Ai comunisti e ai proletari che cercano una via per l’emancipazione della propria classe

Rapporti Sociali n. 9/10, settembre 1991  (versione Open Office / versione MSWord )

 

(Supplemento pubblicato nel dicembre 1990)

 

Il mondo in cui viviamo è tutto in fermento.

Nei paesi imperialisti le masse lavoratrici lottano per difendere le conquiste strappate negli anni passati; pressoché tutti gli Stati della borghesia imperialista attraversano una fase di crisi: la borghesia imperialista è dilaniata da lotte acute tra gruppi d’interesse, non può più mantenere ed esercitare il potere nelle forme fin qui utilizzate, l’organizzazione di ogni Stato e le relazioni tra gli Stati vacillano.

Nei paesi socialisti è in corso uno scontro a breve termine tra la ripresa della transizione al comunismo e la restaurazione del capitalismo, che per il momento si esprime in mille ribellioni ai gruppi dirigenti e in mille scontri civili scatenati sotto le più varie bandiere.

Nei paesi semicoloniali le masse lottano contro la dominazione imperialista e per l’eliminazione del capitalismo burocratico e dei residui feudali.

Ancora recentemente gli opportunisti e i portavoce della borghesia imperialista non avevano fatto a tempo a cantare le glorie della "pace" e del "1989 anno della rivoluzione democratica" e a proclamare che nella "democrazia" finalmente trionfante non erano più necessarie burrasche, che nuove fonti di tempeste mondiali sono esplose in Medio Oriente e in Unione Sovietica.

Qual è il senso degli avvenimenti in corso?

 

LA BORGHESIA STA RISUCCHIANDO I PROLETARI E I POPOLI NEI VORTICI DI UNA NUOVA CRISI GENERALE

 

La svolta della fine del secolo XIX

 

Nel corso del secolo XIX la borghesia, per ostacolare la caduta del saggio del profitto e stimolata da una serie ciclica di crisi economiche, sviluppò su grande scala le forze produttive della società ma questo significò accrescere fortemente il loro carattere collettivo. Essa estese a tutto il mondo la sua rete commerciale e creò un organismo produttivo unitario che direttamente o indirettamente inglobava gran parte della popolazione mondiale. Esso poteva funzionare solo grazie ad un adeguato livello di collaborazione di milioni di lavoratori: la classe dominante era costretta quindi ad ottenere in qualche modo un adeguato livello di consenso della massa dei proletari alle attività sociali. Tutto ciò verso la fine del secolo arrivò a un grado di sviluppo tale da determinare nella storia dell’umanità una svolta: erano oramai maturate le condizioni oggettive per una superiore organizzazione sociale, il comunismo, basata sul possesso comune e sulla gestione collettiva da parte dei lavoratori delle forze produttive della società. La società aveva seguito il percorso che qualche decennio prima Marx ed Engels avevano messo in luce.

Il capitalismo entrò allora nella sua fase imperialista, la sua fase di decadenza, cioè la fase in cui la proprietà individuale capitalista delle forze produttive per sopravvivere doveva fare i conti con il carattere già collettivo di queste, la fase in cui la resistenza all’avanzata del comunismo e, di conseguenza, la conservazione degli ordinamenti esistenti diventavano una delle cause determinanti dell’attività della borghesia, una causa che però inevitabilmente avrebbe portato la borghesia anche ad attività in contrasto con la valorizzazione del capitale e quindi sarebbe diventata fonte di nuove contraddizioni e crisi.

 Nel campo della struttura economica ciò si concretizzò da allora nella resistenza alla proprietà collettiva. La borghesia dovette creare in continuazione associazioni di capitalisti che costituissero una mediazione della proprietà individuale capitalista delle forze produttive con il loro carattere collettivo e che fossero atte a gestirne il funzionamento. Nel movimento economico della società borghese il capitale finanziario, le associazioni monopolistiche di capitalisti, gli enti economici pubblici e gli Stati borghesi assunsero sempre più il ruolo di parte dirigente dell’intera struttura economica della società che restava però nella sua massa composta da una miriade di capitalisti individuali e di venditori e compratori di merci in concorrenza tra loro. Questo rendeva transitorie e fragili le associazioni di capitalisti e ne limitava l’efficacia.

Nel campo sovrastrutturale (politico e culturale) ciò si concretizzò

- nella resistenza della borghesia all’avanzata del proletariato: nella società infatti si erano già in una certa misura formate le forze soggettive motrici della trasformazione necessaria; nei partiti socialisti della Il Internazionale i] proletariato aveva acquistato in una certa misura la coscienza che le sue lotte rivendicative potevano avere un risultato duraturo solo con la trasformazione socialista della società, era diventato la forza politica che incarnava e personificava l’esigenza oggettiva del passaggio al comunismo, aveva creato istituzioni atte a formare ed esprimere la volontà della nuova classe;

- nel consolidamento, all’interno della borghesia, di rapporti gerarchici ed antagonistici.

