Il revisionismo moderno

Rapporti Sociali 23/24 - gennaio 2000 (versione Open Office / versione MSWord )

 

Il revisionismo è la proposta di rivedere (da qui il nome) la teoria rivoluzionaria (la concezione del mondo) già acquisita dal movimento comunista. Si tratta di una revisione che non corregge errori effettivi né sviluppa la teoria sulla base dello sviluppo della realtà (di nuovi sviluppi della storia, di nuovi risultati della ricerca o di nuove elaborazioni della vecchia esperienza ai fini delle nuove esigenze della lotta), ma che rende la teoria più accomodante verso la borghesia, più accettabile dalla borghesia e che, se prevale, prima smorza e poi disgrega l’attività pratica rivoluzionaria della classe operaia e delle altre classi oppresse che da quella teoria è guidata.

Il revisionismo è una delle forme della lotta della borghesia per la propria sopravvivenza contro il movimento comunista, è una delle forme della sua lotta sul fronte della teoria. In questa sua lotta in campo teorico la borghesia fa leva sui problemi nuovi posti dallo sviluppo della società e sui successi conseguiti dal movimento comunista. Non è un caso che il revisionismo è sempre nato in seno al reparto più avanzato del movimento comunista, al reparto che sta aprendo la strada a tutto il resto del movimento, al reparto che quindi si trova a dovere per primo fare i conti con i problemi nuovi posti dal successo stesso del movimento comunista: nella socialdemocrazia tedesca alla fine del secolo scorso e nel partito comunista sovietico negli anni ’50 di questo secolo. Una volta che il revisionismo è riuscito ad avere successo nel reparto più avanzato del movimento comunista, proprio grazie al ruolo di questo reparto esso si irradia nel resto del movimento, lo penetra e lo corrompe più facilmente.

Il revisionismo è un movimento in campo teorico, è una lotta in campo teorico. Quelli che non capiscono l’importante ruolo che la teoria ha per la nostra causa, non riescono quindi neanche a comprendere la sostanza e l’importanza del revisionismo, né a combatterlo efficacemente. A partire dal 1848 il comunismo, oltre che un movimento pratico di trasformazione dello stato esistente delle cose, è anche una concezione del mondo e un metodo di conoscenza e di attività, un corpo dottrinario (in sviluppo), una scienza (in sviluppo) che comprende una concezione del mondo e un metodo per sviluppare la concezione del mondo e per trasformarlo, una teoria che sintetizza i risultati del movimento pratico (pratica-teoria-pratica) e ne guida l’ulteriore sviluppo. Questa scienza deve essere studiata e assimilata da chi vuole sviluppare e guidare il movimento pratico (teoria-pratica-teoria). Lo sviluppo di questa teoria, la sua difesa e la sua propaganda costituiscono il fronte della lotta teorica, che, accanto al fronte della lotta economica e al fronte della lotta politica, costituiscono i tre fronti su cui la classe operaia sviluppa e deve sviluppare la sua lotta contro la borghesia imperialista per il comunismo. Il revisionismo è un’operazione della borghesia, ma si combina sempre con le arretratezze inevitabili in un movimento rivoluzionario che per sua natura è unità di opposti (di avanzato e di arretrato) e inevitabili in generale nella classe operaia e nelle masse popolari dominate dalla borghesia che per la loro condizione sociale sono contemporaneamente subordinate alla borghesia e in rivolta contro la borghesia. In concreto è spesso difficile distinguere, mentre ai fini pratici in ogni caso concreto occorre sempre distinguere tra l’azione della borghesia per egemonizzare il pensiero e confondere le idee che guidano l’attività della classe operaia e il processo (che inevitabilmente si svolge per gradi) di un nuovo gruppo sociale per assimilare il marxismo e liberarsi dalle ideologie borghesi. Ma per combattere con successo il revisionismo occorre distinguere i due fenomeni e combattere le arretratezze del nostro campo senza però confonderle con il revisionismo.

