Alla fine gli insorti vennero sconfitti.

 

Lenin ha sviluppato questa concezione marxista nella linea dell’alleanza operai-contadini per quanto riguardava la rivoluzione russa e, a livello internazionale, dopo che il capitalismo aveva diviso il mondo in un pugno di paesi imperialisti e una massa di paesi oppressi, dell’alleanza del proletariato dei paesi imperialisti con i popoli dei paesi coloniali e semicoloniali.

Mao Tse-tung ha costruito una teoria organica della rivoluzione nei paesi coloniali e semicoloniali e del ruolo di questi nella rivoluzione proletaria mondiale.

“L’economia mercantile che si sviluppò in seno alla società feudale cinese portava già in sé i germi del capitalismo. La Cina avrebbe potuto a poco a poco trasformarsi in una società capitalista, anche senza l’influenza del capitale straniero. Ma penetrando in Cina, il capitalismo straniero accelerò questo processo. Esso ebbe una parte importante nel disgregare l’economia sociale cinese: da un lato minò la base dell’economia naturale autosufficiente e rovinò l’industria artigiana,  sia nelle città sia nelle case dei contadini, dall’altro favorì lo sviluppo dell’economia mercantile nelle città e nelle campagne.

Questo stato di cose, oltre a disgregare la base dell’economia feudale cinese, creò determinate condizioni e possibilità oggettive per lo sviluppo della produzione capitalista in Cina. Infatti, la distruzione dell’economia naturale fornì al capitalismo uno sbocco per le sue merci, mentre la rovina di una massa enorme di contadini e artigiani creava per esso un mercato di manodopera. (...)

Tuttavia la nascita e lo sviluppo del capitalismo (...) non rappresentano che un aspetto dei cambiamenti intervenuti in seguito alla penetrazione dell’imperialismo in Cina. Vi è infatti un altro aspetto concomitante che è al tempo stesso di ostacolo a quello precedente, ossia la collusione dell’imperialismo con le forze feudali cinesi per impedire lo sviluppo del capitalismo cinese. Penetrando in Cina le potenze imperialiste non intendevano per nulla fare della Cina feudale un paese capitalista; al contrario intendevano fare della Cina una semicolonia e una colonia. (...)

Le potenze imperialiste hanno creato in Cina una rete di sfruttamento formata dai compradores e dai mercanti usurai, che si estende dai grandi porti commerciali fino agli angoli più remoti del paese e hanno creato una classe di compradores e di mercanti usurai al loro servizio, al fine di sfruttare più facilmente le masse contadine e altri strati della popolazione.

Le potenze imperialiste hanno fatto della classe dei proprietari fondiari feudali, come anche della classe dei compradores, il sostegno del loro dominio in Cina. L’imperialismo si allea innanzitutto con 1e classi dominanti della struttura sociale precedente, con i signori feudali e la borghesia mercantile e usuraria, contro 1a maggioranza del popolo. L’imperialismo tenta dappertutto, ma specialmente nei villaggi, di conservare e di perpetuare tutte quelle forme precapitaliste di sfruttamento che servono come base dell’esistenza dei suoi reazionari alleati. In Cina l’imperialismo, con tutta la sua potenza finanziaria e militare, è la forza che sostiene, ispira, coltiva e conserva le sopravvivenze feudali, come tutta la loro sovrastruttura burocratica-militarista.

Allo scopo di alimentare le lotte intestine fra i signori della guerra e di mantenere oppresso il popolo cinese, le potenze imperialiste forniscono al governo reazionario cinese grandi quantità di armi e munizioni e una schiera di consiglieri militari. (...)

Vediamo quindi che, con la loro aggressione contro la Cina, le potenze imperialiste hanno da una parte affrettato la disgregazione della società feudale e sviluppato gli elementi di capitalismo trasformando la società feudale cinese in una società semifeudale e, dall’altra, hanno imposto alla Cina il loro spietato dominio, riducendola da paese indipendente a paese semicoloniale e coloniale”.(25)

 

25. La rivoluzione cinese e il Partito comunista cinese (1939) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 7, Edizioni Rapporti Sociali.

 

Da questa analisi Mao Tse-tung deriva per i paesi semifeudali e semicoloniali la linea della rivoluzione di nuova democrazia, come rivoluzione antifeudale e antimperialista che ha come forza principale i contadini e corni forza dirigente il proletariato tramite il suo partito comunista.

Questa analisi chiarisce anche il ruolo dei paesi semicoloniali nell’attuale crisi per sovrapproduzione di capitale: da una parte il bisogno del capitale imperialista di sussumerli nel suo processo d’accumulazione e dall’altro l’impedimento che lo stesso sistema imperialista pone alla loro sussunzione nel modo di produzione capitalista, la rovina dell’attività economica primitiva di sussistenza di milioni di contadini, la cacciata di essi verso le bidonville e verso i paesi imperialisti, la posizione senza speranze delle classi dirigenti feudali e borghesi locali.

La stessa teoria getta luce anche sui reali rapporti che l’imperialismo tenta di instaurare con i paesi dominati dai  revisionisti moderni e dai loro successori (URSS, Cina, Europa Orientale, ecc.): da una parte esso ha “aiutato” i revisionisti moderni e la nuova borghesia locale a disgregare la società socialista e a prendere il potere. Dall’altra esso cerca (e deve cercare) di sfruttare in proprio il proletariato e i lavoratori di quei paesi e quindi contrasterà con ogni mezzo la formazione di gruppi imperialisti concorrenti.

Quanto ai paesi imperialisti, dopo la seconda Guerra Mondiale la borghesia ha dispiegato tutte le sue risorse per impedire lo sviluppo del movimento rivoluzionario del proletariato, isolarlo e stroncarlo. Di fronte al pericolo, essa ha usato, accanto alle pallottole vere, anche le pallottole zuccherate e, finché le è stato possibile, ha fatto concessioni sul piano economico e culturale evitando di arrivare allo scontro. Ma di fronte al sopravvenire di una nuova crisi, essa è costretta ad eliminare una dopo l’altra le concessioni fatte suscitando resistenze sempre più accanite e diffuse.

In questa situazione il maoismo è una guida profonda per tutti i comunisti a definire, a livello dei singoli paesi e a livello internazionale, il campo del popolo che il corso dell’esperienza diretta e l’azione dei comunisti possono trasformare nelle forze rivoluzionarie risolutrici della crisi presente.

 

2.7. La società socialista

Dal 1956, anno in cui i revisionisti moderni assunsero il potere in URSS, Mao Tse-tung si è posto il compito di fare il bilancio delle esperienze del socialismo come fase di transizione dal capitalismo al comunismo.

Sebbene il compito che sta di fronte ai comunisti e al proletariato del nostro paese sia la conquista del potere, ci è indispensabile già oggi una concezione materialista dialettica della società socialista:

- perché una concezione idealista della società socialista aprirebbe la via tra noi ad una concezione idealista del mondo, della società in generale e dei nostri compiti;

- perché la mancanza di un bilancio delle esperienze della costruzione del socialismo apre tra di noi la via al rifiuto delle esperienze del movimento comunista internazionale di cui siamo invece parte ed eredi;

- perché dobbiamo tracciare il nostro programma e non possiamo tracciarlo, salvo cadere nell’idealismo, che sulla base anche del bilancio delle esperienze della costruzione del socialismo;

-perché l’identificazione delle società socialiste in marcia verso il comunismo sotto la direzione dei comunisti con le società socialiste in marcia verso la restaurazione del capitalismo sotto la direzione dei revisionisti moderni è la base su cui poggia in questa fase la propaganda anticomunista.(26)

 

26. Vedasi Rapporti Sociali n. 7 pag. 16.

 

Mao Tse-tung ha combattuto in vari modi e a varie riprese la concezione (comune ad alcuni estremisti di sinistra e ai revisionisti moderni) secondo cui la società socialista è una società senza classi e senza contraddizioni di classe, una società “unitaria” che si tratta di “amministrare bene”, in cui il potere pubblico ha già perso il suo carattere politico ed è già diventato “l’amministrazione da parte dei produttori associati del loro lavoro e del prodotto di esso”. Queste concezioni facevano molto comodo ai revisionisti moderni, perché servivano a coprire il loro lavoro di espansione delle forze borghesi, di nuovo graduale confinamento del proletariato in condizioni di assoggettamento politico e culturale e di sfruttamento economico, di disgregazione della società socialista.

“Cosa si intende esattamente con società socialista? Le classi e la lotta di classe esistono o non esistono durante tutto il periodo socialista? Bisogna mantenere la dittatura del proletariato per portare la rivoluzione socialista fino in fondo, o bisogna abolirla per aprire la strada alla restaurazione del capitalismo? Occorre dare a questi interrogativi la giusta risposta, sulla base dei principi fondamentali del marxismo-leninismo e dell’esperienza storica della dittatura del proletariato.

