Fondere in unica lotta di classe per il comunismo

Rapporti Sociali n. 25 - giugno 2000 (versione Open Office / versione MSWord )

 

“Fondere in unica lotta di classe per il comunismo la lotta per un nuovo superiore ordinamento della società, la cui necessità è avvertita da un numero crescente di membri di tutte le classi delle masse popolari e la lotta degli operai contro i capitalisti”.

Questa formula sintetica mette in luce alcuni aspetti importanti della concezione, della linea e dell’attività dei comunisti.

La nostra lotta è una lotta di classe perché è guidata dalla classe operaia, perché è una lotta che si alimenta mettendo in luce gli interessi economici reali di ogni classe, perché chiama ogni classe delle masse popolari a lottare per i suoi interessi e non in nome del bene comune o del comune destino (espressione con cui la borghesia indica il suo interesse di classe) e si oppone alla linea borghese di “sacrificare gli interessi particolari in nome dell’interesse generale”, perché mira a sviluppare gli antagonismi di classe fino alla guerra di tutte le classi delle masse popolari contro la borghesia imperialista.

Il nostro metodo non si basa sulla conciliazione degli interessi che l’esperienza ha dimostrato essere inconciliabili, sulla predicazione di ideali, sulla filantropia e la benevolenza, ma sulla lotta di tutte le classi delle masse popolari dirette dalla classe operaia contro la borghesia imperialista. Non è possibile rimediare ai mali della società attuale con un accordo tra tutte le classi, con lo sviluppo della cultura e della scienza, con l’educazione, con l’ulteriore sviluppo della produzione, ecc. È l’ordinamento della società che non è più adeguato alla sua natura e per cambiarlo bisogna spodestare l’attuale classe dirigente. Solo così si aprirà la strada alla trasformazione.

La nostra lotta è lotta per il comunismo, perché il comunismo è l’unico ordinamento della società superiore all’attuale ordinamento (quello capitalista), perché il comunismo è l’unico ordinamento coerente con le forze produttive materiali e intellettuali dell’attuale società, perché il comunismo è l’ordinamento di cui l’attuale società ha bisogno per sviluppare gli aspetti positivi delle grandi conquiste scientifiche e tecniche realizzate: quindi è l’ordinamento necessario e inevitabile verso cui tende l’attuale società. Ogni altro ordinamento proposto in alternativa all’attuale o resta allo stadio di aspirazione velleitaria o è reazionario e prima o poi al suo interno rinasce la lotta per il comunismo.(1) I disordini e il malessere dell’attuale società derivano in definitiva dal fatto che per le sue forze produttive, per le risorse materiali e spirituali di cui dispone essa tende verso il comunismo, ma l’attuale classe dominante si oppone con tutti i mezzi a questa trasformazione. Il comunismo è lo sbocco inevitabile a cui l’attuale società, per la natura delle sue proprie contraddizioni, prima o poi approderà. Il comunismo non è una scelta, sia pure la migliore scelta possibile: è l’unico futuro possibile dell’attuale società, quali che siano le difficoltà e i tempi in cui essa ci arriverà. Diventare adulto non è per il bambino una scelta.(2)

 

1. Anche nella borghesia imperialista e negli intellettuali da essa influenzati si va diffondendo sempre più la sensazione che le cose non possono continuare come ora, che occorre una riorganizzazione generale della società. Vengono quindi avanzate da varie parti, dall’interno della classe dominante, proposte di “riforma generale”. Le proposte meno oltranziste, tipo quella patrocinata dall’attuale capo della Banca d’Italia Antonio Fazio, si basano su “novità” come l’auspicio che “l’etica orienti l’economia e che il perseguimento dell’interesse particolare sia da ognuno subordinato al bene comune”. Insomma ora le cose andrebbero male perché padroni e operai hanno una bassa moralità!

 

2. Questa tesi che parte della concezione materialista dialettica della storia enunciata da Marx già nel 1859 nella Prefazione a Per la critica dell’economia politica (Marx-Engels Opere complete, vol. 30, pag. 297 e segg.), contrasta con tutte le concezioni moralistiche e idealistiche della lotta per il socialismo. Secondo queste concezioni la lotta per il socialismo deriverebbe dall’alto senso morale o dalla elevata cultura di individui in qualche modo eletti che convincerebbero gli altri ad aderire ad essa. Noi marxisti, al contrario, sosteniamo che la lotta per il socialismo è il  riflesso soggettivo, nella coscienza e nell’attività degli uomini, di una necessità insita nelle contraddizioni della loro vita sociale e che gli uomini che si dedicano a questo compito sono individui di alta moralità e di elevata cultura. La moralità e la cultura degli individui insomma sono un risultato della loro azione sociale e non la causa di essa. Un noto esponente della concezione moralista della lotta per il socialismo è stato H. Marcuse, che ha avuto molta influenza nel movimento rivoluzionario italiano degli anni ’70.

