La situazione e i nostri compiti

Rapporti Sociali n. 16 (inverno 1994-1995) - (versione Open Office / (versione Word)

 

LA FASE POLITICA

 

Il nostro paese sta attraversando una crisi generale, di lungo periodo e di estensione mondiale.

- È una crisi generale nel senso che non riguarda solo alcuni aspetti, ma il complesso della società. Si tratta di una crisi economica, che genera un crisi politica e una crisi culturale.

Crisi economica nel senso che i capitalisti, per leggi proprie del modo di produzione capitalista, non possono più espandere l’apparato produttivo della società in misura adeguata al prodotto esistente che ovviamente essendo il nostro un paese capitalista, esiste nella forma di capitale, ossi di valore che deve essere valorizzato, cioè accresciuto.

Crisi politica vuol dire che i gruppi che compongono la borghesia imperialista non riescono più né a regolare i contrasti di interessi tra loro né a dirigere le classi sottomesse con le istituzioni, i modi e le concezioni con cui lo hanno fatto negli anni precedenti. La costituzione materiale della società non è più adatta alla situazione. La società deve darsene un’altra.(1)

Crisi culturale vuol dire che le idee, le immagini, i sentimenti e i modi di fare con cui gli uomini hanno rappresentato e diretto la propria vita negli anni passati vanno a pezzi perché con essi gli uomini non potrebbero immaginare, concepire, combattere e vivere le lotte che le condizioni concrete impongono ad essi.

Capire i vari aspetti della crisi, capire che si tratta di una crisi generale è la premessa indispensabile per imparare a “vedere” la resistenza alla crisi nei comportamenti e nelle iniziative delle masse, per individuare le tendenze positive e negative e svolgere il nostro lavoro. Considerare solo uno o alcuni aspetti della crisi isolati dagli altri è sbagliato e politicamente dannoso. Infatti impedisce di capire le tendenze. Tra le forze soggettive della rivoluzione socialista attualmente è diffusa in modo particolare la deviazione consistente nel considerare la crisi politica o culturale separatamente dalla crisi economica, nel cercare di spiegare il movimento politico con le caratteristiche degli individui e dei gruppi, nel cercare o escogitare soluzioni della crisi politica campate in aria, nel prendere per buone le dichiarazioni della classe dominante che la crisi è risolta (es. “siamo oramai nella seconda repubblica”), nel dare spiegazioni strampalate, tra il mistico e sociologico, della crisi culturale.(2)

- È una crisi di lungo periodo nel senso che è una crisi che non può da nessuno essere risolta in breve tempo, con una singola misura o con alcune poche misure risolutive. È una crisi che si risolverà solo con la sovversione e con la sostituzione degli attuali ordinamenti economici, politici e culturali del mondo, una trasformazione che potrà esser effettuata solo nel corso di alcuni decenni. Quindi l’attuale crisi si prolungherà per un lungo periodo, anche se ha proceduto finora (dal 1975 a oggi) e procederà attraverso una successione di riprese e recessioni di breve periodo, di accessi febbrili e di pause; anche se a ogni ripresa i portavoce della classe dominante si daranno a gridare che “la crisi è oramai alle nostre spalle”, “i giochi sono fatti”, ecc.(3)

Usciremo da questa crisi solo quando l’una o l’altra delle due classi che possono dirigere la società moderna con le sue attuali forze produttive, la classe operaia o la borghesia imperialista, arriverà a elaborare, costruire e far valere in pratica un nuovo ordinamento della società. Quindi ogni ricetta e ogni proclamazione di “uscita dalla crisi” a breve termine e senza un rivolgimento radicale dell’attuale stato delle cose è un imbroglio o un’illusione. La soluzione dell’attuale crisi può arrivare solo attraverso lo scontro tra la mobilitazione rivoluzionaria e la mobilitazione reazionaria delle masse.(4)

Alcuni compagni sottovalutano questo aspetto della crisi. Sbagliano e questo errore li porta alla sfiducia nella  rivoluzione socialista. Infatti, fosse possibile risolvere questa crisi in tempi brevi, è evidente che non potrebbe sfociare nella conquista del potere da parte della classe operaia, dato che oggi questa classe non ha ancora nemmeno il suo partito, il partito comunista, e quindi non esiste ancora come protagonista della lotta per il potere; dato che oggi la classe operaia è lungi dall’aver maturato, nemmeno tra i suoi membri più attivi, d’avanguardia, la convinzione di essere capace di fare meglio della borghesia imperialista, di essere capace di fondare una nuova società, di essere capace di dirigere; la convinzione che tutta l’attuale coltre di malessere e di malandare potrebbe essere spazzata via se essa riuscisse a spodestare borghesia imperialista.

- La crisi in cui siamo coinvolti è una crisi mondiale. La crisi del nostro paese è parte di una crisi mondiale. Alcuni cercano di presentarla come una crisi solo nazionale, limitata al nostro paese, dovuta a processi politici specifici del nostro paese (il mancato ricambio per quasi 50 anni del partito di maggioranza, la corruzione dei politici, la “debolezza tradizionale della borghesia italiana”, ecc.). È una tesi sbagliata e politicamente dannosa; infatti alimenta i dubbi e il disfattismo riassunti nella domanda: come è possibile che la classe operaia conquisti il potere in Italia, se non lo conquista contemporaneamente anche negli altri paesi? La realtà è che i regimi della borghesia imperialista sono in crisi in tutti i paesi, una situazione rivoluzionaria è in sviluppo in tutti i paesi,(5) lo scontro tra mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria delle masse sta maturando in ogni paese. In alcuni prevarrà l’una e in altri prevarrà l’altra, ma in un contesto mondiale di generale sconvolgimento politico. Proprio perché si è creato un sistema economico unico che copre tutto il mondo (mondializzazione dell’economia, economia globale, sistema imperialista mondiale), è possibile che la rivoluzione socialista vinca anche solo in uno o in alcuni paesi. Infatti in tutti i paesi la borghesia imperialista sarà alle prese con una situazione rivoluzionaria, cioè con una situazione di instabilità politica. È quello che si è verificato anche nella prima metà di questo secolo: in ogni paese imperialista il regime politico era instabile e ciò limitò le possibilità di intervento della borghesia imperialista nei paesi in cui la rivoluzione socialista aveva vinto.(6)

È quindi non solo corrispondente ai fatti, ma anche politicamente importante aver chiaro, comprendere bene queste tre caratteristiche della crisi attuale: generale, di lunga durata e mondiale.

 

Nel nostro paese la crisi economica è sotto gli occhi di tutti e non ci dilunghiamo a illustrarla in questa sede.

Nel nostro paese la crisi politica è molto avanzata, ha già assunto la natura di una guerra civile strisciante tra gruppi della borghesia imperialista. Una parte autorevole della borghesia imperialista italiana e internazionale aveva messo in cantiere una soluzione di ricambio alla DC, la nuova coalizione politica denominatasi Polo progressista, ma il 27 marzo ha fatto fiasco.(7) Che potesse essere una soluzione che poneva fine alla crisi politica, era un’illusione di Occhetto e dei suoi sponsor. Ma il fiasco dimostra il grado di divisione politica della borghesia imperialista e il distacco che si è creato tra essa e la massa della popolazione. Essa non ha potuto impedire che uno dei suoi, un avventuriero alla Perot, alla Tapie, ecc.(8) gettasse con successo le sue forze nel gioco elettorale contro la soluzione di ricambio faticosamente elaborata “in famiglia”, non è riuscita a convogliare il voto della popolazione sulla sua soluzione “di famiglia”, ha perso il controllo del voto della popolazione. La soluzione Berlusconi-Bossi-Fini che ne è risultata, aggraverà la divisione nella borghesia imperialista e il divario tra essa e le masse popolari e sta facendo calare ancora di più il prestigio e l’autorità della borghesia imperialista tra le masse popolari.

Stiamo vivendo la fase della disgregazione e della putrefazione del regime democristiano. Quel regime è stato la forma specifica che ha assunto nel nostro paese il potere della borghesia imperialista dopo la seconda guerra mondiale. Ora quel regime è arrivato alla fine del suo corso, travolto dalla fine di ciò che aveva fatto la sua forza, cioè dalla fine del periodo trentennale di ripresa e sviluppo dell’accumulazione del capitale e quindi di espansione dell’apparato produttivo  seguito alla conclusione, nel 1945, della prima crisi generale del sistema imperialista mondiale.

 

NOTE

 

1. A causa della crisi economica le singole frazioni di capitale si valorizzano mangiandone altre e appropriandosi del plusvalore prodotto da altre; una parte del capitale accumulato deve essere distrutto. Ciò crea tra i gruppi imperialisti contrasti di interesse inconciliabili.

La classe dominante a causa della crisi economica cerca e dovrà cercare di eliminare le conquiste economiche, politiche e culturali delle masse popolari e mandare in malora le istituzioni in cui esse sono incarnate; queste istituzioni quindi diventano via via incompatibili con le leggi dell’economia capitalista, con la competitività delle industrie, con la “salvezza dell’economia nazionale”. L’organizzazione della vita politica tramite i vecchi partiti di massa non regge più, i partiti di regime sempre meno possono mantenere il loro seguito di massa con favori e clientele, le loro promesse sono sempre più disattese e quindi via via meno efficaci. Le altre organizzazioni di massa del regime (sindacati, ecc.) sempre meno possono agire da intermediari tra gli interessi delle masse popolari e quelli della borghesia imperialista, tra loro sempre meno “compatibili”.

