Linea di massa e teoria marxista della conoscenza

Rapporti Sociali n. 11 - novembre 1991  (versione Open Office / versione MSWord )

 

Che i comunisti debbano avere una linea di massa è fra di essi quasi un luogo comune. È però giocoforza constatare che con questa espressione vengono indicate cose sostanzialmente diverse.

1.

Nell'accezione corrente avere una linea di massa equivale a occuparsi dei problemi pratici, economici, immediati delle masse. Questo al fine

- sia di guadagnare il consenso e il sostegno delle masse alla lotta per la rivoluzione socialista,

- sia di educare le masse alla lotta politica iniziando a mobilitarle e a organizzarle nella lotta economico-pratica, cioè nella lotta per il conseguimento di obiettivi pratici, economici, immediati.


1.1. Anche le forze politiche della borghesia si occupano dei problemi immediati delle masse per averne consenso e sostegno. Anzi, da quando è iniziata l’epoca delle rivoluzioni proletarie, le forze politiche della borghesia, finché è loro possibile, ossia finché le leggi oggettive del modo di produzione capitalista lo consentono, fanno a gara nel proporsi come campioni degli interessi delle masse. Il vasto e ramificato sistema clientelare sviluppato dal regime democristiano in Italia nel secondo dopoguerra è una manifestazione di questa linea di massa del regime. I singoli esponenti delle forze politiche della borghesia ricorrono largamente alla demagogia, specialmente quelli dell'opposizione e quelli che devono ancora aprirsi la strada per arrivare ai vertici e che sono ancora all'inizio della loro arrampicata sociale. Quelli che sono già ai vertici del potere e appartengono alla maggioranza ricorrono largamente alla mistificazione: essi presentano perfino le misure contrarie agli interessi delle masse come misure prese nel loro interesse. Basta pensare a come travestono sempre le ripetute misure di “austerità” (stangate fiscali, riduzione ed eliminazione delle conquiste strappate dalle masse nel periodo del capitalismo dal volto umano) da misure prese nell'interesse delle masse, nel caso peggiore nell'interesse “futuro” delle masse (creare nel “futuro” nuovi posti di lavoro, evitare peggiori disgrazie, ecc.). Il contrasto tra i programmi elettorali e l'opera effettiva di governo è moneta corrente anche nei paesi borghesi di “più vecchia democrazia”: i programmi elettorali dei partiti borghesi non sono confezionati in base a quello che vogliono fare, ma dagli esperti di pubblicità e di marketing in base a quello che più può attirare il consenso delle vaste masse. La politica-spettacolo che le forze della borghesia recitano alle masse è in sostanza la gara tra loro a chi si presenta come miglior campione degli interessi delle masse. Nei periodi peggiori, quando le leggi oggettive del modo di produzione capitalista non permettono di “dare qualcosa a ciascuno”, le forze della borghesia ricorrono al corporativismo: danno qualcosa a quelle categorie che sono più importanti ai fini del mantenimento dell'ordine pubblico.(1) Insomma da quando siamo entrati nella fase del declino della borghesia e delle rivoluzioni proletarie, ossia nella fase imperialista, la borghesia per conservare il potere deve in qualche modo occuparsi dei problemi immediati delle masse: cosa che per altro conferma che in questa fase le masse hanno oggettivamente assunto un ruolo potenzialmente decisivo in campo politico.(2)

NOTE

    1. I sindacalisti di regime, ad esempio, in questo periodo programmaticamente tutelano solo gli strati superiori dei lavoratori, sviluppando un'aristocrazia che tenga a freno il resto e sistematicamente cercano di corrompere gli elementi più attivi nel promuovere la resistenza facendoli passare agli strati superiori.

    2. Ciò smentisce la tesi ingenua o militarista secondo la quale nei paesi imperialisti il potere dell'attuale classe dominante poggia principalmente e stabilmente (per lunghi periodi) sulla forza militare e sulla repressione di massa.

Sul terreno della conquista del consenso e dell'appoggio delle masse in nome dei loro interessi immediati, la lotta delle forze soggettive della rivoluzione socialista contro le forze politiche della borghesia è quindi difficile e dall'esito incerto: nei periodi in cui l'accumulazione del capitale procede a gonfie vele (come nel periodo del capitalismo dal volto umano, tra il 1945 e il 1975) perché la borghesia può concedere qualcosa a ciascuno; nei periodi di crisi (come quello attuale) perché i risultati immediati delle lotte rivendicative economico-pratiche sono scarsi.


1.2. Occuparsi dei problemi pratici, economici, immediati delle masse per mobilitarle e organizzarle al fine dell'educazione delle masse stesse alla lotta politica sembra già un'attività in cui le forze politiche della borghesia possono meno competere con le forze soggettive della rivoluzione socialista. Tuttavia l'esperienza ha posto in evidenza che anche su questo terreno le forze soggettive della rivoluzione socialista incontrano alcune difficoltà; queste in sostanza si riducono alla difficoltà a passare dalla mobilitazione e dall'organizzazione delle masse sulle rivendicazioni economico-pratiche alla loro mobilitazione e organizzazione nella lotta politica.(3) Molti compagni che dedicano le loro energie a promuovere e organizzare le varie forme in cui oggi le masse resistono alla limitazione e all'eliminazione delle conquiste strappate nel periodo del capitalismo dal volto umano (ossia che dedicano le loro energie a quello che in Rapporti Sociali 9/10 abbiamo chiamato “nuovo sindacalismo”) si trovano sostanzialmente a dover appiccicare loro obiettivi politici e loro parole d'ordine politiche a organismi che essi hanno promosso in nome di obiettivi economico-pratici (contro i licenziamenti, contro la riduzione dei salari, ecc.). Essi spesso fanno l'esperienza amara e frustrante che quando inalberano obiettivi e parole d'ordine politiche si riduce o si scioglie come neve al sole il seguito che si erano costruiti con il loro lavoro sindacale.


NOTA

    3. Lenin nel Che fare? ha criticato in maniera dettagliata la tesi di un prima e un dopo, della rivendicazione economico-pratica come gradino universale, diretto e necessario della lotta politica. È invece esperienza comune che in ogni periodo di mobilitazione delle masse sul piano politico, vi è anche mobilitazione nelle lotte rivendicative.