 

La borghesia imperialista è costretta dallo sviluppo della crisi generale del suo sistema a ledere gli interessi di tutte le classi delle masse popolari (operai, pubblici funzionari, lavoratori autonomi, ecc.). L’attività della borghesia imperialista rende precaria la vita di tutte le classi popolari, condanna intere classi a estinguersi nel modo più doloroso per gli individui che le compongono. Di conseguenza tutte le classi delle masse popolari hanno sempre più la sensazione che per loro non c’è futuro, che occorre cambiare direzione. Quelli che rifiutano di prendere nelle proprie mani la trasformazione necessaria, cadono nella depressione e si danno all’evasione (misticismo, droghe, ecc.). Gli obiettivi dichiarati di varie classi e strati delle masse popolari sono a volte reazionari: la loro posizione nell’attuale società impedisce loro di concepire il comunismo come loro obiettivo. Ma non è questa la cosa principale. La cosa principale è che i loro stessi interessi le costringono a lottare contro l’ordinamento attuale della società. Se la classe operaia diventa il combattente d’avanguardia contro l’attuale ordinamento della società, essa è in grado di assumere la direzione delle altre classi delle masse popolari impegnate in questa lotta. La classe operaia, se diventa il combattente d’avanguardia, non fa proprie, neanche per opportunità, per “tattica”, i programmi conservatori o reazionari di singole classi e ceti delle masse popolari. I tentativi di conservare i vecchi mestieri, le vecchie divisioni (nazionali, regionali, di cultura, di lingua, di religione, di sesso, di razza, ecc.) e le vecchie culture sono destinati alla sconfitta. Ma la classe operaia valorizza la loro lotta contro la borghesia imperialista, la sostiene e offre ad ognuna di esse una dignitosa via di progresso nella nuova società socialista. Un conto è essere sbattuti in giro per il mondo dalla miseria e dalla guerra e un conto è l’intensificarsi dei rapporti economici, culturali e personali tra persone di nazioni e razze diverse. Un conto è il superamento del commercio al dettaglio e un altro è costringere al fallimento migliaia di dettaglianti. Un conto è conoscere e adottare costumi e abitudini di altri paesi, un altro è vederseli imposti. Saranno le stesse masse popolari a superare nel loro interesse e a loro modo, quelle forme e quelle divisioni che le forze materiali e spirituali oggi disponibili hanno reso superflue o antiquate, che quindi è nel loro interesse superare.(3)

 

3. Vi sono divisioni ereditate dal passato (di nazione, di cultura, di lingua, ecc.) che certamente scompariranno nel futuro. Attualmente la borghesia imperialista distrugge nazioni, culture, lingue costumi, ecc.: mondializzazione, globalizzazione, americanizzazione. Alcuni compagni concludono che la borghesia imperialista compie col ferro e col fuoco una funzione civilizzatrice, progressista e che i comunisti (cioè la classe operaia che lotta per il potere) deve favorire questa distruzione. Lenin chiamò questa concezione “economicismo imperialista”, denunciandola come una concezione che pone la classe operaia a rimorchio della borghesia imperialista e la induce a rinunciare alla lotta politica (v. Lenin Intorno a una caricatura del marxismo e all’“economicismo imperialista” (1916), in Opere, vol. 23, pag. 25 e segg.).

 