Il revisionismo è un’iniziativa della borghesia sul fronte teorico della lotta, ma prima o poi si traduce in indicazioni e linee sul fronte della lotta economica e sul fronte della lotta politica o rafforza determinate correnti a lei favorevoli già  presenti su questi fronti. Ma non si riesce a debellare il revisionismo combattendo solo l’una o l’altra delle sue conseguenze o manifestazioni sul fronte della lotta politica o sul fronte della lotta economica. D’altra parte per tagliare la strada al revisionismo non basta confutare le tesi revisioniste, ma occorre dare contemporaneamente risposte esaurienti, in base alla concezione del mondo e al metodo materialista dialettico, ai problemi nuovi con linee di condotta adeguate alla loro soluzione. Per tagliare la strada al revisionismo o sbarazzarcene quando si è già affermato occorre anche avere una nuova linea di condotta all’altezza della nuova situazione.

Per la sua natura il revisionismo incontra due tipi di opposizioni. 1. L’opposizione dei rivoluzionari che fanno leva sui risultati raggiunti dal movimento comunista e sulle novità storiche per sviluppare la teoria rivoluzionaria che guiderà il movimento comunista a nuove vittorie. 2. L’opposizione dei dogmatici che per difendere contro la borghesia la teoria rivoluzionaria negano le novità storiche, rendono sterile la teoria e indirettamente, contro le loro intenzioni, contribuiscono al temporaneo successo dei revisionisti. Per combattere con successo il revisionismo occorre combattere anche il dogmatismo, senza tuttavia confonderlo con il revisionismo.

Il primo revisionismo nacque in seno al partito guida della Seconda Internazionale (il Partito Socialdemocratico Tedesco). Esso fece leva 1. sul fatto che erano cessate le crisi cicliche decennali del capitalismo (l’ultima era stata quella del 1867), 2. sul fatto che il carattere collettivo raggiunto dalle forze produttive aveva costretto la borghesia a sviluppare una serie di Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS) che attutivano le più distruttive conseguenze della sopravvivenza della loro gestione individuale capitalista, 3. sul fatto che la lotta della classe operaia e delle masse popolari dei maggiori paesi imperialisti a) aveva impedito al capitalismo di dare seguito anche nei paesi imperialisti con continuità e su vasta scala alla sua tendenza naturale ad aumentare la miseria della classe operaia e delle masse popolari e b) aveva costretto la borghesia ad allargare i diritti democratici delle masse popolari (suffragio universale maschile, diritto di organizzazione politica e sindacale, ecc.).

Il primo revisionismo fu capeggiato da Eduard Bernstein (1850-1932), dirigente del PSDT e stretto collaboratore di F. Engels. Dopo la morte di Engels, nel 1899 egli pubblicò I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia. In quest’opera sosteneva che l’analisi che Marx aveva fatto della natura del capitalismo (in Il capitale) era sbagliata. Che il capitalismo stesso spontaneamente nel suo sviluppo superava la produzione basata sul valore-lavoro, sul mercato, sull’anarchia e sulla concorrenza tra i capitalisti e dava luogo a un’economia organizzata e pianificata. Che la concorrenza, le crisi, l’anarchia del capitalismo primitivo stavano lasciando gradualmente il passo alla grande produzione organizzata dalle banche e dagli Stati, agli accordi internazionali tra questi e alla soluzione pacifica di tutti i maggiori problemi economici e politici. Che il capitalismo sviluppandosi non portava all’acutizzazione della divisione dell’umanità in classi e all’acutizzazione della lotta tra le classi, ma portava alla cancellazione graduale delle differenze e dei contrasti di classe. Che i partiti comunisti (che allora si chiamavano socialisti o socialdemocratici) dovevano lavorare non per accumulare forze rivoluzionarie da impegnare nell’eliminazione dello Stato borghese e nell’instaurazione della dittatura del proletariato, ma dovevano lavorare per strappare riforme alla borghesia. Che al comunismo si sarebbe arrivati non con una rivoluzione, ma aggiungendo riforme a riforme. Il revisionismo poneva al centro dell’attenzione le lotte rivendicative e i programmi di rivendicazioni e sopprimeva i “programmi massimi” dei partiti. “Il movimento è tutto, il fine è nulla” fu la parola d’ordine dei primi revisionisti: una concezione incarnata attualmente dall’Autonomia e dai vari “negatori della teoria rivoluzionaria”, dagli oppositori dell’elaborazione del programma del nuovo partito comunista. Il revisionismo fu la concezione che fece da supporto teorico alle tendenze opportuniste comunque e inevitabilmente presenti nei partiti della Seconda Internazionale. Ben prima del palese tradimento del 1914, Lenin mostrò che in tutti i partiti della II Internazionale la corrente revisionista e le tendenze  opportuniste erano tra loro legate.(1) Tutte le tesi del revisionismo furono clamorosamente smentite dalla prima crisi generale del capitalismo, dalle due guerre mondiali, dalle guerre e dagli sconvolgimenti generati dall’imperialismo e dai regimi controrivoluzionari e terroristici che la borghesia instaurò nel mondo.