 La sostituzione della società socialista a quella capitalista è un gran balzo in avanti nello sviluppo della società umana. La società socialista rappresenta un importante periodo storico del passaggio dalla società divisa in classi alla società senza classi. Essa condurrà l’umanità alla società comunista.

Il sistema socialista ha su quello capitalista una superiorità incontestabile. Nella società socialista, la dittatura del proletariato sostituisce la dittatura della borghesia e la proprietà pubblica dei mezzi di produzione sostituisce quella privata. Da classe oppressa e sfruttata, il proletariato diventa classe dominante e si verifica un cambiamento radicale nella situazione sociale del popolo lavoratore. Lo stato di dittatura del proletariato applica tra le grandi masse del popolo lavoratore la più ampia democrazia, quale non può realizzarsi in una società capitalista, ed esercita la dittatura solo su una minoranza di sfruttatori. La nazionalizzazione dell’industria e la collettivizzazione dell’agricoltura aprono vaste prospettive a uno sviluppo considerevole delle forze produttive sociali, assicurando loro un ritmo di sviluppo incomparabilmente più rapido di qualsiasi vecchia società.(27) Non si può tuttavia dimenticare che la società socialista è uscita da quella capitalista, che essa è la prima fase della società comunista. Essa non è ancora la società comunista, società che ha raggiunto la piena maturità dal punto di vista economico e sotto ogni aspetto. Essa porta inevitabilmente i segni della società capitalista. A proposito della società socialista, Marx disse: “Quello con cui abbiamo qui a che fare, non è una società comunista che si è sviluppata sulle basi che le sono proprie, ma, al contrario, una società che proviene dalla società capitalista: una società, di conseguenza, che, sotto ogni aspetto (economico, morale, intellettuale) porta ancora le impronte dell’antica società da cui è uscita”.(28) Da parte sua Lenin ha fatto osservare che nella società socialista, primo stadio del comunismo, “il comunismo non può ancora, dal punto di vista economico, essere completamente maturo, completamente affrancato dalle tradizioni o dalle impronte del capitalismo”.(29)

 

27. Nella corrente pubblicistica borghese l’arretratezza tecnologica, la bassa produttività del lavoro umano e la povertà dei consumi dei paesi socialisti sono un luogo comune, contrapposto alla ricchezza dei paesi imperialisti. Il “piccolo” e volontario “errore” della pubblicistica borghese (seguita pedissequamente anche da alcuni “compagni”) sta nel mettere assieme il periodo in cui questi paesi furono diretti dai comunisti (periodo in cui l’iniziativa e l’energia di milioni di lavoratori produssero un rapido e “miracoloso” progresso tecnologico, crescita della produttività del lavoro e miglioramento delle condizioni materiali dell’esistenza) con il periodo in cui questi paesi sono stati diretti dai revisionisti moderni (periodo di asservimento al mercato capitalista mondiale, di ristagno tecnologico, di degrado delle condizioni materiali dell’esistenza, di disgregazione delle relazioni sociali e di arricchimento di borghesi, borsaneristi e funzionari corrotti).

 

28. K. Marx, Critica del programma di Gotha (1875).

 

29. V.I. Lenin, Stato e rivoluzione (1917).

 

Nella società socialista continuano a sussistere le differenze tra operai e contadini, tra città e campagna, tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, il diritto borghese non è ancora abolito; inoltre “non è possibile eliminare immediatamente l’altra ingiustizia: la suddivisione degli oggetti di consumo ‘a seconda del lavoro (e non a seconda dei bisogni)”,(30) e, di conseguenza, esistono ancora differenze in fatto di ricchezza. Tutti questi fenomeni e queste differenze possono sparire solo progressivamente, il che comporta inevitabilmente un lungo periodo. Come disse Marx, solo con la scomparsa di queste differenze e l’abolizione completa del diritto borghese, potrà realizzarsi il comunismo integrale, così caratterizzato: “da ognuno secondo le capacità, ad ognuno secondo i bisogni”.

Il marxismo-leninismo e l’esperienza pratica dell’Unione Sovietica, della Cina e degli altri paesi socialisti ci insegnano che la società socialista copre un lungo, lunghissimo periodo storico. Per tutta la sua durata, prosegue la lotta di classe tra borghesia e proletariato e sussiste il problema di sapere chi prevarrà, se la via capitalista o quella socialista, cioè permane il pericolo della restaurazione capitalista.

 

30. V.I. Lenin, Stato e rivoluzione (1917).

  

Nelle Proposte riguardanti la linea generale del movimento comunista internazionale del 14 giugno 1963, il Comitato centrale del Partito comunista cinese dichiara: “Per un lunghissimo periodo storico che segue alla conquista del potere da parte del proletariato, l’esistenza della lotta di classe resta una legge oggettiva, indipendente dalla volontà dell’uomo: la lotta di classe si differenzia da quella di prima della conquista del potere da parte del proletariato solo nelle forme”.

Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, Lenin ha osservato a più riprese che:

1. gli sfruttatori spodestati cercano sempre e in tutti i modi di riconquistare il loro “paradiso” perduto.

2. L’ambiente piccolo borghese genera ogni giorno, ogni ora, nuovi elementi borghesi.

3. Nei ranghi della classe operaia e tra i funzionari statali possono spuntare degli elementi degeneri e dei nuovi elementi borghesi a causa dell’influenza borghese, dell’ambiente piccolo borghese e della corruzione che esso esercita.

4. Le condizioni esterne che determinano la continuazione della lotta di classe nei paesi socialisti sono: l’accerchiamento da parte del capitalismo internazionale, la minaccia dell’intervento armato e le manovre di disgregazione pacifica cui hanno ricorso gli imperialisti.

La realtà della vita conferma questa tesi di Lenin.

In una società socialista la borghesia e le altre classi reazionarie, sebbene rovesciate, conservano ancora per un certo tempo una certa forza e in alcuni campi sono persino potenti. Mille legami le collegano alla borghesia internazionale. Non rassegnate alla sconfitta, cercano ostinatamente prove di forza col proletariato. Esse scatenano in tutti i campi lotte dissimulate o aperte col proletariato. Atteggiandosi spesso a fautori del socialismo, dei soviet, del partito comunista e del marxismo-leninismo, sabotano il socialismo e preparano la restaurazione del capitalismo. Esse sopravvivono per lungo tempo sul piano politico, come forza opposta al proletariato e sono pronte in ogni momento ad abbattere la dittatura del proletariato. Esse cercano di insinuarsi negli organismi dello Stato, nelle organizzazioni di massa, nelle istituzioni economiche, negli istituti culturali e d’insegnamento per contrapporsi e usurpare la direzione tenuta dal proletariato. Sul piano economico usano tutti i mezzi per sabotare la proprietà socialista di tutto il popolo e la proprietà collettiva socialista e per sviluppare le forze capitaliste. Nel campo ideologico, culturale e dell’educazione oppongono la concezione borghese del mondo a quella proletaria e cercano di corrompere il proletariato e gli altri lavoratori con l’ideologia borghese.

La collettivizzazione dell’agricoltura trasforma i contadini che lavorano individualmente in lavoratori-di aziende agricole cooperative e crea condizioni favorevoli alla completa trasformazione dei contadini. Tuttavia, prima che la proprietà cooperativa diventi proprietà di tutto il popolo e che le tracce dell’economia privata scompaiano completamente, i contadini conservano inevitabilmente certi tratti tipici dei piccoli produttori autonomi. In circostanze di questo genere esiste inevitabilmente la tendenza spontanea al capitalismo, continuerà a prodursi la differenziazione all’interno della massa contadina e permane un terreno propizio alla comparsa di nuovi contadini ricchi.

Le attività della borghesia ora menzionate, le loro conseguenze corruttrici nel settore politico, economico, ideologico, culturale ed educativo, l’esistenza della tendenza spontanea al capitalismo nei piccoli produttori urbani e rurali, il fatto che il diritto borghese non è stato ancora del tutto abolito e l’influenza delle abitudini della vecchia società, tutto questo fa spuntare di continuo elementi degeneri nelle file della classe operaia, negli organi di partito e nell’amministrazione dello Stato, genera di continuo nuovi elementi borghesi e speculatori nelle imprese statali che appartengono a tutto il popolo, genera di continuo nuovi intellettuali borghesi nelle istituzioni culturali, negli istituti d’insegnamento e negli ambienti intellettuali. Per attaccare il socialismo, questi nuovi elementi borghesi e questi elementi degeneri si accordano con elementi della vecchia borghesia e di altre classi sfruttatrici che, sebbene spodestate, non sono ancora state completamente eliminate.