L’estensione dei diritti della democrazia borghese al proletariato, alle masse dei paesi imperialisti e ai popoli delle colonie si scontrò con la necessità, inscritta nei rapporti economici, di mantenere la dittatura su di essi. Stante la sopravvivenza della proprietà capitalista delle forze produttive, la collaborazione della massa dei proletari nell’organismo unitario della produzione sociale non doveva realizzarsi nella forma dell’universale consapevole partecipazione alla gestione degli affari sociali; quindi la crescita della coscienza e dell’organizzazione della massa dei proletari doveva essere ostacolata e, vista l’impossibilità di impedirla in assoluto, le organizzazioni e la coscienza dei proletari dovevano essere deviate e periodicamente stroncate e ricacciate indietro. Ma l’indice più significativo della svolta si ebbe nei rapporti all’interno della classe dominante: i rapporti democratici vennero via via sostituiti dal dominio di un pugno di esponenti del capitale finanziario sul grosso della borghesia e da rapporti antagonisti tra i rappresentanti delle frazioni in cui il capitale complessivo della società è diviso. Si confermava che nell’analizzare il regime politico di una società divisa in classi è essenziale distinguere sempre da una parte il modo in cui vengono regolati i rapporti tra i membri della classe dominante e dall’altra il modo in cui la classe dominante regola i suoi rapporti con le classi oppresse. Nel regime politico delle società borghesi l’allargamento a masse più ampie dei diritti della democrazia borghese passò in second’ordine cedendo il primo posto alla controrivoluzione preventiva, alla militarizzazione dell’attività statale, alla manipolazione dell’informazione e dell’opinione pubblica, alla subordinazione delle istituzioni politiche e sociali sia alla corruzione del capitale finanziario sia al controllo e all’infiltrazione degli organi repressivi, alle trame della diplomazia segreta e dei servizi segreti. Nel campo culturale la ricerca e la diffusione della comprensione del mondo fisico e dei processi sociali retrocesse in secondo piano rispetto alla cultura d’evasione e all’elaborazione e diffusione di teorie che occultavano i rapporti sociali effettivi, difendevano l’ordine esistente e ne proclamavano l’eternità: perfino le teorie religiose e le relative chiese, contro cui la borghesia un tempo si era battuta, vennero ripescate e reimposte alle masse nello sforzo di conservare la loro collaborazione e arrestarne lo sviluppo politico.

Da allora la transizione al comunismo diventò un percorso oggettivamente necessario, inscritto cioè nel carattere oggettivo assunto dalle forze produttive della società. Questo non nel senso che la trasformazione sarebbe stata rapida e facile, ma nel senso che era diventata l’unico possibile percorso di progresso e che finché esso non fosse stato imboccato e percorso l’umanità avrebbe vissuto "i travagli del parto" incompiuto, come gli avvenimenti da allora succedutisi hanno confermato.

 

 La prima crisi per sovrapproduzione di capitale

 

Già all’inizio del secolo XX il mondo capitalista entrò nella prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. Il mondo era stato già tutto diviso tra i gruppi imperialisti e i loro Stati e la borghesia imperialista difendeva ferocemente, in ogni paese e a livello internazionale, gli ordinamenti esistenti come forma del proprio potere. Ma d’altra parte il capitale aveva oramai occupato tutti gli spazi di espansione che gli erano possibili nell’ambito di quegli ordinamenti e non poteva più espandersi senza sovvertirli. Ogni gruppo imperialista poteva allargare i suoi affari ed aumentare i suoi profitti solo occupando lo spazio di un altro gruppo imperialista. Le difficoltà incontrate dall’accumulazione del capitale sconvolgevano tutto il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza dell’intera società, tutta la struttura economica della società e la sua sovrastruttura politica e culturale. In ogni paese imperialista per contrastare l’instabilità del regime politico che ne derivava, lo Stato doveva impiegare i suoi mezzi per aprire nel mondo nuovi spazi all’espansione degli affari dei gruppi capitalisti del paese. I contrasti economici tra gruppi imperialisti e tra borghesia e proletariato erano diventati antagonisti e si trasformavano in contrasti tra Stati imperialisti e in contrasti politici all’interno di ogni paese. Iniziò allora una situazione rivoluzionaria: il mondo doveva cambiare, interessi acquisiti e consolidati dovevano essere eliminati, un nuovo ordine doveva essere instaurato: ciò che restava da decidere era se il cambiamento sarebbe stato diretto dalla borghesia o dal proletariato.

Lenin espresse la sintesi più alta del passaggio in cui si trovò allora l’umanità e delle forze che in esso si scontravano.

 

La prima rivoluzione socialista e la ripresa del capitalismo

 

La borghesia precipitò tutti i popoli in un periodo di sconvolgimenti, di distruzioni, di sofferenze e di massacri inauditi che durarono più di trent’anni: dalla prima alla seconda guerra mondiale (1914-1945). Il proletariato guidato dai partiti comunisti si pose alla testa della rivolta delle masse popolari contro il percorso che la borghesia imponeva e lanciò il suo primo “assalto al cielo”: conquistò nel 1917 il potere politico in Unione Sovietica, nei paesi coloniali e semicoloniali prese la direzione delle lotte antimperialiste di liberazione nazionale che culminarono nel 1949 nella conquista del potere in Cina, difese i propri ordinamenti politici dai ripetuti assalti delle potenze imperialiste coalizzate (1918-1921 e 1940-1945) riuscendo ad estenderli ad altri paesi (Europa Orientale), avviò la transizione al comunismo di un vasto settore della popolazione mondiale, sviluppò le forze rivoluzionarie in tutto il mondo (sviluppo di cui la III Internazionale fu mezzo ed espressione), acquisì una grande esperienza dei problemi relativi alla transizione dal capitalismo al comunismo, sintetizzata nelle opere di Lenin e di Stalin.

Il proletariato non era tuttavia ancora abbastanza cosciente ed organizzato da poter vincere la resistenza della borghesia anche nei paesi dove questa era più forte. Nella maggior parte dei paesi il proletariato non aveva ancora espresso una sua direzione né abbastanza consapevole dei compiti strategici né, di conseguenza, capace di individuare e realizzare sistematicamente i compiti tattici. La borghesia riuscì a impedire che la prima ondata di rivoluzioni socialiste avesse successo anche nei maggiori paesi imperialisti. Gli sconvolgimenti politici ed economici e le distruzioni operati dalle due guerre mondiali aprirono invece alla borghesia lo spazio per una ripresa dell’accumulazione del capitale con la conseguente nuova espansione nel suo ambito del processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza.

 

Il capitalismo dal volto umano

 

Nei trent’anni successivi alla seconda guerra mondiale il modo di produzione capitalista poté di conseguenza espandersi  nuovamente in tutto il mondo in cui la borghesia aveva mantenuto il potere.