 

1. Lenin, Che fare?, cap. 1 (1902), in Opere, vol. 5.

Lenin, Marxismo e revisionismo (1908), in Opere, vol. 15.

 

Il revisionismo patrocinato da Bernstein venne ufficialmente sconfessato e condannato in più congressi del PSDT che confermarono come dottrina ufficiale del partito il marxismo nella versione dogmatica e positivista data da K. Kautsky, ma in realtà proprio la teoria revisionista di Bernstein fu la teoria guida della sua attività pratica in campo economico e politico. Perché esso prevalse nel PSDT? Perché la sinistra del PSDT, che solo alla fine del 1918 fondò il Partito Comunista Tedesco e che aveva come principali portavoce R. Luxemburg e K. Liebnecht, sul piano teorico non seppe rispondere in modo giusto ai problemi nuovi (ingresso del capitalismo nella fase imperialista, accumulazione delle forze rivoluzionarie in un paese imperialista, natura del partito adeguata ai compiti rivoluzionari) senza rispondere ai quali il movimento comunista non poteva progredire in un paese evoluto come la Germania. Monumenti di questa arretratezza della sinistra in campo teorico sono le due opere di R. Luxemburg: Problemi di organizzazione della socialdemocrazia russa (1904) (polemica sul ruolo e la natura del partito contro lo scritto di Lenin Un passo avanti e due passi indietro) e L’accumulazione del capitale (1912) (tentativo di spiegare la fase imperialista del capitalismo).

L’Internazionale Comunista venne costituita nel 1919 rompendo con l’opportunismo e il revisionismo della Seconda Internazionale e costituì un progresso storico rispetto ad essa, il suo superamento.

Il revisionismo moderno (o secondo revisionismo) nacque in seno al partito guida dell’Internazionale Comunista (il Partito Comunista dell’Unione Sovietica). Esso ha fatto leva 1. sul fatto che era cessata la prima crisi generale del capitalismo, 2. sul fatto che la lotta della classe operaia e delle masse popolari dell’URSS, dei paesi imperialisti e dei paesi coloniali e semicoloniali a) aveva costretto la borghesia imperialista a fermare l’aggressione aperta contro i paesi socialisti e b) aveva strappato alla borghesia grandi conquiste economiche, politiche e culturali.

Il principale promotore del revisionismo moderno fu Kruscev, segretario del PCUS. A partire dal 20? congresso del PCUS (1956) e in modo più sistematico al 22° congresso (1961) il PCUS adottò una concezione revisionista come teoria guida. Parallelamente la destra riuscì ad imporsi definitivamente in vari partiti comunisti. In Italia il passaggio venne sanzionato dall’ottavo congresso del PCI nel dicembre del 1956. Il ruolo del partito comunista è talmente importante nel movimento comunista che la deviazione, una volta prevalsa nei partiti, portò alla sconfitta l’intero movimento nonostante la grande forza che questo aveva raggiunto.

