La seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale

Rapporti Sociali n. 12/13 - novembre 1992    ( versione Open Office / versione MSWord )

 

1. NATURA DELLA CRISI

 

La crisi economica in corso e la seconda risi generale per sovrapproduzione assoluta di capitali, iniziata grossomodo a metà degli anni ‘70.(1) Essa consiste nell’impossibilità di valorizzare tutto il capitale già prodotto, nell’impossibilità di proseguire, nell’ambito della formazione conomico-sociale consolidatasi dopo la seconda guerra mondiale, l’accumulazione del capitale in misura adeguata al capitale già esistente. Ciò vuol dire che il capitale produttivo, inteso come quel capitale che ripercorre incessantemente (a un livello ogni volta superiore) il cammino della sua valorizzazione D - M - P - M’ - D’ (Denaro – Merci Produzione - nuove Merci - più Denaro), non riesce più a crescere da un percorso successivo in misura adeguata alla grandezza che esso ha già raggiunto. Il capitale può ripercorrere il cammino della sua valorizzazione D - M - P - M’ - D’ solo e a ogni nuovo inizio la sua grandezza (in valore) e maggiore di quella che era alla recedente partenza. Se questa crescita c’e, il cammino non viene percorso; esso non può essere percorso mantenendo a stessa grandezza che il capitale aveva nel precedente. Allora il processo di valorizzazione di tutto il capitale viene sconvolto; il capitale che era uscito dal ) recedente cammino sotto forma di nuove merci non trova e non può trovare il modo li realizzarsi (cioè di trasformarsi in denaro) e quindi l’ultimo tratto (M’ - D’) del precedente cammino resta incompiuto. altre parole, migliaia di capitalisti ( industriali, commercianti, agrari, ecc.) non accrescono più, di anno in anno, il numero il numro o le dimensioni delle loro aziende. La domanda di merci diventa cronicamente universalmente inferiore all’offerta di merci. Con il processo di valorizzazione viene sconvolto anche il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza. Esso infatti, nella società borghese, può svolgersi solo come base e veicolo materiale del processo di valorizzazione del capitale e, tra i due, è esso il fattore dirigente (il capitalista fa produrre solo se ne ricava un profitto). Quindi l’impossibilità di valorizzare l’intero capitale si riversa sull’intero settore produttivo con la forza sconvolgente di un uragano che sconquassa tutto. Alcuni compagni, per quanto parlino anch’essi di crisi generale per sovrapproduzione di capitale, oscillano tra la fede superstiziosa nella ripetizione della “formula magica” della crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (2) e la concreta convinzione che la situazione attuale e grossomodo simile a quella degli anni ‘50 e ‘60, che non vi e alcuna crisi specifica al di fuori di quella crisi generale connessa al passaggio del capitalismo alla sua fase imperialista. Questa loro convinzione traspare chiaramente nel fatto che essi non tirano né le conclusioni politiche della crisi economica (situazione rivoluzionaria in sviluppo), né le conclusioni in termini di bilancio delle esperienze storiche (le fasi dell’epoca imperialista, di cui parleremo più avanti). L’incomprensione della crisi per sovrapproduzione di capitale in corso e facilitata dall’andamento particolare di essa ed e teoricamente legata all’incomprensione del ruolo assunto dal capitale finanziario e delle trasformazioni che le società borghesi hanno subito per effetto della prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale.(3) Questo infatti rende le forme in cui la seconda crisi per sovrapproduzione di capitale procede verso la sua soluzione differenti dalle forme in cui procedette la prima.

Attorno al “nocciolo duro” del capitale produttivo che (con il suo multicolore esercito di operai, industriali, capi, capetti, ecc.) percorre il suo processo D - M - P -M’ - D’, si è creato un involucro “aeriforme” di capitale finanziario fatto di conti bancari, titoli di credito e attività finanziarie in generale.(4) Entro limiti definiti (ancora da scoprire) e  quindi per un dato tempo, le difficoltâ che il capitale produttivo incontra nel suo movimento (e che costituiscono la sua crisi, con il conseguente sconvolgimento del processo produttivo e l’incasinamento del variopinto esercito i di operai, ecc.) possono trovare più o meno esaurienti compensazioni in quest’ “atmosfera” finanziaria in cui e immerso e che lo permea.