In questa nuova situazione il proletariato e le masse lavoratrici dei paesi imperialisti, forti anche dell’esperienza rivoluzionaria acquisita nel periodo precedente, riuscirono a strappare una serie di miglioramenti nelle condizioni economiche, lavorative, politiche e culturali: miglioramento delle condizioni materiali dell’esistenza, politiche di pieno impiego e di stabilità del posto di lavoro, diritti di organizzazione sul posto di lavoro, diritti di intervento nell’organizzazione del lavoro, riduzione delle discriminazioni per razza, sesso ed età, scolarizzazione di massa, misure di previdenza contro l’invalidità e la vecchiaia, sistemi di assistenza sanitaria, edilizia a prezzi amministrati, ecc. In tutti i paesi imperialisti si avviò di fatto la costruzione di un “capitalismo dal volto umano”, ossia di una società in cui, pur sempre nell’ambito dei rapporti di produzione capitalisti e del lavoro salariato (quindi della capacità lavorativa come merce e del lavoratore come venditore di essa), ogni uomo disponesse dei mezzi necessari per un’esistenza normale e per il sostentamento e l’educazione delle persone a suo carico, avesse nella vita produttiva della società un ruolo in qualche misura confacente alle sue caratteristiche, progredisse ragionevolmente nel diminuire la fatica, avesse sicurezza nella malattia, invalidità e vecchiaia.

Su questo terreno in tutti i paesi imperialisti si affermarono i revisionisti moderni e i riformisti. Essi in tutti i paesi imperialisti assunsero la direzione del movimento operaio quali teorici, propagandisti e promotori in seno ad esso del miglioramento nell’ambito della società borghese. Le bandiere, gli slogans e i principi che essi inalberarono furono diversi da paese a paese a secondo delle concrete condizioni politiche e culturali ereditate dalla storia, ma eguale fu in quel periodo il loro ruolo nel movimento politico ed economico della società.

Grazie al nuovo periodo di sviluppo del capitalismo anche nella maggior parte dei paesi dipendenti dai gruppi e dagli Stati imperialisti la direzione del movimento delle masse venne presa dai sostenitori e promotori della collaborazione con gli imperialisti. La maggioranza di questi paesi divennero semicolonie: costituirono Stati autonomi dipendenti da uno o più gruppi imperialisti, i residui feudali vennero in qualche misura limitati distruggendo le condizioni di riproduzione di larghe masse di contadini che si riversarono come “poveri” nelle città, crebbe il capitalismo burocratico.

Nei paesi socialisti i fautori della via capitalista e i promotori della restaurazione del capitalismo trassero anch’essi grande forza dal nuovo periodo di sviluppo del capitalismo. Essi trovarono nei revisionisti moderni capeggiati da Kruscev, Breznev e Teng Siao-ping i loro esponenti in seno agli organismi degli Stati dei paesi socialisti, alle organizzazioni delle masse e ai partiti comunisti. Essi per anni impedirono che fossero prese le misure economiche, politiche e culturali necessarie a portare avanti la trasformazione della società verso il comunismo, posero i loro paesi alla scuola dei capitalisti scimmiottandone le istituzioni e allacciarono stretti legami economici (commerciali e finanziari), politici e culturali con i capitalisti fino a fare dei paesi socialisti paesi economicamente e culturalmente dipendenti e politicamente deboli.

 

In conclusione i trenta anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale costituirono complessivamente un periodo di ripresa della borghesia. Tuttavia le forze rivoluzionarie conseguirono alcuni successi di grande significato (Cuba, Indocina) e, soprattutto, si arricchirono della grande esperienza del Partito Comunista Cinese relativa alla condotta della lotta di classe dopo la conquista del potere, sintetizzata nell’opera di Mao Tse-tung.

 

La nuova crisi per sovrapproduzione di capitale

 

Nei trent’anni trascorsi dopo la conclusione della seconda guerra mondiale la borghesia imperialista ha però di nuovo esaurito i margini di accumulazione che si era creata con gli sconvolgimenti e le distruzioni delle due guerre mondiali. Dagli anni settanta il mondo capitalista è entrato in una nuova crisi per sovrapproduzione di capitale. L’accumulazione  del capitale non può più proseguire nell’ambito degli ordinamenti interni ed internazionali esistenti, di conseguenza il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza dell’intera società è sconvolto ora in un punto ora in un altro in misura via via più profonda e sempre più diffusamente. Apparentemente i capitalisti sono alle prese ora con l’inflazione e la stagnazione, ora con l’oscillazione violenta dei cambi tra le monete, qui con l’ingigantirsi dei debiti pubblici, là con la difficoltà di trovare mercati per le merci prodotte, un momento con la crisi e il boom delle Borse e un altro momento con la sofferenza dei debiti esteri. Essi e i loro portavoce non possono comprendere la causa unitaria dei problemi che li assillano. Ma la sovrapproduzione di capitale produce i suoi effetti anche se i capitalisti non la riconoscono e anche se gli intellettuali che riflettono l’esperienza di quelli (sia pure alcuni proclamandosi marxisti e perfino marxisti-leninisti) non ne hanno coscienza alcuna.

I contrasti tra i gruppi imperialisti diventano nuovamente acuti: la torta da dividere non aumenta e ogni gruppo può crescere solo eliminandone un altro.