A volte la conclusione che alcuni traggono è che “il livello politico del masse è basso”, “l'influenza della borghesia è forte”. E con questo tipo di bilancio si trovano in una situazione di paralisi: la loro iniziativa politica è limitata o bloccata dal fatto che non riescono a mobilitare e organizzare le masse nella lotta politica.

Alcuni compagni hanno cercato di sfuggire a questa “conclusione” della loro linea di massa proponendosi due campi di attività: la politica dal basso e la politica dall'alto.

Con la prima (la politica dal basso) indicano la loro iniziativa volta a mobilitare e organizzare le masse nella lotta politica. Iniziativa che perseguono sostanzialmente

- con la mobilitazione e l'organizzazione delle masse su obiettivi economico-pratici,

- con la propaganda e l'agitazione su temi politici dirette alle masse.

Essi ovviamente nell'ambito di ambedue queste attività si sforzano di illustrare alle masse il legame tra politica ed economia e il legame di entrambe con il modo di produzione capitalista, al fine di far leva sulla mobilitazione delle masse sulle questioni economico-pratiche immediate per mobilitarle contro il modo di produzione capitalista (e quindi per la rivoluzione socialista) e contro l'attuale regime politico (quale cane da guardia e, nello stadio del capitalismo di stato, protagonista del modo di produzione capitalista).

Con la seconda (la politica dall'alto) indicano le loro iniziative di lotta contro le forze politiche della borghesia, volte a indebolire, disgregare ed eliminare le istituzioni del potere politico della classe nemica. Secondo la loro concezione, queste iniziative sono condotte dalle sole forze soggettive della rivoluzione, cioè da quella parte delle masse che è già cosciente del carattere socialista dell'obiettivo e organizzata per perseguire questo obiettivo.(4) Questo sarebbe il campo in cui le forze soggettive della rivoluzione socialista si muoverebbero con autonomia, senza doversi “tirar dietro” o “aspettare” le masse.

Spesso in realtà è il campo in cui si dispiegano, a seconda dei casi, l'opportunismo e l'avventurismo di soggettivisti finalmente “liberi dal peso delle masse”. L'opportunismo dei soggettivisti di destra, convinti che le masse abbiano “pretese esorbitanti” e “pretese incompatibili con le possibilità reali” e non capiscano le “superiori ragioni della politica”.(5) L'avventurismo dei soggettivisti “di sinistra”, convinti anch'essi che le masse non capiscano la politica e siano generalmente arretrate e poco rivoluzionarie.


NOTE

    4. È significativo che l'esperienza pratica di tutte le rivoluzioni dimostra che in realtà le cose non vanno così: la lotta per l'eliminazione del potere attuale e l'instaurazione del nuovo è condotta da larghe masse, la coscienza e l'organizzazione di esse cresce durante questa lotta, non prima e cresce proprio grazie principalmente all'esperienza diretta che le masse compiono in questa lotta. La tesi delle due politiche, “dal basso” e “dall’alto”, è stata già elaborata e applicata da alcuni partiti comunisti della III Internazionale negli anni '20 e '30 e la loro esperienza ha dimostrato che è stata fallimentare. Quindi oggi non può essere riproposta senza una seria analisi di quell’esperienza.

    5. Si pensi all'autonomia dei gruppi parlamentari dei partiti socialisti della II Internazionale, all’ “autonomia politica” di tanti politicanti revisionisti, di tanti sindacalisti e di tanti arrampicatori sociali che usano il seguito conquistato tra le masse nelle lotte rivendicative come sgabello per la loro arrampicata sociale (es. i Carniti, i Mimmo Pinto, ecc.).

I soggettivisti di destra in generale sono o diventano esponenti della borghesia tra le masse, agenti della borghesia tra le masse. Quindi sembrerebbe che esulino dal nostro discorso, che non siano i referenti del nostro discorso, che il nostro discorso, che ovviamente è un discorso per le forze soggettive della rivoluzione socialista, non debba prenderli in considerazione. In realtà la questione dei soggettivisti di destra è meno estranea al nostro campo di quanto sembri a prima vista. I più dannosi agenti della borghesia tra le masse non nascono come tali, lo diventano nel corso della loro attività.

Spesso iniziano come “compagni che commettono errori” ed è solo quando gli errori, anziché essere corretti, si accumulano e alla fine diventano una linea che quelli che prima erano compagni passano nel campo nemico. Oggi un certo numero di promotori della mobilitazione e dell'organizzazione delle masse su questioni economico-pratiche (ossia alcuni esponenti del “nuovo sindacalismo”) quando arrivano alla trattativa e al contratto vivono una situazione analoga a quella sopra indicata a proposito dei soggettivisti di destra. Essi si trovano di fronte all'alternativa o di non condurre mai una trattativa e di rifiutare qualsiasi contratto o di dovere in qualche modo far accettare alle masse risultati inferiori alle aspettative. In ambedue i casi il loro rapporto con le masse viene sottoposto a dura prova e a volte ciò è l'inizio della loro “crisi” politica.(6)

NOTE

    6. È questo percorso che negli anni '70 e '80 abbiamo visto fare da alcuni compagni la cui strategia di lotta politica consisteva nel mobilitare e organizzare le masse su rivendicazioni immediate, in campagne su obiettivi immediati, ecc. Il caso più esemplare e in grande è stato Lotta continua.

    7. Dal contesto e dai numerosi passi in cui Mao Tse-tung ritorna sull'argomento è chiaro che “idee delle masse” è un'espressione abbreviata per indicare idee, opinioni, stati d'animo, aspirazioni, immaginazioni, percezioni, ecc., insomma tutto quanto l'esperienza produce nelle masse e che si esprime, e quindi si rivela, non solo in ciò che le masse dicono, ma anche nel loro comportamento e nelle loro azioni.


2.

Mao Tse-tung riassume la linea di massa del partito comunista con queste parole: “In tutto il lavoro pratico del nostro partito, una direzione giusta è necessariamente basata sul seguente principio: dalle masse alle masse. Questo significa che bisogna raccogliere le idee delle masse(7) (frammentarie, non sistematiche), sintetizzarle (attraverso lo studio trasformarle in idee generali e sistematiche), quindi portarle di nuovo alle masse, diffondere e spiegare queste idee finché le masse non le assimilano, vi aderiscono fermamente e le traducono in azione, e verificare in tale azione la giustezza di queste idee. Poi sintetizzare ancora una volta le idee delle masse e riportarle quindi alle masse perché queste idee siano applicate con fermezza e fino in fondo. E sempre così, ininterrottamente, come una spirale senza fine; le idee ogni volta saranno più giuste, più vitali, più ricche. Questa è la teoria marxista della conoscenza”.(8)

Il legame che Mao Tse-tung indica tra la linea di massa e la teoria marxista della conoscenza, l'esposizione che fa della linea di massa nel brano citato e l' illustrazione che ne dà in altri numerosi suoi scritti e discorsi configurano un'accezione della linea di massa che ha poco in comune con l'accezione sopra illustrata.

