Elementi per lo studio delle condizioni internazionali del movimento politico del nostro paese

Rapporti Sociali n. 14-15,  inverno - primavera 1994 (versione Open Office / versione MSWord )

 

1. Anche la crisi delle relazioni politiche internazionali (tra Stati e raggruppamenti) ha la sua forza motrice nella crisi economica. L’attuale fase del movimento politico non inizia con la distruzione del muro di Berlino nel 1989 né con la dissoluzione dell’URSS nel 1991 né con la fine del bipolarismo, ecc., ma con l’inizio della crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale negli anni ’70. Le analisi che pongono la “svolta del 1989” come inizio, sono quasi sempre inficiate da idealismo (preminenza o autonomia del movimento politico rispetto al movimento economico).

 

2. Il declino della dominazione della borghesia imperialista USA nel mondo.

La borghesia imperialista USA ha perso la sua supremazia economica (in campo finanziario, in campo commerciale e in campo industriale), perché i gruppi imperialisti concorrenti sono cresciuti più rapidamente. Conserva ancora in larga misura la sua supremazia politica (cioè la capacità di influenzare il comportamento delle classi dirigenti dei singoli Stati e di intervenire nella loro formazione), ma questa supremazia si va indebolendo e per questo deve fare sempre più spesso ricorso alla forza e alla pressione (palese e occulta). Il ricorso sempre più frequente e diffuso (e spesso scomposto, scoordinato, con agenzie che lavorano in un senso e altre che lavorano in senso opposto) all’intervento militare e alla “guerra sporca” è un sintomo dell’indebolimento della supremazia USA.

È il contrario di quanto vanno dicendo i sostenitori (plaudenti o piangenti) del “mondo unipolare”, dell’unica superpotenza, ecc. Anche in questo campo vi è una netta differenziazione tra chi considera il ricorso alle armi da parte della classe dominante come una manifestazione di forza e predica e fomenta il terrore tra le masse e chi, di fronte a questo corso delle cose, si pone dalla parte della resistenza delle masse e cerca di comprendere e usare tutti gli elementi per la loro vittoria. È la stessa differenziazione che si ha di fronte alla mobilitazione reazionaria delle masse cui sempre più ricorrono gruppi della borghesia imperialista.

 

3. La lotta tra raggruppamenti nazionali (statali) dei gruppi imperialisti, da cui la crisi delle relazioni politiche internazionali (vedasi anche Rapporti Sociali n. 4 pag. 26-31), si manifesta:

- nel formarsi di raggruppamenti statali dei gruppi imperialisti nonostante il grande ruolo economico che hanno le multinazionali e “l’economia globale”: nel procedere della crisi, i gruppi imperialisti, in contrasto con la tanto strombazzata teoria del “meno Stato più mercato”, hanno sempre più bisogno dell’azione statale (in campo monetario, commerciale, politico, militare, ecc.) e per ognuno di essi assume sempre più importanza il mantenimento dell’ordine e della stabilità politica nel paese che è il centro dei propri interessi; la contraddizione tra borghesia nazionale e gruppi imperialisti si sviluppa in ogni paese;

- nel rafforzamento relativo, rispetto alla borghesia imperialista USA non solo a livello economico ma anche a livello politico e militare, della borghesia imperialista tedesca, giapponese e di altri paesi;

- nel formarsi di aree economiche esclusive o privilegiate attorno a ognuno dei raggruppamenti statali (CEE, America del Nord-NAFTA, “Area di coprosperità asiatica”);

- nelle iniziative per destabilizzare gli Stati concorrenti (processo già molto sviluppato in Italia con la guerra di mafia e tangentopoli, agli inizi in Germania e Francia dove fa leva sui conflitti con le minoranze immigrate e negli USA dove il conflitto razziale è a disposizione di chi vuole intervenire), per favorire lo svilupparsi di guerre civili, per acuire le diffi coltà politiche fino alla scissione di alcuni paesi (URSS, Jugoslavia, Cecoslovacchia e, come processi in corso, Belgio, Svizzera, Spagna, Italia). Che ne è del mercato unico europeo del 1992? E dell’accordo di Maastricht? La paralisi degli Stati europei è promossa dagli imperialisti USA? L’Italia è oggettivamente il punto debole della CEE;

- nella lotta per l’occupazione delle nuove colonie (nel Terzo Mondo e nell’Europa orientale): le potenze imperialiste intervengono assieme allo stesso modo e nello stesso spirito in cui Francia e Germania intervennero assieme in Marocco all’inizio del secolo o in cui le sette potenze intervennero assieme in Cina nel 1900 e le undici in Russia nel 1918: nessuna vuole lasciare campo libero alle altre ed essere esclusa dal bottino. I risultati di tali “concordie” si sono visti.

