La putrefazione del regime DC

Rapporti Sociali n. 17/18 - autunno 1996 (versione Open Office / versione MSWord )

 

- Prosegue la putrefazione del regime democristiano. È l’aspetto specifico al nostro paese della crisi dei regimi politici dei maggiori paesi e del sistema di relazioni internazionali instaurati dalla borghesia imperialista alla fine della prima crisi generale del capitalismo (1910-1945). Crisi politica che è un aspetto della seconda crisi generale del capitalismo in corso dalla metà degli anni ’70.

- A partire dalla metà degli anni ’70, il regime DC ha attraversato prima la fase dei “governi di solidarietà nazionale” (1975-1982), poi la fase dei “governi del CAF” (1982-1992) e infine è entrato nel 1992 nella fase della sua putrefazione che corrisponde all’accelerazione della eliminazione delle conquiste strappate dalle masse popolari nel periodo della costruzione del “capitalismo dal volto umano” (1945-1975) e all’acuirsi dei contrasti tra gruppi imperialisti. Nel ’96 col governo di Prodi, vecchio boiardo DC, è arrivata in porto l’“operazione Agnelli” di ricambio della DC iniziata alla fine degli anni ’80. L’“operazione Agnelli” non ha rimosso nessuna delle cause reali della crisi politica della borghesia imperialista italiana, quindi non segna l’inizio di una nuova fase di stabilità politica, ma un ulteriore passo avanti della putrefazione del regime DC.

- I problemi della mobilitazione rivoluzionaria e della mobilitazione reazionaria delle masse in questa fase.

Con le elezioni del 21 aprile 1996 e l’insediamento il 18 maggio del governo Prodi, già uno dei massimi dirigenti DC del settore economico statale (IRI) nella fase della sua eliminazione, si è conclusa la liquidazione del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani), ultima incarnazione (1982-1992) del regime DC con cui la borghesia imperialista ha governato l’Italia a partire dalla conclusione della seconda guerra mondiale. Il CAF venne spodestato dopo che aveva vinto le elezioni del febbraio `92 (elezioni che dovevano condurre Andreotti alla presidenza della Repubblica e Craxi alla presidenza del governo). Una consistente coalizione di gruppi imperialisti (italiani e no) capeggiata da Agnelli lo cacciò dal potere per via extraparlamentare (dato che risultava impossibile cacciarlo per via parlamentare), lanciando la magistratura (inchieste Manipulite e Mafia) contro i suoi maggiori esponenti in una cornice di losche manovre (eliminazione di Salvo Lima, di Falcone, ecc.) che si aggiunsero alle tante sulle quali verrà fatta pienamente luce solo quando la classe operaia s’impadronirà del potere rompendo con gli interessi e i gruppi imperialisti, italiani e stranieri, che le hanno condotte e con i loro esecutori e agenti che comprendono la gran parte dell’apparato propriamente statale. L’“operazione Agnelli” mirava a sostituire alla DC una coalizione basata sull’ex PCI, opportunamente trasformato in PDS (l’annuncio dello scioglimento del vecchio PCI fu dato da A. Occhetto alla Bolognina nel 1989) e depurato di alcuni elementi che, altrettanto opportunamente, hanno creato il PRC (Partito della Rifondazione Comunista) che tiene ancorata al regime quella parte del vecchio PCI (struttura di partito ed elettori) che non avrebbe comunque seguito Occhetto e D’Alema nel loro nuovo ruolo. All’“operazione Agnelli” avevano spianato la strada, oltre alla estromissione extraparlamentare del CAF nel ’92 (nomina a capo del governo di Amato, traditore di Craxi, e a presidente della Repubblica di Scalfaro, un notabile DC buon frequentatore di casa Agnelli), la buona prova data dai governi Amato e Ciampi nella liquidazione delle conquiste dei lavoratori, prova sintetizzata negli accordi a tre (Governo-Confindustria-Coalizione dei sindacati di regime) del 31 luglio ’92 e del 23 luglio `93. Nell’intenzione di Agnelli e dei suoi consiglieri, la costituzione del nuovo governo basato sul PDS doveva concludere la transizione e dare stabilità al nuovo assetto. Le elezioni del 27 marzo `94 dovevano consacrare il nuovo governo. Il tentativo inciampò invece nel fiasco elettorale del 27 marzo ’94.(1)

 

1. Per un’illustrazione più dettagliata dell’“operazione Agnelli” e del fiasco del 27 marzo ’94 rinviamo all’articolo Il fiasco del 27 marzo 1994 in Rapporti Sociali n. 16.