In tutti i paesi imperialisti i contrasti economici tra borghesia e proletariato hanno cominciato ad acutizzarsi. In tutti i paesi imperialisti la borghesia sta eliminando una dopo l’altra le conquiste che le masse lavoratrici avevano strappato o abrogandole (scala mobile, stabilità del posto di lavoro, ecc.) o lasciando andare in malora le istituzioni in cui esse si attuavano (scuola di massa, istituti previdenziali, sistemi sanitari, ecc.). Il capitalismo dal volto umano ha fatto il suo tempo. In tutti i paesi imperialisti la borghesia viene via via abolendo quei regolamenti, norme, prassi ed istituzioni che nel periodo di espansione hanno mitigato o neutralizzato gli effetti più destabilizzanti e traumatici del movimento dei singoli capitali e le punte estreme dei cicli economici. Ora, nell’ambito della crisi, ogni frazione di capitale trova che quelle istituzioni sono un impedimento inaccettabile alla libertà dei suoi movimenti per conquistarsi spazio vitale. La deregulation, la privatizzazione delle imprese economiche statali, ecc. sono all’ordine del giorno.

Ciò rende instabile in ogni paese imperialista il regime politico, rende ogni paese meno governabile con gli ordinamenti che fino ad ieri avevano funzionato. Nelle relazioni tra i gruppi borghesi la parola non è più principalmente alla democrazia, all’accordo, alla spartizione, ma è principalmente alla lotta, all’eliminazione e alle armi. Tentativi di ridurre l’espressione politica dei contrasti proprio perché questi crescono, espansione del ricorso delle classi dirigenti a procedure criminali ed a milizie extralegali e private, creazione di barriere elettorali, accrescimento delle competenze dei governi e degli apparati amministrativi a spese delle assemblee elettive, restrizione delle autonomie locali, limitazione per legge degli scioperi e delle proteste, ecc. sono all’ordine del giorno in ogni paese imperialista .

Ogni Stato imperialista per ostacolare la crescita dell’instabilità del regime politico nel proprio paese deve sempre più ricorrere a misure che accrescono l’instabilità di altri Stati: dall’abolizione nel 1971 della convertibilità del dollaro in oro e del sistema monetario di Bretton Woods, alla politica degli alti tassi d’interesse e dell’espansione del debito pubblico seguita dal governo federale USA negli anni ’80, alle misure protezionistiche e di incentivazione delle esportazioni commerciali sempre più spesso adottate da ogni Stato.

 

La maggior parte dei paesi semicoloniali sono diventati dapprima un mercato dove i gruppi imperialisti hanno riversato le merci che la sovrapproduzione di capitale rendeva eccedenti, poi un campo in cui gli stessi gruppi hanno impiegato come capitale di prestito i capitali che nei paesi imperialisti non potevano essere impiegati che a un tasso di profitto decrescente, ora infine un terreno che i gruppi imperialisti devono invadere direttamente per farne un nuovo campo di accumulazione di capitale.

Nella maggior parte dei paesi socialisti i regimi instaurati dai revisionisti moderni si sono trovati dapprima schiacciati nella morsa della crisi economica sviluppantesi nei paesi imperialisti di cui si erano resi dipendenti commercialmente e finanziariamente, quindi sono crollati rivelando la fragilità politica dei regimi stessi.

 

 Una nuova situazione rivoluzionaria in sviluppo

 

Tutto ciò viene nuovamente creando una nuova situazione di guerra e di rivoluzione, analoga a quella attraversata nella prima metà del secolo. Il mondo deve cambiare e inevitabilmente cambierà: gli ordinamenti attuali dei paesi imperialisti e le attuali relazioni internazionali ostacolano la prosecuzione dell’accumulazione di capitale e quindi saranno inevitabilmente sovvertiti. Ciò che resta da decidere è se il mondo cambierà ancora sotto la direzione della borghesia creando ordinamenti diversi di una società ancora capitalista o se cambierà sotto la direzione del proletariato creando una società socialista. Ogni altra soluzione è esclusa dalle condizioni oggettive esistenti: gli sforzi dei fautori di altre soluzioni in pratica faranno il gioco di una di queste due soluzioni che sono le uniche possibili.

 

La borghesia può superare l’attuale crisi per sovrapproduzione di capitale conquistandosi un altro periodo di ripresa

- o con l’integrazione degli ex paesi socialisti nel mondo capitalista occidentale,

- o con la ricolonizzazione e maggiore sussunzione nel capitale dei paesi semicoloniali e semifeudali,

- o con una distruzione di capitale di dimensioni adeguate negli stessi paesi imperialisti,

- o con una qualche combinazione delle tre vie precedenti.

Ognuna di queste soluzioni porta ad un periodo di guerre, ognuna delle quali sarà ovviamente presentata alle masse nella veste più lusinghiera, di guerra per la pace, di guerra per la giustizia, di guerra per la difesa dei propri diritti e bisogni vitali, di ultima guerra.

I comunisti, i proletari e le masse popolari sono contro le guerre imperialiste, le guerre scatenate dai gruppi imperialisti per decidere chi di loro prenderà le spoglie dell’altro. Sono contro le guerre scatenate dai gruppi imperialisti per impadronirsi direttamente delle semicolonie o per assoggettare gli ex paesi socialisti. E l’unico modo efficace per non dover combattere in queste guerre è prevenirle con la rivoluzione o trasformarle in rivoluzione: se la situazione in cui la borghesia ci ha cacciato è tale che comunque dobbiamo combattere, combattiamo per noi stessi.

La guerra al servizio dei gruppi imperialisti deve essere trasformata in guerra per l’eliminazione del capitalismo, cioè per l’eliminazione della fonte reale di tutte le guerre del mondo attuale: una nuova ondata della rivoluzione socialista è la soluzione proletaria all’attuale crisi per sovrapproduzione di capitale.

 

IL REVISIONISMO MODERNO HA FATTO FALLIMENTO

 

Nei paesi socialisti

 

I revisionisti moderni hanno per anni cercato di restaurare pacificamente il capitalismo corrodendo e corrompendo passo dopo passo le istituzioni e le strutture della società socialista, rendendone impossibile il funzionamento, facendo marcire e incancrenire le contraddizioni, ridando spazio in campo economico, politico e culturale a tutti gli elementi e a tutte le pratiche arretrati ereditati dalla vecchia società feudale o borghese.