In cosa consiste la teoria marxista della conoscenza? In uno dei suoi scritti (Da dove provengono le idee giuste? compreso nella Risoluzione del CC del PCC su alcuni problemi dell’attuale lavoro nelle campagne del maggio 1963) Mao Tse-tung succintamente la espone così.

Da dove provengono le idee giuste? Cadono dal cielo? No. Sono innate? No Esse provengono dalla pratica sociale, solo da questa. Provengono da tre tipi di pratica sociale: la lotta per la produzione, la lotta di classe e la sperimentazione scientifica.

È l'esistenza sociale dell'uomo che determina le sue idee. Una volta che le masse se ne sono impadronite, le idee giuste caratteristiche della classe avanzata, si trasformano in una forza materiale capace di trasformare la società e il mondo.

Nella loro pratica sociale, gli uomini si impegnano in vari tipi di lotta e acquistano una ricca esperienza, sia dai successi che dagli insuccessi. Innumerevoli fenomeni del mondo oggettivo esterno si riflettono nel cervello dell'uomo attraverso i cinque sensi: vista, udito, odorato, gusto e tatto. All'inizio la conoscenza è percettiva. Quando si sono accumulate sufficienti conoscenze percettive, si verifica un salto per cui queste si trasformano in conoscenza razionale, cioè in pensiero. Questa è una fase del processo della conoscenza. È la prima fase dell'intero processo della conoscenza, è la fase del passaggio dalla materia, oggettiva, allo spirito, soggettivo, dall'essere al pensiero. In questa fase non è stato ancora provato se lo spirito, o pensiero, (che include teorie, politica, piani e metodi), rifletta correttamente le leggi del mondo oggettivo esterno; non è ancora possibile determinare se esso sia o no giusto. Segue la seconda fase del processo della conoscenza, la fase del passaggio dallo spirito alla materia, dal pensiero all'essere, in cui si applica alla pratica sociale la conoscenza acquisita durante la prima fase per vedere se le teorie, la politica, i piani e i metodi danno i risultati previsti. In generale è giusto ciò che riesce, sbagliato ciò che fallisce. Questo è vero soprattutto nella lotta dell’uomo contro la natura. Nella lotta sociale (9) le forze che rappresentano la classe avanzata subiscono a volte delle sconfitte, non perché abbiano idee sbagliate, ma perché, nel rapporto delle forze in lotta, esse sono temporaneamente meno potenti delle forze della reazione; possono essere temporaneamente sconfitte, ma finiranno sempre per trionfare. Attraverso la prova della pratica, la conoscenza dell’uomo compie un altro salto, più importante del precedente. Solo questo salto, in effetti, permette di provare la validità del primo, cioè la validità delle idee, delle teorie, della politica, dei piani, dei metodi, ecc., elaborati nel corso del processo di riflessione del mondo oggettivo esterno. Non vi sono altri mezzi per provare la verità. Per il proletariato lo scopo di conoscere il mondo è trasformarlo: al di fuori di questo non ce n'è altro. Spesso si può giungere a una conoscenza giusta solo dopo molte ripetizioni del processo che comporta il passaggio dalla materia allo spirito, poi dallo spirito alla materia, cioè dalla pratica alla conoscenza, poi dalla conoscenza alla pratica. Questa è la teoria marxista della conoscenza, la teoria materialista dialettica della conoscenza”.

NOTE

    8. Da Alcune questioni riguardanti i metodi di direzione (1° giugno 1943), ripubblicato in questo numero di Rapporti Sociali.

    9. Qui Mao Tse-tung fa una distinzione che in realtà egli stesso generalmente nega. Egli infatti ripetutamente nelle sue opere sostiene che il successo e l'insuccesso nella lotta di classe sono determinati da cause interne alle forze rivoluzionarie, ossia dalla linea corretta o sbagliata. Ad esempio nello scritto Sulla contraddizione (1937) egli afferma: “Nel 1927, in Cina, la vittoria della grande borghesia sul proletariato è stata causata dall'opportunismo esistente in seno al proletariato cinese (all'interno del Partito comunista cinese). Quando riuscimmo a liquidare questo opportunismo, la rivoluzione riprese ad avanzare. In seguito, la rivoluzione cinese sofferse di nuovo gravemente sotto i colpi del nemico, a causa dell'avventurismo apparso nel nostro partito. E quando riuscimmo a liquidare questo avventurismo, la nostra causa riprese a progredire. Questo dimostra che, per condurre la rivoluzione alla vittoria, un partito politico deve fare affidamento sulla giustezza della sua linea politica e sulla solidità della sua organizzazione”.


Questo significa che il mondo esterno, prima di esistere in noi come idee, concetti e teorie, inizia ad esistere negli uomini come sensazione, percezione, immagini, stati d'animo. La lotta di classe è un fatto oggettivo e universale. Ogni uomo è immerso in essa come è immerso nell'aria. Essa si svolge nella realtà, prima di esistere nel pensiero e anche se non esistesse a livello del pensiero, delle istituzioni, delle organizzazioni, della sovrastruttura politica e culturale della società. Gli uomini erano divisi in classi distinte e contrapposte ed erano coinvolti nella lotta tra di esse ben prima che incominciassero a parlare di classi e di lotta tra le classi, ben prima che avessero una qualche coscienza consapevole di esse e ben prima che si formassero organizzazioni che si proponevano di condurre la lotta di classe con linee e metodi elaborati a questo fine. La realtà è sempre più ricca della coscienza che l'uomo ne ha, anche l'attività individuale e sociale degli uomini è più ricca della coscienza che essi ne hanno: per questo il processo della conoscenza è infinito, ogni cosa è infinitamente conoscibile. Le classi e la lotta tra le classi esistono al di fuori e indipendentemente dalla coscienza degli uomini.