 In una situazione del genere sono particolarmente nocivi gli elementi degeneri insediati negli organi dirigenti, perché sostengono e proteggono gli elementi borghesi presenti negli organi dei gradi inferiori.

Finché esiste l’imperialismo, il proletariato dei paesi socialisti deve proseguire contemporaneamente sia la lotta contro la borghesia all’interno del paese sia la lotta contro l’imperialismo internazionale. L’imperialismo cerca tutte le occasioni sia per intervenire con le armi contro i paesi socialisti sia per provocare la loro disgregazione con mezzi pacifici. Fa di tutto sia per distruggerli sia per farli degenerare in paesi capitalisti. Perciò la lotta di classe a livello internazionale ha inevitabilmente un riflesso all’interno dei paesi socialisti.

Lenin disse: “Il passaggio dal capitalismo al comunismo copre tutta un’epoca storica. Finché essa non è conclusa, gli sfruttatori conservano inevitabilmente la speranza di una restaurazione, speranza che si traduce in tentativi di restaurazione”.(31) Egli disse inoltre: “L’abolizione delle classi è il risultato di una lotta di classe lunga, difficile, ostinata, che, dopo l’abbattimento del potere del capitale, dopo la distruzione dello Stato borghese, dopo l’instaurazione della dittatura del proletariato, non cessa (come immaginano i grossolani rappresentanti del vecchio socialismo e della vecchia socialdemocrazia), ma non fa che cambiare di forma per divenire sotto molti aspetti persino più accanita”.(32)

 

31. V.I. Lenin, La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky (1918).

 

32. V.I. Lenin, Saluto agli operai ungheresi (1919).

 

Nella fase socialista quindi lotta di classe tra il proletariato e la borghesia in campo politico, economico, ideologico, culturale e pedagogico non può cessare. Si tratta di una lotta a lungo respiro, sempre ripresa, tortuosa e complessa. Come il mare ha flussi e riflussi, essa ha degli alti e dei bassi, talora cala, talora guadagna in violenza. Da essa dipende la sorte della società socialista, la marcia verso il comunismo o il ritorno al capitalismo.

La lotta di classe nella società socialista ha inevitabilmente il suo riflesso nei partiti comunisti. La borghesia e l’imperialismo internazionale sanno che per far degenerare un paese socialista in paese capitalista bisogna in primo luogo far sì che il suo partito comunista degeneri in partito revisionista. Gli antichi e i nuovi elementi borghesi, gli antichi e i nuovi contadini ricchi, e gli elementi degeneri d’ogni tipo rappresentano la base sociale del revisionismo ed è in mille modi che essi reclutano agenti all’interno dei partiti comunisti. L’influenza borghese è la causa interna del revisionismo. La capitolazione di fronte all’imperialismo ne è la causa esterna. La lotta tra il marxismo-leninismo e l’opportunismo di ogni genere, e in primo luogo il revisionismo, è qualcosa di inevitabile all’interno dei partiti comunisti dei paesi socialisti durante il periodo socialista. La caratteristica del revisionismo è quella di adottare le posizioni della borghesia per attaccare il proletariato negando le classi e la lotta di classe, per trasformare la dittatura del proletariato in una dittatura della borghesia.

Alla luce dell’esperienza del movimento operaio internazionale e tenendo conto della legge oggettiva della lotta di classe, i fondatori del marxismo hanno posto in risalto che il passaggio dal capitalismo al comunismo, dalla società divisa in classi alla società senza classi, dipende dalla dittatura del proletariato e che non vi è altra via.

Marx disse: “La lotta di classe porta necessariamente alla dittatura del proletariato”.(33) Egli ha detto anche: “Tra la società capitalista e la società comunista, si situa il periodo di trasformazione rivoluzionaria da questa a quella. Ad esso corrisponde un periodo di transizione politica in cui lo Stato non potrebbe essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato”.(34)

 

33. K. Marx, Lettera a J. Weydermeyer (1852).

 

34. K. Marx, Critica del programma di Gotha (1875).

 

 La società socialista si sviluppa secondo un processo di rivoluzione ininterrotta. Parlando del socialismo rivoluzionario, Marx disse: “Questo socialismo è la dichiarazione permanente della rivoluzione, è la dittatura di classe del proletariato, come punto di passaggio necessario per arrivare all’abolizione delle differenze di classe in generale, all’abolizione di tutti i rapporti di produzione sui quali esse si basano, all’abolizione di tutte le relazioni sociali che corrispondono a questi rapporti di produzione, allo sconvolgimento di tutte le idee che queste relazioni sociali emanano”.(35)

 

35. K. Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 (1850).

 

Nella lotta contro l’opportunismo della II Internazionale, Lenin ha messo in luce e sviluppato in modo creativo la teoria di Marx sulla dittatura del proletariato. Ha evidenziato che: “La dittatura del proletariato non è la fine della lotta di classe, ma è la sua continuazione sotto nuove forme. La dittatura del proletariato è la lotta di classe del proletariato vittorioso che ha preso in mano il potere politico contro la borghesia sconfitta, ma non annientata, non scomparsa e che, lungi dall’aver desistito dal resistere, ha intensificato la sua resistenza”.(36) Egli aggiunge anche: “La dittatura del proletariato è una lotta ostinata, sanguinosa e non sanguinosa, violenta e pacifica, militare ed economica, pedagogica ed amministrativa, contro le forze e le tradizioni della vecchia società” .(37)

 

36. V.I, Lenin, Prefazione all’edizione del discorso “Come si inganna il popolo con le parole d’ordine di libertà ed eguaglianza” (1919).

 

37. V.I. Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo (1920).

 

Nella sua opera Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo e in altre opere, il compagno Mao Tse-tung, sulla base dei principi fondamentali del marxismo-leninismo e dell’esperienza storica della dittatura del proletariato, ha fatto un’analisi completa e sistematica delle classi e della lotta di classe nella società socialista e ha sviluppato in modo creativo la teoria marxista-leninista della dittatura del proletariato.

E’ partendo dalla dialettica materialista che egli ha studiato le leggi oggettive della società socialista. Ha sottolineato che la legge universale della natura e della società umana, che è l’unità e la lotta dei contrari, si applica anche alla società socialista. Nella società socialista le contraddizioni di classe continuano ad esistere e la lotta di classe non viene meno, anche dopo la trasformazione socialista della proprietà dei mezzi di produzione. Lungo tutta la fase socialista c’è sempre lotta tra le due vie, il socialismo e il capitalismo. Per garantire l’edificazione del socialismo ed impedire la restaurazione del capitalismo, è necessario continuare la rivoluzione socialista in campo politico, economico, ideologico e culturale. La vittoria completa del socialismo non può essere definitivamente raggiunta in una o due generazioni, ma esige da cinque a dieci generazioni, se non di più.

Il compagno Mao Tse-tung ha in particolare osservato che la società socialista conosce due tipi di contraddizioni sociali: le contraddizioni all’interno del popolo e le contraddizioni tra noi e i nostri nemici, e che le prime sono numerose. Solo operando una distinzione tra questi due tipi di contraddizioni di natura diversa e adottando differenti metodi per giungere ad una giusta soluzione di esse, è possibile unire più del 90 per cento della popolazione del paese, annientare i nemici che non ne costituiscono che un’infima percentuale e consolidare la dittatura del proletariato.

La dittatura del proletariato è la garanzia essenziale del consolidamento e dello sviluppo del socialismo, la garanzia che permette al proletariato di vincere la borghesia ed assicurare il trionfo del socialismo durante la lotta tra le due vie.

Il proletariato può emanciparsi completamente solo emancipando l’intera umanità. Il compito storico della dittatura del proletariato ha due aspetti: un aspetto interno e un aspetto internazionale.

Sul piano interno il compito consiste essenzialmente nell’eliminare completamente tutte le classi sfruttatrici, nello sviluppare ad alto livello l’economia socialista, nell’elevare il livello di coscienza comunista delle masse popolari,  nell’eliminare le differenze tra proprietà di tutto il popolo e proprietà cooperativa, tra operai e contadini, tra città e campagna, tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, e nel far scomparire ogni possibilità di formazione di classi e di restaurazione del capitalismo, nel creare le condizioni per la realizzazione della società comunista così caratterizzata: “da ciascuno secondo le capacità, a ciascuno secondo i bisogni”.

Sul piano internazionale, il compito essenziale consiste nel prevenire ogni attacco da parte dell’imperialismo internazionale (compresi l’intervento armato e la disgregazione pacifica) e nel sostenere la rivoluzione mondiale, fino alla definitiva eliminazione da parte dei popoli dell’imperialismo, del capitalismo e del sistema di sfruttamento.