I punti principali del revisionismo moderno sono i seguenti.

. Il capitalismo era cambiato: oramai aveva imparato ad evitare le crisi, le contraddizioni tra gruppi e Stati imperialisti non sarebbero più diventate antagoniste e quindi non sarebbero più sfociate in nuove guerre interimperialiste (tesi che oggi è ancora sostenuta dal Comunicato delle BR-PCC del 20 maggio ’99 e da alcune altre FSRS).

. Il movimento comunista aveva oramai compiuto tanti progressi nel mondo, che la borghesia andava rassegnandosi alla sua sconfitta e comunque non aveva più forze sufficienti per reprimere efficacemente le masse. Di conseguenza non era più necessario che le masse popolari dei paesi imperialisti e dei paesi coloniali e semicoloniali raccogliessero, formassero e accumulassero forze rivoluzionarie e scatenassero rivoluzioni contro la borghesia imperialista e gli altri reazionari. Il comunismo si sarebbe affermato tramite graduali trasformazioni e riforme e la borghesia avrebbe ceduto pacificamente il suo posto. Nel discorso tenuto l’8 settembre 1872 agli operai di Amsterdam Marx non aveva escluso la  possibilità di un passaggio pacifico del potere agli operai in alcuni paesi grazie a particolari condizioni ivi esistenti. Altrove egli ed Engels non avevano in particolare escluso che in Inghilterra, grazie alla particolare tendenza della borghesia inglese al compromesso e a non combattere cause perse, essa si rassegnasse a cedere il potere al proletariato che in questo caso avrebbe “riscattato” i mezzi di produzione dalla borghesia concedendole un lauto vitalizio. Che tendenze al compromesso piuttosto che ad affrontare battaglie senza speranza siano presenti nella borghesia è indubbio: si tratta poi di vedere quanto sia una effettiva e definitiva rinuncia alla lotta e quanto sia un inganno in attesa di guadagnare tempo e riacquistare forza. Anche in Italia nel 1920 a chiusura dell’occupazione delle fabbriche (settembre 1920) il governo Giolitti conferì per decreto agli operai il controllo delle fabbriche. Sempre in quel periodo Agnelli offrì agli operai di assumere loro la gestione della FIAT in forma di cooperativa. Lo stesso fece la direzione delle Officine Reggiane a Reggio Emilia. Dopo il 25 aprile ’45 in tutte le fabbriche la borghesia accettò l’installazione dei Comitati di Gestione, finché non riprese forze sufficienti per sbarazzarsene. Kruscev e i suoi soci proclamarono che oramai la borghesia avrebbe ceduto il potere al proletariato pacificamente in tutto il mondo. Quello che Togliatti e i suoi avevano fino allora fatto di soppiatto, nella pratica, continuando a fare rituali atti di ossequio al marxismo-leninismo, Kruscev nel 1956 lo proclamò apertamente come nuova concezione del movimento comunista.

. Per la stessa ragione i paesi socialisti non dovevano più praticare a) l’aiuto ai movimenti rivoluzionari perché attaccassero con forza i capitalisti e b) la coesistenza pacifica con i paesi capitalisti per mobilitare in ogni paese capitalista un ampio fronte che impedisse ai capitalisti di aggredire i paesi socialisti o ne indebolisse l’aggressione; dovevano invece basare le loro relazioni internazionali sull’intesa e sulla collaborazione con i gruppi e gli Stati imperialisti (da allora l’espressione coesistenza pacifica venne ad indicare questa politica) e sulla competizione economica con i paesi imperialisti (superare gli USA in campo economico) per convincere la borghesia della superiorità del socialismo.

. I paesi socialisti poi erano ormai tanto avanzati sulla strada del comunismo, che al loro interno non esistevano più classi antagoniste, lo scontro tra proletariato e borghesia era definitivamente risolto a favore del proletariato. Di conseguenza non occorreva più mantenere un’organizzazione indipendente della classe operaia (il partito comunista doveva diventare partito di tutto il popolo) né era più necessario mobilitare il resto delle masse popolari (organizzazioni di massa) sotto la direzione della classe operaia e perseverare nella repressione della borghesia (la dittatura del proletariato doveva diventare Stato di tutto il popolo).