 

L’“operazione Agnelli” aveva troppi avversari. Contro di essa non si battevano solo quegli uomini politici del vecchio  regime DC che l’“operazione Agnelli” sacrificava e i titolari di interessi economici cresciuti grazie al CAF e lasciati anch’essi fuori dall’operazione, dalla Fininvest di Berlusconi lanciata dalla Legge Mammì alle imprese di Riina, di Alfieri, ecc., fino a una diffusa rete di interessi di cui il caso Rostagno forse rivelerà nuovi lati. Probabilmente non erano state date adeguate garanzie neanche agli esponenti della strategia della tensione, della guerra sporca contro le BR e di quelle altre operazioni (un esempio è la strage di Ustica) che con i loro legami di complicità e di omertà costituiscono una rete che si estende a gran parte dell’apparato propriamente statale e oltre. Inoltre i contrasti e la diffidenza tra i gruppi imperialisti erano forti, gli appoggi internazionali incerti e divisi. La posizione dei vari potentati dello Stato USA e del Vaticano era di attesa. In una parola: la borghesia imperialista era troppo divisa al suo interno.

D’altra parte il malcontento tra le masse popolari era diffuso e profondo e la nuova coalizione non poteva mettersene alla testa e indirizzarlo con forza contro il vecchio gruppo dirigente del regime. Data l’incertezza diffusa nella borghesia, Occhetto in piena campagna elettorale del ’94 dovette spendersi più ad assicurare gli uomini della finanza che a denunciare il CAF e le sue malefatte. Peraltro mettersi alla testa del malcontento popolare e indirizzarlo contro il CAF portava inevitabilmente a esporre anche i mandanti del CAF, cioè la borghesia finanziaria, il Vaticano e lo Stato USA, insomma lo stesso ambiente che era diviso tra promotori dell’“operazione Agnelli”, sostenitori più o meno convinti e oppositori, cioè l’ambiente da cui invece la nuova coalizione doveva ottenere il mandato. In una parola, l'egemonia della borghesia imperialista sulle masse popolari era debole.

Il governo Berlusconi costituito dopo le elezioni del 27 marzo ’94 aveva il suo nucleo duro negli interessi strettamente legati al CAF e colpiti dall’estromissione del CAF dal governo. Esso si affrettò tuttavia a presentarsi come l’inizio di un nuovo assetto politico che sarebbe durato a tempo indeterminato, la seconda repubblica. Per alcuni mesi tutti i gazzettieri del regime (e gli esponenti dei gruppi economicisti che ne subiscono l’influenza) cantarono le lodi o denunciarono le fosche prospettive di una creatura che viveva solo nella propaganda di Berlusconi (una “realtà virtuale”, direbbero nel loro linguaggio), la seconda repubblica appunto.(2)

 

2. Non risulta che qualcuno dei vari gruppi economicisti, rivoluzionari e di sinistra che dal 1993 al 1995 hanno seguito i gazzettieri borghesi e hanno parlato e sparlato in giornali, riviste, conferenze e convegni di seconda repubblica, abbia a tutt’oggi riconosciuto apertamente il proprio errore di incomprensione del percorso reale del movimento politico del nostro paese e, il che è più importante, abbia analizzato cosa li ha indotti in errore. Lenin diceva che riconoscere apertamente i propri errori e trarne insegnamento è una delle caratteristiche che distinguono un partito rivoluzionario e gli danno forza e prestigio. La storia del movimento comunista del nostro paese ha confermato ampiamente, in negativo, la tesi di Lenin. Il gruppo dirigente revisionista del PCI non ha mai riconosciuto di avere sbagliato a pronosticare, dal 1945 al 1958, l’imminente crisi del capitalismo e di avere nuovamente sbagliato, dopo il 1958, a dichiarare che il capitalismo aveva definitivamente superato la sua storica malattia delle crisi. Sono ben pochi gli esponenti di gruppi marxisti-leninisti che hanno riconosciuto di avere sbagliato a disconoscere le conquiste che le masse popolari dirette dalla classe operaia venivano conquistando nel periodo 1945-1975 e quindi di aver travisato la natura della fase 1945-1975. Riconoscere di fronte alla classe operaia i propri errori e condurre un’analisi esauriente delle cause per cui si è caduti in errore rafforza un partito rivoluzionario e alimenta la fiducia della classe operaia in esso. Sorvolare sui propri errori, nasconderli e offendersi quando qualcuno li ricorda, porta a vivacchiare opportunisticamente e a degenerare. Non è grave aver sbagliato: sbagliando si impara e spesso non c’è altra strada per imparare. È grave trascurare i propri errori e nasconderli, come bottegai che nascondono i difetti della propria mercanzia.