Il progetto di restaurazione pacifica del capitalismo è però fallito grazie alla resistenza delle masse. I revisionisti moderni sono solo riusciti a precipitare i paesi socialisti nel caos e a condurre la situazione ad un punto tale che un nuovo scontro aperto è inevitabile. I revisionisti moderni sono andati a gambe all’aria, il loro posto viene preso dai fautori aperti della restaurazione decisi a realizzarla a prezzo di ogni violenza e coercizione, a prezzo di qualsiasi sacrificio e sofferenza per le masse.

La delimitazione dei fronti tra i fautori della ripresa dell’avanzata verso il comunismo e i fautori della restaurazione del capitalismo, le nuove "guardie bianche”, e lo schieramento delle rispettive forze compongono il processo in corso nelle  scaramucce di questi giorni.

 

Nei paesi imperialisti

 

I revisionisti moderni nei paesi imperialisti hanno potuto sorgere ed affermarsi grazie alla fase di espansione e sviluppo economici avutasi nei trent’anni successivi alla seconda guerra mondiale. Essi sono stati gli organizzatori e gestori delle istituzioni e delle pratiche in cui il progetto di costruire un capitalismo dal volto umano si è concretizzato e sono stati i predicatori dell’illusione che esso potesse durare ed espandersi indefinitamente.

Da quando c’è stata la svolta e la borghesia ha iniziato a smantellare una dopo l’altra istituzioni e pratiche del capitalismo dal volto umano, è venuto meno il terreno su cui i revisionisti moderni poggiavano, è iniziato il loro inarrestabile declino. Il riformismo ha perso la base reale (le conquiste economiche, politiche e culturali) che gli dava forza, è diventato e diventa ogni giorno di più riformismo senza riforme, velleità, avventurismo, discorso vuoto da cui le masse rifuggono. La forza dei gruppi e partiti riformisti proviene proporzionalmente sempre meno dal sostegno delle masse e sempre più dai favori della borghesia. Ma la borghesia può sempre meno fare affidamento sui riformisti per governare le masse e quindi sempre meno elargisce ad essi i suoi favori, benché essi rimangano la sua risorsa estrema per dividere le masse in misura sufficiente per reprimerle con successo.

 

Nei paesi semicoloniali

 

La conciliazione con l’imperialismo ha mantenuto la maggior parte dei paesi semicoloniali in uno stato di arretratezza economica e culturale e di dipendenza e fragilità politica. Chiamati nel linguaggio degli imperialisti “paesi in via di sviluppo”, la crescita economica e culturale è rimasta per la maggior parte di essi un miraggio.

La dominazione dell’imperialismo e dei gruppi indigeni feudali e capitalisti-burocratici ha distrutto le condizioni sia pur primitive di sopravvivenza di larghe masse, ha gettato la maggior parte della popolazione mondiale (che abita in questi paesi) in uno stato di emarginazione e di sottoalimentazione cronica che la spinge sempre più all’emigrazione nei paesi imperialisti.

In quasi tutti questi paesi però sono cresciuti il proletariato e le forze rivoluzionarie. L’avidità e la rapacità dei banchieri imperialisti e dei loro servi locali fanno della rivoluzione antimperialista l’unica via di sopravvivenza per le ampie masse.

 

Il disfacimento del PCI

 

L’Italia è stato un paese imperialista in cui il revisionismo moderno si è sviluppato in misura molto ampia. Capeggiati da Togliatti i revisionisti moderni hanno preso in mano il partito e le organizzazioni delle masse costruiti dai comunisti e dai proletari d’avanguardia durante la lotta contro il Fascismo e durante la Resistenza e ne hanno stravolto il molo sociale trasformandoli durante il periodo del capitalismo dal volto umano in ingranaggi ausiliari del regime borghese.

La svolta realizzata anche nel nostro paese e l’eliminazione in corso del capitalismo dal volto umano hanno tolto anche da noi il terreno sotto i piedi ai revisionisti moderni. Contrariamente a quanto proclamano i nostalgici della pratica revisionista di rivestire la collaborazione con la borghesia di sacri principi e di un frasario comunista (da Cossutta a Rossanda, da Ingrao a Vinci), Occhetto è l’esecutore testamentario del fallimento del progetto di conciliazione portato avanti prima da Togliatti poi da Longo e da Berlinguer. I proletari che erano attivamente impegnati nelle organizzazioni dirette dai revisionisti moderni sono oggi di fronte ad un bivio e, se resteranno politicamente attivi, entro breve tempo dovran no imboccare una delle due strade: o integrarsi nel regime borghese lasciando la "diversità" su cui ancora faceva leva Berlinguer o rompere con la tradizione di Togliatti e porsi sulla strada della rivoluzione.

Il fallimento dei revisionisti moderni libera nel nostro paese nuove energie rivoluzionarie. Quante energie sprecate e paralizzate oggi si liberano! La lotta per resistere all’avanzata dei revisionisti moderni nel partito comunista e nelle organizzazioni delle masse, una volta che questa avanzata ebbe successo si era trasformata in paralisi e neutralizzazione di energie di proletari impiegate a difendere e tenere in piedi un organismo che i revisionisti moderni avevano oramai corroso dall’interno e reso incapace di ogni iniziativa rivoluzionaria, che spesso usavano per opprimere le masse, per corrompere o demoralizzare le nuove generazioni di rivoluzionari e per consegnare nelle mani della repressione borghese quanti non si lasciavano corrompere o demoralizzare.

Con il disfacimento del PCI la borghesia italiana ha perso un elemento di forza e di stabilità e le prospettive dei comunisti sono di gran lunga migliorate. La ricostruzione del partito comunista diventa un obiettivo più vicino.