Prima della realizzazione dei due aspetti di questo compito e dell’avvento della società integralmente comunista, la dittatura del proletariato è assolutamente indispensabile.

Giudicando dall’attuale situazione, il compito della dittatura del proletariato è ancora lungi dall’essere portato a termine nei paesi socialisti. In tutti, senza eccezione alcuna, vi sono classi e lotta di classe, lotta tra via socialista e via capitalista e si tratta sempre di portare a conclusione la rivoluzione socialista e di prevenire la restaurazione del capitalismo. Tutti i paesi socialisti, sono ancora lungi, ben lungi, dall’aver eliminato le differenze tra proprietà di tutto il popolo e proprietà cooperativa, tra operai e contadini, tra città e campagna, tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, dall’aver eliminato le classi e le differenze di classe, e dal realizzare la società comunista in cui prevarrà il principio “da ciascuno secondo le capacità, a ciascuno secondo i bisogni”. E’ per questo che il mantenimento della dittatura del proletariato è ancora necessario per tutti i paesi socialisti.

In queste condizioni, la sua abolizione da parte della cricca revisionista di Kruscev è un tradimento verso il socialismo e il comunismo”.(38)

 

38. Lo pseudocomunismo di Kruscev e gli insegnamenti storici che dà al mondo (1964) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 21, Edizioni Rapporti Sociali.

 

Mao Tse-tung ha messo in luce che le contraddizioni sociali resteranno la forza motrice della trasformazione e della vita della società non solo nella società socialista, ma anche nella società comunista.

“Sarebbe ingenuo pretendere che in una società socialista le contraddizioni non possano più esistere. Negare l’esistenza delle contraddizioni è negare la dialettica. Le contraddizioni, nelle varie società, differiscono nei loro caratteri, come diversa è la forma delle loro soluzioni. Ma la società si sviluppa sempre a mezzo di continue contraddizioni. Anche la società socialista si sviluppa nelle contraddizioni tra le forze produttive e i rapporti di produzione. In una società socialista o comunista, le innovazioni tecniche e i mutamenti del sistema sociale continueranno sempre a verificarsi. Se così non fosse, lo sviluppo della società arriverebbe ad un punto morto e la società non potrebbe più progredire. L’umanità è ancora nel pieno della sua giovinezza. La strada che essa deve ancora percorrere sarà non si sa quante volte più lunga di quella che essa ha già percorso finora.

Contraddizioni come quelle esistenti fra il progresso e la conservazione, fra lo sviluppo e l’arretratezza, fra il positivo e il negativo sorgeranno costantemente a seconda delle diverse condizioni e circostanze. Le cose andranno così: una contraddizione porterà all’altra e quando le vecchie contraddizioni saranno risolte, ne sorgeranno altre. Alcuni sostengono che la contraddizione fra l’idealismo e il materialismo potrà essere eliminata in una società socialista o comunista. E’ chiaro che questo modo di vedere non è giusto. Fino a quando esisterà contraddizione fra soggettivo e oggettivo, fra progresso e arretratezza e fra le forze produttive e i rapporti di produzione, nella società socialista o comunista continueranno anche le contraddizioni fra idealismo e materialismo e si manifesteranno in varie forme. Dato che gli uomini vivono in società, essi riflettono in varie circostanze e in modo diverso le contraddizioni che esistono in ogni forma di società. Anche in una società comunista non tutti saranno necessariamente perfetti. Gli uomini porteranno  ancora in sé le loro contraddizioni. Vi saranno sempre uomini buoni e uomini cattivi e di conseguenza persone con vedute relativamente giuste e persone con vedute relativamente errate. Vi sarà sempre lotta fra gli uomini, ma la natura e la forma della lotta saranno diverse da quelle della società divisa in classi.

Vista sotto questa luce, l’esistenza in una società socialista delle contraddizioni fra l’individuale e il collettivo non è affatto strana. Qualsiasi dirigente del partito o dello Stato inevitabilmente s’irrigidirà nel suo modo di ragionare, e di conseguenza commetterà gravi errori, se si isola dalla direzione collettiva, dalle masse popolari e dalla vita reale. Noi dobbiamo vigilare per evitare la possibilità che alcune persone, le quali conquistano la massima fiducia delle masse grazie alle loro realizzazioni nel lavoro di partito e dello Stato, possano usare questa fiducia per abusare della propria autorità e commettere degli errori”.(39)

 

39. A proposito dell’esperienza storica della dittatura del proletariato (1956) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 31, Edizioni Rapporti Sociali..

 

2.8. Il revisionismo moderno nei paesi socialisti

A partire dal 1956 Mao Tse-tung ha concentrato le sue energie nella lotta contro la restaurazione del capitalismo nei paesi socialisti e quindi contro i revisionisti moderni e per la continuazione della trasformazione socialista della società.

Questa lotta ha avuto la sua espressione più alta nella Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976). Anche se questa lotta non si è conclusa con successo, stante che anche in Cina nel 1976 i revisionisti capeggiati da Deng Xiao-ping hanno preso il potere, lo studio delle lotte condotte contro di essi e dell’analisi della loro natura saranno il materiale principale di studio per i comunisti che avranno di fronte lo stesso compito.

Nel corso di questa lotta Mao Tse-tung ha analizzato profondamente la natura dello scontro, le basi sociali del revisionismo moderno nelle società socialiste, i passaggi graduali della restaurazione, le relazioni tra la nuova borghesia e i suoi portavoce annidati nel partito comunista e negli organi dello Stato proletario.

“(...) La Cina è un paese socialista. Prima della liberazione era un paese più o meno capitalista. Ancora oggi vi si pratica un sistema di retribuzione ad otto livelli, il principio “a ciascuno secondo il suo lavoro” e lo scambio per mezzo del denaro, tutte cose che si differenziano di poco dalla vecchia società. La differenza sta nel fatto che è cambiato il sistema di proprietà. Il nostro paese attualmente pratica un sistema basato sullo scambio delle merci; anche il sistema retributivo, basato su otto livelli, non è del tutto equo. Tutto ciò può solo essere limitato sotto la dittatura del proletariato.

Nella società socialista esistono ancora due tipi di proprietà socialista, che sono la proprietà di tutto il popolo e la proprietà cooperativa. Questo determina il fatto che in Cina attualmente si pratica un sistema basato sullo scambio delle merci. Le analisi fatte da Lenin e dal presidente Mao Tse-tung ci dicono che il diritto borghese, che nella società socialista esiste inevitabilmente per quel che riguarda la distribuzione e lo scambio, deve venire limitato sempre di più sotto la dittatura del proletariato in modo che nel lungo cammino della rivoluzione socialista le tre differenze principali (quella fra operai e contadini, fra città e campagna e fra lavoro materiale e intellettuale) si riducano sempre di più, e così pure le differenze fra i vari livelli gerarchici e si creino le condizioni materiali ed ideologiche per eliminarle. Se non seguiamo questa strada, e invece perseguiamo il consolidamento, l’estensione e il rafforzamento del diritto borghese e di quella parte di disuguaglianza che esso racchiude, il risultato inevitabile sarà la polarizzazione. Questo in altre parole vuol dire che nell’ambito della distribuzione un ristretto numero di persone sarà in grado di ottenere un numero sempre maggiore di merci e di denaro attraverso canali in parte legali e in maggioranza illegali; che gli ideali capitalisti di ammassare fortune e di raggiungere la fama e il successo personali, stimolati da questi “incentivi materiali”, si diffonderanno senza freno; che fenomeni come la trasformazione della proprietà da pubblica in privata, la speculazione,  la corruzione, il ladrocinio insorgeranno ovunque; che il principio capitalista dello scambio delle merci si diffonderà nella vita politica e anche nella vita del partito, minando l’economia socialista pianificata e dando origine ad azioni di sfruttamento capitalista come la conversione delle merci e del denaro in capitale e della forza lavoro in merce. Tutto ciò significherebbe un cambiamento nella natura dei rapporti di proprietà in certi settori e unità che seguono la linea revisionista, e si verificherebbero di nuovo situazioni di sfruttamento e di oppressione ai danni del popolo lavoratore. Otterremmo il risultato di vedere emergere fra gli stessi membri del partito, gli operai, i contadini benestanti, il personale degli organi statali una minoranza di elementi neo-borghesi, di nuovi ricchi che hanno completamente tradito il proletariato e i lavoratori. I nostri compagni operai hanno detto giustamente: “Se non si pone un limite al diritto borghese, esso impedirà lo sviluppo del socialismo e favorirà il risorgere del capitalismo”.

