Tribuna libera

Rapporti Sociali n. 21 - febbraio 1999 (versione Open Office / versione MSWord )

 

In queste pagine la redazione di Rapporti Sociali ospiterà interventi firmati (se del caso con pseudonimi) di compagni dei CARC, di compagni di altre FSRS, di lettori e in generale di tutti quelli che vorranno portare il loro contributo all’elaborazione del Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano. Riflessioni, critiche e proposte verranno pubblicate integralmente e portate a conoscenza di tutti i lettori, in modo da promuovere un lavoro collettivo per verificare e rafforzare le idee giuste e smascherare ed estirpare le idee sbagliate, migliorare l’analisi della fase, arrivare a una comprensione più profonda della lotta di classe in corso nel nostro paese e nel mondo, tirare le conclusioni più giuste per rafforzare e condurre alla vittoria la lotta della classe operaia e delle masse popolari per il socialismo.

 

Tribuna libera

 

Spazio dedicato agli interventi sul Progetto di Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano.

 

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Osservazioni sul capitolo II

“Una situazione rivoluzionaria di lungo periodo sta davanti a noi e il comunismo è il nostro futuro”. Questa affermazione per quanto sintetica è carica di significato e di prospettive politiche, vediamone alcune.

1. La situazione “davanti a noi” viene definita rivoluzionaria, ciò vuol dire che le sofferenze cui le masse sono sottoposte non derivano dalla cattiveria, dalla grettezza, dall’egoismo della borghesia, ma dal sistema economico di cui essa è agente: il capitalismo che attraversa la sua ennesima crisi generale; vuol dire che le lotte rivendicative relative alla soluzione di singoli problemi, per quanto giuste, non sono sufficienti a garantire la soluzione a lungo termine, durevole dei problemi stessi, come dire che a una crisi generale si risponde con una prospettiva generale. La crisi del capitalismo ha raggiunto un livello e un’ampiezza tali da generare nelle masse l’incertezza del futuro, stato d’animo che è il termometro della crisi stessa. Nel secondo dopoguerra la disoccupazione, la carenza di alloggi, la mancanza di servizi, per non parlare della carenza di cibo, erano sicuramente di dimensioni maggiori di quelle attuali, eppure le masse erano più fiduciose nel futuro e mostravano più vitalità: passata la tempesta il capitalismo riprendeva ad espandersi. Oggi al contrario la tempesta si avvicina e le prime avvisaglie agitano le masse che cercano rifugio nella difesa di quello che (sempre meno) hanno. L’avanzare della crisi e la sfiducia delle masse nel futuro caratterizzano l’inizio del processo rivoluzionario. Un momento importante nel suo procedere sarà il passaggio dalla sfiducia non molto definita nel futuro alla sfiducia nell’attuale classe dirigente, la borghesia incapace di risolvere pacificamente la crisi e nelle sue istituzioni, prima tra tutte il governo. È un livello più avanzato del processo rivoluzionario.

2. La situazione rivoluzionaria viene definita di “lungo periodo”. Questa specificazione è di estrema importanza strategica in quanto rende consapevoli le masse dei sacrifici che devono sopportare e degli ostacoli che devono superare per il raggiungimento del loro obiettivo; previene la demoralizzazione delle masse a seguito di specifiche battaglie perse come pure i facili entusiasmi e l’attestazione sulle posizioni acquisite nei casi di vittoria. Sostenere che il processo è di “lungo periodo” equivale a dire che la vittoria non risulta dall’esito delle singole lotte né dalla loro somma aritmetica, ma dal potenziale distruttivo accumulato nel corso del processo dalle forze in gioco, più precisamente, per quello che ci riguarda, dalla combattività rivoluzionaria delle masse che a sua volta dipende da come si giocano gli esiti delle singole battaglie. L’attestarsi sulle conquiste è fare anticamera per la controrivoluzione; al contrario essere consapevoli del “lungo periodo” e dell’obiettivo generale è un grande vantaggio a favore delle forze rivoluzionarie.