D'altra parte la divisione degli uomini in classi riguarda le relazioni degli uomini tra di loro nell'ambito della produzione e riproduzione delle condizioni materiali della loro esistenza e la lotta tra le classi si esplica attraverso azioni di uomini nei confronti di altri uomini. Ma gli uomini, mentre possono compiere e compiono azioni a cui “non hanno pensato” e di cui non comprendono prima il reale significato, la reale portata, le reali conseguenze e la reale connessione con gli altri aspetti della realtà naturale e umana, non compiono azioni di cui non si diano una qualche rappresentazione almeno nella loro fantasia, nella loro immaginazione. Vi sono movimenti sociali che gli uomini hanno compiuto senza che sia mai esistita nella loro coscienza una rappresentazione della loro vera natura, altri di cui è esistita nella loro coscienza una rappresentazione parziale o addirittura erronea (chi ne è stato attore o è stato coinvolto in essi, vi ha preso parte convinto di fare una cosa del tutto diversa da quella che ha fatto). Ma non vi sono azioni che gli uomini esplicano attraverso i loro organi senza che siano esistite prima in qualche misura a livello della loro sensibilità e senza che essi ne diano una qualche rappresentazione a livello della loro fantasia e della loro immaginazione.(10)

NOTA

    10. I romanzi storici (del tipo Guerra e pace, I promessi sposi, ecc.) mostrano efficacemente il rapporto assolutamente non diretto che esiste tra i movimenti storici che le masse realizzano e la rappresentazione che i singoli individui e le masse nel loro complesso (nella forma di opinione diffusa, di luogo comune, di obiettivo comune, ecc.) danno della propria azione.

    Alla luce del materialismo storico e della teoria della divisione della società in classi e della lotta di classe abbiamo potuto comprendere il carattere di classe che obiettivamente avevano (e gli effetti che hanno prodotto nel rapporto tra le classi) grandi lotte che le masse, che le hanno condotte, rappresentavano a se stesse collettivamente come lotte di religione, nazionali, razziali, dinastiche, ecc. La rappresentazione che i singoli attori danno di esse è spesso ancora più indiretta e variegata.

Quindi la divisione in classi, la lotta tra le classi e quanto ad essa attiene si riflette ed esiste universalmente negli uomini a livello di sensazioni, di percezioni, di immagini, di stati d'animo, di rappresentazione quanto si voglia indiretta e confusa. La lotta tra borghesia e proletariato esiste ora (da circa 150 anni) a livello politico, sovrastrutturale, come obiettivi, linee, organizzazioni, teorie; ma prima e più universalmente essa esiste a un livello strutturale ed elementare che attiene alle condizioni materiali, ai rapporti economici, ai rapporti materiali in cui, indipendentemente da ogni sua volontà, scelta e coscienza, ogni individuo è inserito. Questo è il livello più elementare e universale di esistenza della lotta tra le classi, come aspetto della “materia sociale” al suo livello più elementare. Qui è anche la fonte, il punto di partenza della coscienza della lotta di classe e delle sue rappresentazioni nella coscienza.

In ogni uomo il passaggio dalle sensazioni, dalle percezioni, dalle immagini, dagli stati d'animo alle idee e alle teorie è un processo di elaborazione di quelle a mezzo del sistema nervoso e del cervello da parte della coscienza stessa dell'uomo che è storicamente costituita. Attraverso questo processo l'uomo fa esistere in se stesso il mondo esterno ad un livello più elevato, più complesso e più completo di quello della sensibilità e della percezione, come parte della coscienza che in questo modo si alimenta e si sviluppa. Attraverso il bilancio delle esperienze gli uomini elaborano una conoscenza via via più profonda e completa della natura, della società, ecc. Il sasso che cade, attraverso i sensi entra ad esistere nella percezione dell'uomo: la legge della gravitazione universale è una conoscenza più elevata, più complessa e più completa dello stesso fenomeno, cui l'uomo è pervenuto connettendo tra loro un numero enorme di oggetti che “cadevano”, il moto dei corpi celesti, ecc.; la legge della relatività generale è una conoscenza ancora più elevata, più complessa e più completa dello stesso fenomeno.

A questo punto l'uomo dalle sue idee e dalle sue teorie deriva degli obiettivi, dei piani, dei programmi, delle linee e dei metodi d'azione che a loro volta attraverso un processo in un certo senso a rovescio si trasformano in azioni dei suoi organi attraverso cui agisce sul mondo esterno alla sua coscienza e lo modifica. I risultati delle sue azioni si riflettono in lui attraverso i suoi sensi, vengono elaborati dalla coscienza e permettono la verifica della corrispondenza degli effetti agli obiettivi e quindi dell'adeguatezza dei piani, dei programmi, delle linee e dei metodi d'azione e quindi delle idee e delle teorie da cui questi sono derivati.

Questo processo in una certa misura si compie in ogni uomo, in alcuni più e in alcuni meno. Un processo analogo si compie nella società ed è questo processo sociale che Mao Tse-tung chiama linea di massa. Il partito svolge nella società il ruolo che nel singolo individuo è svolto dalla coscienza. Esso raccoglie ciò che esiste tra le masse, nella “materia sociale”, a livello frammentario, non sistematico, particolare confuso; lo elabora in idee e teorie generale e sistematiche e deriva da queste piani, programmi, linee e metodi d'azione che porta poi tra le masse affinché esse li riconoscano come propri, riconoscano in essi le ragioni del loro movimento e quindi li attuino dando al loro movimento una potenza che senza di quelli mai avrebbe raggiunto. Quindi il processo dalle masse al partito, dal partito alle masse si ripete universalmente e illimitatamente, ogni volta ad un livello più alto, cioè sulla base dei risultati del processo che l'ha preceduto.


2.1. La divisione in classi e la lotta di classe può non esistere in qualche modo e ad un certo livello di “verità” nella coscienza delle masse ed esistere solo nella coscienza del partito?