La lotta degli operai contro i capitalisti non è solo rivendicativa e di difesa, ma anche di attacco. In definitiva persino la difesa degli interessi immediati e particolare degli operai nell’attuale fase di crisi generale del capitalismo richiede un nuovo ordinamento della società. Non è vero che la borghesia imperialista soddisfa gli interessi particolari e immediati degli operai, sia pure con lo scopo di distoglierli dalla politica rivoluzionaria e di perpetuare il sistema di sfruttamento capitalista. Nell’attuale fase di crisi generale del capitalismo il riformismo è una velleità senza risultati, un imbroglio senza mezzi pratici con cui sostenersi. Quindi il riformismo è politicamente debole. Le trappole di tipo riformista funzionano se la borghesia imperialista fa effettivamente delle concessioni. Ma quando la borghesia imperialista non solo non fa concessioni ma addirittura toglie anche i diritti già conquistati, le manovre con cui i riformisti cercano di organizzare a proprio vantaggio le masse si ritorcono contro la borghesia, se il partito comunista conduce una politica  giusta. Attualmente tutti i partiti e movimenti riformisti sono in difficoltà e saranno assorbiti dalla mobilitazione rivoluzionaria delle masse o spazzati via dalla mobilitazione reazionaria delle masse. Per gli operai la rivoluzione socialista è l’unica via anche per soddisfare i loro bisogni particolari e immediati. La lotta degli operai per soddisfare i bisogni particolari e immediati, la lotta per la difesa delle conquiste, le lotte rivendicative degli operai sono componenti importanti della lotta per il comunismo.

 

***** Manchette

Le condizioni per vincere

L’esperienza di questi ultimi vent’anni dimostra che anche in un periodo di crisi è possibile portare le lotte alla vittoria I lavoratori sono riusciti a riportare dei successi solo grazie a determinate condizioni. Alcune di queste sono:

obiettivi e metodi di lotta devono essere caso per caso i più particolari possibile, in modo che i lavoratori che partecipano alla lotta siano convinti della loro giustezza e necessità (in generale una lotta di difesa non può essere per altri né i metodi di lotta possono essere generali);

la lotta deve essere diretta da persone che vogliono vincere;

non lasciarsi legare le mani dalle regole stabilite dal nemico;

adottare caso per caso metodi e forme di lotta efficaci e sostenibili dai lavoratori;

non lasciarsi isolare, ma crearsi tutti gli alleati possibili;

allargare il più possibile la lotta;

individuare e sfruttare le contraddizioni in campo nemico, utilizzare spregiudicatamente i contrasti tra i partiti borghesi.

 

*****

 

Già oggi, benché il partito comunista sia ancora assente e le maggiori organizzazioni sindacali siano agli ordini della borghesia e del Vaticano, benché ministri e deputati prendano in giro gli operai in combutta con i padroni, gli operai combattono contro le ristrutturazioni, la disoccupazione, l’eliminazione delle conquiste e la repressione. Non è vero che da questo contesto si sviluppa necessariamente e di per sé la lotta per un nuovo superiore ordinamento della società. Non è vero che “dai problemi materiali nasce la presa di coscienza affinché si possano risolvere quei problemi. Lavoratori con salari sempre più bassi, con diritti sempre più negati, con prospettive di pensione ormai fittizie, sono il campo d’azione su cui dobbiamo lavorare perché questo massacro che la borghesia compie contro la classe proletaria nel suo complesso possa ritorcersi contro, permettendo la fine di questo sistema di sfruttamento” (Rosso 16, Notizie 24-30 dicembre 99). Questo è economicismo ingenuo e puro, dichiarato. Tra le lotte rivendicative e le lotte di difesa delle conquiste da una parte e dall’altra la lotta per il comunismo vi è un salto di qualità, che gli operai compiono solo in condizioni determinate. Occorre che i comunisti si costituiscano in un partito che propagandi e organizzi in modo specifico e mirato la presa di coscienza e la lotta per porre fine questo sistema di sfruttamento. Ma è vero che la classe operaia, per la sua stessa posizione nella società attuale, è più disposta di qualsiasi altra classe a far proprio l’obiettivo del comunismo ed è capace di comprendere prima di qualunque altra classe che le grandi questioni storiche in ultima analisi si risolvono solo con la forza, che un ordinamento superiore della società non si ottiene senza grandi sacrifici, che la resistenza armata della borghesia imperialista deve essere spezzata e schiacciata con le armi in pugno. La classe operaia può mettersi alla testa delle masse popolari che dalla borghesia imperialista non ricevono che emarginazione, precarietà, decadenza, oppressione e repressione. La lotta degli operai contro i capitalisti per i loro interessi particolari e immediati ha un ruolo importante per l’educazione della classe operaia ad assumere i ruolo di classe dirigente di tutte le masse popolari nella lotta per instaurare un nuovo ordinamento generale della società. Per questo è importante che i comunisti abbiano una linea giusta nei confronti delle lotte rivendicative e delle lotte di difesa delle conquiste condotte dagli operai contro i capitalisti e il loro governo.

