Dopo la guerra del Golfo

Rapporti Sociali n. 9/10, settembre 1991  (versione Open Office / versione MSWord )

 

Nel pubblicare su Rapporti Sociali il testo del Comunicato emesso in gennaio, all’inizio dell’invasione americana in Iraq, dalla redazione delle Edizioni Rapporti Sociali, aggiungiamo due riflessioni alla luce del corso degli eventi sopravvenuti dopo di allora.

 

1. La conclusione della fase più acuta dello scontro militare non ha portato alla pacificazione della zona; gli imperialisti americani e di altri paesi si sono trovati e si trovano nella necessità di restare sul posto a tempo indeterminato. I titoli a cui resteranno sul posto (forza di pronto intervento, polizia internazionale, accordi locali di sicurezza, missioni militari, centri ONU di sorveglianza dell’applicazione delle imposizioni, ecc.) sono un fattore secondario. La sostanza è un coinvolgimento più diretto e più profondo dello Stato degli imperialisti USA e dei suoi alleati nel mantenimento dell’“ordine” locale. Ciò li coinvolgerà più direttamente e più a fondo in tutti i conflitti locali: questo è un corso inevitabile delle cose dettato dalle ragioni profonde della crisi in corso. Gli imperialisti scateneranno inevitabilmente altre “guerre del Golfo”: nel Golfo, in altri paesi e con altri pretesti.

La rapidità della conclusione d’altra parte non ha permesso che diventassero già politicamente importanti i contrasti di interessi interni al campo imperialista e che si determinassero a livello mondiale schieramenti coerenti con gli interessi delle varie parti in gioco che travolgessero gli schieramenti di comodo e tradizionali: questo è un processo rinviato nel tempo.

Lo svolgimento della guerra ha mostrato la debolezza politica delle classi dominanti dei paesi semifeudali e semicoloniali, debolezza che è confermata anche dalle difficoltà in cui si dibattono i loro regimi in molti di questi paesi. In ognuno di questi paesi oggi nella classe dominante si mescolano, in proporzioni diverse da paese a paese, la borghesia nazionale che lotta per costruire un proprio sistema capitalista, la borghesia compradora(1) dipendente dagli imperialisti e agente locale degli interessi finanziari e commerciali di questi, i gruppi feudali che, protetti dagli imperialisti, hanno ancora un ruolo importante nel movimento economico e politico dei paesi semicoloniali.

 

1. Con l’espressione borghesia compradora indichiamo gli agenti locali degli interessi imperialisti: gestori di filiali e succursali locali delle compagnie imperialiste, proprietari di imprese locali che hanno in appalto dalle compagnie imperialiste pezzi del processo produttivo di queste, dirigenti di banche e società finanziarie di compagnie imperialiste, dirigenti e impresari delle organizzazioni locali di import/export dipendenti dalle catene commerciali imperialiste, personale legato alla gestione dei prestiti e dei “doni” del circuito finanziario imperialista, ecc.

 

L’esperienza oramai più che centenaria della dominazione imperialista in paesi semifeudali ha sempre confermato l’incapacità della borghesia nazionale di eliminare le residue forze feudali, la borghesia compradora e la dominazione imperialista. Il lungo periodo di ripresa e sviluppo del sistema capitalista avutosi dopo la seconda Guerra Mondiale ha rafforzato la dominazione imperialista e quindi ha determinato l’ampliamento della borghesia compradora. Il lungo e diffuso predominio del revisionismo moderno nei paesi socialisti e nel movimento proletario dei paesi imperialisti ha ovunque indebolito il movimento rivoluzionario antifeudale e antimperialista indebolendo l’unica possibile guida di esso (il partito comunista).

Tutto ciò rende oggi confusi gli schieramenti politici in ognuno di questi paesi. La nuova crisi di lunga durata in cui da pochi anni è entrato il sistema capitalista mondiale acuisce in ogni paese i contrasti di interesse e quindi tende a far sparire la confusione politica, a determinare schieramenti politici conformi agli interessi fondamentali. Gli interessi dei gruppi imperialisti, espressi nelle direttive del Fondo Monetario Internazionale e delle altre Agenzie internazionali che amministrano le finanze degli Stati e il circuito monetario dei paesi semifeudali e semicoloniali, hanno accelerato la di struzione delle attività economiche delle masse e fatto ingrossare il flusso di contadini cacciati verso le bidonville delle metropoli locali e verso i paesi imperialisti. Attorno al collo della borghesia nazionale si stringono maggiormente i lacci con cui l’imperialismo ne soffoca lo sviluppo. Il ruolo di rapina della borghesia compradora si viene accentuando: cresce il flusso di investimenti finanziari provenienti dai paesi semifeudali e semicoloniali che si riversano nelle banche e nelle altre istituzioni finanziarie imperialiste. I cenni di ripresa del movimento rivoluzionario del proletariato dei paesi imperialisti e il crollo dei regimi dei revisionisti moderni sono un elemento favorevole alla ripresa dei partiti comunisti dei paesi semicoloniali e semifeudali e questo opera a favore della nascita in essi dell’unica possibile forza dirigente di una vittoriosa lotta antifeudale e antimperialista.

Questi sono gli elementi generali che determinano il corso generale delle cose nei paesi semifeudali e semicoloniali. Inevitabilmente il cammino sarà lungo, tortuoso, influenzato nel suo svolgimento in ogni paese da mille fattori interni e internazionali.