No, perché la divisione in classi e la lotta tra esse fanno parte della realtà sensibile che ci circonda e la realtà sensibile che circonda entra in noi (nella nostra psiche) attraverso i nostri sensi, così come l'aria che ci circonda entra nei nostri polmoni. Noi assorbiamo dall'ambiente fisico e sociale che ci circonda la sensazione delle cose così come assorbiamo dall'ambiente l'aria. La lotta di classe entra (spontaneamente e inevitabilmente, per azione del mondo esterno sui sensi dell'uomo senza che l'uomo ne sia consapevole) nella psiche di ogni singolo uomo e nella coscienza comune di essi in modo frammentario, episodico perché i sensi di un uomo portano in lui solo ciò che direttamente li colpisce, perché la pratica sociale di ogni uomo è anch'essa limitata, perché le condizioni in cui sono relegate le masse nella società classista esclude la maggior parte degli uomini dalla possibilità di raccogliere una vasta massa di esperienze altrui (esperienze indirette), elaborarle (fare il bilancio) e ricavarne teorie generali e sistematiche.(11) Ogni uomo ha tuttavia una pratica sociale più o meno ampia: essa non può non essere anche pratica di lotta di classe.

NOTA

    11. È proprio questa condizione a cui la società classista relega le masse che rende indispensabile e fa sorgere il partito rivoluzionario come strumento indispensabile della loro lotta per liberarsi da quella condizione.

    È proprio da ciò che risulta chiara l'inconsistenza delle teorie (ampiamente diffuse nel movimento degli anni '70) secondo cui il partito comunista è l'organizzazione della “coscienza esistente” (di quelli che “per conto loro” hanno raggiunto un certo livello di coscienza), anziché strumento indispensabile e attivo della formazione della coscienza. Con queste teorie gli organizzatori e promotori della lotta politica come “campagne di massa su obiettivi” giustificavano la mancanza di lotta in campo ideologico e teorico per la formazione di un'analisi della situazione, di un programma e di una concezione del mondo. Dice uno di questi che si è reso conto della questione: “Ho molti compagni di lotta, nessun compagno di partito”.

    È proprio da ciò che si comprende che il partito comunista diventerà inutile e scomparirà quando questa condizione, in cui la società classista relega le masse, sarà superata nel processo di transizione dal capitalismo al comunismo.

Quindi la lotta di classe esiste, oltre che nella società, anche a livello della psiche di ogni individuo e si manifesta “spontaneamente” nell'agitarsi e nel muoversi delle masse e si manifesta indirettamente e confusamente nelle rappresentazioni che le masse danno a se stesse del loro agitarsi. Essa si manifesta certo in modo confuso perché la contraddizione borghesia-proletariato non è l'unica contraddizione che le masse vivono. Esse vivono cento altre contraddizioni secondarie.(12) La coscienza delle masse risulta dall'influenza esercitata sulle masse stesse da tutte le contraddizioni che esse vivono e per di più il processo delle masse dalle sensazioni-percezioni alla coscienza è influenzato dall’azione massiccia di diversione, mistificazione e confusione programmaticamente e sistematicamente condotta dalla classe dominante (la scuola e i mezzi di comunicazione di massa in tutti i paesi imperialisti sono uno strumento di governo, un affare politico).

Quindi il compito del partito comunista (e delle forze soggettive della rivoluzione socialista) è tutt'altro che semplice. Ma l'unica strada che esso può percorrere per arrivare al successo è raccogliere, studiare, elaborare e restituire alle masse affinché esse sviluppino ogni contraddizione. Solo così queste contraddizioni assumono nel movimento pratico delle masse, e quindi in misura crescente anche nella loro coscienza, la gerarchia che esse hanno nella realtà.(13) Ogni contraddizione tra le masse va raccolta, studiata, elaborata, organizzata e diretta. Dobbiamo far leva in ciò sul fatto che la contraddizione che è principale nell'esperienza non può non manifestarsi come principale anche nella coscienza e riverberare la sua luce sul movimento di tutte le altre contraddizioni.(14)

NOTE

    12. Un elenco generico e approssimativo di queste contraddizioni è nel punto 1.2 dell'articolo Sull'esperienza storica dei paesi socialisti in questo numero d Rapporti Sociali.

    13. Ignorare o cercare di soffocare le contraddizioni porta alla sconfitta delle forze soggettive della rivoluzione socialista. Ogni contraddizione ha un suo reale sviluppo e il nostro problema è solo che venga diretto in modo giusto. Esaminiamo ad esempio la contraddizione tra lavoratori locali e lavoratori immigrati. È una contraddizione reale o solo inventata dalla propaganda borghese? È una contraddizione reale. Che l'arrivo dei lavoratori immigrati peggiori per mille vie (concorrenza sul lavoro, concorrenza sulle case, convivenza coatta con abitudini e costumi diversi, ecc.) le condizioni dei lavoratori locali è vero quanto è vero che milioni di lavoratori sono costretti a emigrare qui per le condizioni infami che i gruppi imperialisti - compresi quelli italiani - creano nei loro paesi. I borghesi, per i quali i lavoratori immigrati non sono concorrenti ma operai, camerieri, ecc. a buon mercato e ricattabili, possono a seconda delle convenienze strumentalizzare questa contraddizione e alcuni tuonare contro gli immigrati e altri prodursi in sermoni sulla tolleranza e sulla fratellanza (dei lavoratori locali) con i lavoratori immigrati con cui (i lavoratori locali) dovrebbero dividere pane e casa. Ambedue in definitiva contribuiscono a mettere i lavoratori locali contro i lavoratori immigrati: i primi direttamente, i secondi indirettamente perché le loro prediche trasudano scherno e irrisione per le condizioni reali dei lavoratori locali e quindi li spingono a riversare sul bersaglio più facile (i lavoratori immigrati) l'odio suscitato dalle prediche dei falsi protettori di questi.

    Noi comunisti dobbiamo fare nostra questa contraddizione per svilupparla in modo che essa concorra a creare due fronti di lotta contro il comune nemico. Lungi dal gettare acqua sui fuochi, dobbiamo ravvivarli e farli spirare contro il comune nemico.

    14. Ciò si manifesta ad esempio nel fatto che ognuna di quelle contraddizioni secondarie che attraversano sia la borghesia sia il proletariato (da quella uomo/ natura, a quella uomo/donna, ecc.), si manifesta e si muove diversamente nelle diverse classi.