Non si tratta però, di elaborare, di inventare (come cercano di fare il ministro Speroni, il prof. Miglio e altri) una nuova costituzione legale. Si tratta di risolvere lo scontro tra “trasformazione socialista della società” e “conservazione del capitalismo tramite la distruzione di una parte del capitale esistente”. Si tratta quindi di instaurare e far valere nuovi rapporti sociali e istituzioni confacenti alla nuova situazione. Tutto ciò può avvenire solo con un processo pratico di lotta tra le classi, in sintesi con lo scontro tra mobilitazione rivoluzionaria delle masse e mobilitazione reazionaria delle masse. È nel corso di questo processo e come conclusione di esso che si instaurano i nuovi rapporti di fatto (costituzione materiale) che poi eventualmente saranno descritti in una nuova costituzione legale.

Analogamente avvenne nella prima metà del secolo: ad esempio la costituzione materiale del nostro paese dopo la seconda guerra mondiale non venne elaborata a tavolino, ma fu il risultato degli scontri e delle trasformazioni svoltesi nel periodo 1910-1945 e la costituzione legale del 1947 non fece che registrare l’avvenuto, per quel tanto che gli uomini del tempo riuscirono a prenderne coscienza.

 

2. Noi stiamo in questi mesi vivendo la disgregazione e la putrefazione del regime DC, un processo graduale di disfacimento, di tentativi di adattamento, di correzioni e aggiustamenti delle vecchie istituzioni. Nessun nuovo regime, dotato di una certa stabilità, capace quindi di durare per un certo periodo, può ancora essere instaurato. Infatti i contrasti che hanno messo in crisi il vecchio regime non sono ancora risolti, sono le forze del vecchio regime che stanno confusamente litigando tra loro, non esiste ancora un vincitore. Per di più, non sono ancora definiti neanche gli schieramenti che si scontreranno per la soluzione. Quando si dice regime DC si semplifica per indicare il regime politico della Democrazia cristiana e dei partiti satelliti, concorrenti, rivali, ecc. che convissero con la DC, il regime che ha governato l’Italia dal 1945 a oggi per conto della borghesia imperialista.

 

3. Basta correre con la mente alle varie riprese annunciate negli anni che abbiamo alle spalle: la ripresina del 1978-80, la “ripresa americana” di Reagan, la ripresa italiana del governo Craxi, ecc. fino alla nuova “ripresa americana” di oggi. Il procedere attraverso successivi sbandamenti di breve periodo in un senso e nell’altro è una caratteristica propria del modo di produzione capitalista, si verifica sia nei periodi di ripresa e sviluppo sia nei periodi di crisi generale.

 

4. La nuova costituzione materiale della società può essere costruita solo dalle masse, perché è l’insieme dei rapporti che si stabiliscono tra le varie classi che le compongono.

La mobilitazione rivoluzionaria delle masse è la loro mobilitazione guidata dalla classe operaia come nuova classe dirigente, per l’eliminazione dei rapporti di produzione capitalisti e della sovrastruttura che ad essi corrisponde e la  trasformazione socialista di essi.

La mobilitazione reazionaria delle masse è la loro mobilitazione guidata da gruppi della borghesia imperialista, per la distruzione di una parte del capitale accumulato e l’instaurazione di nuove forme dei rapporti di produzione capitalisti e della sovrastruttura corrispondente.

Sulle due categorie storiche si veda Rapporti Sociali, n. 12/ 13, pag. 23-31.

 

5. Si veda l’articolo A proposito della situazione rivoluzionaria in sviluppo, in Rapporti Sociali, n. 9/10.

 

6. La crisi economica che colpisce tutto il mondo non porta “al crollo del capitalismo”, cioè al crollo del sistema economico attuale al modo in cui crolla un castello di carte o un edificio. Il crollo del capitalismo è una costruzione della fantasia che trascura i nessi reali tra economia, politica e cultura, tra le varie parti dell’attività umana. La crisi economica giunta ad un certo grado di sviluppo si trasforma in crisi politica. È quello che avvenne nella prima metà di questo secolo, nel corso della prima crisi generale del capitalismo. La crisi economica si trasforma nello scontro tra mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria delle masse, tra rivoluzione socialista e guerra per realizzare la trasformazione generale della società.

Nell’ambito della Seconda Internazionale, alcuni teorici elaborarono la teoria del crollo del capitalismo: fu una manifestazione delle concezioni positiviste, metafisiche che ancora residuavano anche nei partiti socialisti. Il materialismo dialettico insegna a cogliere la trasformazione di una cosa nell’altra, dell’economico in politico e viceversa, che è un fenomeno reale che avviene continuamente sotto i nostri occhi.

 

7. Questo episodio della crisi politica del nostro paese è illustrato in dettaglio nell’articolo Il fiasco del 27 marzo, in questo numero della rivista.

 

8. Perot è il miliardario che contese la presidenza USA a Clinton e a Bush nelle elezioni del novembre 1992. Tapie è un miliardario francese che si è gettato in politica e che probabilmente, se non sarà eliminato con la Tangentopoli francese, correrà per la presidenza della repubblica nelle elezioni del ‘95. Le incursioni di avventurieri miliardari sulla scena politica o economica si sono estese dai paesi minori (Polonia, Jugoslavia, vari paesi semicoloniali, ecc.) ai paesi maggiori (USA, Francia, Italia, Spagna) e sono una delle forme con cui procede la crisi politica attuale.

A chi non limita il destino storico della classe operaia alla conquista del diritto di sciopero, della contrattazione nazionale, della pensione, ecc., insomma a chi non ha una concezione economicista (in sintesi equivalente a “stare un po’ meglio, ma sotto la direzione della borghesia”) del destino storico della classe operaia, è chiaro, al di là della retorica disfattista sulla “sconfitta”, che in questo secolo la classe operaia ha subito due grandi sconfitte, precisamente quando non riuscì a prendere il potere nei paesi imperialisti durante la prima crisi generale del sistema capitalista (1910-1945) e quando negli anni ‘50 non riuscì ad impedire che i revisionisti moderni prendessero la direzione del suo movimento politico. Si deve inoltre notare che la differenza fondamentale tra disfattisti e rivoluzionari non consiste nel riconoscere o non riconoscere le sconfitte, ma nell’individuarle in modo giusto o sbagliato, nell’utilizzarle per demoralizzare, confondere e quindi prolungare l’effetto della sconfitta o nel trarre insegnamento dalle sconfitte, imparare dagli errori per riprendere la lotta con maggiori possibilità di vittoria.

 

Questa è la fase che stiamo vivendo, altro che seconda repubblica!

Alcuni compagni si ostinano a ripetere, più o meno pappagallescamente, il ritornello della propaganda borghese: siamo nella seconda repubblica. È la forma specifica che assumono qui da noi in questi mesi gli errori e le deviazioni sopra indicate: le tesi di una crisi politica che non avrebbe la sua origine nella crisi economica, di una crisi politica che potrebbe essere risolta senza risolvere la crisi economica, di una crisi politica che potrebbe risolversi senza uno scontro  risolutore tra mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria delle masse, di una crisi di breve periodo, di una crisi solo italiana. È un ritornello che politicamente porta fuori strada: non a caso la propaganda borghese la veicola alla grande. Parlare di seconda repubblica, di un nuovo regime, vuol dire dare per risolta la crisi politica e quindi non comprendere o nascondere la lotta politica che invece è in corso, anzi è ancora all’inizio; vuol dire non mettersi nelle condizioni necessarie per condurre scientificamente e con la massima probabilità di successo la lotta in corso; vuol dire rinunciare alla lotta per fare emergere nel corso della crisi la direzione della classe operaia, alla lotta per la costruzione del partito comunista e per la conquista del potere da parte della classe operaia; vuol dire ridurre, al modo degli economicisti, l’azione politica alla rivendicazione e alla ricerca di un “posto al sole” in una (immaginaria) nuova repubblica. È insomma la forma specifica del disfattismo, del liquidazionismo impugnata dai sostenitori della “sconfitta storica della classe operaia”.(9)

 

 

 

**** MANCHETTE

 

1. Per la prima volta nella storia del nostro paese, da quando le masse popolari hanno conquistato nel 1912 il suffragio universale (maschile), la borghesia imperialista non è riuscita a fare approvare dal “voto popolare” la soluzione di governo che essa aveva preparato. Ci era riuscita nel 1913 con l’avvento del governo del Patto Gentiloni, nel 1924 con la lista del “blocco nazionale”, net 1948 con la DC. La soluzione del Polo progressista, preparata con la scissione e trasformazione del PCI e con Tangentopoli, ha invece fatto fiasco.

 

2. La soluzione Polo progressista ha fatto fiasco per divisioni interne alla borghesia imperialista, per la sua debolezza, perché uno delle sue fila, un avventuriero, un suo “figlio discolo” è sceso in campo, ha scompigliato il gioco e ha strappato per sé e per il suo cartello elettorale, il Polo della libertà, il “voto popolare”. Per la prima volta nella storia del nostro paese la borghesia imperialista non è riuscita a esprimere una maggioranza politica.

 

3. Questa condizione di ingovernabilità continuerà anche se alcuni o tutti i gruppi della borghesia imperialista passeranno dal Polo progressista alla nuova maggioranza, da Occhetto-Ciampi a Berlusconi. Le crepe della nuova maggioranza sono già più che evidenti, non era più di un cartello elettorale (e tale si sarebbe rivelato in caso di vittoria anche il Polo progressista) e la confluenza in lei di altri gruppi moltiplicherà i contendenti e le crepe. L’origine delle divergenze, infatti, non sta nella politica, ma è nell’economia.

 

4. Persiste l’assenza della classe operaia dallo scontro politico. Manca ancora il partito comunista, senza il quale la classe operaia, e a maggior ragione il resto delle masse popolari, non possono che svolgere il ruolo di consenso o di dissenso, di plauso o di fronda rispetto alle soluzioni politiche che la borghesia imperialista elabora.