 

*****Manchette

 

Il materialismo dialettico

Il marxismo, detto anche materialismo dialettico, è sia una concezione del mondo sia un metodo per conoscere e trasformare il mondo.

Se dico che l’attuale società è divisa in classi i cui interessi economici sono contrapposti, se dico che le concezioni e le istituzioni politiche e culturali degli uomini sono in ultima istanza un derivato dalla lotta per produrre e riprodurre le condizioni della propria esistenza, io enuncio due tesi della concezione del mondo marxista.

Se dico che per conoscere a fondo una posizione politica (da dove viene, che ruolo avrà e dove andrà a finire) devo individuare quali interessi economici e di quali classi essa favorisce, io indico un procedimento del metodo di conoscenza marxista. Se dico che per porre fine all’oppressione e allo sfruttamento dei lavoratori occorre mobilitare la classe operaia io indico un procedimento del metodo di azione marxista. La concezione del mondo marxista è per sua natura limitata: il metodo marxista ci insegna sia che del mondo conosciamo solo la parte di cui abbiamo esperienza, sia che ogni cosa è infinitamente conoscibile (può essere conosciuta più profondamente), sia che il mondo si trasforma e sorgono nuove cose.

Concezione del mondo e metodo di conoscenza e di azione marxisti sono in una certa misura e in definitiva legati tra loro. Prendete gli esempi indicati: alcuni procedimenti usati nel conoscere o nel trasformare il mondo hanno valore solo in base a una data natura del mondo. Se la società attuale non fosse divisa in classi aventi interessi economici  contrapposti, non avrebbero senso né il procedimento indicato per conoscere, né il procedimento indicato per trasformare. Ma il legame non è assoluto. Io posso ritenere che per conoscere una cosa occorre ricostruire la sua origine, il suo sviluppo e il suo declino, mentre nel contempo disconosco che la società è divisa in classi. Separare concezione e metodo marxisti, rinnegare l’uno o l’altro quindi è possibile e dà luogo a deviazioni opposte dal marxismo, entrambe deleterie per la nostra lotta.

I dogmatici difendono la concezione del mondo già acquisita dal movimento comunista e rifiutano di impadronirsi e di usare il metodo per sviluppare la concezione e per trasformare il mondo.

I revisionisti rifiutano la concezione o alcune parti della concezione, ma si proclamano marxisti doc perché fanno grandi omaggi del metodo. In realtà lo piegano al servizio della classe dominante. Nelle loro mani nel campo della conoscenza la dialettica diventa sofistica (è vera una tesi e anche la tesi opposta e tra i due opposti non esiste un principale e un secondario) e nel campo dell’azione la dialettica diventa opportunismo (navigare a vista, limitare la lotta a ciò che è immediatamente possibile stante gli attuali rapporti di forza e le circostanze attuali che sono a favore della classe dominante).

 

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Transizione pacifica, coesistenza pacifica e competizione economica, partito di tutto il popolo e Stato di tutto il popolo furono le concezioni del revisionismo moderno. Il revisionismo moderno è quindi una concezione e una corrente teorica e politica ben definita. Comprendere sotto la veste del revisionismo moderno ogni genere di errori e di deviazioni sbagliato, ostacola sia la lotta contro il revisionismo moderno sia la lotta contro gli errori e le altre deviazioni. Ogni deviazione teorica, e ancora più ogni deviazione pratica, ha suoi aspetti specifici e fa leva su specifiche carenze del movimento comunista: per combatterla occorre comprendere anche il suo aspetto specifico e dare risposte alle novità storiche su cui il revisionismo fa leva.