Se noi non vediamo nel movimento delle masse le manifestazioni di ciò, bisogna che impariamo a vederle. È come per il movimento che è un aspetto universale del reale. Se in una cosa non vediamo il movimento ed essa ci sembra immobile, indivisibile, priva di contraddizioni e di un suo interno agitarsi che la trasforma, bisogna che ci educhiamo a scorgere tutto questo. Ciò che le masse vivono, non può non esistere in qualche misura anche a livello della loro coscienza, manifestarsi in qualche modo nelle loro azioni e, più o meno direttamente, determinarle. Il compito del partito è anzitutto imparare a vederlo e raccoglierlo, per poi elaborarlo e poi ancora restituirlo alle masse in modo che queste vedano, in ciò che il partito rende loro, le ragioni finalmente chiare e universali del loro agitarsi e possano quindi compiere il loro movimento con azioni più mirate, con obiettivi meglio definiti, con metodi e strutture più efficaci, con sforzi meglio coordinati raggiungendo quindi i risultati verso cui esse confusamente e inconsapevolmente già tendevano spinte dall'azione del mondo sociale oggettivo in cui il loro movimento si svolge. Ed è principalmente in questo loro compiere il loro movimento a un livello più alto che anche la loro coscienza si ampia, diventa meno confusa e meno frammentaria.


Questa è la linea di massa elaborata da Mao Tse-tung come metodo fondamentale di lavoro e di direzione del partito comunista, poggiante sulla solida base della teoria marxista della conoscenza e confortata dal bilancio dell'esperienza di tutto il movimento comunista e più in generale di tutta la storia umana. “Raccogliere le idee delle masse, sintetizzarle, quindi portarle di nuovo alle masse, perché queste idee siano applicate con fermezza e fino in fondo, in modo da elaborare giusti criteri di direzione: questo il metodo fondamentale di direzione”.(15)

Avrebbe potuto Mao Tse-tung affermare nel 1943 che la linea di massa è il metodo fondamentale di direzione del partito comunista se avesse inteso la linea di massa nell'accezione di “occuparsi dei problemi pratici, economici, immediati delle masse”? Certamente no! La tesi che il metodo fondamentale di direzione dei comunisti consiste nell'occuparsi dei problemi pratici, economici, immediati delle masse è la tesi fondamentale degli economicisti, deviazione che Lenin aveva esaurientemente e definitivamente già criticato nel Che fare?(1902).


2.2. La linea di massa indicata da Mao Tse-tung è una sua invenzione?

No. I gravi si mossero secondo la legge di gravitazione universale per un tempo incalcolato prima che Newton ne formulasse la legge.

Per decine di anni prima che Mao Tse-tung formulasse la teoria della linea di massa, i partiti socialisti prima, i partiti comunisti poi hanno seguito la linea di massa senza averne coscienza generale, senza proporsela come metodo fondamentale, quindi non sistematicamente. Anche se non se lo proposero come metodo principale di lavoro e di direzione, i comunisti, grazie alla loro internità alle masse, raccolsero le azioni, le percezioni, le idee sparse, frammentarie e confuse delle masse (che erano anche le loro), le elaborarono e le riportarono alle masse. Essi fecero ciò ogni volta che esercitarono effettivamente il loro ruolo d'avanguardia, infatti questo è l'unico modo in cui un partito comunista riesce ad adempiere al compito d'avanguardia che esso si propone.

Nessun movimento rivoluzionario delle masse infatti può svilupparsi oltre un dato livello elementare senza una teoria di se stesso e quindi senza il partito che la elabora e la riporta alle masse. II riportare non è essenzialmente “predicare”, “dire”, ma è farla esistere e farla incarnare nel movimento delle masse. “Per quanto attivo possa essere il gruppo dirigente, la sua attività si ridurrà a uno sforzo infecondo di un pugno di persone, se non è legata a quella delle larghe masse. D'altra parte, se solo le larghe masse sono attive senza che ci sia un forte gruppo dirigente capace di organizzare in modo appropriato la loro attività, tale attività non potrà durare a lungo, né svilupparsi nella direzione giusta, né raggiungere un alto livello. Le masse, in qualunque posto, sono generalmente composte di tre categorie di elementi: i relativamente attivi, gli intermedi e i relativamente arretrati. I dirigenti devono perciò avere la capacità di unire il ristretto numero di elementi attivi intorno alla direzione, e devono fare affidamento su di essi per elevare il livello degli elementi intermedi e conquistare gli arretrati. Un gruppo dirigente veramente unito e legato alle masse può formarsi solo gradualmente nel processo delle lotte di massa, e non separatamente da esse”.(16)

Fu lo studio dell'esperienza generale dei partiti comunisti, il bilancio dell'esperienza del movimento rivoluzionario che condusse Mao Tse-tung a scoprire la linea di massa e a formularla come teoria generale.(17)


NOTE

    15. Da Alcune questioni riguardanti i metodi di direzione (1° giugno 1943), ripubblicato in questo numero di Rapporti Sociali.

    16. Da Alcune questioni riguardanti i metodi di direzione (1° giugno 1943), ripubblicato in questo numero di Rapporti Sociali.

    17. È alla luce di questo indispensabile e fruttuoso processo dall'esperienza alla teoria che permette di ritornare alla pratica con forza e risultati maggiori, che il disinteresse e il rifiuto di tanti protagonisti delle lotte che le masse del nostro paese hanno condotto negli anni '70 e '80 di fare il bilancio di quelle esperienze e di tirarne le leggi che il movimento delle masse segue nei paesi imperialisti e che quell'esperienza contiene in sé, appare come la forma principale della loro dissociazione dal movimento attuale delle masse, anche quando il loro rifiuto viene mascherato da motivazioni apparentemente “di sinistra”, tipo “non dare armi al nemico di classe”, ecc.

Mao Tse-tung ha dato una formulazione generale ed universale della teoria linea di massa. Ma è forse nelle opere di Mao Tse-tung che la teoria della linea di massa compare per la prima volta e quindi è essa venuta al mondo già nella sua forma generale ed universale?

No. Nessuna teoria viene al mondo già nella sua forma generale ed universale. È una legge che si osserva in tutta la storia della conoscenza umana. Prima che una teoria compaia nella sua forma generale ed universale essa compare in forme particolari, riferite a singoli campi e aspetti dell’attività o della natura. Anche per la teoria della linea di massa se noi ripercorriamo oggi, alla luce della sua formulazione generale ed universale, gli scritti dei dirigenti dei partiti socialisti prima e dei partiti comunisti dopo, noi scopriamo che essi hanno formulato la linea di massa, in modo particolare, in modo meno sistematico e generale di quanto abbia finalmente fatto Mao Tse-tung. Diamo solo alcuni esempi.