Sono spazzatura borghese, sono teorie che nella lotta politica favoriscono la conservazione e la reazione tutte le  concezioni che in un modo o nell’altro sostengono che la classe operaia dei paesi imperialisti vive alle spalle dei lavoratori dei paesi coloniali e dei paesi ex socialisti, che le lotte rivendicative dei lavoratori dei paesi imperialisti danneggiano i lavoratori dei paesi coloniali e dei paesi ex socialisti.(4) Sono sbagliate anche le concezioni secondo le quali le lotte rivendicative sarebbero il terreno d’elezione dei riformisti e precluso ai comunisti (tesi proclamata ad es. dalle Nuove BR-PCC nel loro Comunicato di Roma 20 maggio ‘99). Nel periodo successivo alla prima e alla seconda guerra mondiale la borghesia imperialista (in particolare la Chiesa Cattolica) e i riformisti hanno cercato di mettersi alla testa delle lotte rivendicative per distogliere gli operai dalla lotta politica.(5) Ma nel periodo successivo alla prima guerra mondiale (complice la crisi generale del capitalismo in corso e la giusta linea dell’Internazionale Comunista) lo sforzo per deviare col riformismo la classe operaia dalla lotta politica non è stato sufficiente e la borghesia imperialista ha dovuto ricorrere alla mobilitazione reazionaria delle masse (fascismo, nazismo, New Deal, ecc.). Ciò conferma che il riformismo senza risultati reali per le masse serve come un fucile scarico. Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale (complice la ripresa dell’accumulazione capitalista e il revisionismo moderno) lo sforzo di deviare col riformismo la classe operaia dalla lotta politica ha avuto successo per un periodo abbastanza lungo. Lo sviluppo della seconda crisi generale del capitalismo ha però costretto la borghesia imperialista ad abbandonare questo terreno. Ciò in Italia è avvenuto nella seconda metà degli anni ’70 (Congresso CGIL dell’EUR, 14 febbraio ‘78). Da allora la borghesia imperialista ha cercato e cerca (v. ad es. le leggi antisciopero: legge 146/1990 e la nuova legge approvata dalla Camera dei deputati il 15 marzo 2000) di criminalizzare le lotte rivendicative come “rovina dell’economia nazionale”. Al suo seguito i riformisti hanno cercato di indurre i lavoratori alla moderazione salariale e a restituire i diritti conquistati (celebre la parola d’ordine lanciata dall’allora segretario della UIL G. Benvenuto: “Gli operai devono restituire una parte dei diritti conquistati”), di alimentare speranze e illusioni nell’azione della borghesia imperialista (esemplari al riguardo le dichiarazioni di B. Trentin e di S. Cofferati dopo l’accordo FIAT General Motors: Corriere della Sera, 14 marzo), di impedire le lotte rivendicative, di isolare i lavoratori più combattivi anche solo sul terreno rivendicativo, di circoscrivere, isolare e comporre con il minor danno possibile per la borghesia imperialista le lotte che non potevano impedire. La “concertazione” non soddisfa i bisogni particolari e immediati degli operai sia pure a scapito dei loro interessi universali e storici (come sostengono le Nuove BR-PCC), ma combatte gli interessi particolari e immediati degli operai (flessibilità, moderazione salariale, ecc.).

 

4. Queste tesi sono state riesposte un anno fa in un editoriale de Il futuro, rivista teorica del MPA (n.22 pagg. 2-3). Marco Martinengo ha criticato questa tesi in un articolo pubblicato in Rapporti Sociali n. 23-24 pagg. 34-38. Dopo di ciò gli autori dell’editoriale hanno ribadito le loro tesi nell’articolo sulla crisi capitalista e sul ruolo del “movimento rivendicativo” pubblicato nel n. 23 de Il futuro, pagg. 19-30. Dopo questo articolo le tesi esposte in Il futuro n. 22 non possono più essere considerate una delle intemperanze verbali o dei pressappochismi correnti sulla stampa cosiddetta alternativa (a volte più alternativa alla lingua italiana e alla logica che alternativa alla concezione borghese del mondo). Al contrario, sono l’espressione di convinti terzomondisti secondo i quali “gli aumenti del prezzo della forza-lavoro del centro comportano necessariamente un “recupero” nel prezzo e/o nel saggio di plusvalore estratto sulla forza-lavoro della periferia, un investimento fatto in una zona depressa del centro (nel sud d’Italia per esempio) per contrarrestare (sic!) un tasso pericoloso di disoccupazione, comporta necessariamente un freno alle dislocazioni industriali verso i paesi della periferia, ecc...” (Il futuro n. 23, pag. 27). Come a dire che, mentre i lavoratori italiani costringono i capitalisti ad aumentare i salari o a aprire un’azienda, i lavoratori congolesi, brasiliani o indiani non possono a loro volta costringere i capitalisti a fare altrettanto rispettivamente in Congo, in Brasile o in India. È palese che il ragionamento di Il futuro regge sul presupposto che i lavoratori congolesi, brasiliani o indiani sono privi di qualsiasi forza e capacità sia rivendicativa sia rivoluzionaria, sono strutturalmente mendicanti e clienti di missioni e di associazioni di beneficenza. Una concezione che fa a pugni con il movimento rivoluzionario sia dei paesi semicoloniali sia dei paesi imperialisti, una concezione da missionari e da ONG.