 

4. I gruppi imperialisti e i loro Stati stanno rioccupando le ex colonie. Questo è il senso della Guerra del Golfo, dell’intervento in Somalia, in Mozambico e in Cambogia, degli interventi in America centrale e meridionale. È un corso di avvenimenti sospinto da vari fattori:

- la concorrenza tra gruppi imperialisti per accaparrarsi nuovi campi di investimento (sfruttamento forza-lavoro a buon mercato, rendita su terre e giacimenti, ecc.);

- la crisi delle istituzioni finanziarie della borghesia imperialista a seguito dell’insolvenza dei debitori del “terzo mondo” e la politica di “privatizzazione” delle risorse naturali e delle strutture produttive inquadrata dal piano Brady a compenso dei debiti;

- il bisogno di instaurare amministrazioni politiche fedeli e forti di fronte ai concorrenti imperialisti, alle “rivolte della fame” e ai movimenti rivoluzionari e di contenere i movimenti rivoluzionari. La rioccupazione delle ex colonie

- assume forme politiche diverse (boicottaggio di governi, invio di corpi di spedizione, destabilizzazione dei governi, creazione di governi amici, ecc.),

- si ammanta di bandiere diverse (intervento umanitario, truppe di pace, forze di interposizione, ONU, ecc.);

- porta a una generale condizione di guerre civili e no nelle ex colonie;

- fa di ogni ex colonia un’area di contesa tra gruppi e Stati imperialisti (contesa di cui le forze rivoluzionarie approfitteranno).

Lo sviluppo di movimenti contro i governi filo-imperialisti (fondamentalismo islamico, ecc.) stanno a provare che la lotta delle masse dei paesi semicoloniali prosegue, nonostante l’opera di corruzione e di erosione svolta dai revisionisti moderni: è un terreno su cui un po’ alla volta cresceranno le nuove leve rivoluzionarie, nell’ambito della nuova situazione rivoluzionaria in sviluppo a livello mondiale.

Alcuni compagni lamentano l’effetto negativo del “crollo dell’URSS” sulle lotte antimperialiste dei paesi semicoloniali. Questi compagni confondono il secondario con il principale, il particolare con il generale. L’aspetto principale e generale dell’azione dei revisionisti moderni (sovietici e no) verso le lotte antimperialiste dei paesi semicoloniali (come verso i movimenti rivoluzionari dei paesi imperialisti) era quello di usarli come strumenti della loro politica di collaborazione conflittuale con gli Stati e con i gruppi imperialisti: appoggiarli come strumenti di ricatto e di pressione e venderli o strozzarli come merce di scambio. L’aspetto secondario era che i movimenti che sapevano “basarsi sulle proprie forze” potevano giovarsi della lotta tra USA e URSS. Ma questi movimenti rivoluzionari sapranno giovarsi altrettanto bene della crescente conflittualità tra gruppi e Stati imperialisti: Lenin non viaggiò verso Pietroburgo e la Rivoluzione d’Ottobre sul treno messo a disposizione dal Kaiser che voleva vincere la sua guerra contro lo Zar?

 

5. La crisi economica dell’imperialismo ha dato il colpo di grazia ai regimi dei revisionisti moderni (in URSS e nell’Europa Orientale), con un processo analogo a quello per cui l’attuale crisi ha manifestato il suo effetto devastante  (economico e politico) prima nei paesi semicoloniali (del “terzo mondo”) che nei paesi imperialisti. I revisionisti moderni infatti, tra l’altro, erano in larga misura passati dai due mercati mondiali (socialista e capitalista) formatisi negli anni ’50 all’integrazione nell’unico mercato capitalista ed erano diventati clienti del mercato finanziario capitalista e, iniziata la crisi, ne hanno pagato le conseguenze.

A livello dell’economia mondiale il crollo dei regimi dei revisionisti moderni priva il sistema capitalista mondiale di un grosso settore ad economia pianificata (acquisti programmati con largo anticipo in quantità e prezzi, accordi economici a lunga scadenza, investimenti pianificati, ecc.) e introduce nel mercato un settore ancora meno regolamentato e più “selvaggio” di quello dei vecchi paesi capitalisti. Ha nel sistema mondiale un effetto analogo a quello che hanno in ogni paese le privatizzazioni, la “liberalizzazione” del rapporto di lavoro e la riduzione dei trasferimenti di reddito dalla pubblica amministrazione alle famiglie. Aumenta la “liquidità” del sistema, quindi produce onde e marosi più forti, tempeste maggiori!