Nel settembre del 1843 K. Marx scrive ad Arnold Ruge che partecipa alla progettazione della rivista Deutsch-Französische Jahrbücher: “(…) La ragione è sempre esistita, solo non sempre ragionevole. Il critico può quindi riannodarsi a qualunque forma della coscienza teorica e pratica, e dalle forme proprie della realtà esistente sviluppar la vera realtà come loro dover essere e loro scopo finale. ... Nulla dunque ci impedisce di collegare la nostra critica con la critica della politica, con la presa di posizione nella politica, quindi con le lotte reali e di identificarla con esse. Allora non affronteremo il mondo in modo dottrinario, con un nuovo principio: qui è la verità, qui inginocchiati! Noi illustreremo al mondo nuovi principi, traendoli dai principi del mondo. Noi non gli diciamo: ‘abbandona le tue lotte, sono sciocchezze; noi ti grideremo la vera parola d'ordine della lotta’. Noi gli mostreremo soltanto perché effettivamente combatte, poiché la coscienza è una cosa che esso deve far propria, anche se non lo vuole.

La riforma della coscienza consiste soltanto nel fatto che si fa conoscere al mondo la sua coscienza, che lo si ridesta dai sogni su se stesso, che gli si spiegano le sue proprie azioni. Tutto il nostro fine non può consistere in altra cosa, così come avviene anche nella critica della religione di Feuerbach, se non nel portare nella forma umana autocosciente tutte le questioni religiose e politiche.

Il nostro motto dev'essere dunque: riforma della coscienza non mediante dogmi, ma mediante l'analisi della coscienza mistificata, oscura a se stessa, sia che si presenti in modo religioso sia in modo politico. Apparirà chiaro allora come da tempo il mondo possieda il sogno di una cosa della quale non ha che da possedere la coscienza, per possederla realmente. Apparirà chiaro come non si tratti di tracciare un solco tra passato e futuro, bensì di realizzare i pensieri del passato. Si mostrerà infine come l'umanità non incominci un lavoro nuovo, ma porti a compimento consapevolmente il suo vecchio lavoro”.

Quanto a Lenin, volendo fare un'antologia dei pezzi i cui contenuti sono enunciazioni parziali della linea di massa nell'accezione datagli da Mao Tse-tung, non vi è che l’imbarazzo della scelta: dalla trattazione sulla spontaneità delle masse e la coscienza della socialdemocrazia in Che fare? cap. 2 (1902), alla disanima sui metodi di lotta ne La guerra partigiana (1906) in avanti.

In conclusione, ripercorrendo la pratica e la teoria di tutto il movimento comunista ci viene confermata la teoria marxista, materialista dialettica della conoscenza: la realtà è sempre più ricca .della teoria e la teoria si approssima alla realtà gradualmente, per fasi, attraverso successive ripetizioni del processo pratica-teoria-pratica e a ogni ripetizione del processo la nostra conoscenza della realtà diventa più profonda, più sistematica, più universale, più comprensiva e da questa conoscenza più alta della realtà ne viene una maggiore capacità di trasformare il mondo, una pratica più efficace.


2.3. Se la linea di massa è stata nella pratica dei partiti socialisti e poi dei partiti comunisti, anche le deviazioni da essa sono nella loro pratica, tanto più facili quanto meno l'applicazione della linea di massa era consapevole e programmatica. Come vedremo, ognuna di esse sottintende una specifica teoria della conoscenza, contraria alla teoria materialista dialettica, proprio come la linea di massa sottintende una specifica teoria della conoscenza, la teoria materialista dialettica della conoscenza.

Quali sono le principali deviazioni dalla linea di massa che si sono manifestate nel movimento comunista?

1. Il movimentismo

In sostanza i movimentisti non elaborano la “materia sociale”, non la riconoscono quale “primo gradino su cui si costruisce la lotta di classe nel senso comunista del termine”. In un certo senso ogni comunista nasce dal movimento, la grande maggioranza di noi ha mosso i suoi primi passi verso il comunismo partecipando al movimento delle masse, uno fra tanti, condividendo le aspirazioni e la coscienza frammentaria di esso. Il movimento è una cosa sana, un passaggio necessario e universale della crescita. Il movimentismo invece è la teoria che dice che questo primo passo è tutto, è lo stato permanente, che rifiuta lo sviluppo di cui esso pone la necessità. Tutti siamo nati come bambini, il movimentista rifiuta la crescita. Quindi è l'esaltazione del primitivismo.

Nel campo della teoria della conoscenza umana corrisponde al sensismo e all'empirismo: ossia alle teorie che sostengono che la verità è già completa nella sensazione e nella percezione, che l'uomo riflette come uno specchio tutta la realtà (materialismo meccanicista), che rifiutano di riconoscere il ruolo attivo della coscienza nel processo conoscitivo.

Il movimentismo riconosce il movimento delle masse (la spontaneità), nega il ruolo dell'avanguardia; riconosce la sensazione, nega il ruolo attivo della coscienza. Per i movimentisti la teoria della conoscenza come riflesso dell'oggettivo nella coscienza attraverso le sensazioni si riduce al rispecchiamento, l'uomo a qualcosa di simile a uno specchio.

2. Il dogmatismo

I dogmatici non riconoscono la “materia sociale”, riducono la conoscenza alle idee ed eliminano il ruolo delle sensazioni e delle percezioni. Riducono il loro compito al compito di illuminare (istruire) le masse, rifiutano l'altra (la prima) parte del compito, quella di imparare dalle masse, di fare inchiesta, ecc. Essi gonfiano unilateralmente il ruolo del partito al punto da renderlo irreale e ridicolo. Vedono solo il partito che insegna, dirige, illumina, dà alle masse. Trascurano il processo dalle masse al partito, dalla pratica e dalle sensazioni al pensiero. Quindi in sostanza sono una derivazione o un residuo dell'idealismo.

3. Il soggettivismo

Per quanto riguarda la trasformazione della realtà, i soggettivisti attribuiscono il ruolo principale o esclusivo agli uomini coscienti, ai personaggi, agli eroi. Essi trascurano la verità confermata dall'esperienza che la storia la fanno le masse, che gli obiettivi, le linee, i piani si traducono nella trasformazione della realtà oggettiva quando le masse li fanno propri, che sono le masse le artefici principali della trasformazione; gonfiano il ruolo del soggetto, della personalità, dell'individuo e del partito fino a darne una rappresentazione ridicola. Quindi in sostanza sono una derivazione o un residuo dell'idealismo.