 

UNA NUOVA ONDATA DELLA RIVOLUZIONE SOCIALISTA: IL COMUNISMO È IL NOSTRO FUTURO

 

Il neocapitalismo è capitalismo

 

Le strutture che dirigono il processo produttivo delle società attuali (il capitalismo di Stato, il capitale finanziario, i monopoli) sono sovrastrutture, escrescenze del capitalismo vecchio stile fatto di capitalisti produttori, commercianti e banchieri, speculatori e profittatori, produttori e venditori di merci che costituiscono ancora il grosso delle società borghesi. Quelle strutture poggiano sulla larga base della produzione mercantile capitalista e della proprietà individuale capitalista delle forze produttive. Ogni associazione di capitalisti e ogni accordo tra capitalisti è quindi temporaneo, funzionale al profitto dei capitali individuali e minato dall’interno dalla contraddizione tra le frazioni individuali di capitale. La vantata capacità degli Stati e delle associazioni nazionali e internazionali di capitalisti di pianificare il movimento economico della società, di dirigerlo secondo un piano preventivamente tracciato, di controllare e dirigere il movimento economico, politico e culturale della società, insomma la pretesa di essere entrati in un nuovo modo di produzione, il neocapitalismo, che avesse superato i punti deboli del vecchio capitalismo si rivela sotto i nostri occhi un’illusione di alcuni, una menzogna interessata di altri, un incubo allucinato di altri ancora. Il piano del capitale è esistito solo come vanteria delle teste d’uovo del capitale e come speculazione degli "operaisti" e dei loro maestri della "scuola di Francoforte".

 

Il contrasto tra il carattere collettivo delle forze produttive e la proprietà individuale capitalista di esse

 

Il processo produttivo delle società attuali è diventato ancora più profondamente e diffusamente opera collettiva di un organismo mondiale; ogni parte di questo può funzionare solo se funzionano anche le altre e grazie al funzionamento di tutte le altre. Nei quarant’anni trascorsi dalla conclusione della seconda guerra mondiale sono stati ulteriormente ridotti gli ambiti dei sistemi autonomi individuali o locali di produzione. Sul piano economico il mondo è diventato in senso più stretto un organismo unico, anche se sempre più lacerato da contraddizioni proprio a causa del carattere capitalista dei rapporti tra le sue parti costitutive. I capitalisti e i loro seguaci pretendono infatti di basare ancora il funzionamento di un organismo del genere sul possesso individuale delle forze produttive e sul furto di tempo di lavoro altrui, come ai tempi in cui il funzionamento e il risultato di queste dipendeva principalmente dalle risorse e dall’energia del singolo individuo o gruppo che ne disponeva.

Questa contraddizione è ineliminabile se non si elimina il capitalismo: i contrasti che lacerano le singole società imperialiste e la società mondiale (ivi compresa in particolare la distruzione dell’ambiente che negli ultimi quarant’anni è di ventata una contraddizione universale) in definitiva derivano da questo contrasto fondamentale, anche se derivano da esso attraverso una serie di passaggi intermedi che a volte danno alle manifestazioni concrete apparenze del tutto diverse.

 

Il comunismo è l’adeguamento dei rapporti sociali di produzione al carattere collettivo delle forze produttive

 

Il comunismo è il movimento della società mondiale che si trasforma in modo da porre alla base del suo movimento economico il possesso comune e la gestione collettiva delle sue forze produttive.

È un movimento oggettivamente necessario, per quanto complessa e di lungo periodo sia la trasformazione: si tratta infatti di trovare le forme associative ed organizzative adatte a realizzare la direzione dei lavoratori sul proprio processo lavorativo e su se stessi.

Il carattere collettivo delle forze produttive si afferma inevitabilmente sia nella società imperialista sia nella società socialista.

Nella società imperialista esso si esprime

- come tentativi di sottomissione di tutto il movimento economico della società borghese, quindi di tutti i capitalisti, alle “associazioni di capitalisti” (Stato, enti economici pubblici, monopoli, società finanziarie, ecc.) che alcuni capitalisti cercano di far esistere scontrandosi con l’ineliminabilità della divisione del capitale in frazioni contrapposte, all’interno di ogni paese e a livello mondiale;

- come sottomissione gerarchica e amministrativa, oltre che economica, del resto della popolazione a queste associazioni di capitalisti;

- come repressione e soffocamento delle manifestazioni dei rapporti borghesi più contraddittorie e distruttive;

- come tentativo di instaurare direzione e controllo dei capitalisti sulle coscienze e sui comportamenti della massa dei proletari.

 

Nella società socialista si esprime nella direzione di tutto il movimento economico della società da parte della comunità dei lavoratori. La sostanza della transizione dal capitalismo al comunismo che si attua nella società socialista consiste appunto nella formazione della comunità dei lavoratori di tutto il mondo che prende possesso delle forze produttive già sociali. Nella società borghese sono già state poste alcune premesse della formazione di questa comunità (le organizzazioni di massa e il partito comunista), esse vengono rafforzate dalle lotte rivoluzionarie attraverso le quali il proletariato arriva alla conquista del potere. La sua completa costituzione, la sua articolazione in organismi ed istituzioni, la creazione ed il consolidamento di rapporti sociali adeguati ad essa e l’inglobamento in essa dell’intera popolazione costituiscono il risultato dell’intera epoca storica del socialismo: in ciò principalmente consiste la transizione dal capitalismo al comunismo. Quando questa comunità raggiunge la capacità di dirigere l’intero movimento economico della società la sua formazione è compiuta. Nella società socialista il carattere collettivo delle forze produttive si esprime quindi positivamente come spinta alla trasformazione della società attuale, alla soppressione della divisione in classi, alla riduzione delle differenze tra città e campagna, tra paesi arretrati e paesi avanzati, alla riduzione della differenza tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, alla diffusione di massa di un alto livello culturale e delle attività organizzative, progettuali e direttive, alla instaurazione di una comunità mondiale in cui la spinta allo sviluppo della produttività del lavoro umano sono la riduzione della fatica e della durata del lavoro e la crescita delle attività creative e delle relazioni sociali di ogni individuo.