 

In realtà l’avvenire del governo Berlusconi era sospeso a un interrogativo. Sarebbe riuscito a tenere a bada le masse popolari, togliendo loro senza suscitare guai quanto restava delle conquiste strappate nel periodo 1945-1975? Sarebbe cioè riuscito a realizzare il programma comune di tutti i gruppi imperialisti? Se il governo Berlusconi fosse riuscito nel proposito di accelerare la liquidazione delle conquiste (le pensioni in primo luogo), la sua sopravvivenza per un certo periodo sarebbe stata assicurata perché i suoi sostenitori nella classe dominante sarebbero aumentati e si sarebbero fatti più convinti d’aver trovato l’uomo giusto e i suoi oppositori avrebbero dovuto cercare altre strade per far valere i propri interessi. Sulla spartizione del settore statale dell’economia e sull’“economia malavitosa” si sarebbe dovuto arrivare ad un accordo sulla base dei nuovi rapporti di forza politica.

 Di mese in mese, tra l’aprile e il dicembre del ’94, il governo Berlusconi collezionò invece una serie di colpi che lo condussero rapidamente a ingloriosa fine. Anzitutto una parte dei suoi sostenitori diffidava di Berlusconi e pretese una liquidazione immediata dei procedimenti giudiziari a suo carico. Se l’operazione fosse riuscita, avrebbe anche assicurato Agnelli & C. che il CAF non intendeva impugnare a sua volta le armi della magistratura contro di loro. Ma il tentativo di chiudere l’operazione giudiziaria Mafia, affidata nelle mani di Sgarbi, Maiolo e Pannella, non riuscì neppure a decollare. Il tentativo di chiudere l’operazione giudiziaria Manipulite (Sanatoria Biondi) diede agli avversari di Berlusconi l’occasione di coalizzare il favore popolare e divise i suoi sostenitori. Infatti le componenti nuove del Polo della Libertà, Lega Nord e Alleanza Nazionale, non potevano sacrificare una parte cospicua del proprio seguito elettorale al Nord mettendosi apertamente contro i magistrati di Manipulite a sostegno degli inquisiti. Queste operazioni giudiziarie devono sì essere fermate e liquidate per evitare che per forza di cose dilaghino oltre i termini ad esse fissati (le incursioni di magistrati e di poliziotti in casa FIAT e in Mediobanca sono stati brutti segnali), ma non potevano essere fermate dagli inquisiti impersonati da Berlusconi stesso. Il vecchio Agnelli e la sua corte dovettero persuadersi ancora di più di avere ragione: ci voleva un governo “nuovo” per l’Italia.(3)

 

3. Il governo Prodi si è accinto alla liquidazione dell’attacco giudiziario al CAF, che oramai ha raggiunto i suoi obiettivi, con ben diversa maestria. Di Pietro ha avuto un ministero fruttuoso di clientele e si è convinto che diventerà il prossimo capo del governo. Coiro, capo della Procura di Roma, è stato incastrato come si deve. Borelli, Vigna, Caselli verranno promossi e rimossi, se stanno al gioco; in caso contrario Napolitano provvederà a ridurre, togliere od opportunamente modificare le scorte per riportare il personale “ai compiti istituzionali” (e dio sa se ne occorre) e si mobiliteranno pentiti vecchi e nuovi perché dicano e rettifichino.

 

L’assalto del governo Berlusconi al sistema pensionistico, non concordato con la coalizione dei sindacati di regime, convinse definitivamente i membri della classe dominante già avversari di Berlusconi o suoi tiepidi sostenitori e anche qualcuno dei suoi sostenitori. Berlusconi, lungi dal saper tenere a bada le masse, era l’uomo capace di dare alle masse dei capi e dei centri di mobilitazione. Gli stessi sindacalisti “bersagli per bulloni” nelle piazze nel settembre ’92, nel novembre ’94 poterono infatti porsi alla testa di un’imponente mobilitazione delle masse che ebbe il suo punto più alto nella manifestazione del 12 novembre a Roma. Dalle manifestazioni del 25 aprile a quella del 12 novembre ’94 fu evidente che il governo Berlusconi creava condizioni che favorivano l’aggregazione, l’attivismo e la mobilitazione delle masse e la conflittualità nelle fabbriche e nel paese. Esso infatti creava una momentanea confluenza tra i vari strati delle masse malcontente e le organizzazioni sindacali e politiche del regime che per la storia del nostro paese hanno con le masse legami tradizionali e canali di centralizzazione e mobilitazione. Insomma univa le masse nell’opposizione al governo offrendo ad esse capi storici nella persona dei suoi avversari.