3.

Che rapporto vi è tra la linea di massa e la situazione rivoluzionaria in sviluppo?

Nel n. 9/10 di Rapporti Sociali abbiamo cercato di dimostrare che stiamo vivendo una nuova situazione rivoluzionaria e abbiamo mostrato in che senso essa sia “in sviluppo” e le possibilità che essa presenta per la crescita e la vittoria delle forze soggettive della rivoluzione. La linea di massa è il metodo principale, fondamentale, indispensabile di lavoro e di direzione dei comunisti. Solo se i comunisti sapranno studiare, comprendere, “raccogliere” lo stato di disagio, di insicurezza, di malessere, di fermento in cui si trovano le masse in tutti i paesi, solo se sapranno elaborarlo, capirne le ragioni generali e tradurle in una linea d'azione che faccia emergere, vivere e trionfare nel movimento delle masse stesse le ragioni unitarie del loro fermento, solo a queste condizioni le forze soggettive della rivoluzione cresceranno e potranno condurre alla vittoria la rivoluzione socialista nel corso dell'attuale situazione rivoluzionaria.

Questa tesi significa ad esempio che sono fuori strada sia quelli che sostengono che ciò che limita la crescita delle forze soggettive della rivoluzione è la “bassa coscienza politica” delle masse sia quelli che sostengono che il fattore limitante è la forza della repressione dell'attuale classe dominante. Il limite principale sta nelle forze soggettive stesse, il superamento delle attuali difficoltà parte dall'autocritica delle attuali forze soggettive della rivoluzione, non dipende da altri, è tutto nelle loro mani. Sono le forze soggettive della rivoluzione che devono trasformarsi, cambiare la loro concezione del mondo e quindi la loro analisi, la loro linea e i loro metodi di lavoro. È questo il compito cui le forze soggettive della rivoluzione socialista devono far fronte, da esso derivano come aspetti particolari gli altri compiti.

Alcuni compagni sono spaventati da questo compito, trovano che le loro forze sono deboli, non sanno cosa fare, non sanno da dove incominciare. La teoria della linea di massa sostiene che il nostro compito inizia non con l'andare a dire alle masse, non con l'andare a insegnare quello che noi stessi ancora non sappiamo, ma con il “raccogliere le azioni, le percezioni, le idee sparse e frammentarie delle masse”, con l'inchiesta.(18) Proprio perché trascurano questo inizio oggi molti compagni disperdono le loro energie nel vano tentativo di creare un movimento conforme alle loro idee e rifiutano di comprendere, dirigere, elevare, sviluppare, potenziare il movimento delle masse che c'è.

Attualmente le masse sono in tutto il mondo un enorme serbatoio in fermento, un coacervo di disagio e di malessere e si agitano in ogni modo e su tutti i piani. Il disordine è generale. L'esempio più clamoroso di ciò è proprio il maggiore paese imperialista, gli USA. Riusciranno le forze soggettive della rivoluzione a rendersi tali da saper trasformare questa forza enorme delle masse, confusa e dispersa, che si ritorce su se stessa seguendo in ogni sua parte percorsi contraddittori, in una forza di trasformazione del mondo? Questa è la sfida che abbiamo davanti.

Alcuni obiettano che i comunisti sono il partito del proletariato e che una grande parte di queste masse in fermento non appartengono al proletariato. L'errore di questa tesi sta nella premessa: i comunisti sono il partito che sostiene e promuove il ruolo dirigente del proletariato su tutto il popolo, i comunisti sono il partito del proletariato come classe dirigente di tutto il popolo, i comunisti incarnano questo destino che la struttura dell'attuale società assegna al proletariato ed esprimono questa volontà del proletariato. Il proletariato è classe dirigente non in quanto organizza e dirige se stesso, ma perché può dirigere e in quanto riesce a dirigere tutte le masse del popolo. Chi limita il proletariato a se stesso fa dell'economicismo e del corporativismo e in definitiva porta il proletariato alla sconfitta.

All'inizio della situazione rivoluzionaria in sviluppo che ha caratterizzato gran parte della prima metà di questo secolo e da cui sono sorte le prime società socialiste, Lenin affermava: “La rivoluzione socialista in Europa non può essere nient'altro che l'esplosione della lotta di massa di tutti gli oppressi e di tutti i malcontenti. Una parte della piccola borghesia e degli operai arretrati (noi oggi aggiungiamo: e dell'enorme massa di emarginati, di semiproletari e di sottoproletari che la società imperialista ha prodotto e produce - ndr) vi parteciperanno inevitabilmente (senza una tale partecipazione non è possibile una lotta di massa, non è possibile nessuna rivoluzione) e porteranno nel movimento, non meno inevitabilmente, i loro pregiudizi, le loro fantasie reazionarie, le loro debolezze e i loro errori. Ma oggettivamente essi attaccheranno il capitale. L'avanguardia cosciente della rivoluzione, il proletariato avanzato, esprimendo questa verità oggettiva della lotta di massa varia e disparata, variopinta ed esteriormente frazionata, potrà unificarla e dirigerla, conquistare il potere, prendere le banche, espropriare i trust odiati da tutti (benché per ragioni diverse!), attuare altre misure dittatoriali che condurranno in fin dei conti all'abbattimento della borghesia e alla vittoria del socialismo, il quale si ‘epurerà’ dalle scorie piccolo-borghesi tutt'altro che di colpo”.(19)

NOTE

    18. Sull'inchiesta come metodo indispensabile per definire una tattica giusta e decisa del partito comunista si veda Contro la mentalità libresca (1930) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 3, Edizioni Rapporti Sociali.

    Nelle stesse opere si trovano utili descrizioni di vari metodi e alcuni esempi di inchieste.

    Resta ovviamente

    - che chi fa inchiesta deve aver chiaro quale problema vuole risolvere con l'inchiesta, ossia cosa va a cercare, in caso contrario non troverà nulla e la realtà gli apparirà muta e piatta,

    - che dobbiamo mettere a punto sperimentalmente metodi d'inchiesta confacenti con la nostra situazione concreta. A proposito dell'inchiesta si veda anche Rapporti Sociali n. 5/6, pag. 38 e segg.

    19. Da Risultati della discussione sull'autodecisione, luglio 1916, in Opere, vol. 22.