Quando la forza economica della borghesia raggiunge un certo livello, i suoi agenti cercano di ottenere il dominio sul piano politico, di rovesciare la dittatura del proletariato e il sistema socialista, di cambiare totalmente la proprietà socialista e di restaurare e sviluppare il sistema capitalista. Una volta al potere, la nuova borghesia si lancerebbe prima di tutto in una sanguinosa repressione contro il popolo e restaurerebbe il capitalismo nella sovrastruttura, in tutti i campi dell’ideologia e della cultura; successivamente subordinerebbe la divisione dei prodotti all’ammontare di capitale e di potere che ciascuno possiede e il principio “a ciascuno secondo il suo lavoro” diverrebbe una frase vuota e priva di significato, mentre un manipolo di nuovi borghesi monopolizzerebbero i mezzi di produzione e allo stesso tempo il potere di distribuire beni di consumo e altri prodotti. Questo è il processo di restaurazione che sta già avvenendo in Unione Sovietica”.(40) “La ragione principale per cui la cricca revisionista di Kruscev ha proclamato l’abolizione della dittatura del proletariato in Unione Sovietica è, a suo dire, che le classi antagoniste sono state eliminate e che la lotta di classe non esiste più.

 

40. Le basi sociali della cricca antipartito di Lin Piao (1975) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 25, Edizioni Rapporti Sociali.

 

Ma qual è la reale situazione dell’Unione Sovietica? Non vi sono veramente più classi antagoniste né lotta di classe?

Dopo la grande vittoriosa rivoluzione socialista d’Ottobre, fu instaurata la dittatura del proletariato: essa abolì la proprietà privata capitalista e stabilì la proprietà socialista di tutto il popolo e la proprietà cooperativa socialista, con la nazionalizzazione dell’industria e la collettivizzazione dell’agricoltura e, in qualche decennio, raggiunse grandi risultati nell’edificazione socialista. Queste furono vittorie incancellabili, vittorie di grande portata storica, conseguite dal PCUS e dal popolo sovietico sotto la direzione di Lenin e di Stalin.

Tuttavia, la vecchia borghesia e le altre classi sfruttatrici che, sebbene spodestate, non erano state interamente eliminate, continuarono ad esistere dopo la nazionalizzazione dell’agricoltura. Sussisteva l’influenza politica ed ideologica della borghesia. Le forze spontanee capitaliste esistevano sempre nella città come nella campagna. Nuovi elementi borghesi e contadini ricchi comparivano di continuo. E durante tutto il tempo trascorso da allora, la lotta di classe tra proletariato e borghesia e la lotta tra le vie socialista e capitalista è continuata nel campo politico, economico e ideologico.

 

41. G. Stalin, Sul progetto di costituzione dell’URSS (1936).

 

42. G. Stalin, Rapporto al diciottesimo Congresso del PCUS (1939).

 

In seguito al fatto che l’Unione Sovietica era il primo paese, e in quell’epoca il solo, a edificare il socialismo e che essa non disponeva di nessuna esperienza straniera cui potersi rifare, in seguito anche al fatto che Stalin nell’interpretazione delle leggi della lotta di classe nella società socialista si era allontanato dalla dialettica del marxismo-leninismo, Stalin proclamò prematuramente, dopo la realizzazione per l’essenziale della collettivizzazione dell’agricoltura, che in Unione  Sovietica, “non ci sono più classi antagoniste”(41) e che “essa (la società sovietica) si è liberata dai conflitti di classe”.(42) Ponendo l’accento unicamente sull’unità della società socialista, trascurava le contraddizioni all’interno di essa, non si appoggiava sulla classe operaia e sulle larghe masse nella lotta contro le forze capitaliste e riteneva che la possibilità di restaurazione del capitalismo derivasse unicamente dall’attacco armato dell’imperialismo internazionale. Il che è falso, tanto in teoria, quanto in pratica. Tuttavia per questo Stalin non cessò di essere un grande marxista-leninista. Quando dirigeva il partito e lo Stato sovietico, mantenne fermamente la dittatura del proletariato e l’orientamento socialista, applicò una linea marxista-leninista e assicurò la marcia trionfale dell’Unione Sovietica sulla via del socialismo.

Kruscev, da quando ha la direzione del Partito e dello Stato sovietico, ha adottato una serie di misure politiche revisioniste che hanno notevolmente accelerato lo sviluppo delle forze capitaliste e hanno acuito di nuovo, in Unione Sovietica, la lotta di classe tra il proletariato e la borghesia, la lotta tra la via socialista e la via capitalista. Basta sfogliare i giornali sovietici di questi ultimi anni per trovarci numerosi esempi che dimostrano che, nella società sovietica, non solo esistono molti elementi delle vecchie classi sfruttatrici, ma che nuovi elementi borghesi vi sono spuntati in gran numero e che la differenziazione tra le classi si accentua.

Vediamo innanzitutto le attività degli elementi borghesi d’ogni tipo nelle imprese sovietiche di proprietà di tutto il popolo.

I responsabili di certe fabbriche statali e i loro soci mettono a frutto le loro funzioni e accumulano fortune favolose utilizzando l’attrezzatura e il materiale delle fabbriche loro affidate per creare delle “fabbriche clandestine” e produrre a titolo privato, procedendo alla vendita illecita dei prodotti e dividendosi il bottino. Ecco qualche esempio: (...)

Individui del genere non svolgono la loro attività da soli. Essi lavorano invariabilmente in connivenza con funzionari dei servizi statali incaricati dei rifornimenti, del commercio e di altri servizi.

Essi hanno i loro uomini nella milizia e nei servizi giudiziari che li proteggono e servono loro da agenti. Anche alti funzionari di organismi statali li sostengono e li coprono. Ecco qualche esempio: (...)

Questi esempi dimostrano che le fabbriche cadute in mano a questi elementi degeneri restano imprese socialiste solo di nome, ma in realtà sono diventate imprese capitaliste strumenti della loro fortuna. I loro rapporti con gli operai sono diventati dei rapporti tra sfruttatori e sfruttati, tra oppressori e oppressi. Non sono forse elementi borghesi al cento per cento, questi degenerati che detenendo mezzi di produzione e, disponendone, sfruttano il lavoro altrui? E i loro complici all’interno degli organismi statali, che hanno abboccamenti con loro, prendono parte ad ogni tipo di sfruttamento, trafugano fondi, danno e accettano mance, partecipano alla divisione del bottino, non sono forse anch’essi degli elementi borghesi nel vero senso della parola?

E’ evidente che costoro appartengono ad una classe ostile al proletariato, appartengono cioè alla borghesia. Le loro attività antisocialiste costituiscono precisamente la lotta di classe con la quale la borghesia attacca il proletariato.

Vediamo ora in che consistono le attività dei contadini ricchi di ogni tipo nelle cooperative agricole (kolkoz).

Alcuni responsabili dei kolkoz e i loro soci detraggono fondi, si dedicano alla speculazione, allo sperpero e allo sfruttamento dei kolkosiani senza alcun ritegno. Ecco qualche esempio. (...)

Questi esempi dimostrano che i kolkoz posti sotto il controllo di questi responsabili divengono loro proprietà privata. Essi trasformano l’economia cooperativa socialista in una nuova economia capitalista. Hanno generalmente negli organi superiori delle persone che li proteggono. I loro rapporti con i colcosiani sono diventati rapporti tra oppressori e oppressi, tra sfruttatori e sfruttati. Non sono dei nuovi contadini ricchi al cento per cento, questi nuovi sfruttatori che gravano con tutto il loro peso sui contadini?

Con ogni evidenza costoro appartengono ad una classe ostile al proletariato e ai contadini lavoratori, appartengono alla  classe dei contadini ricchi capitalisti, cioè alla borghesia rurale. Le loro attività antisocialiste costituiscono proprio quella lotta di classe con la quale la borghesia attacca il proletariato e i contadini lavoratori.

Oltre agli elementi borghesi nelle imprese statali e nei kolkoz, ve ne sono altri nelle città e nelle campagne russe.

Alcuni di loro hanno impiantato imprese private per la produzione e la vendita a titolo privato; altri hanno organizzato gruppi privati di costruzione che intraprendono pubblicamente dei lavori per conto dello Stato o delle imprese cooperative; altri ancora sfruttano alberghi privati. (...)

Altri si dedicano alla speculazione e realizzano grossi guadagni acquistando a basso prezzo, vendendo ad alto prezzo e col trasporto illecito di merci su grandi distanze. (...)

Altri ancora agiscono come mediatori o agenti con molte relazioni sociali e possono procurarvi tutto se li corrompete. (...)

Tutti questi imprenditori e speculatori praticano uno spudorato sfruttamento capitalistico. Non è assolutamente evidente che essi appartengono alla borghesia, classe ostile al proletariato?