Il vecchio Agnelli e la sua corte ebbero buon gioco a far valere la loro tesi: “Per fare una politica di destra ci vuole un governo di sinistra”. È vero che nel corso del ’94 i candidati a questo governo di sinistra si sbracciarono più per far conoscere agli italiani “la sfiducia dei mercati”, cioè dei finanzieri nazionali e internazionali, nel governo Berlusconi che per unire, rafforzare e mobilitare la sfiducia delle masse nello stesso governo. Ma è un fatto che la sfiducia delle masse popolari nel governo Berlusconi era scontata e al momento (data l’assenza di un vero partito comunista e data la storia del nostro paese) non poteva trovare altra rappresentanza politica che nei partiti borghesi della sinistra. Bossi si prestò volentieri all’operazione di eliminare Berlusconi: la stabilità del governo non conveniva neanche a lui.

Il governo Dini venne insediato il 17 gennaio ’95. Il capo del nuovo governo era un uomo di fiducia degli ambienti finanziari internazionali e nazionali, benché i finanzieri italiani avessero preferito Fazio a lui nel ’93, quando Ciampi venne trasformato da governatore della Banca d’Italia in capo del governo. Berlusconi lo aveva tolto dal posto di secondo alla Banca d’Italia dove era rimasto e lo aveva fatto suo Ministro del Tesoro, contando cosi di rafforzare le proprie alleanze nel mondo della finanza.

Alla caduta di Berlusconi, il posto di nuovo capo del governo venne attribuito proprio a lui nell’intento di costruire una  coalizione più ampia di quella con cui era stato tentato il ricambio nel ’94. La politica delle larghe intese era l’ovvio ripiego dopo il fiasco del 27 marzo ’94. A questa politica dovettero il loro posto anche altri esponenti del governo Dini, non ultimo Filippo Mancuso che poi si rivelò un pessimo acquisto, nominato Ministro della Giustizia nel nuovo governo.

Il governo Dini fu di fatto un governo delle larghe intese, che doveva facilitare l’“operazione Agnelli” e in questo ha avuto successo. Il PDS diede ulteriore prova della sua capacità, assieme alla coalizione dei sindacati di regime, di impedire che la resistenza delle masse al procedere della crisi diventasse un serio problema generale di ordine pubblico. Il PRC dimostrò a più riprese e con vari sotterfugi di essere disposto a sostenere l’“operazione Agnelli” pur dichiarandosene fiero oppositore. La prova più chiara di tutto ciò fu il taglio del sistema pensionistico, passato grazie al PDS e all’astensione di metà degli uomini che il PRC aveva portato in Parlamento: il ruolo di opposizione del PRC venne salvaguardato dalla loro uscita dal gruppo parlamentare PRC. Un altro successo del governo Dini è quello di avere evitato che la destra prendesse la direzione del malcontento delle masse popolari. Facilitato in ciò sia dalla debolezza dei legami di massa della destra nel nostro paese una volta che si escluda da essa la Chiesa cattolica (il Vaticano), sia dalle esitazioni di tutti i gruppi di destra a imboccare decisamente la strada della mobilitazione reazionaria delle masse. La borghesia italiana ha già fatto un’amara esperienza di mobilitazione reazionaria col fascismo: una mobilitazione reazionaria che si rovesciò in una mobilitazione rivoluzionaria quale mai essa aveva prima conosciuto, con la classe operaia prossima al potere come non lo era mai stata prima, con un pericolo per salvarsi dal quale non le parve troppo grave consegnarsi mani e piedi legati al governo di Washington e al Vaticano.

Ma il governo Dini non poteva essere che un governo di transizione verso un vero governo dalle larghe intese. La coalizione dell’Ulivo che inglobava Dini e stringeva un patto con il PRC doveva essere lo strumento per costituirlo.