NOTE

1. Si vedano gli articoli sulla crisi per sovrapproduzione di capitale in Rapporti Sociali n.0, pag. 12 e segg.; Rapporti Sociali n.5/6, pag. 22 e segg. e Rapporti Sociali n.8, pag. 7 e segg.

 

2. A volte pare che usino la formula come professione della loro fede anticapitalista (“anche noi diciamo che il capitalismo in crisi, diamine!”) o come slogan per spaventare i loro ascoltatori e indurli a schierarsi contro il capital ismo (“se tutti si convincono che la crisi c’è davvero, se solo rendiamo la cosa ‘credibile’, e la volta che tutti, per sfuggire a questa terribile cosa, aderiscono al comunismo”).

 

3. Si veda al riguardo Rapporti Sociali n.4, pag. 5 e segg.

 

4. E impossibile e inutile quantificare in modo esatto il valore del capitale che percorre il processo D - M - P - M’ - D’ (“capitale produttivo”) e, di contro, valore del l’“atmosfera finanziaria” in cui respira, che lo permea, lo avviluppa e lo soffoca. In tabella 1 sono riportati alcuni numeri che danno l’idea della divaricazione tra la crescita del primo e la crescita della seconda.

 

TABELLA 1

 

 

 

 

1980

1991

Crescita percentuale

media annua

(*) esclusa la Turchia

 

 

 

Esportazioni mondiali (miliardi $ USA)        

1901

3441

+5.5%

Esportazioni paesi OCSE (*) (miliardi $ USA)            

1254

2502

+6.5%

Indice della produzione industriale paesi OCSE (*)   

100

127.5

+2.2%

Indice dell’occupazione paesi OCSE (*)      

100

108

+0.7%

Indice del Prodotto Interno Lordo (PIL) a prezzi costanti:

 

 

 

- mondiale

100

134.7

+2.7%

- paesi OCSE (*) 

100

135.1

+2.8%

PIL paesi OCSE (*) (miliardi $ USA)            

7600

17100

+7.6%

Credito bancario in valute estere (miliardi $ USA)     

324

7500

+33%

Obligazioni internazionali (miliardi $ USA) 

(1982) 259

1650

+ 23%

Valore globale dei principali titoli finanziari derivati

(miliardi $ USA) 

(1986) 1100

6900

+ 44%

Scambi valutari - media giorn. (miliardi $ USA)         

(1986) 325

900

+22.6%

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La domanda che none creata in misura adeguata dal nuovo ciclo di valorizzazione viene creata “mettendo al mondo” (dal nulla, grazie al nuovo sistema monetario formatosi negli anni ‘30 e consolidato a livello internazionale negli anni ‘40 con gli accordi di Bretton Woods, ai poteri istituzionali del sistema bancario e alla capacità di indebitamento delle pubbliche autorità) una massa aggiuntiva di denaro (sotto forma di scritture bancarie e di titoli di credito); essa rende la domanda complessiva grossomodo adeguata all’offerta. Per il singolo capitalista le cui merci vengono pagate, e del tutto indifferente ricevere denaro di nuova creazione 0 denaro già circolante: il denaro che egli riceve non reca alcuna traccia della sua nascita. Di conseguenza il potere di comando su lavoro altrui che viene a trovarsi nelle mani di singoli, di imprese e di istituzioni diventa una grandezza continuamente crescente e di dimensioni ben maggiori della quantità di lavoro altrui che, nelle condizioni in cui si svolge oggi ii processo di valorizzazione del capitale produttivo, e al capitale profittevole comandare.

ricorso alla maggiorazione dei prezzi di vendita (all’inflazione) permette di rappresentare un plusvalore minore o eguale a quello del percorso precedente in una massa monetarie maggiore, gonfiando i profitti nominali a correzione dell’andamento dei profitti reali.(5)

Ma è un indice della reale situazione di crisi il fatto che i capitalisti nel loro assieme, benché ognuno (grazie all’aumento dei prezzi di vendita) realizzi lauti profitti, non aumentano né la produzione né l’offerta. Questa stagnazione della produzione a sua volta permette che continui: i prezzi di vendita continuano a crescere.