In realtà la stessa stampa sovietica chiama costoro “capitalisti sovietici”, “capi di imprese di fresca data”, “proprietari di imprese private”, “contadini ricchi capitalisti di fresca data”, “speculatori”, “sfruttatori”, ecc. La cricca revisionista di Kruscev non si autosmentisce da sola quando si ostina ad affermare che non ci sono classi antagoniste in Unione Sovietica?

I fatti sopra citati sono solo una parte di quelli rivelati dalla stampa dell’Unione Sovietica. Sono sufficienti ad allarmare, ma i fatti più clamorosi e più gravi che essa ha cercato di nascondere e affossare sono ben più numerosi. Quel che noi citiamo qui è una risposta alla domanda: le classi antagoniste e la lotta di classe esistono in Unione Sovietica? Questi fatti, molte persone possono controllarli. Anche la cricca revisionista di Kruscev non può negarli.

Questi fatti bastano a dimostrare chiaramente che le sfrenate attività della borghesia ostile al proletariato si moltiplicano in Unione Sovietica, nelle città e nelle campagne, nell’industria e nell’agricoltura, nel settore della produzione e in quello della distribuzione, nel campo economico e negli organi di partito e di Stato, dai livelli inferiori a quelli superiori di direzione. Queste attività antisocialiste altro non sono che l’aspra lotta di classe che la borghesia svolge contro il proletariato.

Niente di straordinario che appaiano in un paese socialista degli elementi della nuova e dell’antica borghesia che attaccano il socialismo. Non è il caso di spaventarsene finché la direzione del partito e dello Stato è marxista-leninista. Tuttavia, nell’Unione Sovietica dei nostri giorni, la questione è grave poiché la cricca revisionista di Kruscev ha usurpato la direzione del partito e dello Stato e una categoria privilegiata della borghesia è comparsa nella società.

E’ di questo che parliamo qui appresso.

Nell’attuale società sovietica, la categoria privilegiata è rappresentata da elementi degeneri dei quadri dirigenti degli organi di partito e di governo, delle imprese e dei kolkoz e dagli intellettuali borghesi. Questa categoria è contro gli operai, i contadini e la gran massa degli intellettuali e dei quadri.

All’indomani della Rivoluzione d’Ottobre, Lenin fece osservare che l’ideologia e le abitudini borghesi e piccolo-borghesi accerchiavano e minavano da ogni parte il proletariato e ne contaminavano certi strati. Questo stato di cose ha generato, tra i funzionari, non solo dei burocrati scissi dalle masse, ma anche nuovi elementi borghesi. Lenin osservò inoltre che gli alti salari, sebbene necessari per i tecnici specializzati borghesi rimasti ai loro posti sotto il potere sovietico, esercitavano un’influenza corruttrice sul regime sovietico.

E’ per questo che egli pose in modo particolare l’accento sulla lotta da condurre senza sosta contro l’influenza dell’ideologia borghese e piccolo-borghese, sulla mobilitazione delle grandi masse affinché esse partecipino alla gestione dello Stato, sulla denuncia costante dei burocrati e dei nuovi elementi borghesi e sulla loro eliminazione dagli  organismi sovietici e sulla creazione di condizioni che impedissero l’esistenza e la ricomparsa della borghesia. Osservò in modo efficace che “senza una lotta sistematica e ostinata per migliorare l’apparato, saremo perduti prima di aver creato le basi del socialismo”.(43)

 

43. V.I. Lenin, Schema dell’opuscolo “Sull’imposta in natura”(1921). Intervista di Kruscev a dei giornalisti a Brioni (1963).

 

Nello stesso tempo, insisté in modo particolare sulla necessità di mantenere il principio della Comune di Parigi in materia di politica salariale, cioè che tutti i funzionari devono prendere salari corrispondenti a quelli degli operai, essendo gli specialisti borghesi i soli a percepire degli stipendi elevati. Queste direttive di Lenin furono applicate dalla Rivoluzione d’Ottobre sino al periodo della ripresa dell’economia nazionale. I responsabili degli organi di partito e di governo, i responsabili delle imprese e gli specialisti comunisti che vi lavorano, avevano un salario grossomodo equivalente a quello degli operai. A quell’epoca, il partito comunista ed il governo dell’Unione Sovietica adottarono una serie di provvedimenti, tanto sul piano politico e ideologico che nel sistema di ripartizione, per prevenire ogni abuso di potere da parte dei quadri dirigenti dei diversi settori e per impedir loro di degenerare moralmente e politicamente.

Con Stalin, il PCUS si attenne alla dittatura del proletariato e alla via del socialismo e combattè risolutamente le forze capitaliste. Le lotte condotte da Stalin contro i seguaci di Trotzki, Zinoviev e Bucharin erano, per loro natura, il riflesso all’interno del Partito della lotta di classe tra il proletariato e la borghesia, della lotta tra la via socialista e quella capitalista. L’esito vittorioso di questa lotta permise di annientare il vano complotto di restaurazione capitalista in Unione Sovietica, tramato dalla borghesia.

E’ innegabile che, prima della morte di Stalin, un certo numero di persone beneficiavano di un regime di alti salari e che alcuni quadri erano degenerati in elementi borghesi. Al diciannovesimo Congresso del PCUS che si tenne nell’ottobre del 1952, il Comitato centrale del PCUS affermò nel suo rapporto di attività che si erano verificati dei fenomeni di degenerazione e di corruzione in alcune organizzazioni del partito. I dirigenti di alcune organizzazioni del partito avevano creato piccole società composte solo da loro uomini, “ponendo i loro interessi di gruppo al di sopra di quelli del partito e dello Stato”. I dirigenti di certe imprese industriali “dimenticano che le imprese di cui è stata loro affidata la gestione appartengono allo Stato e cercano di trasformarle in loro feudo”. Alcuni funzionari di organizzazioni del partito, dei Soviet e di organismi agricoli, “invece di vigilare sugli interessi dell’economia cooperativa dei kolkoz, si impegnano nel derubare i beni dei kolkoz”. In campo culturale, artistico e scientifico, avevano fatto la loro comparsa delle opere che attaccavano e infangavano il sistema socialista e tra gruppi di uomini di scienza si era manifestato un fenomeno di monopolio accademico alla Araktcheev.

Usurpata da parte di Kruscev la direzione del partito e dello Stato, sono avvenuti cambiamenti radicali nella lotta di classe in Unione Sovietica.

Kruscev ha introdotto una serie di misure politiche revisioniste nell’interesse della borghesia e per questo le forze capitaliste sono aumentate a dismisura in Unione Sovietica.

Col pretesto della “lotta contro il culto della personalità”, egli ha diffamato la dittatura del proletariato e il sistema socialista, preparando di fatto la strada alla restaurazione capitalista in Unione Sovietica. Rinnegando completamente Stalin, egli ha, in fondo, rinnegato il marxismo-leninismo (che Stalin aveva mantenuto) e ha aperto le porte all’ondata revisionista.

Sostituendo l’”incentivo materiale” ai principio socialista “da ciascuno secondo le capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro”, Kruscev, lungi dal ridurlo, ha accentuato lo scarto esistente tra i redditi di una minoranza e quelli degli operai, dei contadini e degli intellettuali in generale. Egli ha spalleggiato gli elementi degeneri messi nei posti dirigenti,  incoraggiandoli a dar prova di ancor meno scrupoli nei loro abusi di potere per appropriarsi dei frutti del lavoro del popolo sovietico. Da qui l’accentuazione della polarizzazione delle classi nella società sovietica.

Kruscev ha danneggiato l’economia sovietica pianificata, applicato il principio del profitto capitalista, sviluppato la libera concorrenza capitalista e distrutto la proprietà socialista di tutto il popolo.

Kruscev ha attaccato il sistema di pianificazione socialista dell’agricoltura col termine “burocratico” e “superfluo”. Con fervore ha preso lezioni dai capitalisti americani e auspica il modo di sfruttamento capitalista, incoraggia l’economia de contadini ricchi e mina l’economia collettiva socialista.

Egli ha predicato l’ideologia borghese, concetti borghesi di “libertà, uguaglianza fraternità e umanità”. Inculca nel popolo sovietico la metafisica e l’idealismo borghese e le idee reazionarie rappresentate dall’individualismo, dall’umanismo, dal pacifismo della borghesia. Egli porta alla rovina la morale socialista e mentre diventa di moda la cultura decadente borghese occidentale, la cultura socialista è messa in disparte e attaccata. Sotto la copertura della “coesistenza pacifica” Kruscev si è inteso con l’imperialismo americano, ha minato il campo socialista e il movimento comunista internazionale, si è opposto alla lotta rivoluzionaria delle nazioni e dei popoli oppressi, ha praticato lo sciovinismo da grande potenza e l’egoismo nazionale, ha tradito l’internazionalismo proletario.