Il nuovo governo Prodi ha tuttavia ottenuto un’investitura elettorale risicata. Anche ciò conferma la persistenza della crisi politica. I contrasti tra i gruppi imperialisti e la perdita di prestigio e di autorevolezza della borghesia imperialista tra le masse confluiscono a far sì che questa non sia più in grado di indirizzare il voto popolare. Non le resta da una parte che restringerne gli effetti e l’importanza. Strada sulla quale si è già incamminata con il passaggio dal sistema proporzionale al maggioritario (referendum Segni), con il ruolo di potere politico di ultima istanza attribuito di fatto al Presidente della repubblica (non è un caso che tutti i tentativi di chiamare Scalfaro in causa per il ruolo da lui svolto nel regime DC - scandalo SISDE, ecc. - sono andati a vuoto), con la modifica dei regolamenti delle Camere, con la soppressione del voto segreto dei parlamentari, con la maggiore esposizione dell’immunità parlamentare all’arbitrio della maggioranza, con l’uso e l’abuso dei decreti e della reiterazione dei decreti , con la pista preferenziale per la Legge finanziaria, ecc. Seguiranno altri passi. La borghesia deve evitare che il malcontento delle masse si rifletta e trovi udienza, cassa di risonanza e tribuna nelle istituzioni e diventi strumento di ricatto dei gruppi imperialisti all’opposizione contro la maggioranza di governo. Questa sarà una delle linee direttrici delle riforme istituzionali che si preparano. Dall’altra parte la borghesia imperialista farà quanto le sarà possibile per impedire che le masse trovino il portavoce dei loro interessi nel nuovo partito della classe operaia, nel nuovo partito comunista. Se non basterà l’attacco preventivo su grande scala già in atto alla sua ricostruzione , la denigrazione sistematica dell’operato del movimento comunista internazionale e della lotta popolare contro il fascismo (dal “Triangolo della morte” siamo già arrivati alle Foibe), passerà a misure più dirette.

Quanto al programma effettivo che il governo Prodi cercherà di attuare verso le masse, in campo economico esso è chiaramente tracciato: spremere dalle masse più possibile (“eliminazione rapida delle conquiste strappate dalle masse popolari nel periodo 1945-1975”, l’abbiamo chiamata), cercare mezzi e sotterfugi per far fronte allo squilibrio finanziario che è la forma assunta dalla crisi economica,(4) gettare nel calderone della crisi quanto resta del settore statale dell’economia (privatizzazioni STET, ENEL, ENI, aziende municipalizzate, patrimonio edilizio pubblico, ecc.). In campo più strettamente politico l’acuirsi delle contraddizioni e la crisi culturale si tradurranno in misure politiche oppressi ve e repressive. Tutte le velleità riformatrici del governo Prodi si tradurranno in un accumulo di leggi e norme che l’Amministrazione Pubblica, che resta servilmente succube ai ricchi e ai potenti come il governo resta servilmente succube al governo di Washington, trasformerà in ulteriori vessazioni per la gente comune. Nuovi divieti e obblighi, nuovi controlli e nuova repressione si aggiungeranno a quelli già esistenti. Ogni riforma del governo Prodi in realtà si tradurrà in nuove pene e aumento dell’interferenza della polizia e degli organi statali contro una parte o l’altra delle masse popolari. Come la lotta alla “criminalità organizzata” si è tradotta in vessazioni e angherie contro la massa della popolazione, in procedure e certificati antimafia , nella drastica riduzione dell’attività produttiva e nella esposizione al fuoco e alle auto delle scorte e delle pattuglie: insomma in uno stato d’assedio non dichiarato per la gente comune di intere regioni. Il nuovo capo della Procura di Napoli, Stefano Trapani, non ha già proposto di abbassare da 14 a 12 anni il limite per poter mandare in galera i ragazzi? Non c’è stata né è nei programmi del governo Prodi alcuna epurazione dello Stato; quindi tutti gli interessi, tutto il malaffare, tutte le trame, tutta la delinquenza e la guerra civile strisciante tra gruppi imperialisti continuerà a trovare nello Stato portavoce, protettori e agenti. Ogni nuova legge si tradurrà unicamente o principalmente in nuove angherie contro le masse, senza intralciare più che tanto traffici e collusioni: si tratta della libera circolazione dei capitali e del libero mercato!(5) Il federalismo fiscale nella misura in cui sarà attuato si tradurrà in un aumento della rapina fiscale attuata dai comuni e dalle regioni anziché dall’amministrazione centrale. Resta da vedere quanto questo governo contribuirà ad approfondire le divisioni e le contrapposizioni tra le masse e quindi ad aprire la strada alla mobilitazione reazionaria delle masse. Ogni “riforma” della televisione, della scuola e in campo culturale fatta dal governo Prodi dovrà sottostare al bisogno di riempire le redazioni e le cattedre di amici comperati e venduti, perché deve impedire che chi parla a migliaia e a milioni di persone dia voce o faccia eco al malcontento e alla sete di giustizia diffusi tra le masse popolari. La televisione (non importa se pubblica o di Berlusconi) continuerà ad essere quell’impasto di miliardi e di abusi sessuali su cui le inchieste Boncompagni, Baudo e Merola hanno aperto qualche spiraglio destinato a chiudersi presto per chi accetterà la nuova spartizione.