L’inflazione e la stagnazione (e la disoccupazione), che si sono installate come ospiti permanenti, universali e indesiderati in tutto il sistema economico capitalista a partire dagli anni ‘70, sono state l’indice di qualcosa che non andava sotto l’apparente “discreta tenuta” del tessuto economico. II capitale che non si può ingrandire come capitale produttivo si ingrandisce come capitale finanziario. Per il singolo capitalista in prima istanza acquisire una fabbrica in più o acquisire un bel portafoglio di titoli finanziari non fa differenza, anzi la seconda cosa può sembrare molto meno faticosa e rischiosa della prima.

La crisi comporta quindi il gonfiamento delle attività finanziarie rispetto alle attività di produzione di merci (beni e servizi): in ogni impresa di una qualche dimensione le attività di portafoglio finanziario comandano le attività industriali, cosi come a livello dei rapporti internazionali le operazioni finanziarie comandano le operazioni commerciali e quindi le attività produttive. I rapporti finanziari diventano l’ossigeno di ogni Stato e di ogni pubblica autorità e nello stesso tempo diventano i lacci che la soffocano. Il “circuito finanziario” prima detta legge e poi soffoca ogni Stato che rimane ad esso subordinato (e nessuno Stato borghese vi si può sottrarre in modo pacifico e ordinato).(6) Da un lato, l’accelerazione permanente della crescita del capitale finanziario, a fronte della stagnazione o del lento sviluppo del capitale produttivo diventa, in questo caso, l’indice della mancata accumulazione nel campo del capitale produttivo. Dall’altro, tuttavia, queste compensazioni monetarie e finanziarie della mancata accumulazione nel campo del capitale produttivo, finché procedono, permettono che il capitale produttivo continui a ripetere il suo percorso D - M - P - M’ - D’ anche se, da un percorso al successivo, la sua grandezza in valore non cresce o non cresce in misura adeguata alla grandezza gia raggiunta.

Ma queste compensazioni possono procedere illimitatamente? Esse hanno effetti collaterali che ne limitano la crescita e danno luogo alle forme specifiche secondo cui procede la seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. Nell”atmosfera” rarefatta ed enormemente dilatata del capitale finanziario si creano, per la sua stessa natura, venti e correnti ben più forti, violenti e improvvisi di quelli che pur si creavano nella “dura terra” del capitale produttivo  (basta pensare alle vicende marco/dollaro/monete SME che ci stanno sotto gli occhi in questi giorni). Più la prosecuzione dell’accumulazione si riduce al solo ingrossamento del capitale finanziario, più esso diventa determinante per la vita del capitale produttivo.

 

5. E essenziale rilevare che non si tratta semplicemente di un generale aumento dei prezzi di tutte le merci (che si annullerebbe al suo interno: ricavi di più, ma spendi altrettanto di più). Si tratta (e in ciò sta la novità e (‘efficacia temporanea del fenomeno) di un maggiore potere di comando su lavoro altrui (denaro) che si concentra nel le mani di alcuni; esso vale proprio solo in quanto non è esercitato (altrimenti genererebbe un aumento generale dei prezzi che lo annullerebbe), ma accresce in continuazione i diritti costituiti sul plusvalore futuro. Questo però non cresce adeguatamente e quindi non può soddisfarli: qui il movimento dell’elusione finanziaria della crisi del capitale produttivo trova la sua negazione, nega se stesso. L’elusione finanziaria della crisi del capitale produttivo stata il “nocciolo razionale” della reaganomics (che i suoi critici borghesi non hanno compreso) e la causa del suo successo pratico negli anni ‘80.

 

6. A proposito vedasi Rapporti Sociali n.1, pag. 13, la parte Dall’eurodollaro degli anni’60 alla rottura degli accordi di Bretton Woods.