3. “... e il comunismo è il nostro futuro” è la definizione dell’obiettivo, l’ambito dentro il quale incanalare la mobilitazione delle masse, è il superamento dei limiti dell’economicismo, della stagnazione derivante della difesa fine a sé stessa delle conquiste conseguite dalle masse a partire dal secondo dopoguerra e cancellate o rese vane in questi ultimi anni,  è la riapertura di una partita che la borghesia vuol far credere di aver vinto una volta per sempre. L’affermazione secondo la quale il comunismo è il nostro futuro è valida per tutti i comunisti ed è collocabile in ogni luogo e in ogni tempo dal momento stesso in cui fu pubblicato il primo Manifesto [1848]. Farla discendere invece dall’affermazione “Una situazione rivoluzionaria di lungo periodo sta davanti a noi...” significa attribuirle non più un significato di desiderio definito nel contenuto e indeterminato nel tempo, ma quello di fattibilità concreta, di obiettivo attuabile, perciò comprensibile alle masse. Il che vuol dire che in ogni lotta, perché non rimanga fine a sé stessa e cieca, bisogna mostrare il nesso esistente tra gli obiettivi di quella lotta e la via di uscita dalla crisi del capitalismo. In caso contrario, anche quando gli obiettivi saranno raggiunti, essi saranno effimeri, stante la crisi e saranno utilizzati dalla borghesia in senso controrivoluzionario. Legare obiettivi generali e strategici agli obiettivi particolari di lotte specifiche può condurre le masse alla mobilitazione rivoluzionaria. In questo senso quanto più le parole d’ordine nei cortei, nelle assemblee, nelle riunioni saranno adeguate, tanto più saranno comprensibili, fatte proprie dalle masse a vantaggio del livello della loro coscienza.

A questo proposito è auspicabile la pubblicazione di stralci del IV capitolo del Progetto e la loro diffusione nelle situazioni particolari (lotte studentesche, nel settore pubblico, per il lavoro, ecc.), in quanto il programma dà una risposta positiva a tutti i problemi che oggi agitano le masse. Nello stesso tempo il Progetto per la sua natura compatta, generale e unitaria costituisce lo strumento in grado di unificare tutte le lotte.

4. L’apertura del secondo capitolo del Progetto non lascia dubbi sul fatto che non è più tempo di guardare con l’occhio del turista della rivoluzione, ma di vedere quello che succede intorno a noi per capire anche quello che succede dentro di noi. In altre parole o aspettiamo che si verifichi chissà quale condizione profetica per agire o ci adeguiamo alla situazione rivoluzionaria attrezzandoci per farvi fronte. Questo è il dilemma che le Forze Soggettive organizzate devono risolvere.

Attrezzarsi significa mettere in atto tutto (proprio tutto) quanto è necessario allo sviluppo del processo rivoluzionario, tenendo come solo limite il potenziale proprio della singola Forza Soggettiva. Non farlo significa tra l’altro sottovalutare il fatto che, se è vero che stiamo attraversando una crisi di lungo periodo, non sono da escludere “imprevisti” capaci di provocare brusche impennate della crisi stessa, che non solo ci troverebbero impreparati, ma consegnerebbero le masse alla controrivoluzione.

Adeguarsi significa riconoscere nella rivoluzione e nei processi che la precedono e la seguono l’interesse supremo, subordinando a esso quelli delle singole organizzazioni che hanno il compito di porsi tra loro in posizione dialettica da sviluppare fino alle conseguenze estreme, compreso il loro scioglimento e la confluenza in altre ritenute più avanzate. È un aspetto soggettivo del processo rivoluzionario in corso e la pubblicazione del Progetto apre una situazione di lotta ideologica rispondente alle esigenze del momento.

Auguro ai compagni della SN e a tutti i compagni dei CARC di proseguire nel lavoro che hanno avviato.

 

N. G. (Milano)

 

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La questione dei “proletari senza rivoluzione”

Nel capitolo II, pag. 62, si dice che “la storia del movimento comunista del nostro paese è ricca di episodi di lotta in cui le masse popolari e singoli militanti hanno profuso eroismo e iniziativa rivoluzionaria, ma non hanno conseguito la vittoria a causa della mancanza di una direzione basata su una giusta teoria della rivoluzione socialista nel nostro paese”.