E tutto ciò per mantenere gli interessi acquisiti da un pugno di persone che egli pone al di sopra degli interessi fondamentali dei popoli dell’Unione Sovietica, del campo socialista e di tutto il mondo.

La linea adottata da Kruscev è revisionista al cento per cento. Essa non solo incita i vecchi elementi borghesi a scatenarsi, ma genera nuovi elementi borghesi nei quadri dirigenti del Partito e del governo sovietico, tra i responsabili delle imprese di Stato e dei kolkoz, come tra gli intellettuali che occupano posizioni di rilievo nel campo della cultura, dell’arte, della scienza e della tecnica.

Nell’Unione Sovietica di oggi i nuovi elementi borghesi sono cresciuti di numero in un modo senza precedenti e la loro situazione sociale è radicalmente mutata. Prima della conquista del potere da parte di Kruscev, essi non avevano una posizione dominante nella società sovietica. Le loro attività erano limitate e sorvegliate. Ma dopo che Kruscev ha preso il potere e gradualmente usurpato la direzione del partito e dello Stato, questi nuovi elementi borghesi sono giunti a posizioni dominanti all’interno del Partito e del governo e nel campo economico, culturale e in altri campi e sono diventati una categoria privilegiata della società sovietica.

Questa categoria privilegiata è l’elemento principale della borghesia nell’Unione Sovietica dei giorni nostri e la principale base sociale della cricca revisionista di Kruscev. Quest’ultima rappresenta politicamente la borghesia sovietica, in particolar modo la categoria privilegiata di questa classe.

Dall’autorità centrale alle autorità locali, dagli organi dirigenti del partito e del governo ai settori economici, alle istituzioni culturali e alle scuole, la cricca revisionista di Kruscev ha proceduto a epurazioni progressive in tutto il paese, revocato e rimpiazzato un gran numero di quadri, scartato quelli di cui non si fida e installato nei posti direttivi sue creature.

Vediamo, per esempio, il Comitato centrale del PCUS. Le cifre dicono che al termine del ventesimo e del ventiduesimo Congresso del PCUS, rispettivamente del 1956 e del 1961, quasi il 70 per cento dei membri eletti dal diciannovesimo Congresso del PCUS sono stati eliminati. E all’incirca il 50 per cento dei membri eletti dal ventesimo Congresso sono stati epurati nel ventiduesimo Congresso .

Altro esempio: le organizzazioni locali di diverso grado. Secondo cifre incomplete, alla vigilia del ventiduesimo Congresso del PCUS, la cricca revisionista di Kruscev trasse pretesto dal “rinnovo dei quadri” per revocare e sostituire il 45 per cento dei membri dei Comitati centrali delle repubbliche federate, dei comitati di partito dei territori e delle regioni, e il 40 per cento dei membri dei comitati municipali e dei comitati distrettuali. Nel 1963 col pretesto di  costituire dei “comitati di partito per l’industria” e dei “comitati di partito per l’agricoltura”, la cricca di Kruscev ha revocato e rimpiazzato più della metà dei membri dei Comitati centrali delle repubbliche federate e dei comitati di partito regionali.

Tutti questi mutamenti hanno permesso alla categoria privilegiata di controllare il partito, il governo e altri importanti settori.

Questa categoria privilegiata ha trasformato la funzione di servire il popolo in posizione di potere personale, mirando a sottomettere le masse popolari al suo dominio ed abusa del suo potere di gestione dei mezzi di produzione e d’esistenza, per perseguire i suoi interessi personali.

Essa si è appropriata dei frutti del lavoro del popolo sovietico, ed ha dei redditi che sono decine di volte, persino più di cento volte superiori a quelli degli operai e contadini comuni. Non solo essa si assicura grosse entrate, sotto forma di alti stipendi, di premi elevati, di importanti diritti d’autore e di una gran varietà di sussidi, ma usa ugualmente delle sue prerogative per frodare, accettare mance e appropriarsi dei beni pubblici. Completamente scissa dal popolo lavoratore sovietico, essa vive da parassita un’esistenza borghese e corrotta.

Questa categoria privilegiata è completamente degenerata sul piano ideologico, ha rotto totalmente con le tradizioni rivoluzionarie del partito bolscevico e respinto gli ideali sublimi della classe operaia sovietica. Essa è contro il marxismo-leninismo e il socialismo. Ha tradito la rivoluzione e non ammette che gli altri facciano la rivoluzione. Non pensa che a rafforzare le sue posizioni economiche e il suo dominio politico. Le sue attività sono solo in funzione dei suoi interessi privati.

Dopo aver usurpato la direzione del partito e dello Stato sovietico, la cricca di Kruscev ha iniziato a trasformare il PCUS, partito marxista-leninista dal glorioso passato rivoluzionario, in un partito revisionista, a trasformare lo Stato sovietico di dittatura del proletariato in uno Stato sotto la dittatura della cricca revisionista di Kruscev, a trasformare progressivamente la proprietà socialista di tutto il popolo e la proprietà cooperativa socialista in proprietà della classe privilegiata.

E’ noto che, dopo che la cricca di Tito si avviò sulla via revisionista a dispetto dell’insegna “socialista” che continua a inalberare, la Jugoslavia ha visto formarsi gradualmente una borghesia burocratica avversa al popolo iugoslavo. Da Stato di dittatura del proletariato, è diventata uno Stato a dittatura borghese-burocratica. La sua economia socialista a proprietà pubblica si è trasformata in capitalismo di Stato. Ora la cricca di Kruscev segue la stessa via percorsa dalla cricca di Tito. Kruscev considera Belgrado un luogo santo ed ha a più riprese espresso il desiderio di studiare l’esperienza della cricca di Tito e ha dichiarato che lui e la cricca di Tito “hanno la stessa ideologia e sono guidati dalla stessa teoria”.(44) Niente di strano in questo.

 

44. Intervista a Kruscev a dei giornalisti a Brioni (1963)

 

Il primo Stato socialista del mondo creato dal grande popolo sovietico a prezzo del suo sangue è posto oggi, dal revisionismo di Kruscev, di fronte ad un pericolo di una gravità senza precedenti, quello della restaurazione del capitalismo.

La cricca di Kruscev dichiara che “non ci sono più classi antagoniste né lotta di classe in Unione Sovietica”, semplicemente per mascherare la realtà della crudele lotta di classe che essa svolge contro il popolo sovietico.

La categoria privilegiata sovietica che la cricca revisionista di Kruscev rappresenta non è che una piccolissima minoranza della popolazione sovietica. E’ un’infima minoranza dei quadri sovietici. E’ diametralmente all’opposto del popolo sovietico che costituisce il 90 per cento della popolazione, è all’opposto delle ampie masse dei quadri e dei comunisti sovietici. Le contraddizioni tra essa e il popolo sovietico sono attualmente le principali contraddizioni che  esistono in URSS, contraddizioni di classe inconciliabili e di carattere antagonistico.

Il glorioso PCUS fondato da Lenin e il grande popolo sovietico hanno dimostrato, nel corso della rivoluzione socialista d’Ottobre, uno spirito creativo rivoluzionario del tutto nuovo nella storia, e sono stati eroici nell’aspra lotta contro i “bianchi” e l’intervento armato di più di dieci potenze imperialiste.(45) Hanno ottenuto brillanti successi che non hanno precedenti nella lotta per l’industrializzazione e per la collettivizzazione dell’agricoltura. Nella guerra patriottica contro il fascismo tedesco, hanno ottenuto una grande vittoria che salvò tutta l’umanità. Persino sotto il dominio della cricca di Kruscev, la massa dei membri del PCUS e il popolo sovietico proseguono le gloriose tradizioni rivoluzionarie coltivate da Lenin e Stalin, si attengono al socialismo e aspirano al comunismo.

 

45. Dopo il successo della Rivoluzione d’Ottobre, i maggiori Stati imperialisti, spaventati anche dalla diffusione della rivolta popolare contro la guerra nei loro stessi paesi, si affrettarono a porre fine alla prima Guerra Mondiale e concentrarono contro la rivoluzione russa le forze che nella situazione di crisi dei loro regimi potevano mobilitare. Essi inviarono contro il governo sovietico truppe proprie e soprattutto armarono tutti i gruppi reazionari russi che fu loro possibile far levare in armi (truppe “bianche”). Il tentativo imperialista di soffocare con le armi la rivoluzione in Russia si esaurì per l’essenziale nel 1921 con la vittoria dell’Armata Rossa su tutti i fronti. Esso venne ripreso alcuni anni dopo, in circostanze diverse, con l’invasione nazista del 1941.