Per noi, comunisti dei paesi imperialisti, resta fermo che l’elemento principale e insostituibile del nostro compito internazionalista è la rivoluzione socialista nel nostro paese. Dobbiamo combattere l’abitudine diffusa dai revisionisti moderni (e ora ripresa dai gruppi opportunisti che vogliono continuare il ruolo politico svolto per anni da quelli: Rifondazione, DP, ecc.), di sostituire all’internazionalismo proletario il fare da claque ai movimenti rivoluzionari dei paesi semifeudali e semicoloniali.

In secondo luogo dobbiamo, in tutta la misura consentita dalle nostre forze e in tutte le forme possibili,

- appoggiare i partiti comunisti dei paesi semifeudali e semicoloniali;

- sostenere la componente antimperialista dei movimenti rivoluzionari di questi paesi, movimenti che inevitabilmente assumeranno per un certo tempo forme e vesti le più varie (nazionaliste, religiose, ecc.).

 

2. La guerra del Golfo ha fatto fare un passo avanti allo schieramento delle forze politiche nel nostro paese. E ciò è una riprova del fatto che è la lotta, l’esperienza diretta che trasforma a livello di massa gli schieramenti politici.

La rapida conclusione della fase più acuta dello scontro militare ha fatto sì che si trattasse di un piccolo passo avanti. Ogni gruppo politico inizialmente ha “preso posizione” secondo la “facciata ideologica” su cui tradizionalmente fonda la sua esistenza. Gruppi che hanno collaborato e collaborano ai preparativi della guerra imperialista e “fedeli servitori dello Stato” della borghesia hanno rilasciato altisonanti e “autorevoli” dichiarazioni contro la guerra, confidenti ancora freschi di questura hanno lanciato appelli arcirivoluzionari alla “diserzione”. La breve durata delle operazioni militari, il ristretto coinvolgimento di truppe italiane, la breve durata delle “misure di ordine pubblico e antiterrorismo” e la loro scarsa incidenza nello svolgimento dei traffici correnti, l’irrilevanza dell’effetto della spesa statale per la guerra nel grande calderone del deficit delle finanze statali, tutti questi elementi hanno fatto sì che la classe dominante potesse mantenere la “guerra del Golfo” nell’ambito della “politica-spettacolo” in cui ogni gruppo politico e d’opinione recita la sua parte davanti alle masse. Quelli la cui parte consiste nel farsi furbescamente “portavoce del malcontento delle masse” (finché questo non si esprime in attività indipendenti da essi che li scavalcano) hanno potuto anch’essi recitare ancora, anche in quest’occasione, la loro parte, proprio grazie alla brevità dello scontro.

Tutto ciò ha determinato due fenomeni rilevanti.

- L’eterogeneità dello schieramento contro la guerra. Da questa non dobbiamo lasciarci spaventare ed evitare assoluta-mente di “gettare il bambino con l’acqua sporca”. Nessun bambino può ripulirsi senza che si formi anche acqua sporca. Dobbiamo mettere in primo luogo gli interessi reali che creano un legame reale e sostanziale tra il movimento contro la guerra e il proletariato e le classi oppresse del nostro paese e lavorare su questi interessi reali. Se condurremo bene il nostro lavoro, quelli che danno fiato al malcontento delle masse recitando, ai propri loschi fini, la parte che loro spetta nell’ambito della “politica-spettacolo”, si troveranno ad un certo punto ad aver lavorato per noi (e ciò è successo più  volte nella storia dell’epoca imperialista).

- Lo schieramento favorevole alla guerra di una parte del proletariato e delle classi oppresse. Proprio perché questo scontro è stato breve e ha coinvolto poco gli interessi immediati delle larghe masse, lo schieramento delle classi e dei gruppi non poteva corrispondere ancora agli interessi fondamentali. Il malessere e il malcontento di ampie masse verso l’ordine esistente, in una situazione del genere si sono espressi nell’adesione alla guerra, così come procurano seguaci tra le masse a ogni mestatore che dall’alto e con la forza degli strumenti propri della classe dominante si presenta come sovvertitore dell’ordine esistente. Tutta l’esperienza storica dei vari conflitti ci insegna che lo schieramento degli interessi fondamentali è definito “fin dall’inizio”, ma è chiaro solo a chi è in grado di fare un’analisi materialista dialettica del movimento in corso. Lo schieramento politico delle classi e dei gruppi invece si determina gradualmente e attraverso determinati passaggi che sostanzialmente fanno capo a due ordini di processi entrambi indispensabili:

- l’esperienza diretta delle masse a cui lo svolgersi del conflitto fa via via “toccare con mano” le relazioni reali di interessi;

- l’iniziativa di chi aveva chiaro fin dall’inizio lo schieramento degli interessi fondamentali che, se si svolge conformemente alle leggi oggettive del movimento in corso, crea un polo di aggregazione, quanto si voglia differenziata, e di accumulazione delle forze che man mano prendono posizione conforme ai propri reali interessi ed entrano nella lotta per realizzarli.

Solo movimentisti e spontaneisti ritengono che la realtà e ciò che appare, lo schieramento secondo gli interessi reali e l’immediato schieramento politico siano tutt’uno.