 

Alcuni compagni non vedono che e l’impossibilita di crescere (la sovraccurnulazione) del capitale produttivo che genera la crescita del capitale finanziario e che quindi e in questa crescita del capitale finanziario che inizia a manifestarsi la crisi del capitale produttivo (per cui e sciocco fantasticare di un capitale produttivo sano e di un capitale finanziario malato). Altri compagni non vedono le cause e le forme specifiche e intrinseche in cui si svolge la crisi del capitale finanziario e l’inevitabile sconvolgente rovesciarsi di questa crisi sul capitale produttivo (e sul variopinto esercito che ne e la materia umana). Ovviamente né gli uni né gli altri riescono a capire alcunché di ciò che sta avvenendo attorno a loro e in loro; quindi tanto meno riescono ad avere un ruolo dirigente negli avvenimenti in corso. La seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capital non può svolgersi direttamente e completamente nel capitale produttivo e come crisi del capitale produttivo (che e la sola che direttamente coinvolge le masse popolari), beni segue il percorso: dal capitale produttivo al capitale finanziario e da qui al capitale produttivo; quindi 1. nasce e finirà nel capitale produttivo, 2. passa attraverso il capitale finanziario. Voler “vedere” la crisi attuale e capire le “forme” che essa assume senza tener conto dei salti nella “liberazione” (all’interno del legame indissolubile tra i due) dell’ “atmosfera” del capitale finanziario dalla “dura terra” del capitale produttivo attuati negli anni ‘30 (universalizzazione della moneta fiduciaria, creazione delle Banche centrali e di un sistema bancario coordinato ad esse), con gli accordi di Bretton Woods del 1944 (FMI e Banca mondiale, il dollaro come moneta mondiale di fatto fiduciaria), con la creazione di al mercato finanziario internazionale (eurodollaro, ecc.) e poi con il decreto Nixon del 1971 (inconvertibiltà in oro e libera fluttuazione del dollaro), e come pretendere di capire la comunicazione contemporanea prescindendo dalla radio, dal cinema, dalla TV e dagli word processori.

Insomma, i tempi relativamente lunghi con cui procede la seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (iniziata grossomodo a metà degli anni ‘70) e le sue manifestazioni specifiche diventano comprensibili solo alla luce delle caratteristiche della formazione economico-sociale in cui essa si sviluppa. Solo cosi esaminata la crisi in corso cessa di essere un incubo misterioso o un “oscuro oggetto del desiderio” per rivelarsi come il tratto fondamentale e scientificamente studiabile del contesto in cui si svolge e si svolgerà nei prossimi anni la lotta tra le classi.

 

2. LE MANIFESTAZIONI DELLA CRISI

 

La crisi si manifesta in vane forme, si esprime in ogni campo, erompe in “crisi” particolari: monetaria, dell’inflazione, della spesa pubblica, del debito pubblico, del debito estero, della borsa, crisi delle vane forme che il regime aveva assunto negli anni passati (crisi del settore economico pubblico, ecc.), crisi di singole parti della struttura del sistema (crisi bancaria, crisi dell’auto, crisi agricola, ecc.), ecc. Essa diventa più acuta ora in un paese ora in un altro, ora in un settore ora in un altro. In alcuni momenti fa salti in avanti e in altri ha delle pause.

Le singole manifestazioni sono tuttavia comprensibili solo alla luce di ciò che in ognuna di esse si esprime: il procedere della crisi generale per sovrapproduzione di capitale. Solo alla luce di questa si possono misurare anche l’efficacia e il ruolo reali delle vane “soluzioni della crisi”, “vie di uscita dalla crisi” che i vari personaggi e “salvatori della patria” di turno propongono all’accadere di ognuna di queste manifestazioni particolari.

La crisi comporta lotte sempre accanite tra gruppi capitalisti, all’interno di ogni paese e a livello internazionale, ognuno per valorizzare il suo capitale. Ne seguono:

- il ricorso alle manovre monetarie e finanziarie e l’assurgere a vette prima non ancora raggiunte della speculazione sui titoli e sulle valute (si valuta che quotidianamente nel mondo siano scambiate valute per un valore di 900 mila miliardi  di lire; di essi meno del 10 per cento sono transazioni corrispondenti a compravendita di beni o servizi);

- il ricorso alle risorse della politica, della malavita, della corruzione di pubblici amministratori, di uomini politici e, nelle semicolonie, di esponenti delle borghesie compradore e burocratiche e degli elementi feudali, delle pressioni di ogni genere per accaparrarsi campi per nuovi investimenti e situazioni che consentono l’incameramento di rendite;

- l’apertura di nuovi campi di investimento e il riversarsi del capitale in attività già considerate criminali (droga, ecc.);