Il revisionismo moderno fece da supporto teorico alla corrosione e alla disgregazione del movimento comunista. A partire dal 1956 la lotta contro il revisionismo moderno divenne una condizione preliminare per portare avanti con successo la rivoluzione e far avanzare il movimento comunista. Chi non ha combattuto e non combatte contro il revisionismo moderno non è stato e non è all’avanguardia del movimento comunista quali che siano le realizzazioni pratiche che al momento riesce a raggiungere e prima o poi perderà anche queste.

La pratica ha ormai da anni dimostrato che le concezioni del revisionismo moderno erano completamente infondate e che esse sono servite alla borghesia per far arretrare il movimento comunista. Nessuno oggi osa più sostenere apertamente che la “transizione pacifica” di Kruscev o le “riforme di struttura” di Togliatti o “il compromesso storico” di Berlinguer fossero concezioni adatte a far avanzare il movimento comunista, tanto meno che la borghesia imperialista andava rassegnandosi a cedere il posto alla classe operaia. Il revisionismo moderno e il successo della sua opera di devastazione del movimento comunista hanno però messo in luce che il movimento comunista per avanzare deve superare alcuni limiti nelle sue concezioni, limiti che hanno impedito di fermare in tempo l’opera di devastazione dei revisionisti moderni. I revisionisti moderni hanno portato alla rovina il movimento comunista perché le masse li hanno seguiti e le masse li hanno seguiti perché la sinistra non fu in grado di dare soluzione ai problemi attuali, di dare risposte ai problemi attuali.

Perché il revisionismo moderno è riuscito a prevalere nel PCUS?

Perché i successi raggiunti dall’URSS nell’edificazione economica e nel campo culturale avevano posto fine allo stato di necessità che aveva costretto a segnare il passo e rendevano possibile e necessario fare in URSS nuovi passi avanti nella trasformazione dei rapporti di produzione e del complesso dei rapporti sociali: passi avanti nella limitazione del carattere commerciale della produzione, nella trasformazione della proprietà cooperativa in proprietà di tutto il popolo, nella riduzione della divisione sociale del lavoro, verso la distribuzione a ognuno secondo i suoi bisogni, nella partecipazione maggiore delle masse tramite le organizzazioni di massa all’attività politica. Cose che Stalin individua come problemi nel suo scritto del 1952 Problemi economici del socialismo nell’URSS, ma per i quali non propone  soluzioni. Erano insomma diventate possibili e necessarie quelle trasformazioni che la Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976) tentò di realizzare in Cina in condizioni che però ne hanno reso impossibile il successo. Perché la vittoria sul nazifascismo, la costituzione del campo socialista, la vittoria della rivoluzione cinese, il crollo del sistema coloniale e l’indebolimento del sistema imperialista rendevano possibile e necessario condurre ad un livello più alto l’iniziativa rivoluzionaria nel mondo intero. La sinistra nel PCUS non era preparata ad affrontare questi compiti, non aveva coscienza dei cambiamenti intervenuti e delle nuove possibilità che si erano create.

Oggi per far avanzare il movimento comunista non basta dimostrare che le concezioni dei revisionisti moderni sono infondate. Dopo il 1989 la pratica ha definitivamente chiarito questa questione. Abbiamo bisogno di una concezione giusta della situazione della lotta di classe nel nostro periodo (teoria rivoluzionaria) e della sua applicazione alla soluzione dei problemi concreti della rivoluzione proletaria.

La storia dei due movimenti revisionisti che ci sono stati finora all’interno del movimento comunista è ricca di insegnamenti. Ne voglio indicare due.

1. I movimenti revisionisti si presentano nelle fasi di passaggio del movimento comunista, quando si chiude un’epoca e se ne apre un’altra. Il primo comparve quando si chiudeva l’epoca della costituzione della classe operaia in classe per sé attraverso la creazione dei partiti nazionali e iniziava l’epoca in cui in tutti i principali paesi del mondo si poneva all’ordine del giorno la conquista del potere: le prime rivoluzioni socialiste e l’egemonia della classe operaia sulle masse popolari delle colonie e delle semicolonie, il ruolo mondiale della classe operaia. Il secondo comparve alla fine della prima crisi generale del capitalismo, quando si trattava di far leva sui successi raggiunti per passare ad una fase nuova caratterizzata dall’esistenza di un vasto campo socialista, dalla fine del sistema coloniale e dalla creazione di forti partiti comunisti in vari paesi imperialisti.