 

*****

 

 Dobbiamo combattere queste tesi sbagliate. La lotta contro queste tesi è un aspetto del nostro lavoro per la trasformazione delle forze soggettive della rivoluzione socialista in comunisti. Queste tesi esistono anche tra noi e nei compagni più vicini a noi; più spesso non come sistema organico, come tesi chiaramente sostenute, ma nella forma del pressappochismo. Se a uno di noi si chiede: “Quali sono le caratteristiche della crisi attuale?”, di sicuro vi risponde: “Che è generale, che è di lunga durata, che è mondiale”. Ma succede poi che lo stesso compagno, quando passa a parlare della fase attuale del movimento politico del nostro paese, si mette a parlare di seconda repubblica. Vi sono compagni che da una parte, per cosi dire ufficialmente, accettano le nostre tesi, dall’altra avanzano a ogni passo analisi basate sulle tesi opposte, sui luoghi comuni della cultura borghese corrente: fanno un guazzabuglio. Per vincere, occorre che la nostra azione politica sia guidata da una teoria scientifica, certo da verificare nella pratica che resta il criterio principale e definitivo di verità. Un guazzabuglio eclettico di tesi opposte non si presta a una verifica pratica. Noi dobbiamo avere una teoria ben definita, organica: noi abbiamo bisogno di una teoria scientifica e giusta, verificabile nella pratica.

Quanto allo sviluppo della crisi culturale nel nostro paese, non ne vogliamo parlare estesamente in questa sede, ma essa è un aspetto importante della crisi generale in corso, un aspetto spesso sottovalutato o travisato da sedicenti marxisti. Dovremo affrontare il problema in altra sede. Qui ci basta dire

- che la crisi sta provocando tra le masse popolari da una parte una cultura dell’autodistruzione e della rassegnazione, dall’altra parte una cultura dell’affermazione e della volontà di vittoria;

- che questo secondo filone culturale si divide in due campi: da una parte il filone della cultura dell’affermazione individuale e della distruzione degli altri, filone direttamente strumentalizzabile dai gruppi della borghesia imperialista ai fini della mobilitazione reazionaria delle masse; dall’altra il filone dell’affermazione collettiva e della distruzione della borghesia imperialista, il filone della cultura rivoluzionaria che si apre la strada nella crisi.

Richiamiamo infine le seguenti tesi:

- Il fattore principale della cultura delle masse è la pratica, non la predicazione del prete, della TV o dei rivoluzionari; per questo le trasformazioni culturali negli individui possono essere repentine e di 180 gradi.

- La cultura dominante è la cultura della classe dominante nel senso che da una parte è la sola cultura che può essere elaborata organicamente e dall’altra è la cultura che corrisponde ai rapporti di produzione dominanti.

- La rivoluzione è la divisione dell’uno in due, dell’attuale società in due parti: una parte che viene abbandonata come il serpente abbandona la sua vecchia pelle, una parte nuova che viene dalla società attuale ma la supera e dà inizio a un nuovo processo di trasformazione. Ciò vale anche nel campo della cultura.

 

II

Nel corso di questa crisi si costruisce il nuovo ordinamento mondiale e quindi anche il nuovo ordinamento del nostro paese.

La crisi in corso sta provocando grandi sofferenze tra le masse popolari e ne provocherà di maggiori man mano che si aggraverà. La borghesia imperialista difende e difenderà in ogni modo, con ogni mezzo e ad ogni costo il suo regime, come l’abbiamo vista fare durante la prima crisi generale del sistema capitalista (1910-1945), con le guerre mondiali, nazifascismo, le invasioni dell’URSS, ecc. Già oggi essa sacrifica alla difesa del suo regime non solo il benessere, ma anche la salute e la vita di milioni di uomini, nelle carestie, nelle stragi, nelle guerre, nella miseria, nell’abbrutimento, nelle catastrofi “naturali”, nelle pestilenze, nelle mille iniziative di autodistruzione e di distruzione che il suo regime genera tra la popolazione in risposta al procedere della crisi; ciò avviene nelle semicolonie,(10) ma anche nei paesi  imperialisti, in misura via via più ampia.

Ma la crisi non è solo sofferenza: è anche un periodo di trasformazione generale. Il vecchio ordinamento va in pezzi, il sistema di potere della vecchia classe dominante è sconvolto. Milioni di uomini sono costretti a uscire dalla routine di una vita da servi perché l’ordine esistente è sconvolto e sono costretti a trovare soluzioni nuove alla propria vita.

È un periodo durante il quale le masse sono costrette ad abbandonare il vecchio ordine fino ad approdare a un nuovo ordine. Un periodo in cui nel vecchio ordinamento, nel vecchio sistema di potere si aprono mille crepe nelle quali l’acqua delle masse popolari in piena può infiltrarsi fino a sgretolarlo e farlo crollare; un periodo in cui gli stessi gruppi della borghesia imperialista chiamano e sempre più chiameranno le masse ad azioni straordinarie, nuove; dovranno cercare di mobilitarle come eserciti che combattano battaglie al loro servizio, ma così porranno loro in mano armi di ogni tipo, le costringeranno ad acquisire spirito combattivo, esperienza e capacità politiche e militari. Un periodo in cui le masse per forza di cose impareranno a compiere azioni energiche ed eroiche, si tempreranno e impareranno a combattere e a dirigere. In particolare la classe operaia sarà indotta in mille modi ad assumere il ruolo di direzione che, sola tra tutte le classi popolari, può svolgere.(11)

Di fronte alle sofferenze che la borghesia imperialista impone, il lamento, la disperazione e il pianto (attività in cui sono specializzati Rifondazione Comunista e altri gruppi minori) non hanno nulla a che fare con il nostro ruolo di comunisti, sono anzi contrari ad esso: a noi sta aiutare le masse a scuotersi dalla rassegnazione e dal pianto.

Noi comunisti dobbiamo denunciare sistematicamente di fronte alle masse le sofferenze e i mali che la borghesia imperialista impone loro per conservare il suo regime, capirne e spiegarne le cause che in definitiva si riducono alla sopravvivenza del modo di produzione capitalista che la borghesia difende a ogni costo. Dobbiamo non perdere occasione di mostrare, non solo proclamare, che tutte le sofferenze e le aberrazioni che attualmente si presentano nella vita delle società e degli individui hanno la loro radice nella dominazione della borghesia imperialista, che le produce o ne impedisce la cura, che impedisce agli individui di avere un rapporto costruttivo, creativo, dirigente verso la propria vita fisica, psichica e sociale, nonostante l’enorme patrimonio di esperienze e di forze produttive accumulato nella società. Ma la denuncia non è nostro compito principale.

Il nostro compito principale è combattere energicamente contro le sofferenze e i mali generati dal capitalismo in putrefazione e fare in modo che la nuova energia e le nuove attitudini che le circostanze genereranno tra le masse si incanalino nella distruzione dell’ordinamento borghese e nella costruzione di un nuovo ordine sociale favorevole ai lavoratori e alle masse popolari: il socialismo. Il nostro compito principale sta nello scoprire per noi stessi e indicare alle masse gli elementi della realtà su cui far leva per facilitare, accelerare, aiutare la nascita del nuovo, la vittoria della tendenza positiva insita nell’attuale crisi.

Dobbiamo cioè alimentare non un’attitudine alla denuncia fine a se stessa, alla denuncia rivolta a impietosire la classe dominante o a farla ragionare”, tanto meno un’attitudine al lamento e alla rassegnazione, ma l’attitudine alla lotta.

Un grande risultato pratico della crisi del regime borghese è la sfiducia che già si è diffusa e ogni giorno più si diffonde tra le masse nei confronti dell’attuale ordinamento della società borghese, della democrazia borghese e dell’attuale classe dirigente, nei confronti della borghesia imperialista, nei confronti delle sue forze politiche: in sintesi la sfiducia nei confronti della borghesia imperialista, della sua capacità di dirigere e della bontà della sua direzione. La mancanza di fiducia negli esponenti e nei funzionari della borghesia imperialista e nelle loro parole; l’incredulità, l’indifferenza e lo scherno con cui vengono accolte le loro promesse e le loro parole; la ricerca sempre più diffusa tra le masse popolari di soluzioni individuali in proprio, di rimedi giorno per giorno o di miracoli e la comparsa di comportamenti ribellistici, stravaganti, aberranti confermano anch’essi la diminuzione del prestigio della classe dirigente, il fatto che essa è sempre  meno autorevole.(12) Quanta gente è disposta oggi a dar la vita per essa o ai suoi ordini? Questo è un grande passo avanti, un segnale che la fine di questa classe può essere vicina.

È vero che oggi nel nostro paese le masse popolari non hanno fiducia neanche che la classe operaia sia capace di dirigerle meglio della borghesia imperialista. È vero che oggi la classe operaia non ha fiducia neanche in sé, non è convinta di essere in grado di dirigere il paese meglio della borghesia imperialista. È vero inoltre che né la classe operaia né le masse popolari hanno oggi alcuna fiducia in noi. Alcuni compagni si demoralizzano per questo. Alcuni ingiuriano e offendono gli operai e le masse popolari (“arretrati”, “ignoranti”, “reazionari”, ecc.). Ma perché dovrebbero avere fiducia in individui che non hanno fiducia negli operai e nelle masse popolari, che non sono convinti che gli operai sono in grado di dirigere il paese meglio della borghesia imperialista? In individui che si scoraggiano al primo rifiuto, al primo ostacolo? In individui che si scoraggiano se non trovano già le porte aperte? Infatti, per dirla tutta, anche tra le forze soggettive della rivoluzione socialista e anche tra di noi è debole la fiducia che la classe operaia possa diventare la classe dirigente del paese. La questione va affrontata:

- non dal lato della fiducia degli operai e delle masse popolari in noi o in generale nelle attuali forze soggettive della rivoluzione socialista (che giustamente è nulla, dato che noi non abbiamo ancora dimostrato nulla nella pratica e che i revisionisti moderni prima e le organizzazioni rivoluzionarie degli anni ‘70 poi hanno dato mille motivi di sfiducia),

- non dal lato della fiducia degli operai e delle masse popolari in se stesse (che è bassissima, in primo luogo perché usciamo appena ora dal periodo del “capitalismo dal volto umano” e del revisionismo moderno, in secondo luogo per la mancanza di concezione comunista del mondo, di linea politica e di determinazione nelle forze soggettive della rivoluzione socialista e infine per l’attacco feroce della borghesia imperialista contro la classe operaia e contro il ruolo storico che essa ha svolto in questo secolo),

- ma dal lato della fiducia nostra e delle altre forze soggettive della rivoluzione socialista negli operai e nelle masse popolari (che è debole). Siamo noi convinti, abbiamo buoni, solidi motivi per essere convinti che la classe operaia può dirigere le masse popolari a costruire una società sana e di progresso e che la borghesia imperialista invece può condurre questa società solo alla distruzione e alla putrefazione?