Quest’ultima osservazione mi ricorda il testo di R. Del Carria Proletari senza rivoluzione, la cui tesi di fondo è più o meno questa: in passato le masse rivoluzionarie non sono mai riuscite a prendere il potere in quanto sono state dirette da dirigenti sbagliati, inadeguati, traditori, in sostanza “non rivoluzionari”. Sembra che le due posizioni si equivalga no, ma non è cosi.

Sempre a pag. 62 del Progetto vengono spiegate bene quali sono le condizioni che permettono alle masse popolari di vincere. Si dice infatti: “Il movimento rivoluzionario per vincere deve essere diretto da un partito comunista che applichi creativamente il bilancio dell’esperienza passata (il marxismo-leninismo-maoismo) all’esperienza concreta del movimento rivoluzionario del nostro paese”.

“Il partito deve possedere una buona comprensione del movimento economico e politico della società, delle tendenze oggettive in azione, delle classi in cui la società è divisa, delle forze motrici della trasformazione della società, degli esiti possibili dei singoli passaggi di cui si compone la trasformazione in corso”.

Qui si dice dunque che il partito deve conoscere il movimento economico e politico della società e le tendenze oggettive in azione, vale a dire che esso deve saper valutare quali sono le condizioni oggettive in cui le masse popolari si muovono, quali sono le possibilità di successo, fino a che punto le masse popolari sono rivoluzionarie. Tra il partito e le masse, essendo il primo la coscienza della classe operaia in lotta per il potere, ci deve essere un legame molto stretto, un continuo rapporto dialettico di proposte e verifica dei risultati, per cui dire che le masse sono rivoluzionarie e i dirigenti no, non è esatto, nel senso che ciò non può essere in quanto i dirigenti sono, almeno in parte, espressione, emanazione, portavoce del livello di scontro raggiunto dalle masse.

Quindi la frattura posta da Del Carria fra masse e dirigenti non corrisponde alla realtà e deriva da una visione non dialettica, e quindi non marxista, del movimento delle cose.

 

M.R. (Milano)

 

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La questione delle donne

Credo che il problema della donna non sia impostato correttamente nel testo che abbiamo letto.

Prima di tutto, a un problema di cosi grande portata viene riservato uno spazio decisamente piccolo: poche righe a pag. 102-103 e a pag. 111.

A pag. 60 poi il problema non viene neppure citato nell’elenco dei compiti che affronterà lo Stato della dittatura del proletariato; ci si limita a parlare genericamente di “lotta contro tutte le disuguaglianze sociali”.

A mio avviso sarebbe stato d’obbligo completare la frase dicendo “... tra cui, prima tra tutte, l’oppressione e l’emarginazione cui sono soggette le donne delle masse popolari da parte degli uomini”, espressione quest’ultima che non compare mai. In tal modo si fa sì giustamente capire che la causa di questa oppressione è da attribuire alla società capitalista, ma se non si evidenzia che lo strumento di cui il capitale si serve per opprimere in questo caso è l’uomo, inteso come essere umano maschile, mi pare che la questione non venga ben messa in chiaro fino in fondo.

Ciò succede perché gli estensori del Progetto considerano il problema della “donna” alla pari di quello dei “bambini” e degli “anziani”. Ciò non è corretto, perché i due tipi di problemi stanno tra di loro nello stesso rapporto che corre tra il genere e la specie; voglio dire che esistono bambini maschi e femmine, anziani maschi e femmine e solo risolvendo a monte il problema del rapporto tra uomo e donna si porranno le premesse per risolvere correttamente anche i problemi degli anziani e dei bambini.

In sostanza, nella società capitalista, dopo la contraddizione principale tra capitale e lavoro, tra sfruttati e sfruttatori, borghesi e proletariato, si pone immediatamente la contraddizione tra uomini e donne delle masse popolari (la Susanna Agnelli non ci interessa).

 

M.R. (Milano)

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