2. I movimenti revisionisti partono dal centro del movimento comunista e da lì si diffondono: “il pesce incomincia a puzzare dalla testa”. “Ecco, l’ho sempre pensato che non ci deve essere nessun centro!”, dirà a questo punto qualche lettore anarchicheggiante. Certamente, il revisionismo parte dal centro, dal partito comunista, dallo Stato della dittatura del proletariato. Mao ci ha insegnato che la borghesia nei paesi socialisti è costituita in primo luogo dagli alti dirigenti del partito e dello Stato che seguono la via del capitalismo. Ma senza centro, partito comunista e Stato della dittatura del proletariato non arriveremmo mai al comunismo. Senza la gestazione non avremmo l’aborto, ma non avremmo neanche il bambino. Noi lottiamo per una società senza Stato e senza partito perché senza divisione in classi, ma per arrivare all’estinzione delle classi abbiamo bisogno del partito comunista e dello Stato della dittatura del proletariato. È una contraddizione della vita che ha la sua soluzione nella vita stessa, nella lotta di classe.

Marco Martinengo

 

*****Manchette

 

Architettura del Progetto di Manifesto Programma

 

Per studiare e valutare l’architettura del Progetto di Manifesto Programma bisogna assumere come riferimento il Manifesto del partito comunista del 1848.

In Italia tradizionalmente il movimento comunista è indifferente alla teoria: questa è una grave debolezza che ha avuto un ruolo nella sconfitta del movimento comunista italiano e che non possiamo più accettare. La battaglia contro l’agnosticismo, l’indifferenza per la teoria, il pluralismo, l’eclettismo, il pressappochismo e la superficialità in campo teorico ha un ruolo importante nella lotta per la ricostruzione di un partito comunista all’altezza dei compiti che lo attendono. In secondo luogo in Italia abbiamo subito a lungo l’influenza del revisionismo moderno. Essa è stata profonda anche a causa del fatto che è sotto la direzione dei revisionisti (ma sull’onda della prima ondata della rivoluzione  proletaria) che la classe operaia e le masse popolari hanno strappato alla borghesia imperialista le conquiste del periodo del capitalismo dal volto umano. Oggi da noi ogni semplice “amico degli operai”, ogni semplice “partigiano della difesa delle conquiste” in perfetta buona fede si crede e si dice comunista. In terzo luogo l’influenza della cultura borghese di sinistra è molto diffusa tra le FSRS. Tutte le più varie scuole di pensiero borghesi, dalla psicanalisi al keynesismo, sono state combinate con il marxismo e hanno dato luogo a tanti “marxismi” quante sono le correnti della cultura borghese di sinistra: molti compagni lontani dalla concezione del mondo e dal metodo del materialismo dialettico in perfetta buona fede si dicono e si credono marxisti. In quarto luogo da noi la critica contro il revisionismo moderno è stata condotta come critica contro il tradimento degli interessi dei lavoratori: questo è vero ma vale per ogni forma di opportunismo. È stata poco sviluppata la critica specifica al revisionismo moderno (e anche al primo revisionismo), come insieme di concezioni, come corpo dottrinario che correggeva alcune tesi fondamentali del marxismo. Questo ha creato una situazione per cui ogni sincero lottatore e addirittura ogni persona ribelle e insofferente dell’ordine esistente sinceramente si crede marxista. “In definitiva la sintesi del marxismo è: ribellarsi giusto”, ha proclamato Mao Tse-tung nel 1966. Ma anzitutto, ai fini della piattaforma del partito, non basta lo “in definitiva” e in secondo luogo ogni principio, senza analisi concreta della situazione concreta, è una frase vuota. Infine l’attacco selvaggio lanciato dalla borghesia imperialista contro il campo socialista nel 1989-1991 ha smascherato il revisionismo moderno, ma ha profondamente leso anche la fiducia della classe operaia nelle sue forze e nella sua capacità di dirigere le masse popolari a costruire una società comunista: oggi non solo è poco radicata la certezza che il comunismo è l’unico sbocco possibile del capitalismo, cioè che il comunismo è inevitabile, ma è diffusa anche la sfiducia nel fatto che esso sia possibile. In ogni membro del futuro partito la certezza che il comunismo è possibile e che prima o poi esso inevitabilmente succederà al capitalismo deve essere fondata sulla concezione scientifica, materialista dialettica del mondo e ogni compagno deve essere in grado di convalidare e alimentare questa certezza studiando con il metodo materialista dialettico l’esperienza quotidiana.