- il ricorso alle risorse militari, agli “interventi umanitari” e agli “interventi di pace”, alla diplomazia segreta, alle operazioni sporche, ecc. (sempre allo scopo di aprire nuovi campi di investimento o nuovi mercati, o di mantenere aperti quelli gia esistenti);

- la corsa alla riduzione dei costi di produzione delle merci: aumento della produttività del lavoro, aumento della Scala della produzione, trasformazione dell’organizzazione del processo produttivo concentrando produzioni separate e scindendo processi produttivi tra imprese distinte, aumento dello sfruttamento della forza-lavoro (ritmi, ecc.), riduzione dei salari reali (abolizione della scala mobile, sostituzione di lavoro semplice a lavoro qualificato, lavoratori precari e fuori contralto, lavoratori stranieri, ampliamento della scala della produzione, ecc.);

- la distruzione sistematica delle risorse naturali (acqua, foreste, aria, fauna, ecc.);

- lo sfruttamento di posizioni di mono-polio e la guerra commerciale;

- il ricorso al sostegno delle pubbliche autorità (capitalismo di Stato): nonostante deregulations e privatizzazioni, mai l’intervento delle pubbliche autorità nell’economia, al servizio dei gruppi dominanti, è stato cosi continuo e determinante;

- il fallimento e l’eliminazione di imprese.

 

3. GLI ESITI DELLA CRISI

 

La crisi per sovrapproduzione di capitale non e una crisi per sovrapproduzione di merci, anche se essa genera sovrapproduzione di merci. L’aspetto caratteristico della crisi per sovrapproduzione di capitale e che la sovrapproduzione di merci e un derivato della scarsità di investimenti (ovviamente da parte dei capitalisti). La domanda di merci ritarda sulla produzione perché il volume degli investimenti (il volume del capitale aggiuntivo che si unisce al vecchio per formare il nuovo capitale che compie il percorso D - M - P - M’ - D’) non e adeguato alla quantità di capitale esistente. Il volume d: investimenti a sua volta e inferiore a quello necessario a produrre una domanda di merci adeguata al capitale già esistente, perché i capitalisti non trovano nel campo della produzione di merci (beni o servizi che siano), cioè nel percorso D - M - P -M’ - D’ abbastanza “buoni affari” in cui gettarsi. Questo e lo stesso motivo per cui masse enormi di capitale si riversano nelle attività finanziarie (debiti pubblici interni, prestiti esteri, attività speculative, società finanziarie, holdings, ecc.). Gli effetti collaterali negativi della creazione continua di nuovo denaro rendono sempre più controproducente, per quanto tecnicamente non impossibile, il ricorso ad essa da parte delle istituzioni a ciò) abilitate (banche centrali e sistema bancario) e l’uso dei procedimenti attraverso cui essa viene evocata e si attua (indebitamento delle amministrazioni pubbliche e dei privati). L’allargamento del credito si alterna al restringimento del credito, inflazione e stagnazione si alternano e si sovrappongono. Ma in complesso “la domanda fatica sempre più a stare alla pari dell’offerta”.

Alcuni compagni si ostinano a confondere sovrapproduzione di merci con sovrapproduzione di capitale, senza rendersi conto che in questa maniera si privano di una chiave per capire non solo i movimenti economici, ma anche i movimenti politici. Infatti tutte le proposte di “soluzione della crisi” che provengono dal campo borghese “di sinistra” si riducono a proposte di aumentare la domanda di merci aumentando la spesa della pubblica amministrazione, secondo la ricetta keynesiana.(7) E più “di sinistra” e l’ambiente borghese da cui vengono le pro-poste, maggiore e l’aumento della spesa  pubblica che propongono. Ma quanto valgono queste proposte come soluzione della crisi? Se la crisi fosse dovuta alla sovrapproduzione di merci, queste pro-poste sarebbero un rimedio possibile alla crisi. Ma se la crisi e dovuta alla sovrapproduzione di capitale, queste proposte curano uno dei sintomi della crisi (certamente uno dei più) appariscenti, dei più urtanti la miseria di grandi masse e il buon senso comune), ma non curano affatto la causa. Dato che finché la malattia sussiste il sintomo continua a riprodursi, in definitiva queste proposte non curano il sintomo che per un periodo limitato, dato che l’indebitamento della pubblica amministrazione non può procedere indefinitamente, come ben vediamo proprio considerando la situazione dello Stato italiano. Quindi sovrapproduzione di merci porta a proporre illusorie soluzioni riformiste della crisi nell’ambito del modo di produzione capitalista; sovrapproduzione di capitale porta al dilemma rivoluzione o guerra. La prima concezione porta alla sconfitta delle forze soggettive della rivoluzione socialista che disperdono le loro energie dietro obiettivi campati in aria, la seconda porta a una politica rivoluzionaria e quindi a combattere con possibilità di vittoria.