 

NOTE

 

10. Uno dei cavalli di battaglia della cultura borghese di sinistra, che trova ancora molti sostenitori anche tra le forze soggettive della rivoluzione socialista, è che nei paesi imperialisti c’e benessere, pace e civiltà; nel “terzo mondo” miseria, guerra e barbarie. Essi sostengono che il modo di produzione capitalista funziona egregiamente (o passabilmente) nei paesi imperialisti, ma “non aiuta abbastanza” i paesi del “terzo mondo”, oppure che là produce miseria, oppressione, ignoranza, abbrutimento, crimine, corruzione, inquinamento e guerre.

Da qui lo “spirito rivoluzionario come articolo d’esportazione” di quelli che sostengono la rivoluzione e “vedono” la situazione rivoluzionaria nel terzo mondo, ma si oppongono alla rivoluzione qui, vicino a casa loro.

La realtà che avanza nei “civili” e “democratici” paesi imperialisti è emblematicamente rappresentata dai 2 milioni di bambini che in Gran Bretagna, secondo una commissione parlamentare d’inchiesta inglese, sono impiegati nel lavoro nero o nella prostituzione; dalle 1.012.851 persone detenute al 30 giugno ‘94 nelle sole carceri federali USA; dal colera, dall’AIDS, dalla TBC e dalle altre pestilenze che dilagano.

 

11. Già nelle lotte prevalentemente difensive di oggi, da quelle per il posto di lavoro a quelle per le pensioni, balza agli occhi che quando e dove la classe operaia si muove con determinazione, le altre classi popolari si schierano, il loro malcontento e la loro irrequietezza trovano una direzione in cui svilupparsi, un termine con cui confrontarsi: lo si è visto recentemente a Crotone, a Torino, a Pordenone, a Trieste, nel Sulcis, nelle lotte contro la legge finanziaria ‘94.

  

12. Con questo non diciamo che questi atteggiamenti e comportamenti sono buoni, né diciamo che sono cattivi. Noi non siamo né magistrati né preti. Il nostro ruolo non è né condannare o assolvere, né perdonare, giustificare o esaltare. Si tratta di capire che è in corso un processo di trasformazione su scala di massa. Che ogni comportamento anche aberrante è un indizio di insoddisfazione e di rottura con l’esistente e che questa insoddisfazione e rottura può trovare una strada costruttiva di espressione e di materializzazione se la classe operaia riesce ad assumere la direzione della resistenza e ad imprimere ad essa un indirizzo di marcia. Tutto il disordine dell’attuale società deriva dalla sopravvivenza del modo di produzione capitalista, dal fatto che da una parte i rapporti di produzione e la sovrastruttura esistenti sono “storicamente superati”, ma dall’altra è impossibile procedere alla loro trasformazione finché non è eliminato il potere della borghesia imperialista.

 

Gli operai e le masse popolari in genere oggi non hanno fiducia di poter fare le cose che noi diciamo che occorre fare. Se non hanno ancora fiducia di poterle fare, loro che pure le possono fare e che le faranno, perché dovrebbero avere fiducia in individui che le vanno annunciando? In individui che vanno a dir loro che possono fare cose di cui esse non hanno alcuna esperienza? Sarebbe strano che avessero fiducia in noi. Ma qual è la dialettica, il movimento della realtà? È a questo che dobbiamo afferrarci per rompere quello che sembra un circolo vizioso: le masse oggi non sono consapevoli di poter fare cose che solo esse possono e devono fare e quindi non hanno alcuna fiducia in noi che le proponiamo.

L’analisi scientifica del movimento reale ci dice senza ombra di dubbio

- che gli operai e le masse popolari saranno via via portate dalle circostanze pratiche della loro vita a compiere gesta ed azioni di cui oggi non si ritengono capaci,

- che per esperienza pratica vedranno sempre più il carattere fallimentare e distruttivo della direzione della borghesia imperialista nella società, la sua incapacità di dirigere il paese e di indicare una soluzione di vita e di progresso,

- che, se la loro pratica mostrerà loro che noi siamo capaci di indicare con tenacia, con continuità, con determinazione, nei vari frangenti e nelle varie situazioni in cui le circostanze le getteranno, la via della vittoria, per quanti errori possiamo fare e per quante sconfitte possiamo subire per imparare a esserne capaci, alla fine si costruirà un legame indissolubile: nessuna repressione e nessuna forza nemica potrà più romperlo.

Dobbiamo avere ben forte in noi questa convinzione, alimentarla in noi e nei nostri compagni con l’analisi della realtà e con il bilancio dell’esperienza storica. Essa è la base necessaria per affrontare con successo il lavoro che ci sta di fronte per i prossimi anni, è indispensabile per compiere con energia ma anche con serenità un lavoro i cui frutti nella stragrande maggioranza dei casi matureranno solo tra qualche anno.

 

III

Cosa fare in questa situazione? Cosa stiamo facendo? Cosa chiamiamo a fare i compagni che sentono la nostra voce?

Abbiamo già dato nei mesi scorsi una risposta in generale alla domanda. Qui la ripetiamo. Il nostro compito oggi è unirsi senza riserve alla resistenza delle masse popolari al procedere della crisi, appoggiarla, promuoverla, organizzarla e fare prevalere in essa la direzione della classe operaia trasformandola così in lotta per il socialismo e adottare come metodo principale di lavoro la linea di massa.

È un compito comune a tutti i comunisti di tutti i paesi in questa fase. Una particolarità di noi comunisti italiani consiste nel fatto che nel nostro paese non esiste ancora un partito comunista. Il particolare andamento che ha avuto nel nostro paese la lotta contro il revisionismo moderno e il corso che ha seguito, negli anni ‘70 e ‘80, la rinascita dell’avanguardia  comunista, hanno fatto sì che in Italia non siamo ancora riusciti a costruire un partito comunista.(13) Quindi il primo e principale obiettivo del nostro lavoro per raccogliere la resistenza delle masse e trasformarla in lotta per il socialismo facendo prevalere in essa la direzione della classe operaia, è la costruzione del partito comunista. Ma solo se seguiremo fin da oggi, per quel che siamo oggi, la linea sopra indicata arriveremo a costruire il partito comunista: lo abbiamo detto e spiegato già più volte, anche su questa rivista oltre che al Convegno di Viareggio.(14)

Seguire quella linea oggi vuol dire porsi tre compiti.

 

1. Appoggiare e promuovere la difesa di ogni conquista delle masse popolari.

Nel corso della crisi, man mano che la crisi generale e di lungo periodo procede, ogni frazione delle masse popolari, prima o poi, in un modo o nell’altro, sarà costretta a difendere i suoi interessi colpiti dalla borghesia imperialista. Ogni frazione delle masse popolari, grande o piccola che sia, che lotta per difendere una sua conquista, grande o piccola che sia, contro la borghesia imperialista che la vuole eliminare, contro il “corso della crisi” che ne provoca l’eliminazione, fa una cosa positiva. In questo periodo la resistenza è la tendenza positiva. Ogni frazione delle masse che difende i suoi interessi compie una cosa non solo indispensabile alla sua particolare sopravvivenza, ma utile a tutto il processo di trasformazione che vogliamo promuovere e dirigere: si mobilita, impara a lottare, indebolisce la borghesia imperialista, è di esempio e stimolo alle altre frazioni delle masse popolari, ecc. In questa fase dobbiamo appoggiare, promuovere, organizzare ogni lotta con tutte le nostre forze, secondo il metodo della linea di massa (tendenza positiva e tendenza negativa, sinistra-centro-destra), facendo emergere in ogni lotta particolare la sua tendenza positiva che è quella che porta quella frazione delle masse a confluire nel fiume della rivoluzione socialista sotto la direzione della classe operaia.(15) Dobbiamo combattere quanti denigrano questa fase della resistenza, quale che sia la veste sotto cui lo fanno (“lotte corporative”, “non servono a nulla”, “non sono rivoluzionarie”, ecc.). Dobbiamo combattere quelli che la ostacolano. Dobbiamo combattere il disfattismo e la rassegnazione (“sono lotte inutili”, “ti strappano domani quello che riesci a difendere oggi”, “prima o poi i padroni riusciranno a farcela”, “c’e la crisi e per forza finiamo col perdere”, ecc.), dobbiamo combattere la denigrazione della classe operaia, delle masse popolari, delle loro conquiste e delle loro lotte. La classe operaia e le masse popolari hanno bisogno di vivere oggi e di conquistare il potere domani: i due obiettivi non solo non sono incompatibili, ma sono complementari. Dobbiamo imparare dalle loro lotte attuali per poterle guidare a crescere ed elevarsi. Dobbiamo imparare per poter insegnare.