Queste condizioni concrete in cui lavoriamo ci costringono a esporre non solo i nostri obiettivi politici ed economici, ma anche la nostra concezione del mondo in un manifesto che dovrà essere patrimonio comune di tutti i membri del partito e guida comune per la loro azione in ogni campo. Il materialismo dialettico riguarda ogni campo dell’esperienza degli uomini e non può essere oggetto di un manifesto, ma su tutti gli aspetti importanti ai fini della nostra attività immediata tesa a raccogliere, formare e accumulare le forze rivoluzionarie il manifesto deve dire qual è la posizione da cui parte il nuovo partito.

Questo patrimonio deve essere definito eliminando il più possibile la congerie di incrostazioni, deformazioni e infiltrazioni che l’azione della borghesia, in particolare tramite i revisionisti moderni e la cultura borghese di sinistra, hanno accumulato sul patrimonio teorico del movimento comunista e sull’esperienza del movimento comunista italiano. È come ricercare e ripulire l’oro dalla ganga in cui è frammisto e nascosto. È possibile fare ciò ed è politicamente necessario fare ciò tramite un ampio e serio dibattito tra tutte le FSRS decise a ricostruire il partito e il risultato deve essere approvato dal congresso di costituzione del partito. Per quanto l’impresa possa sembrare complessa, non possiamo evitarla. Chi oggi da noi si proclama seguace del “comunismo scientifico” senza altro specificare, si proclama seguace di un’espressione sotto il cui nome circolano le teorie più strane e opposte: la sua dichiarazione ha un senso solo se indica quali sono le posizioni del “comunismo scientifico” su tutti i problemi importanti ai fini della nostra lotta. Non possiamo rassegnarci ad un’unità di facciata e nemmeno al pluralismo e all’eclettismo, alla teoria che “esistono più marxismi” e alla “libertà da ogni teoria coerente e organica”. Ogni compagno e ogni FSRS deve essere disposto a mettere in discussione le sue concezioni, a definirle, a esaminare con cura le critiche, a difendere con energia le posizioni che ritiene giuste. Chi nella nostra concreta situazione agita la parola d’ordine marxista “ogni passo del movimento reale è più importante di una dozzina di programmi”, dà prova di non capire l’essenziale della nostra situazione concreta, fa la figura di uno che invitato a fare una nuotata si mette il vestito della festa.

Queste considerazioni ci hanno indotto ad adottare un Manifesto Programma e non semplicemente un Programma. Quindi il riferimento storico, il modello per l’architettura del PMP, per la scelta del suo contenuto e per la relazione in cui sono poste le sue parti, è il Manifesto del partito comunista del 1848, non i successivi programmi dei partiti nazionali. Infatti questi ultimi giustamente per le concrete condizioni in cui sono stati redatti davano per scontata la base dottrinaria (la concezione del mondo) marxista.

Quanto al contenuto del programma vero e proprio (cap. 4 del PMP), i riferimenti storici più pertinenti sono K. Marx, Critica al programma di Gotha (1875) e il Programma del POSDR (1903) e gli altri programmi dei partiti nazionali che, per il periodo fino al 1917, le Edizioni Rapporti Sociali hanno raccolto in un fascicolo a sé, in modo che tutti gli interessati li possano studiare.

 

Teresa

 

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