Una concezione del genere ha già trovato oppositori anche nelle fila del MPA, come ci dice il Comunicato del 12 febbraio 2000 con cui il Centro di Iniziativa Proletaria (CIP) di Sesto S. Giovanni ha preso le distanze dal MPA, denunciando posizioni che “esplicitamente dichiarano di non ritenere la classe operaia il proprio referente e che anzi la considerano “complice” del capitalismo (aristocrazia operaia)”.

 

5. L’intervento della borghesia per distogliere gli operai dalla lotta rivoluzionaria e dalla lotta per il potere, deviandoli nella lotta economica, non è stata una scoperta originale fatta dalla borghesia imperialista italiana nel secondo dopoguerra. La  borghesia italiana l’aveva praticata anche a cavallo del novecento (fondazione di società di mutuo soccorso: erano più di 6.700 a fine 800). In Russia nello stesso periodo addirittura la polizia zarista si era messa ad organizzare gli operai e un movimento sindacale, chiamato “zubatovista” dal nome (S.V. Zubatov) di un commissario di polizia di Mosca che fu il più celebre tra i promotori di detto movimento. Una cosa analoga aveva fatto, sempre in quel periodo, la Chiesa Cattolica in Germania. Ognuna di queste iniziative della borghesia, ogni volta che si è trovata a coesistere con un vero partito comunista, ha però in realtà contribuito allo sviluppo della coscienza di classe degli operai, in contrasto con i desideri dei loro promotori che le hanno dovute abbandonare. L’inizio della prima rivoluzione russa fu dato da una manifestazione (domenica 9 gennaio 1905) organizzata a Pietroburgo da una associazione operaia guidata da un prete (G.A Gapon) colluso con la polizia politica, che con immagini sacre e crocefissi si recava dallo zar.

 

Noi comunisti dobbiamo sostenere in ogni modo le lotte rivendicative dei lavoratori del nostro paese e fare di ognuna di esse una scuola di comunismo, perché la classe operaia diventi la combattente d’avanguardia contro l’attuale ordinamento della società, perché essa, con la sua avanguardia organizzata, il partito comunista, prenda la direzione di tutte le masse popolari nella lotta contro la borghesia imperialista per un nuovo superiore ordinamento della società, il comunismo.

Cosa vuol dire più precisamente “fare di ogni lotta rivendicativa degli operai una scuola di comunismo”? Significa che i membri del partito e gli operai che seguono le indicazioni del partito comunista

- devono appoggiare, promuovere, organizzare e dirigere ogni lotta rivendicativa, anche se l’obiettivo è modesto e anche se le forme di lotta sono legali (i comunisti devono sforzarsi di essere i combattenti più attivi e più capaci e i migliori dirigenti delle lotte rivendicative: “sostenere ogni gruppo di lavoratori, per piccolo che sia, che difende una sua conquista, quale essa sia, dalla rapina della borghesia imperialista”);

- devono fare in modo che ogni lotta educhi il numero più ampio possibile di operai all’organizzazione indipendente dai sindacati e dai partiti di regime e dalla Chiesa, all’unità di classe contro i capitalisti, alla solidarietà tra le masse popolari contro la borghesia imperialista e il suo Stato, alla lotta intransigente contro i capitalisti e tutti i loro servi (favorire la mobilitazione, l’aggregazione e l’iniziativa delle masse); formi capi e organismi, sviluppi la coscienza del numero più ampio possibile di lavoratori, rafforzi i legami tra gli operai e il partito (nuovi simpatizzanti, nuovi seguaci, nuovi candidati, maggiore conoscenza del programma del partito comunista, dei suoi obiettivi e della sua analisi della situazione, maggiore prestigio del partito presso la massa degli operai e maggiore fiducia degli operai avanzati nel partito);

