IL FASCISMO: QUALE IDEALE?

Rapporti Sociali n. 16 (inverno 1994-1995) - (versione Open Office / (versione Word)

Nel 1995 cade il 50° anniversario dell’Insurrezione del 25 aprile e sarà l’occasione per compiere un bilancio della lotta antifascista. Un aspetto della crisi politica e culturale in corso è il “revisionismo storico”, cioè la rivalutazione del fascismo. È un’operazione direttamente legata alla denigrazione dell’azione politica della classe operaia e in particolare della lotta partigiana e della Resistenza e quindi da contrastare con forza, comprendendone le articolazioni.

L’individualismo della cultura corrente viene sfruttato dal “revisionismo storico” presentando il fascismo come un ideale, giusto o sbagliato non importa, ma degno di rispetto perché “qualcuno ci ha veramente creduto”. In questo modo si trasforma il problema della lotta di classe e del ruolo avuto dal fascismo come politica terroristica della borghesia imperialista, nel problema se i singoli fascisti erano tutti dei profittatori e degli esseri spregevoli, se ci credevano o facevano finta di crederci per specularci sopra, ecc.: insomma in un problema da psicologi e da preti nel senso deteriore dei termini.

Il fascismo non è un ideale in cui qualcuno ha creduto e per cui ha combattuto. I padroni hanno affidato il governo ai fascisti negli anni ‘20 quando erano minacciati dai lavoratori nei loro interessi e privilegi. Il fascismo è stato la distruzione e la repressione delle organizzazioni del proletari che volevano lavoro e salari decenti, che volevano un sistema economico che avesse come obiettivo il soddisfacimento dei bisogni materiali e spirituali della popolazione. È stato la repressione dei contadini poveri e dei braccianti che volevano “la terra a chi la lavora”. È stato un movimento a tutela degli interessi e dei privilegi dei capitalisti, degli agrari, di quel pugno di italiani che vivevano da parassiti del prodotto del lavoro altrui, dei privilegi della monarchia e della sua corte, del Vaticano e dell’alto clero. Per questo ha dovuto “mettere in riga” e “tenere in riga” quelli che lavoravano. È stato un movimento armato ed extralegale quando i padroni avevano bisogno che fosse tale; è stato un movimento legalitario, forcaiolo, monarchico, papalino e paternalista quando ai padroni serviva cosi. Per “tenere in riga” i lavoratori i fascisti hanno sfoggiato nei loro discorsi idee e ideali migliori della loro pratica e hanno dovuto fregiarsi di alcune cose che a ogni lavoratore sono care (il proprio paese, l’ordine pubblico, la propria cultura, la famiglia, il rispetto di se stessi, la propria dignità, ecc.: proprio le cose che la situazione pratica della società borghese negava alla maggioranza dei lavoratori e che i fascisti negavano alla massa dei lavoratori). Quando hanno potuto i fascisti hanno usato anche questo per mettere i lavoratori italiani contro i lavoratori di altri paesi, per legare i lavoratori italiani alle catene dei padroni italiani. Con la retorica sulla famiglia, qualche elemosina alle famiglie bisognose (Opera Nazionale Maternità e Infanzia, le colonie per i ragazzi, ecc.) e la creazione di un sistema di assicurazione contro la malattia, gli infortuni e la vecchiaia hanno coperto la riduzione dei salari delle famiglie di lavoratori, la mancanza di prevenzione degli infortuni sul lavoro, l’oppressione delle donne (meno diritti e salari  inferiori rispetto agli uomini), l’analfabetismo, l’alta mortalità infantile, l’educazione dei ragazzi per farne dei soldati al servizio dei padroni, l’imposizione a tutti i lavoratori di “tacere, obbedire e lavorare o combattere”. In cambio del quieto vivere che i fascisti assicuravano loro, i padroni hanno dovuto lasciar fare ai fascisti anche cose su cui alcuni o molti di loro non erano d’accordo o della cui saggezza dubitavano: le leggi razziali, le organizzazioni di massa fasciste, la “mistica fascista”, l’alleanza col nazismo tedesco, le aggressioni alla Libia, alla Spagna, all’Etiopia, all’Albania, alla Grecia, alla Jugoslavia, alla Francia, all’Unione Sovietica e tutto il disastro della seconda guerra mondiale, fino alla cessione di alcune province italiane alla Germania nazista, al ruolo di sgherri al servizio dei nazisti contro i propri connazionali (Repubblica Sociale Italiana o Repubblica di Salò) e all’occupazione dell’Italia da parte prima dei tedeschi e poi degli USA da cui non ci siamo ancora liberati.

Per quali di queste azioni chiedono rispetto oggi i fascisti di ieri e i loro seguaci di oggi? Cosa c’entra con questo il fatto se alcuni fascisti personalmente “non ci guadagnavano niente”, “erano coraggiosi”, “si opposero agli eccessi del regime”, ecc. La storia della lotta di classe è piena di buoni sentimenti e buone attitudini messi al servizio dei padroni, grazie ai quali gli sfruttatori si mantengono in vita. Chi sacrifica la sua vita e le sue energie al servizio degli oppressori, rende forse più accettabile e meno dura l’oppressione? Essere spavaldi al servizio di una causa sbagliata è forse un merito? Se Gentile ha protetto un ebreo o cento ebrei dalle persecuzioni razziali, forse che questo compensa le sopraffazioni compiute dal regime che egli sosteneva? Non rende semmai più abietto un individuo che faceva compiere agli altri, meno ricchi e istruiti di lui, azioni della cui nefandezza era ben consapevole? Le nostre pubbliche istituzioni sono piene di lapidi che ricordano la beneficenza fatta da sfruttatori e da aguzzini dei lavoratori. La loro beneficenza è una faccia; l’altra faccia della stessa medaglia è lo sfruttamento: dove sono le lapidi a ricordo della beneficenza fatta da metalmeccanici e braccianti? Noi lottiamo per un mondo senza beneficenza perché senza sfruttamento, senza poveri perché senza ricchi. Lottiamo con le energie e le attitudini che ci ritroviamo. Non pretendiamo di essere individualmente degli eroi, anche se la nostra causa ha prodotto migliaia di eroi, milioni di semplici uomini che hanno vinto i legami e le paure che li intralciavano nella lotta. Ma lottiamo per una causa giusta, cosa che è ben più importante sia dell’eroismo sia della spavalderia individuali. Noi onoriamo chi ha combattuto meglio che poteva per una causa giusta.