 

4. Negli anni ’80 la crisi generale del capitalismo trovò una momentanea valvola di sfogo nella “finanziarizzazione dell’economia”, cioè nella crescita sempre più rapida del capitale finanziario accanto al capitale produttivo di merci e come alternativa alla concorrenza distruttiva tra capitali per investire nella produzione di merci. Questo ha portato le dimensioni del capitale finanziario a livelli enormi. AII’OCSE sostengono che il PIL complessivo dei 27 paesi membri (tutti i maggiori paesi imperialisti) nel 2.000 sarà appena un terzo della massa di capitale finanziario circolante nelle Borse. Meno del 10% delle transazioni valutarie che avvengono quotidianamente nelle Borse corrisponde a transazioni commerciali (sono cioè fatte per pagare l’acquisto di merci: beni e servizi). La Banca d’Italia ha stimato che a fine dicembre ’95 la ricchezza finanziaria degli italiani (titoli, azioni, depositi, moneta, ecc.) ammontava a 3 milioni di miliardi di fronte a un PIL stimato a 2 milioni di miliardi. Potremmo ammucchiare altri dati per confermare e illustrare il concetto. Da un certo punto in poi il capitale finanziario si è trasformato da valvola di sfogo alla crisi in forma specifica della crisi stessa. Questa ha assunto in tutti i paesi e a livello mondiale la forma dello squilibrio finanziario. Questo consiste esattamente nel fatto che è diventato impossibile remunerare con interessi tutta la massa di capitale finanziario accumulata. La non remunerazione di parti del capitale finanziario è diventata un fatto cronico che colpisce ora una parte ora l’altra delle varie frazioni del capitale (vedasi Equilibrio finanziario e risanamento finanziario a pag. 30).

 

5. Si svolge in questi giorni (agosto ’96) a Stoccolma la Conferenza Internazionale contro lo sfruttamento sessuale dei bambini, indetta dall’UNICEF. L’esplosione dello scandalo relativo al traffico e al massacro di bambini in Belgio (l’affare Marc Doutroux venuto a galla a causa dell’acuirsi dello scontro tra gruppi imperialisti, anche se per ora nessun ministro è ancora stato suicidato) dà maggior risalto al fatto. Ebbene, cosa propongono gli intervenuti, portavoce delle classi dominanti di quasi tutti i paesi del mondo? Aumentare le pene, aumentare i controlli, aumentare le polizie. Il governo della California ha preceduto tutti decretando la castrazione per i pedofili non in grado di comperare un buon avvocato e un compiacente magistrato. Insomma una serie crescente di pene e controlli che si eleverà continuamente perché essa stessa tutela la causa del male che pretende combattere. Gli USA costituiscono un esempio da manuale: più di un milione e mezzo di detenuti (più di sei detenuti ogni mille abitanti) e alcuni altri milioni di persone sottoposte ad altre limitazioni della libertà personale e una criminalità crescente che richiama pene e controlli più severi e più capillari contro la massa della popolazione. Il balzo avanti che hanno avuto la malavita e ogni genere di violenza nei paesi del vecchio campo socialista dopo il “glorioso ’89”, il crollo del revisionismo moderno e il tuffo nel capitalismo, fa ben intuire da dove proviene il male che i capitalisti vogliono combattere con pene e castighi. È il caso di dire che ai piromani è affi dato il compito di vigile del fuoco! Tutte le misure contro lo sfruttamento sessuale dei bambini, se effettivamente adottate e attuate, saranno gestite dalle stesse classi dominanti di oggi, a tutela degli interessi che già le polizie tutelano: quelle dei trafficanti e dei violentatori di bambini, degli affari insomma. Nulla che attacchi alla base le cause del fenomeno: lo sfruttamento dei lavoratori, la precarietà della vita di milioni di famiglie povere che anzi sono loro additate come responsabili delle disgrazie dei figli, il dominio universale del denaro e del mercato, la libera circolazione dei capitali, la crisi culturale generata dalla crisi economica, il parassitismo di alcuni milioni di persone che vivono alle spalle degli altri senza lavorare, l’arbitrio padronale nel distribuire disoccupazione e miseria a chi non è “compiacente” e “comprensivo”. Meglio milioni di bambini violentati, storpiati e uccisi, che intaccare la sacralità del denaro, del capitale, del mercato. La limitatezza del tema della conferenza è di per sé significativa: perché contro lo sfruttamento sessuale dei bambini, e non anche contro lo sfruttamento sessuale degli adulti (uomini e donne)? Perché contro lo sfruttamento sessuale e non contro lo sfruttamento tout court, benché in altra sede la stessa UNICEF abbia valutato a 70 milioni il numero dei bambini ridotti in schiavitù attualmente nel mondo? I comunisti hanno scritto semplicemente sulle loro bandiere “Abolizione di ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, “Nessuna libertà di sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, “Chi non lavora non mangia”, “Da ognuno secondo le sue possibilità, a ognuno secondo le sue necessità”.