- devono in ogni lotta rivendicativa sostenere davanti agli altri lavoratori l’adozione dei metodi più adatti a condurre la lotta rivendicativa alla vittoria: non in ogni occasione questi sono i metodi più radicali (vedi Resistenza, numero straordinario del 24 febbraio 1996, A quali condizioni è possibile difendersi con successo). La parola d’ordine “Trasformare ogni lotta di difesa in un problema di ordine pubblico” è valida in generale come metodo per rendere vittoriosa una lotta rivendicativa nella fase attuale, come metodo per costringere le autorità pubbliche, depositarie degli interessi generali della borghesia imperialista, a intervenire a porre rimedio allo sfruttamento dei singoli capitalisti o gruppi di capitalisti. Ma non si può applicare meccanicamente questa parola d’ordine in ogni lotta rivendicativa. I metodi di lotta devono essere i più adatti a portare alla vittoria. In particolare devono essere adatti a mobilitare la partecipazione della massa degli operai. Noi non abbiamo riserve verso nessun metodo di lotta (non ci leghiamo le mani), non siamo legalitari. Ma non siamo neanche anarco-sindacalisti, autonomi, lottacontinuisti, ecc. Ci atteniamo rigorosamente al criterio che i membri del partito comunista e i lavoratori che seguono le indicazioni del partito propongono ogni metodo di lotta che ritengono utile, ma lo adottano effettivamente nella misura in cui la massa dei lavoratori è d’accordo a praticarlo, cioè nella misura in cui la situazione complessiva è tale che, sulla base delle indicazioni e dell’esempio dei lavoratori membri del partito o seguaci del partito, quei metodi 1. saranno adottati dalla massa dei lavoratori e 2. li porteranno, nel caso particolare, al miglior risultato possibile. I metodi di lotta adottati in una lotta rivendicativa sono subordinati alla condizione di rendere vittoriosa quella lotta. Anche i metodi più radicali  restano metodi per la lotta rivendicativa, tra gli altri. Non si tratta del “compito principale del partito nelle lotte rivendicative”. Il partito comunista non ha come suo compito quello di introdurre metodi di lotta radicali nelle lotte rivendicative, di “radicalizzare le lotte rivendicative”. Noi siamo favorevoli ai metodi radicali di lotta, ma non è un principio praticarli in ogni caso.

Bisogna fare di ogni lotta rivendicativa una scuola di comunismo, ma nello stesso tempo aver chiaro che lo sviluppo delle lotte rivendicative è condizionato dallo sviluppo della lotta per il comunismo. Se questa non si sviluppa, anche le lotte rivendicative difficilmente si sviluppano su larga scala e in modo vittorioso. Se gli operai non hanno fiducia nella propria forza e nella propria capacità di combattere e vincere, anche lo slancio nelle lotte rivendicative non va oltre certi limiti. Il buon senso pratico degli operai spesso li porta a non dare battaglie sicuramente perse, quali che siano le esortazioni, gli incitamenti e le “azioni esemplari e stimolanti” di volonterosi ma mal orientati rivoluzionari. È una buona regola per una avanguardia rivoluzionaria quella di non farsi mettere con le spalle al muro e non ridursi a dover scegliere tra uno scontro onorevole ma senza speranza di successo e una resa vergognosa e demoralizzante.

Le lotte rivendicative sono uno dei terreni su cui si prepara la lotta per il comunismo (si raccolgono, si educano le forze rivoluzionarie), ma solo uno dei terreni e neanche sempre il principale. È fuori strada sia chi nega l’importanza delle lotte rivendicative o addirittura si associa alla borghesia denigrandole e combattendole, sia chi limita la lotta per il comunismo alle lotte rivendicative o concepisce la lotta per il comunismo come uno sbocco inevitabile e per così dire spontaneo delle lotte rivendicative. La lotta per il comunismo è una cosa diversa dalle lotte rivendicative, dalla estensione delle lotte rivendicative, dalla radicalizzazione delle lotte rivendicative e anche dalle lotte rivendicative condotte con mezzi militari. È la lotta della classe operaia per il potere, per prendersi tutto il potere, per assumere la direzione di tutte le masse popolari e guidarle a costruire la nuova società, è la lotta per schiacciare la borghesia imperialista, è la lotta che la classe operaia conduce e può condurre solo se si dota degli strumenti necessari: il suo partito comunista, il fronte delle masse popolari diretto dalla classe operaia, le forze armate delle masse popolari dirette dal partito comunista.

Tonia Cannizzaro

 

 

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