Le lotte difensive (in cui le masse costringono la borghesia a ritirare, a ridurre, a ritardare una sua misura rivolta contro di loro) sono indispensabili per la vita delle masse, sono uno strumento indispensabile per la formazione e l’accumulazione delle forze per la rivoluzione e sono una scuola di comunismo.

 

NOTE

13. Sulla costruzione del partito comunista si veda l’articolo Comunisti, forze soggettive della rivoluzione socialista, avanguardie di lotta nella costruzione del partito comunista in Rapporti Sociali n. 14/15. Nello stesso numero, nelle pagg. 19 e 20, sono state caratterizzate le attuali forze soggettive della rivoluzione socialista nel nostro paese. I tentativi di ricostruzione del partito comunista compiuti in Italia si dividono in due grandi gruppi.

1. I tentativi di costruzione del partito comunista compiuti, dal 1964 in poi, da gruppi del “movimento marxista-leninista”, a partire dal Partito comunista d’Italia (m-l). Il motivo principale del fallimento di questi tentativi crediamo stia in definitiva nella concezione sbagliata del revisionismo moderno che avevano i loro promotori. La tesi che accomunava era che il revisionismo moderno era sorto principalmente perché i dirigenti dei vecchi partiti comunisti avevano tradito i principi del marxismo-leninismo. Il compito della ricostruzione del partito comunista si riduceva quindi a unire e organizzare i “veri  comunisti”, i comunisti “fedeli ai principi “ e riprendere con essi il cammino interrotto. Ma il revisionismo moderno aveva preso il potere nei vecchi partiti comunisti, col favore della situazione creata dalla conclusione nel 1945 della prima crisi generale del capitalismo, grazie ai limiti e agli errori dei “veri comunisti”, dei “comunisti fedeli ai principi” (che erano gli stessi limiti ed errori che avevano impedito ai partiti comunisti di condurre la classe operaia al potere nei paesi imperialisti durante la prima crisi generale, nel periodo 1910-1945). Non si trattava quindi di “riprendere il cammino interrotto a causa del tradimento dei maggiori dirigenti”, ma di superare quei limiti ed errori. La Rivoluzione culturale proletaria lanciata in Cina dal PCC aveva fatto l’analisi di essi concludendo con la tesi che “il maoismo è il marxismo-leninismo della nostra epoca”. Non si trattava quindi di unire i “veri comunisti”, i comunisti “fedeli ai principi”, ma di rilanciare la lotta della classe operaia per il potere sulla base del superamento dei limiti e degli errori dei “veri comunisti”. Questa è un’impresa possibile, mentre evitare in assoluto che uno o più dirigenti tradiscano non è possibile.

2. Il tentativo di costruzione del partito comunista compiuto, a partire dal 1970, dalle Brigate Rosse e incentrato sul rovesciamento delle tesi dei revisionisti moderni sulla “via pacifica al socialismo”, sulla “via parlamentare al socialismo”, sul “passaggio graduate al socialismo tramite le riforme di struttura e la crescita degli elementi di socialismo presenti nella società attuale”, a favore della tesi della “lotta armata per il comunismo”. Le Brigate Rosse assunsero la “propaganda armata” come forma principale di attività per creare le condizioni per la costruzione del partito comunista. Le Brigate Rosse, sul finire degli anni ‘70, abbandonarono l’obiettivo della ricostruzione del partito comunista. I motivi, le circostanze e gli insegnamenti di questo abbandono sono oggetto del “bilancio degli anni ‘70” che altri hanno già sviluppato in altra sede e a cui rimandiamo.

Gli insegnamenti positivi e negativi forniti dall’esperienza di questi due tentativi di ricostruzione del partito comunista nel nostro paese fanno parte del patrimonio di cui deve giovarsi chi oggi vuole portare a compimento questo compito indispensabile.

 

14. Vedasi Centro di Documentazione Filorosso - Milano e Viareggio, La resistenza delle masse popolari al procedere della crisi del sistema capitalista e l’azione delle forze soggettive della rivoluzione socialista, Atti del Convegno di Viareggio, Edizioni Rapporti Sociali.

 

15. “Appoggiare ogni lotta particolare secondo il metodo della linea di massa” ci distingue dai movimentisti e dagli economicisti. Infatti la linea di massa significa raccogliere l’esperienza delle masse, elaborarla e riportarla alle masse come linea. Quindi non è né andar dietro alle masse, né cercare di limitare le masse alle rivendicazioni economiche elaborando programmi generali di riforme economiche. È lottare perché ogni lotta difensiva compia la trasformazione la cui possibilità è in essa implicita, la trasformazione per confluire nel grande fiume della rivoluzione socialista. La linea di massa è la traduzione in termini di metodo d’azione politica della concezione materialista dialettica della conoscenza.

Linea di massa vuol dire in ogni situazione concreta individuare la tendenza positiva e la tendenza negativa e intervenire ad appoggiare la prima fino a farla prevalere e ad ostacolare la seconda; vuol dire individuare in ogni situazione concreta la sinistra, il centro e la destra e intervenire a organizzare la sinistra perché unisca a sé il centro e isoli la destra. Su questo si veda Linea di massa e teoria della conoscenza in Rapporti Sociali n. 11 e La linea di massa in Rapporti Sociali n. 12/13.

 

In linea generale è inevitabile che per un po’ di tempo la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società imperialista si esprima principalmente in tante lotte frammentarie ed episodiche,

- sia perché le conquiste da difendere sono particolari e proprie di piccoli gruppi (la borghesia imperialista evita di affrontare le masse popolari in blocco, cerca finché le è possibile di dividere e contrapporre),

- sia perché in questa fase economica e politica una delle condizioni necessarie perché una lotta difensiva possa essere vincente è che ne siano protagonisti principali i lavoratori direttamente interessati, che l’obiettivo della lotta sia chiaramente percepito e vissuto dai lavoratori che ne sono i protagonisti principali (da distinguere da quelli che si  mettono in moto per solidarietà, da quelli che “approfittano della situazione” per esprimere il loro malessere, ecc.),

- sia perché oggi e ancora per un po’ di tempo nel nostro paese solo la borghesia imperialista ha centri nazionali di aggregazione, di mobilitazione e unificazione delle masse (i grandi partiti di regime, i grandi sindacati di regime, ecc.). Paradossalmente, le uniche mobilitazioni generali oggi possibili nel nostro paese non possono che essere promosse e (salvo che “scappino di mano”(16)) dirette da gruppi della borghesia imperialista. Non lo abbiamo forse visto anche in questi mesi?

L’unificazione delle vane classi e frazioni delle masse popolari in una lotta comune anticapitalista, antimperialista e antiborghese, a dispetto degli economicisti può avvenire solo sotto la direzione della classe operaia e avere come obiettivo il socialismo; non può avvenire spontaneamente (senza direzione della classe operaia, cioè senza partito comunista); non può avvenire su “obiettivi unificanti e mobilitanti” economici o rivendicativi, per quanto intelligenti e brillanti siano gli economicisti che li inventano e li propagandano.

Parimenti è inevitabile che per un po’ di tempo la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi si esprima principalmente in lotte difensive, in una multiforme varietà di lotte apparentemente con poca o nessuna relazione tra loro, in tante lotte in cui la contraddizione con altre frazioni delle masse popolari può avere un ruolo comparabile a quello della contraddizione con la borghesia imperialista.(17) Questo fa sì che a volte un gruppo di lavoratori lotta per un obiettivo che corrisponde al suo interesse (ad es. ripartire il lavoro che c’è) e un altro gruppo lotta per l’obiettivo opposto (ad es. tenersi il lavoro che ha). In questi casi bisogna appoggiare e organizzare entrambi i gruppi e far diventare la lotta di ognuno di essi lotta contro la borghesia imperialista. È nello sviluppo della lotta di ogni singolo gruppo di lavoratori che bisogna scoprire, fare crescere l’aspetto offensivo, l’unità contro il comune nemico, far emergere la contraddizione principale, quella tra masse popolari e borghesia imperialista. Chi pretende che la contraddizione con la borghesia imperialista abbia fin dall'inizio il ruolo principale, che l'attacco esista fin dall'inizio della resistenza, che esista cioè spontaneamente, nega sia la dialettica sia il ruolo della direzione della classe operaia e del partito comunista.

D’altra parte, a differenza dei movimentisti e degli economicisti, non dobbiamo appiattirci sulle lotte difensive, non accodarci, non semplicemente “starci”. Dobbiamo raccogliere, elaborare e restituire alle masse, a un livello superiore l'insegnamento ricevuto. Non il movimentismo, non il codismo, ma la linea di massa. Dobbiamo chiederci, a conclusione di ogni lotta difensiva: “Cosa abbiamo imparato da questa lotta ai fini della costruzione del partito comunista, quale passo avanti ha compiuto la ricostruzione del partito comunista?”.

Nel contesto delle lotte difensive, nel nostro paese oggi sono particolarmente importanti i seguenti punti.