 

Quanto ai gruppi imperialisti, il governo Prodi sta facendo un serio sforzo per comporre i dissidi con Berlusconi. Non solo cerca di porre fine alla “persecuzione giudiziaria” contro Berlusconi & Co come già abbiamo illustrato, ma con la proposta di legge Maccanico (della stessa famiglia politica e massonica di Mammì) ha già promosso la conferma dell’impero Mediaset, che lo stesso governo di propria autorità ha già ammesso alla quotazione in Borsa, con grande sollievo per le casse del cavaliere Berlusconi che potrà rastrellare risparmi e capitali da aggiungere ai prestiti ottenuti dalle banche. L’impero creato con i soldi della mafia in connivenza con Craxi è salvo. Ma le privatizzazioni STET, ENEL, ENI, ecc. sono un boccone tale da portare alla rissa generale. Chi avrà in mano il governo, potrà mirare a operazioni rispetto alle quali apparirà poca cosa quella dell’Alfa Romeo conclusa da Agnelli con Craxi (con Prodi presidente dell’IRI). Già oggi il governo Prodi ha sì assopito, al prezzo sopra indicato, la contrapposizione tra Polo e Ulivo, ma i due schieramenti si stanno entrambi disgregando in una mischia generale.

Nell’attuazione di questo programma il governo Prodi si scontrerà con la resistenza delle masse popolari e con la guerra in atto tra i gruppi imperialisti. Ciò rende questo governo fragile. La sua durata è sospesa a un filo. Se Berlusconi aveva proclamato la seconda repubblica, Prodi ha proclamato il governo quinquennale: l’appetito e i desideri sono più grandi della realtà.

La storia del governo Prodi e il suo approdo avranno un ruolo decisivo circa le sorti future del PRC. Il governo Prodi è nato, fin dalla fase elettorale, con l’appoggio determinante del PRC. Quale è il ruolo del PRC nella maggioranza governativa?

1. Ottenere dal governo dichiarazioni e frasi consolatorie rispetto alle sofferenze dei lavoratori e delle masse popolari, promesse di interventi per risolvere il problema dei lavoratori, in primo luogo l’occupazione, iniziative diversive. Esemplare è la pressione esercitata dal PRC sul governo a giugno con il voto contrario nelle Commissioni parlamentari: si è tradotta in frasi d’impegno a favore dell’occupazione inserite dal governo nel Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (DPEF - approvato dalle Camere il 27 giugno) e nell’impegno a convocare a fine settembre una Conferenza Nazionale sull’Occupazione. Stante la recessione in arrivo, la Conferenza sarà di grande aiuto ai lavoratori, non c’è da dubitarne!

2. Ottenere dal governo misure pratiche che ridurranno, dopo trattative, interventi e minacce del PRC, la rapina ai danni dei lavoratori dal 100 annunciato a 80 o 50 (come già oggi avviene nelle aziende: i padroni che vogliono rapinare 50 annunciano 100 che riducono a 80 o 50 cedendo alle “pressanti richieste” dei sindacati di regime).

Comunque questo ruolo del PRC non mancherà di suscitare contrasti al suo interno e contrasti tra PRC e PDS e sindacati di regime.

Quanto alla Lega Nord, il governo Prodi le lascia il ruolo invidiabile di unico partito di opposizione. Parti crescenti della classe dominante guardano con attenzione alla Lega Nord (e agli altri tentativi eversivi dell’attuale ordinamento sulla cui sopravvivenza nutrono dubbi crescenti).(6)