 

La grande massa degli operai, dei kolkosiani e degli intellettuali sovietici rivela il suo malcontento di fronte all’oppressione e allo sfruttamento esercitati dalla categoria privilegiata. Essa distingue sempre più chiaramente il volto revisionista della cricca di Kruscev che ha tradito il socialismo e prepara la restaurazione del capitalismo. Tra i quadri sovietici, numerosi sono quelli che si attengono sempre alle posizioni rivoluzionarie del proletariato e alla via socialista e che sono nettamente contrari al revisionismo di Kruscev. La gran massa del popolo, dei comunisti e dei quadri sovietici usano tutti mezzi possibili per contrapporsi e combattere la linea revisionista della cricca di Kruscev per impedirle di restaurare i capitalismo a suo piacere. Il grande popolo sovietico lotta per difendere le gloriosi tradizioni della grande Rivoluzione d’Ottobre, per salvaguardare le grandi conquiste socialiste e sventare il complotto di restaurazione capitalista”.(46)

 

46. Lo pseudocomunismo di Kruscev e gli insegnamenti storici che dà al mondo (1964) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 21, Edizioni Rapporti Sociali.

 

2.9. Il revisionismo moderno nei paesi imperialisti

Benché principalmente impegnato nella lotta contro il revisionismo moderno nei paesi socialisti, negli anni ‘60 e ‘70 Mao Tse-tung ha dato un grande contributo anche alla lotta dei comunisti dei paesi imperialisti contro il revisionismo moderno. Il contributo di Mao Tse-tung è stato di grande aiuto al movimento che negli anni ‘70, nel nostro come in altri paesi, ha attaccato la borghesia e ha creato le basi politiche della ripresa del movimento comunista.

Sebbene nel complesso questa lotta non abbia ancora raggiunto risultati definitivi tuttavia oggi siamo già in grado di verificare, sulla base dei fatti sopravvenuti e degli effetti prodotti, la collaborazione di classe che Mao Tse-tung denunciava essere la sostanza di tutte le varie e fumose teorie avanzate da Togliatti e da altri revisionisti come lui.

“Sebbene secondo la nostra opinione l’attuale linea del Partito comunista italiano sulla questione della rivoluzione socialista sia sbagliata, noi non abbiamo mai cercato d’interferire perché, naturalmente si tratta di una cosa sulla quale solo compagni italiani devono decidere. Ma ora, dato che il compagno Togliatti proclama che questa teoria delle “riforme di struttura” è una “linea comune all’intero movimento comunista internazionale” (dichiara unilateralmente che la transizione pacifica è “diventata un principio della strategia mondiale del movimento operaio e del movimento comunista” e poiché tale questione coinvolge non solo la teorie fondamentale marxista-leninista della rivoluzione proletaria e della dittatura proletaria, ma anche il problema fondamentale dell’emancipazione del proletariato) del popolo in tutti i paesi capitalisti, come membri del movimento comunista internazionale e come marxisti-leninisti non  possiamo non esprimere le nostre opinioni al riguardo”.(47)

 

47. Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi (1963) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 19, Edizioni Rapporti Sociali.

 

“Dopo aver letto la relazione di Togliatti il suo discorso conclusivo al decimo Congresso del Partito comunista italiano e le tesi del congresso, non si può fare a meno di pensare che egli e alcuni altri dirigenti del Partito comunista italiano si stanno allontanando sempre più dal marxismo-leninismo. Sebbene il compagno Togliatti e alcuni altri abbiano, come di solito, coperto le loro reali posizioni con l’uso di un linguaggio oscuro, ambiguo e scarsamente intelligibile, una volta tolto questo velo sottile, l’essenza delle loro posizioni diviene chiara.

Essi nutrono le più grandi illusioni circa l’imperialismo, essi negano il fondamentale antagonismo tra i due sistemi mondiali del socialismo e del capitalismo e il fondamentale antagonismo tra l’oppressore e le nazioni oppresse ed in luogo della lotta di classe internazionale e della lotta antimperialistica essi sostengono la collaborazione di classe internazionale e la creazione di un “nuovo ordine mondiale”. Essi hanno profonde illusioni circa i capitalisti monopolisti in patria, essi confondono i due tipi largamente differenti di dittatura di classe: la dittatura della borghesia e la dittatura del proletariato e predicano il riformismo borghese, o “riforme di struttura” com’essi le chiamano, quale sostituto della rivoluzione proletaria. Essi affermano che i principi fondamentali del marxismo-leninismo sono diventati “antiquati”, manomettono le teorie marxiste-leniniste sull’imperialismo, la guerra e la pace, lo Stato e la rivoluzione, la rivoluzione proletaria e la dittatura del proletariato. Essi abbandonano i principi rivoluzionari delle due Dichiarazioni di Mosca; essi ripudiano le leggi universali della rivoluzione proletaria o, in altre parole, il significato universale della strada della Rivoluzione d’Ottobre, e descrivono la “via italiana al socialismo”, che è l’abbandono della rivoluzione, come una “linea comune per l’intero movimento comunista internazionale”.

In ultima analisi, la posizione presa da Togliatti e alcuni altri dirigenti del Partito comunista italiano, si condensa in questo: i popoli dei paesi capitalisti non dovrebbero fare la rivoluzione, le nazioni oppresse non dovrebbero condurre lotte per ottenere la liberazione e i popoli del mondo non dovrebbero lottare contro l’imperialismo. In realtà, tutto ciò soddisfa esattamente le esigenze degli imperialisti e dei reazionari”.(48)

“La loro cosiddetta “teoria delle riforme di struttura” è la “teoria della transizione pacifica” o, per dirla con le loro parole, della “avanzata verso il socialismo nella democrazia e della pace”. Tutta la loro teoria e tutto il loro programma sono pieni di lodi per la “pace tra le classi” nella società capitalistica e non contengono assolutamente nulla circa “l’avanzata verso il socialismo”; c’è solo “pace” tra le classi e niente affatto “transizione” al socialismo”.(49)

 

48. Sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi (1962) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 19, Edizioni Rapporti Sociali.

 

49. Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi (1963) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 19, Edizioni Rapporti Sociali.

 

Queste precise contestazioni avanzate da Mao Tse-tung alla teoria e alla linea politica di Togliatti e degli altri revisionisti moderni dei paesi imperialisti, contestazioni verificate dagli avvenimenti succedutisi, sono oggi di insegnamento di fronte ai tentativi di salvaguardare la sostanza del revisionismo moderno di Togliatti messa in atto dai suoi epigoni Cossutta e Garavini che, non a caso, un illustre esponente della classe dominante italiana, F. Cossiga, chiama “fedeli servitori dello Stato” borghese.

 

2.10. Il materialismo dialettico

 Ogni filosofia è e vuole essere l’espressione più astratta e quindi più universale del movimento reale. Come versione universale del movimento reale, ricavata dallo studio e comprensione di esso, la filosofia diventa a sua volta di aiuto a chi vuole studiare e comprendere il movimento reale delle cose.

Il grande lavoro di studio, comprensione e verifica del movimento reale condotto da Mao Tse-tung, lo ha portato a sviluppare anche la filosofia marxista, il materialismo dialettico. Avendo partecipato attivamente ad una lunga serie di lotte e di rivoluzioni, in un certo senso non poteva che essere così, dato che il materialismo dialettico non è che formulazione astratta ed universale dell’esperienza. Mao Tse-tung ha affermato il carattere universale della contraddizione e l’unità degli opposti come unica legge fondamentale della realtà. “La legge della contraddizione inerente alle cose, ossia la legge dell’unità degli opposti, è la legge fondamentale della dialettica materialista”.(50)

Gran parte delle sue opere costituiscono brillanti esempi di analisi e di sintesi, da cui emerge, illustrata nella pratica, questa tesi. Esse costituiscono una monumentale lezione contro il dogmatismo (che trascura il carattere universale della contraddizione) e contro l’eclettismo (che trascura la relazione tra gli opposti).

 

50. Sulla contraddizione (1937) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 5 e Discorso sui problemi filosofia (1964) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 22, Edizioni Rapporti Sociali.

 

3. Conclusioni

Non abbiamo esposto il maoismo. Lo scopo di questo scritto non era "compilare un bigino" nè esporre "cosa ha 'veramente' detto Mao Tse-tung".

Speriamo solo di aver convinto i nostri lettori a non mettere le opere di Mao Tse-tung negli scaffali, a non appendere la sua immagine alle pareti come un quadro venerato e inoffensivo. Speriamo cioè di aver destato la curiosità dei nostri lettori circa l'attualità dell'opera di Mao Tse-tung, di aver fatto capire loro l'importanza di studiare le sue opere come arma per affrontare i problemi che stanno oggi di fronte alle forze soggettive della rivoluzione, come arma da mettere alla prova e verificare nella pratica concreta della lotta di classe del nostro paese. Solo così capiremo anche le verità universali che il maoismo contiene e la sua natura di coscienza più alta raggiunta finora dal pensiero comunista.