 

L’esperienza dell’epoca dell’imperialismo e delle rivoluzioni proletarie ha confermato quanto l’analisi marxista del  modo di produzione capitalista aveva già messo in luce: il passaggio dell’umanità dal capitalismo al comunismo si realizza e si può realizzare solo con un avanzamento ad ondate successive il cui motore è la lotta tra le classi. Ad ogni nuova ondata nuovi popoli passano al socialismo, la trasformazione delle società verso il comunismo procede più avanti. All’ondata succede il riflusso: le trasformazioni vengono assimilate, diffuse, concretizzate, verificate, corrette, consolidate o scartate. Avanzamenti ed arretramenti sono inevitabili mentre l’umanità si apre nel suo complesso la strada verso il comunismo.

La borghesia e i suoi portavoce nei periodi di avanzamento lottano con selvaggia determinazione per stroncarlo e sabotarlo e ad ogni riflusso si precipitano a proclamare che il comunismo è impossibile, che il comunismo è già morto. Ma il punto è che il capitalismo non risolve nessuno dei problemi che avevano spinto le classi ed i popoli oppressi verso il comunismo e quindi questi ripeteranno i tentativi finché non raggiungeranno il successo. Il proletariato e i suoi portavoce imparano anche da ogni riflusso, accumulano le forze materiali e spirituali con cui preparano il nuovo periodo di avanzamento che immancabilmente segue ogni periodo di riflusso.

 

I COMPITI DEL MOMENTO

 

Le lezioni da trarre dalla storia delle rivoluzioni proletarie

 

Dunque una situazione rivoluzionaria sta davanti a noi e il comunismo è il nostro futuro.

L’esperienza dell’epoca dell’imperialismo e delle rivoluzioni proletarie dimostra che l’inizio della transizione dal capitalismo al comunismo, il primo passo nel socialismo è la conquista del potere politico da parte del proletariato nel corso di un movimento rivoluzionario: la rivoluzione socialista e la dittatura del proletariato sono inevitabili. Infatti nella società moderna creata dal capitale solo due classi hanno un ruolo che consente loro di prendere in mano le attività economiche principali e gestirne il funzionamento e quindi solo due classi sono in grado di gestire il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza:

- la borghesia nell’ambito del rapporto di capitale sulla base della proprietà capitalista delle forze produttive e di rapporti mercantili,

- la classe operaia costituita dai collettivi delle unità produttive e formata soggettivamente come forza politica autonoma nelle lotte rivendicative economiche e politiche in cui si oppone alla borghesia, sulla base del possesso collettivo delle forze produttive da parte dei lavoratori associati e di una gestione unitaria e pianificata delle principali attività economiche.

Di conseguenza solo queste due classi possono detenere il potere politico: qualsiasi forma stabile di Stato e di governo, qualsiasi regime politico stabile non può che fondarsi su una di queste due classi, che il meccanismo stesso della produzione capitalista non solo crea, ma costituisce anche come antagoniste.

 

L’esperienza di tutta l’epoca delle rivoluzioni proletarie (aperta nel 1871 dalla Comune di Parigi) ci insegna che nessun movimento rivoluzionario del proletariato può svilupparsi oltre un livello elementare né può quindi raggiungere la vittoria se non è diretto da un partito comunista e se il partito comunista non usa in questa direzione una buona comprensione del movimento economico e politico della società, delle tendenze oggettive in azione, delle classi in cui la società è divisa, delle forze motrici della trasformazione della società, degli esiti possibili dei singoli passaggi di cui si compone la trasformazione in corso: ossia se il movimento rivoluzionario non è diretto da un partito comunista che applichi creativamente il bilancio dell’esperienza passata (il marxismo-leninismo-maoismo) all’esperienza concreta del movimento di rivoluzionamento del proprio paese. Anche la storia del nostro paese è ricca di episodi di lotta in cui le masse popola ri e singoli militanti hanno profuso eroismo ed iniziativa rivoluzionari ma non hanno conseguito la vittoria a causa della mancanza di una direzione basata su una giusta teoria della rivoluzione nel nostro paese. È quindi una questione di responsabilità oggi per noi comunisti occuparci di trarre dall’esperienza questa teoria. Mettersi ad “agitare le masse” senza alcuna idea di dove andare, senza preoccuparsi di assimilare l’esperienza del passato, senza essersi posti il problema di individuare e superare i limiti per i quali il proletariato nel nostro paese non riuscì a conquistare nel periodo 1914-1945 il potere è un ruolo da avventurieri e mestatori irresponsabili o da individui che usano l’agitazione delle masse come merce di scambio per la loro scalata nelle gerarchie del regime. Oggi questi movimentisti e profittatori delle lotte delle masse confluiscono con quei vecchi opportunisti (da Cossutta a Rossanda, da Ingrao a Vinci) che di fronte al crollo dei revisionisti moderni si propongono come "conservatori del comunismo" e il cui ruolo effettivo è quello di paralizzare nel pantano di una politica sterile di risultati rivoluzionari ma ammantata di frasario comunista, le energie che il crollo delle organizzazioni revisioniste libera.

 

Ricostruire il partito comunista quindi è il compito cui deve essere finalizzato in questa fase il lavoro di ogni comunista, quale che sia il campo in cui lavora.

 

Ricostruire il partito comunista oggi non è principalmente una questione organizzativa. Ricostruire il partito comunista oggi vuol dire anzitutto mettersi alla scuola delle masse. Non nel senso di confondersi con le masse o di "agitare le masse", ma nel senso di imparare

- dall’esperienza del primo “assalto al cielo” (la Rivoluzione d’Ottobre, la costruzione del socialismo, la III Internazionale, le rivoluzioni antimperialiste, la Rivoluzione Culturale Proletaria),

- dall’esperienza negativa dei regimi dei revisionisti moderni (chi vuole avanzare impara anche dagli errori che la borghesia e i suoi portavoce cercano invece di usare contro di noi),

- dall’esperienza del movimento di massa e rivoluzionario del nostro paese.