1.1. Prestare particolare attenzione alle lotte difensive della classe operaia. Stante la potenzialità particolare della classe operaia, la borghesia imperialista sottopone a un attacco particolarmente intenso la classe operaia (“non esiste”, “sono dei privilegiati”, “sono dei garantiti”, “la sua rigidità impedisce nuove assunzioni”, “sono nemici dei disoccupati e dei giovani”, “con le loro pretese rovinano l’economia nazionale”, ecc.) e la sua esperienza storica di lotta per l’eliminazione del capitalismo e la trasformazione socialista della società (“il comunismo è fallito”, “il comunismo è stato una tragedia”, “i crimini di Stalin”, ecc.). La borghesia imperialista compie il massimo sforzo per demoralizzare, corrompere, confondere e isolare gli operai. Pregiudizi antioperai diffusi dalla borghesia imperialista sono radicati anche in varie forze soggettive della rivoluzione socialista,(18) anche in alcuni operai rivoluzionari nei confronti dei loro compagni di lavoro. È quindi particolarmente importante in questa fase promuovere con energia iniziative di solidarietà di altre frazioni e classi delle masse popolari (studenti, commercianti, pensionati, casalinghe, ecc.) verso gruppi di operai in lotta; far emergere nel modo più chiaro e nella misura più diffusa possibili il ruolo universale (di  lotta trainante e unificante) anche della singola lotta difensiva di ogni gruppo di operai. Ogni gruppo di operai che lotta per il posto di lavoro, lotta contro il restringimento dell’attività economica di tutta la società. Ciò che gli operai riescono a difendere per sé (pensioni, assistenza sanitaria, durata del lavoro, ecc.) o viene mantenuto o viene esteso o diventa punto di riferimento anche per le altre classi e ceti popolari. Quindi nel suo particolare è dato in modo diretto anche l’universale. Occorre alimentare anche da questo lato l’affermazione della direzione della classe operaia sul resto delle masse popolari. Proprio l’attacco della borghesia imperialista e le “pretese” degli operai, i loro tentativi, i loro sforzi difensivi per non lasciarsi togliere quello che hanno conquistato negli anni scorsi, portano gli operai a diventare sempre più e sempre più apertamente i difensori degli interessi comuni a tutte le masse popolari (si vedano i casi esemplari del Sulcis, di Crotone, di Pordenone, di Trieste.(19) Come organismo politico (e in quanto tale, direttamente a suo nome) dobbiamo approfittare di ogni occasione per esprimere più pubblicamente possibile la nostra solidarietà e il nostro appoggio (delegazioni, comunicati, volantini, manifesti, ecc.). Dobbiamo promuovere lo schieramento di altri organismi, soprattutto di gruppi di altre classi e ceti (soprattutto degli studenti delle scuole superiori e delle università) a favore degli operai impegnati in lotte difensive, specie quando queste assumono forme contro cui la borghesia imperialista cerca di “montare l’opinione pubblica”, cioè di isolare e di demoralizzare gli operai che ne sono protagonisti.

1.2. Promuovere tutte le iniziative di solidarietà (manifestazioni di simpatia, pronunciamenti, comunicati, azioni di sostegno, difesa presso l’“opinione pubblica”, ecc.) di frazioni delle masse popolari verso quella che sta conducendo la lotta, spiegare l’importanza universale di ogni lotta particolare (ogni vittoria di una frazione delle masse contro la borghesia imperialista, indebolisce quest’ultima e crea un precedente favorevole per le altre frazioni delle masse). Salvo casi particolari si deve però evitare di sostituirsi ai diretti interessati (es. picchetto di sciopero composti da esterni, ecc.), ma muoversi sulla base e a sostegno della lotta dei diretti interessati. Ovviamente, a parità di altre condizioni, la determinazione che questi portano nella lotta dipende dall’importanza che l’obiettivo ha per essi. Quando la determinazione è scarsa, non si può sopperire sostituendosi. Ogni frutto ha la sua stagione. Non si fanno crescere i germogli tirandoli.

1.3. Ricavare dall’esperienza e propagandare le condizioni oggi necessarie perché una lotta di difesa abbia successo, cioè riesca a impedire, ritardare, ridurre il provvedimento della borghesia imperialista contro cui è diretta: obiettivi e metodi di lotta devono essere caso per caso i più particolari possibile in modo che i lavoratori che partecipano alla lotta ne siano convinti (in generale una lotta di difesa non può essere “per altri”,(20) né i metodi di lotta possono essere generali); la lotta deve essere diretta da persone che vogliono vincere, bisogna non lasciarsi legare le mani dalle regole stabilite dal nemico; adottare caso per caso metodi e forme di lotta efficaci e sostenibili dai lavoratori; non lasciarsi isolare ma crearsi degli alleati; allargare il più possibile la lotta; valorizzare la pressione politica che ogni lotta esercita nei confronti della borghesia in quanto scintilla in una situazione di instabilità politica e oggetto di strumentalizzazione da parte di gruppi imperialisti; individuare e sfruttare le contraddizioni in campo nemico; ecc.(21)

 

 

NOTE

 

16. Sempre più spesso succede infatti che le mobilitazioni “scappino di mano” alle organizzazioni di regime che le convocano (tipico caso sono state le manifestazioni del 1992 contro l’accordo di CGIL/CISL/UIL col governo Amato), nonostante l’opera assidua di COBAS, USI, RdB, FLMU, CUB, ecc. per impedire che i lavoratori più coscienti del ruolo nefasto delle organizzazioni di regime partecipino a queste mobilitazioni e “infettino” anche gli altri lavoratori. Secondo i  promotori di queste organizzazioni, che in gran parte si credono o perlomeno si proclamano comunisti, meglio mille lavoratori che dimostrano per conto loro che mille lavoratori che ne aiutano centomila a scuotersi di dosso l’autorità delle organizzazioni di regime! Beninteso ognuna di queste organizzazioni è manifestazione di processi sociali, rivoluzionari o reazionari ben precisi e il suo ruolo reale non si riduce all’aspetto da noi qui indicato.

 

17. Ogni lotta difensiva condotta da una frazione delle masse nelle condizioni attuali può mettere al suo centro la contraddizione tra questa frazione e altre frazioni delle masse o la contraddizione tra essa e la borghesia imperialista.

L’analisi marxista del modo di produzione capitalista ha messo in luce che il prodotto complessivo della società in termini di valore si divide in tre parti:

- una parte che corrisponde al valore già esistente consumato nella produzione (c = capitale costante = materie prime e ammortamento dei mezzi di produzione),

- una parte che corrisponde al valore della forza-lavoro impiegata (v = capitale variabile),

- una parte che corrisponde al nuovo valore prodotto di cui si appropria il capitalista e, tramite lui, il percettore di rendite e interessi (pv = plusvalore).

Dato il carattere collettivo raggiunto nell’attuale società dal processo produttivo e dall’attività economica, in generale ogni rivendicazione può mirare o a una diversa ripartizione del capitale variabile tra i lavoratori o a una diminuzione del plusvalore con conseguente aumento del capitale variabile. Le lotte condotte da un gruppo di lavoratori per mantenere o aumentare il proprio reddito può essere rivolta a impadronirsi del reddito di altri lavoratori (quindi a una diversa ripartizione di v) oppure a togliere al capitalista una parte del plusvalore di cui egli si appropria. Nel primo caso entra in gioco una contraddizione tra due gruppi di lavoratori, nel secondo caso una contraddizione tra lavoratori e borghesia. Casi in cui la contraddizione tra lavoratori ha il ruolo principale: diminuire le tasse di un lavoratore aumentandole a un altro, diminuire i contributi sociali di un lavoratore aumentandoli a un altro.

Ogni provvedimento che allevia la situazione di un gruppo di lavoratori può andare a danno della borghesia imperialista o di altri lavoratori. Basta esaminare alla luce di questa considerazione parole d’ordine come “abolire gli enti inutili”, “ridurre le spese militari”, “no alla produzione di armi”, “chiudere le fabbriche inquinanti”, ecc.

 

18. Il pregiudizio antioperaio più diffuso è riassunto nelle “teorie terzomondiste”: la classe operaia dei paesi imperialisti vive sulle spalle dei popoli delle semicolonie.

In secondo luogo viene l’antistalinismo: la versione denigratoria dell’esperienza storica della costruzione del socialismo.

 

19. Gli operai della Ferriera di Trieste, durante i 5 giorni di occupazione della Sala del Consiglio Regionale, dal 30 settembre al 4 ottobre ‘94, hanno ricevuto un grosso appoggio materiale (cibo, soldi, coperte) e morale (“la vostra vittoria è la vittoria di tutta la città”). Questa è l’ennesima dimostrazione che anche in una città dove la classe operaia è numericamente ridotta e non vi è una tradizione di egemonia operaia, la classe operaia è riconosciuta, la sua lotta e la sua determinazione sono di esempio alle masse popolari e punto di mobilitazione e concentramento delle loro attività.

 

20. Evitare di elevare a obiettivo generale, valido per tutti, un obiettivo particolare di un gruppo di lavoratori, come ad es. “no agli straordinari”, “no ai contratti di solidarietà”, “no alla cassa integrazione a zero ore”. Infatti succede normalmente che alcuni lavoratori sono costretti dalla loro situazione a porsi come obiettivo proprio quello che altri, in altre condizioni, combattono.

 

21. Segnaliamo ai nostri lettori un’analisi, particolarmente ricca di spunti e animata da profondo spirito rivoluzionario, delle lotte rivendicative: Entrando nei particolari: contributo al necessario dibattito sul sindacalismo indipendente e di nuovo tipo, in Resistencia, numero speciale, agosto 1993. La rivista può essere chiesta, nella versione italiana, a Correspondances Révolutionnaires, BP 1310, 1000 Bruxelles 1 (Belgio), ccp 000-1291052-79.

  

 

2. Indirizzare ogni lotta di difesa verso l’attacco all’attuale regime della borghesia imperialista, sviluppando la lotta per il socialismo.

In generale noi non sappiamo ancora appoggiare e promuovere le lotte difensive col metodo della linea di massa, tendiamo a farlo in modo movimentista e codista, abbiamo ancora poca esperienza e conoscenza: è un’arte che impareremo un po’ alla volta nella pratica. Ancora meno esperienza e conoscenza abbiamo di come far diventare l’attacco l’aspetto guida, l’aspetto dirigente della resistenza, di come far emergere da ogni lotta difensiva il massimo risultato possibile in termini di accumulazione delle forze e di creazione delle condizioni per l’attacco vittorioso alla borghesia imperialista, di come far maturare e crescere l’attacco. Lo impareremo. È importante che ci poniamo l’obiettivo di impararlo, che sperimentiamo e facciamo bilancio delle esperienze.