 La classe operaia e i suoi portavoce, i comunisti, hanno quindi già perso la partita? No, è solo che i tempi delle decisioni si stringono. Solo una lotta senza quartiere contro il governo Prodi con l’obiettivo del socialismo possono portare la classe operaia e i comunisti alla vittoria in una guerra che si approfondisce giorno dopo giorno. Dopodomani dirigerà chi avrà davvero posto termine al regime DC oramai in decomposizione. Il “meno peggio” porta invece ogni giorno di più al peggio. Ogni sacrificio che passa apre la strada ad altri sacrifici e a una maggiore disperazione e corruzione, favorisce la mobilitazione reazionaria.(7) Ma ogni lotta di difesa può invece essere vinta se si creano abbastanza problemi al governo. Un governo che trova 4.000 miliardi per il Giubileo e le migliaia di miliardi buttati per compensare quelli “sfumati” nel Banco di Napoli, può trovare i miliardi necessari per tappare ogni singolo buco creato dalle “leggi del mercato”. In questi mesi il governo francese ha trovato addirittura 30.000 miliardi di lire per compensare quelli fatti “svanire nel nulla” da un’altra banca, il Credit Lyonnais. Tanto poco sono ferree le leggi del mercato!(8)

La difesa delle conquiste dei lavoratori divide sempre più nettamente le forze politiche in tre gruppi. Chi è per l’abolizione o la riduzione (il fronte che va dal PDS fino ad AN). Chi vorrebbe salvare e magari anche ampliare le conquiste dei lavoratori, ma vuole anche mantenere il dominio dei capitalisti o, almeno, non fa nulla per eliminarlo (uno schieramento che comprende il PRC e i gruppi economicisti). Chi è per una difesa conseguente delle conquiste dei lavoratori quindi per la ricostruzione del partito comunista e per il socialismo. Infatti la difesa delle conquiste dei lavoratori, la difesa dei posti di lavoro esistenti e la conquista di nuovi, la conquista del diritto a vivere e a godere dei frutti del proprio lavoro possono affermarsi stabilmente solo se si ha il coraggio e la forza di trasformare il mondo di oggi, di buttare a mare l’attuale classe dominante e instaurare l’ordinamento per il quale si sono già battute generazioni di lavoratori, il socialismo.

 

6. L’onorevole Cito si è già distinto alla testa di contadini e agrari della zona di Battipaglia cui il governo Prodi (erede della patata bollente lasciatagli dai predecessori) vuole estorcere contributi arretrati. L’ex senatore Mensorio di Nola ha avuto il torto di suicidarsi o di lasciarsi suicidare: in caso contrario non gli sarebbero mancati appoggi.

 

7. È esemplare e attuale (all’inizio di settembre ’96) il caso dell’Olivetti. Di ristrutturazione in ristrutturazione sta arrivando alla liquidazione con le conseguenze immaginabili su decine di migliaia di famiglie. Dal canto suo invece l’ing. De Benedetti ha messo a segno un colpo quale non è mai riuscito né a Riina né a Berlusconi e di fronte al quale quello giocato dallo stesso De Benedetti al Banco Ambrosiano di Calvi è poca cosa (ma le operazioni di De Benedetti non sono “economia malavitosa”!). Alla fine del 1995 ha venduto, con un aumento di capitale guarda caso autorizzato dal Ministero del Tesoro (Dini), circa 2 miliardi di azioni Olivetti a 1.000 - 1.200 lire l’una, rastrellando 2.207 miliardi di lire (nel 1993 aveva rastrellato altri 950 miliardi, con la compiacenza del governo Ciampi che autorizzò l’operazione oltre che assegnargli il settore dei telefonini). Ora se vuole ricompera quelle azioni a 500 - 600 lire l’una, ma forse ha già altri affari in testa! Sembra che gli acquirenti del grosso delle azioni Olivetti (e quindi i principali derubati) siano stati Fondi Pensioni domiciliati a Londra, cioè società finanziarie con cui i capitalisti rastrellano e usano come capitale finanziario i risparmi conferiti da lavoratori in attesa di pensioni integrative. È un serio insegnamento sulla sorte che attende i risparmi dei lavoratori italiani che lo stesso Dini, con il taglio del sistema pensionistico, ha spinto verso la pensione integrativa! Forse al confronto anche gli sprechi e le ruberie dell’INPS appariranno poca cosa. Certamente quello di De Benedetti è stato un buon lavoro per aumentare presso gli investitori esteri la fiducia nell’“azienda Italia” per la quale gli stessi governi, protettori e soci di De Benedetti, chiedono sacrifici ai lavoratori. Chiaro perché a De Benedetti non andava bene il concorrente Berlusconi installato a Palazzo Chigi?

 

8. A proposito del carattere soggettivo assunto dal denaro nell’ambito del capitalismo monopolistico di Stato, con la costituzione di un sistema monetario mondiale su base fiduciaria, si veda Rapporti Sociali n. 4, pag. 22 e 23.

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