Vuol dire ricavare da questa esperienza una concezione del mondo, una teoria della rivoluzione, un programma e una linea politica sulla base dei quali tessere nell’ambito dei comunisti, del proletariato, delle masse e dell’intera società i conseguenti rapporti organizzativi, di direzione e d’influenza.

Per un comunista oggi il nodo principale del problema non è quanto le masse sono in agitazione, perché stante la situazione rivoluzionaria in sviluppo le masse presentano e inevitabilmente presenteranno sempre più un terreno favorevole all’azione dei comunisti, ma quanto sono stati assolti i compiti necessari alla ricostruzione del partito comunista che diriga alla vittoria il movimento delle masse per la rivoluzione socialista.

 

Il ruolo della rivista Rapporti Sociali

 

Con il lavoro della rivista Rapporti Sociali ci siamo posti e ci poniamo il compito di comprendere e di promuovere tra i comunisti la comprensione del movimento economico e politico della società, quindi di condurre una battaglia contro il soggettivismo e per il marxismo-leninismo-maoismo nelle file dei rivoluzionari e di promuovere l’assimilazione di esso tra le nuove leve di rivoluzionari, nell’ambito del lavoro per la ricostruzione del partito comunista. Per adempiere al loro ruolo, anche i comunisti del nostro paese hanno bisogno di acquisire quella comprensione del movimento economico e politico della loro società e quell’analisi delle classi in cui essa è divisa, che i revisionisti moderni hanno sempre ostacolato.

Questo è il campo specifico in cui noi ci siamo assunti di lavorare. Una buona comprensione del movimento economico della società attuale e delle tendenze che si esplicano in esso è condizione indispensabile per una politica comunista.  Capire il movimento economico della nostra società ovviamente non basta per avere una linea politica giusta. Il movimento economico non porta mai ad una situazione che nell’immediato abbia una sola via d’uscita possibile: ogni situazione ne presenta sempre alcune. La lotta politica dei comunisti è un’arte, un’arte che però può svilupparsi solo sulla solida base della comprensione della vita economica. Il ruolo specifico dell’iniziativa politica in ogni situazione data, sta nel riunire e mobilitare le forze motrici di una delle soluzioni possibili in contrapposizione alle altre. Ma è il movimento economico della società che nel suo corso genera in ogni situazione concreta sia gli obiettivi possibili dell’attività politica dei comunisti che le forze con cui perseguirli. Procurarsi le condizioni materiali dell’esistenza è l’occupazione principale e la forza motrice dell’attività della stragrande maggioranza degli uomini: l’intreccio delle attività a ciò dirette determina, quale causa principale rispetto alla quale tutto il resto si pone come interferenza accidentale o derivata, l’ambito entro cui si svolge nelle sue varianti la vita di tutti gli individui e il divenire dell’intera società. Le tendenze soggettiviste, proprie dell’aristocrazia proletaria dei paesi imperialisti, hanno fatto spesso dimenticare anche ai comunisti queste tesi fondamentali della concezione materialistica della storia (pur fatta oggetto a parole di culto come mostro sacro e quindi inutile). La conseguenza è stato il pullulare di concezioni, linee ed obiettivi politici arbitrari e quindi perdenti.

 

Noi non neghiamo il ruolo del movimento pratico organizzato e spontaneo né nella ricostruzione del partito comunista, né più in generale nella trasformazione della società. Una teoria diventa una forza trasformatrice della società solo se si incarna in un movimento pratico, come orientamento per la sua azione; una teoria sorge solo come sintesi dell’esperienza di un movimento pratico. Noi affermiamo quindi il primato del movimento pratico, come fonte della conoscenza, come operatore della trasformazione della società e come metro d’ultima istanza della verità di ogni teoria della rivoluzione. Non ci presentiamo al movimento dottrinariamente proclamando una nuova verità che chiediamo di accettare, né gli chiediamo di unirsi a noi a professare una nuova teoria. Noi cerchiamo di ricavare dall’esperienza comune del movimento la ragione che sta negli avvenimenti che la compongono. Quindi non diciamo al movimento: smetti di lottare, quello che stai facendo è inutile, devi prima farti una coscienza e darti una teoria. Cerchiamo solo di mostrare perché veramente combatte e la fonte vera della sua forza. La coscienza è una cosa che per procedere il movimento deve far propria, lo voglia o non lo voglia.

 

Mille iniziative, mille organismi e rapporti organizzativi, mille lotte rivendicative, proteste, ribellioni, rivolte compongono il movimento pratico: noi cerchiamo la coscienza delle ragioni fondamentali ed unitarie di essi, quella coscienza che permette a chi la fa propria di lavorare in modo sistematico per svilupparli e potenziarli, liberarli dagli inciampi e dai limiti prodotti dall’influenza che ha in essi il vecchio mondo dei rapporti e della cultura della classe dominante, unirli in una forza vittoriosa capace di eliminare il vecchio mondo della borghesia e avviare la costruzione del nuovo mondo comunista. Quindi quella coscienza su cui i comunisti si uniscono in partito e grazie alla quale riescono a dirigere il movimento delle masse alla vittoria.

Ai comunisti e a quei proletari che cercano una via per l’emancipazione della propria classe chiediamo di appoggiare il nostro lavoro, di usare i risultati del nostro lavoro, di vagliare il nostro lavoro alla luce della loro esperienza, di arricchire il nostro lavoro mettendo in esso la loro esperienza e rendendo patrimonio comune il bilancio di essa.

 

Il collettivo redazionale