Noi non siamo per il partito delle lotte rivendicative (non siamo una riedizione di Lotta Continua), siamo per il partito della resistenza, della combinazione della difesa con l’attacco fino a far diventare principale l’attacco, della rivoluzione socialista, dell’instaurazione della direzione della classe operaia e del socialismo. Per imparare a essere quel partito incominciamo da quello che ci è oggi chiaro, da ciò che il bilancio delle esperienze passate ci ha insegnato e poniamoci il compito di farlo diventare un aspetto sistematico della nostra attività.

1. Combattere l’economicismo, quella tendenza che consiste nel pretendere di “elevare a lotta politica la lotta economica”, nel costruire e proporre programmi generali riunendo alcuni particolari obiettivi economici e rivendicativi, più consoni alla tradizionale mentalità “di sinistra”, al moralismo che i revisionisti moderni hanno alzato a bandiera al posto della lotta di classe, nel porre questi obiettivi “virtuosi” come obiettivi “buoni per tutti”, che tutti “capiscono facilmente”, che “tutti vogliono”, nel pretendere di unire e mobilitare direttamente le masse popolari nella lotta per essi saltando la lotta per la formazione e l’organizzazione della classe operaia e dell’avanguardia, escludendo la lotta per l’instaurazione del potere della classe operaia e del socialismo che “le masse non capiscono”, accettando nei fatti la “propaganda di guerra” della borghesia imperialista: che “il comunismo è fallito”, che “le masse non vogliono comunismo”.

Oggi è la deviazione più diffusa; ne trattiamo in dettaglio nello scritto Contro l’economicismo, in questo numero della rivista.

2. Promuoverne la crescita politica dei lavoratori avanzati, delle avanguardie di lotta e il loro collegamento con il nostro lavoro di costruzione del partito comunista, attraverso la diffusione più ampia possibile del foglio mensile Resistenza.

3. Promuovere collegamenti e unità tra frazioni delle masse popolari nel corso della lotta rivendicativa di una di esse, come abbiamo già indicato.(22) Favorire in ogni modo e ad ogni livello l’aggregazione tra i lavoratori e tra le masse popolari, 1a formazione di organizzazioni di ogni tipo.

4. Portare più avanti possibile la critica del modo di produzione capitalista nel corso delle lotte difensive (far emergere 1a contraddizione principale e l’universale), anziché sprecarsi in discorsi su quello che la borghesia imperialista e il suo Stato dovrebbero fare per “aggiustare le cose”; mettere più a nudo possibile il legame tra ogni scontro particolare, anche economico, e la questione del potere, sfruttando anche l’intervento dello Stato e la trasformazione dello scontro economico in un “problema di ordine pubblico”. Mostrare che ogni lotta aziendale finisce per porre il problema di un sistema economico generale socialista e del potere della classe operaia, facendo leva anche sulle “giustificazioni” portate dai padroni e dalla borghesia in generale per le loro misure antipopolari: gli economicisti in generale cercano di dimostrane che la borghesia imperialista sbaglia, mentre in realtà non fa che difendere come può i suoi interessi. Ricavare da ogni lotta particolare la dimostrazione che la direzione della borghesia imperialista è fallimentare e che la  classe operaia, instaurando il socialismo, saprebbe dirigere meglio nell’interesse delle masse popolari.(23)

5. Sostenere, appoggiare, mostrare la razionalità e l’utilità, la scientificità (24) delle forme di lotta nuove, libere dai limiti posti dallo Stato borghese, spontanee, violente, extralegali adottate dai lavoratori nel corso di lotte difensive, quelle che fanno andare la mosca al naso a Bertinotti, Cofferati e Maroni. Contrastare la denigrazione che ne fa la borghesia, anche quella di sinistra e alcune forze soggettive della rivoluzione socialista che, come i preti di sinistra, le “giustificano” solo come esplosione di rabbia, esasperazione, ignoranza, ecc. Denunciare Bertinotti e simili che vorrebbero far combattere i lavoratori con le mani legate.

6. Aiutare ogni lavoratore che può crescere, a crescere il più possibile, a trarre il massimo frutto dalla lotta a cui partecipa, a imparare a dirigere, a responsabilizzarsi: mobilitare, educare, organizzare, reclutare. A conclusione di ogni lotta rivendicativa dobbiamo chiederci quanti lavoratori sono cresciuti, come abbiamo promosso e come promuoveremo la loro crescita.

 

NOTE

 

22. L’opuscolo SIN, una forma di resistenza per la difesa dell’occupazione - Centro di documentazione Filorosso di Viareggio illustra alcune iniziative di questo genere.

 

23. Come esempio di un’azione del genere indichiamo la Lettera aperta alle operaie SIN.

 

24. Quelle forme di lotta sono scientifiche nel senso preciso che non sono dettate da pregiudizi, moralismi, leggi e norme esterne al contesto reale dello scontro, ma corrispondono alle condizioni concrete di esso e perciò producono risultati conformi agli obiettivi, sono efficaci. Quindi corrispondono alle leggi oggettive del processo in corso, indipendentemente dal fatto che i loro promotori e protagonisti ne abbiano coscienza o meno.

 

7. Propagandare e promuovere tra i lavoratori iniziative di solidarietà con i lavoratori colpiti dalla repressione. In particolare promuovere iniziative di solidarietà e propagandare la liberazione dei compagni delle Brigate Rosse e degli altri rivoluzionari ancora prigionieri perché rifiutano di dissociarsi dalla lotta per il comunismo, facendo leva anche sulla lotta da loro condotta contro il regime della borghesia imperialista nel nostro paese (il regime DC di cui i lavoratori vedono oggi in modo più chiaro i risultati). Costituire ovunque possibile organismi dell’Associazione solidarietà Proletaria (ASP) e potenziare l’attività di quelli esistenti.

8. Propagandare tra i lavoratori l’esistenza e l’esperienza dei movimenti rivoluzionari e delle trasformazioni rivoluzionarie in corso nel mondo.

9. Far conoscere l’esperienza del movimento comunista, delle rivoluzioni socialiste, della costruzione del socialismo, delle lotte antimperialiste di liberazione nazionale, delle rivoluzioni di nuova democrazia, mostrando che la classe operaia è in grado di dirigere le masse popolari incomparabilmente meglio della borghesia imperialista, mostrando gli enormi effetti positivi derivati all’umanità dalla lotta per la conquista del potere che la classe operaia conduce da 150 anni a questa parte.

10. Costituire ovunque possibile Centri di Documentazione Filorosso e potenziare l’attività di quelli esistenti, usando con creatività l’esperienza compiuta dai C. Doc. di Milano e Viareggio.

Questi dieci punti sono quelli su cui dobbiamo avviare il nostro lavoro per fare in modo che il nostro legame con le lotte difensive sia un legame da comunisti, non da codisti o da sindacalisti (sia pure onesti), sia un legame non impostato su  basi economiciste; per imparare a far emergere l’attacco come aspetto dirigente della resistenza e a far confluire tutte le lotte nell’unica comune lotta che è quella per il socialismo, sotto la direzione della classe operaia (nella modesta misura in cui possono farlo organizzazioni come i CARC). Dobbiamo combattere la tendenza a non presentarci come comunisti, nella speranza di legarci più facilmente agli operai come sindacalisti (sia pure onesti): noi ci uniamo agli operai perché loro hanno bisogno del comunismo e la borghesia imperialista stessa li sta giorno dopo giorno costringendo a rendersene conto, sospingendoli su questa strada, chiudendo loro ogni altra strada.

 

3. Organizzarsi e organizzare, anzitutto per la costruzione del nuovo partito comunista.

Ancora meno esperienza abbiamo di come organizzare la resistenza delle masse popolari e costruire il partito comunista. Anche qui si tratta di porre chiaramente alcuni punti dettati dall’esperienza passata e, partendo dalla pratica sistematica di questi, fare esperienza e imparare.

1. Combattere il movimentismo e lo spontaneismo. La spontaneità delle masse può esplicarsi e crescere solo se l’avanguardia è ben organizzata e organizza. Senza avanguardia il movimento spontaneo delle masse non può crescere oltre un certo limite e non arriva mai alla vittoria.

Certo, ci sono organizzazioni soffocanti, che uccidono l’entusiasmo, la creatività e la spontaneità, rigide; ci sono compagni che si ostinano a far entrare una realtà in uno schema inventato da loro e che non le è adatto, fino ad ucciderla. Ma non si può far leva sugli errori che si commettono camminando, obiettare che c’è chi cammina male e chi cammina in direzione sbagliata, per non camminare. Senza organizzazione non si arriva mai alla vittoria. Un gruppo di lavoratori che impara a riunirsi, a discutere in modo produttivo, ad arrivare a una decisione comune, a distribuire i compiti e le risorse necessarie, ad attuare la loro decisione, a fare il bilancio del risultato, compie un passo avanti enorme, come ben sa chiunque ha provato.