 

7. A proposito vedansi in Rapporti Sociali n.0 I’articolo Don Chisciotte e i mulini a ventoe in Rapporti Sociali n.5/6 la prima delle Tre questioni importanti non eludibili.

 

Solo alla luce della teoria della crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale e possibile capire anche la natura, il ruolo, gli effetti, l’efficacia e i limiti della reaganomics nelle sue varie versioni. Essa infatti si riduce a facilitazioni alla crescita dell’”atmosfera” finanziaria.

II travolgimento dello stato di cose presente non nasce dalle attività delle forze soggettive della rivoluzione, bensì dal movimento delle masse popolari che ha determinato dalle condizioni proprie dello stato di cose presente e quindi e inarrestabile e irresistibile. Le forze soggettive della rivoluzione socialista hanno invece un ruolo determinante rispetto alla direzione e all’esito del travolgimento dello stato di cose presenti. Quindi se le forze soggettive della rivoluzione sbagliano e aprono al corso incalzante della marea montante delle masse popolari sbocchi senza uscita, quelle stesse acque necessariamente si incanaleranno con la loro immensa forza travolgente in qualche altra direzione: questa e una legge dello sviluppo delle rivoluzioni. Da qui il ruolo determinante della linea seguita dalle forze soggettive della rivoluzione e quindi della loro concezione del mondo e della loro comprensione del movimento economico e del movimento politico della società.

La crisi comporta l’eliminazione graduale ma sistematica degli impedimenti alla sue manifestazioni concrete, al suo procedere concreto che e anche il procedere verso la sua soluzione. Da qui l’eliminazione graduale ma sistematica delle forme concrete del “capitalismo dal volto umano” e la crescita continua dell’espulsione e dell’emarginazione di forza-lavoro dal processo produttivo.

Vengono cancellate, o riformate in modo da attenuarne il ruolo, le norme e le istituzioni che regolavano il mercato della forza-lavoro, mitigando in una certa misura il suo carattere selvaggio (contratti collettivi, legislazione del lavoro, ecc.). Vengono cancellate le norme e le istituzioni che in una certa misura permettevano di sopravvivere a quanti il “libero mercato” rigettava da sé (sistemi pensionistici e previdenziali, sistemi sanitari, ecc.), le norme che garantivano a chiunque condizioni minime di esistenza e alcuni beni e servizi primari (cure mediche, istruzione elementare, assistenza a maternità e infanzia, pensioni d’invalidità, ecc.). Il rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti viene privatizzato. Il settore pubblico dell’economia (partecipazioni statali, enti economici pubblici, aziende municipali, ecc.) viene “privatizzato”, aprendo con ciò nuovi campi di valorizzazione al capitale. II complesso di queste misure non costituisce una riduzione dell’intervento dello Stato in campo economico (“meno Stato, più mercato”), dato che mai nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale esso e stato vasto, quotidiano e di dettaglio come adesso. Esso costituisce solo l’eliminazione di un settore di imprese e di attività che per il suo carattere istituzionale era protetto dallo sconvolgimento della crisi e quindi era un ostacolo al “libero dispiegarsi” della crisi (e che la crisi spesso ha già trasformato in un campo di saccheggio aperto ai vari gruppi predoni della borghesia imperialista).

In breve la crisi comporta l’eliminazione di quelle forme antitetiche dell’unità sociale che avevano il ruolo di evitare gli sconvolgimenti maggiori cui darebbe luogo il “libero” dispiegarsi del movimento del capitale. Per andare verso la sua  soluzione, la crisi deve anzitutto travolgere questi ostacoli che le impediscono di proseguire il suo corso: come una molla compressa deve spezzare l’involucro che la trattiene.