2. Le difficoltà che incontriamo a organizzare la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi derivano principalmente dal fatto che oscilliamo tra il non organizzare, lo spontaneismo, non dirigere (lasciare andare le cose come vanno) e l’organizzare secondo i nostri schemi e i nostri pregiudizi. Come in campo teorico dobbiamo leggere ogni fenomeno con le categorie che gli sono proprie ed elaborare l’esperienza delle masse, analogamente in campo organizzativo dobbiamo erigere a forme organizzative tipo, modello, definite, le forme organizzative che la resistenza delle masse esprime; dobbiamo imparare a leggere i contenuti e le forme della resistenza e ad elaborarli in linee, non avere la mente ristretta a quello che abbiamo già fatto, a quello che sappiamo già fare, cogliere il nuovo anche se ci pone dei problemi. Anche in campo organizzativo la deviazione principale oggi è l’economicismo.(25)

 

NOTE

 

25. L’economicismo nelle lotte di difesa è unilaterale (“l’obiettivo particolare di questi lavoratori è buono e tutti lo devono adottare, l’obiettivo particolare di quelli è cattivo e lo devono lasciare”); nelle lotte politiche è riformista (“la borghesia dovrebbe fare cosi e cosi”, l’economicista non pone la questione decisiva di chi dirige); in campo organizzativo è burocratico e volontarista (regolamentare, stabilizzare e generalizzare le forme organizzative delle masse sorte nel corso di una lotta e per quella lotta: in realtà costruendo organismi vuoti tenuti in piedi dalla loro volontà disperata). Un caso tipico: un gruppo di lavoratori conduce una lotta su un obiettivo specifico (ad esempio per la fine della cassa integrazione a zero ore nella loro fabbrica); durante la lotta e per rispondere alle esigenze di essa si forma un organismo che riunisce gli elementi più attivi; a conclusione della lotta l’economicista trascura (come l’ha trascurato mentre la lotta era in corso) di elaborare l’esperienza e, in campo organizzativo, di adottare le iniziative adatte a far crescere i lavoratori che in quella lotta  si sono in qualche modo distinti; si affanna invece a costruire comitati, coordinamenti, ecc. (naturalmente “nazionali” quando non “internazionali”) che dovrebbero propagandare e propugnare “dappertutto” quell’obiettivo, che è diventato nella sua testa la nuova panacea per tutti i mali. Il risultato è la costituzione di un organismo che riunisce non più lavoratori in lotta per quell’obiettivo, ma un gruppo di politici che si ritrovano tra loro fingendo di essere semplici lavoratori in lotta per quell’obiettivo (e che piangono o imprecano perché gli altri lavoratori non partecipano, non sono sensibili, ecc.).

 

3. Adattare la nostra organizzazione e le forme della nostra attività alle esigenze di direzione della resistenza delle masse popolari. Se oggi ogni lotta “produce” alcuni singoli lavoratori disposti a continuare a crescere, la nostra organizzazione deve saper rispondere a questo aspetto della realtà, non aspettare che si crei un comitato. Se oggi la sfiducia dei lavoratori nei loro compiti storici è ancora tale che non si aggregano su obiettivi dichiaratamente politici, ma si aggregano, la nostra organizzazione deve essere tale da poter promuovere e far progredire queste aggregazioni. In proposito dobbiamo valorizzare a fondo e con creatività le potenzialità dei Centri di Documentazione Filorosso come luogo di ritrovo e di aggregazione. Noi esistiamo per le masse, non viceversa. La nostra organizzazione deve strutturarsi non in modo da adattarsi genericamente al movimento delle masse, ma in modo da poter compiere al meglio i compiti necessari per la direzione efficace del movimento delle masse. Questo vale ad ogni livello, nazionale e locale. Strutturarsi per adempiere i compiti di raccolta delle esperienze delle masse, di elaborazione di esse fino a ricavare una linea e di restituzione della linea alle masse. L’organizzazione non si impara principalmente dai manuali e dall’esperienza degli altri, anche se tutto ciò serve a condizione che non ci distolga dal maestro principale, che è il bilancio della nostra esperienza.

4. Avere spirito d’avanguardia e iniziativa, costruire organizzazioni a vari livelli avendo chiaro che la spontaneità delle masse è la base, la forza e l’oggetto di ogni organizzazione. Non è la spontaneità in funzione dell’organizzazione, ma l’organizzazione in funzione della spontaneità. Abbiamo bisogno di organizzazioni forti, coese, ben strutturate proprio perché la spontaneità possa svilupparsi al massimo e far valere tutta la sua forza di distruzione e di costruzione. Occorre quindi un’organizzazione che “fa trovare materiale da costruzione nel momento e nel posto in cui mille lavoratori vogliono costruire”, quindi un’organizzazione che sa prevedere e provvedere, legata alle masse; un’organizzazione che fa quello senza del quale la spontaneità non potrebbe farsi valere, sarebbe bloccata, disperderebbe le sue energie, sarebbe frustrata. Occorre un’organizzazione che sappia far scorrere nella direzione del socialismo tutta l’energia delle masse, senza cercare di imbrigliarla, ma assicurando la direzione principale, eliminando gli ostacoli, intervenendo dove necessario.

5. Sperimentare e sperimentare ancora. Con serietà, riunendo il meglio dell’esperienza, non seguendo opportunisticamente il primo venuto. Chiedere pareri, raccogliere opinioni è un aspetto necessario dell’inchiesta. Ma non è tutta l’inchiesta. Dirigere non è sommare e dare esecuzione alle opinioni raccolte. È usarle per raffrontarle alla situazione oggettiva e ricavarne la linea da seguire. Bisogna decifrarle e in questo si mette in gioco l’esperienza e la capacità di un comunista. Se abbiamo anche solo un po’ di rispetto per l’esperienza, non possiamo scaricarci dei compiti della direzione riversandoli sul primo compagno che passa. Se una scelta organizzativa non dà buoni risultati, non serve a nulla giustificarsi adducendo che era quello che il compagno aveva detto di volere. Perché abbiamo concluso che la sua coscienza corrispondeva realmente al suo essere? Essere pronti a cambiare forme e strutture, ma sperimentare fino in fondo quelle adottate.

Il problema non è che i lavoratori non si organizzano: questo è il dato di partenza e non possiamo inventarci lavoratori diversi da quelli che ci sono. Il problema è che noi, i lavoratori organizzati, non siamo ancora organizzati abbastanza bene perché i lavoratori non organizzati, che sono e per molto tempo saranno la stragrande maggioranza, possano  esplicare il massimo della loro iniziativa e in questo modo crescere e lavorare in modo più organizzato. Se l’organizzazione dei lavoratori non fosse un problema, il socialismo sarebbe una cosa facile, ci sarebbe già perché è già una necessità oggettiva, storicamente matura. Organizzarci e organizzare è il problema in cui tutto il nostro lavoro confluisce, si concretizza, diventa una forza materiale. Dare sviluppo alla volontà di fare delle masse, sostenendone lo sviluppo con una linea, un’organizzazione e la direzione. L’organizzazione è la conclusione e la sintesi del lavoro dei comunisti, del lavoro per promuovere la trasformazione dello stato presente delle cose. Non a caso l’intellettuale e il politico piccolo-borghese tipici sono quelli che lanciano linee, analisi, idee e non si occupano dell’organizzazione. L’organizzazione è la pratica della linea, l’applicazione pratica, l’effetto pratico della linea, il punto d’arrivo e di partenza di ogni ciclo del nostro lavoro.

Dobbiamo essere consapevoli che dobbiamo organizzarci e organizzare e con determinazione tradurre in esperienza questa convinzione.

 

****Manchette

 

Forze produttive e rapporti di produzione costituiscono assieme la struttura della società; le sue istituzioni politiche e culturali e la coscienza (le concezioni, gli istituti, le norme le idee e i sentimenti) che vi corrisponde costituiscono la sovrastruttura della società.

 

Le forze produttive dell’attuale società sono già collettive; ciò significa che con esse il protagonista della produzione della ricchezza non è ogni individuo ognuno preso a se stante, ma solo l’insieme organizzato degli individui, il collettivo. Esso può essere diretto dalla borghesia imperialista (il capitalismo attuale) o dirigersi democraticamente (il comunismo).

Nel primo caso nei rapporti di produzione e nella sovrastruttura della società vi è una classe di individui che comandano e il resto è ad essi sottoposto; nel secondo caso non vi sono classi sociali. Una società in cui è in corso il passaggio dalla prima situazione alla seconda è una società socialista (o fase primitiva del comunismo); durante questa fase il collettivo è diretto dalla classe operaia.

 

Nel movimento della società umana le leggi oggettive del rapporto di produzione dominante si presentano come volontà soggettiva, personale dei membri di una classe che impersona quelle leggi ed è, in quel rapporto di produzione, la classe dominante che si contrappone alle altre.

 

La borghesia imperialista è costituita

- dai proprietari di grandi imprese finanziarie, banche, assicurazioni, industrie e società di servizi,

- dai funzionari di alto livello dell’amministrazione statale civile e militare, degli enti locali e di enti affini,

- dai dirigenti di livello superiore delle imprese pubbliche e private e delle istituzioni culturali, religiose, ecc.,

- dai grandi personaggi della politica borghese, del Vaticano e degli enti stranieri insediati in Italia,

- dai titolari di grandi rendite (di rendite che costituisco almeno la parte prevalente del rispettivo reddito),

 - dai familiari di questi.

In tutto il nostro paese si tratta di alcune centinaia di migliaia di persone.

È la classe che impersona ed esprime le leggi oggettive del capitalismo, le impone all’intera società e le difende come “leggi di natura”. È la classe che attualmente dirige movimento economico, politico e culturale della maggior parte dei paesi del mondo. La borghesia imperialista è una classe internazionale, che dirige i vari stati nazionali. Essa è divisa in gruppi in concorrenza e in lotta tra loro.

 

Tra tutte le classi che compongono le masse popolari, la classe operaia è l’unica che può assumere la direzione della lotta di tutte le altre contro la borghesia imperialista e porre fine alla crisi generale del sistema capitalista. Questa possibilità è legata alla posizione che oggettivamente essa occupa nel sistema economico capitalista.

Per assumere effettivamente la direzione, la classe operaia deve dotarsi della cultura e delle istituzioni necessarie per dirigere: in primo luogo deve costituire il partito comunista, la sua avanguardia organizzata.

Per sviluppare maggiormente l’argomento, v. Rapporti sociali n.14/15, pag.15.

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