Dibattito

Rapporti Sociali n. 26/27 - gennaio 2001 (versione Open Office / versione MSWord )

 

I contributi del Laboratorio Marxista al dibattito per la ricostruzione del partito

 

Il Laboratorio Marxista (LM) è una formazione nata, all'inizio dell'anno, dopo la fine della Confederazione dei Comunisti Autorganizzati (CCA). Opera in Versilia, e ha prodotto negli ultimi mesi due documenti importanti per il dibattito sulla ricostruzione del partito comunista italiano: uno è una raccolta di materiali documentari della CCA, l’altro è l’opuscolo che ha come titolo Seminare per raccogliere.(1)

La comparsa di documenti di questo genere riflette l’avanzamento nel processo di ricostruzione del partito. Finalmente abbiamo forze soggettive della rivoluzione socialista (FSRS) che fanno il bilancio della propria esperienza, che fanno un’autocritica e mettono a disposizione dei comunisti i documenti di due anni di attività e di lotta per portare la CCA ad impegnarsi per la ricostruzione del partito.(2) Il bilancio e l’autocritica sono elementi essenziali in questo lavoro di ricostruzione. Inoltre il LM utilizza categorie che i CARC hanno elaborato in base all’analisi materialista e dialettica dell’esperienza del movimento comunista internazionale. Questo è un elemento importante in un periodo in cui ogni FSRS ignora volutamente il lavoro altrui. Soprattutto, infine, il LM dichiara apertamente come compito centrale delle FSRS la ricostruzione del partito comunista italiano. Tutti questi elementi sono preziosi. La posizione di compagne e compagni del LM va considerata con attenzione. Allo scopo pubblichiamo in questo numero la premessa di Seminare per raccogliere ed il documento “Partito o confederazione” (novembre 1998) della Raccolta di materiali documentari sulla CCA. Inoltre esponiamo di seguito un commento sintetico rispetto alle posizioni espresse dal LM nei documenti segnalati, cercando per quanto possibile di considerare le varie questioni nel complesso e nei particolari.

Il documento Costituiamo un soggetto politico comunista del 9 dicembre 1997 poneva le basi per quella che si sarebbe costituita come Confederazione dei Comunisti Autorganizzati. Intervenimmo immediatamente al proposito,(3) riconoscendo l’importanza della proposta. Ponemmo una serie di domande ai firmatari del documento.(4) Quelle domande ponevano questioni che entro la CCA sono state oggetto di dibattito e di scontro: sulle risposte a tali domande si sono date differenze determinanti. La posizione odierna del LM si fonda sull’aver preso, in tale scontro, le posizioni giuste.

 

1. Tutta la documentazione è reperibile presso: Circolo Iskra, via IV novembre 51, 55049 Viareggio, http://CircoloIskra.freeweb.Org, e – mail CircoloIskra@lycosmail.com (per informazioni e contatti 0585.240988, 0584.92038, 0339.4505810).

 

2. Vedi il documento “Partito o confederazione”, pubblicato su questo numero di Rapporti Sociali.

 

3. Vedi Rapporti Sociali n. 19, agosto 1998, pp. 17-25.

 

4. Rapporti Sociali n. 19, pag.23.

 

5. Il partito è organizzazione rivoluzionaria, come è scritto nel documento, ma la sua funzione non si esaurisce nel fare la rivoluzione, se con ciò si intende conquistare il potere. Successivamente alla conquista del potere il partito deve mantenerlo attraverso la dittatura del proletariato e deve avanzare nella costruzione del socialismo. Il partito si definisce non solo e non tanto come organizzazione rivoluzionaria, ma come organizzazione che rappresenta la classe operaia e che attua gli interessi delle masse popolari, cosa che fa sia prima che dopo la rivoluzione intesa come conquista del potere.

 

Queste posizioni iniziano a definirsi già nel documento “Partito o confederazione?”. Il titolo è indicativo. L’estensore del documento (M.R.) si fa portavoce di chi reputa, giustamente, il partito come “forma dell’organizzazione  rivoluzionaria”(5) per eccellenza. Critica in modo compiuto coloro che ritengono la confederazione un punto d’arrivo, e non la fase di passaggio verso il partito vero e proprio. Costoro ritengono superata la “forma-partito” perché considerano l’esempio del PCI nella sua azione dal dopoguerra fino alla propria fine, cioè di un partito che ha seguito fino alle estreme conseguenze il percorso revisionista, che ha fatto di tutto, cioè, per autodistruggersi. Infatti la maggior critica alla “forma-partito”, la più pericolosa, sta all’interno e non all’esterno dello stesso partito, sta nell’azione della destra del partito, che intende fare arretrare dalla strada della rivoluzione e della costruzione del socialismo. A tale scopo il maggior successo è garantito dalla degradazione e dalla morte del partito, perché senza tale strumento né la rivoluzione è possibile né è possibile avanzare nella costruzione del socialismo: perciò i revisionisti all’interno del partito si comportano come parassiti che distruggono l’organismo che li ospita.

M.R. critica l’assenza di riferimento al revisionismo di chi giudica il partito come forma organizzativa superata, colloca la deriva revisionista nel periodo storico in cui si è determinata, riconosce e descrive l’elemento di fondo che condiziona questa fase storica, la crisi di sovrapproduzione di capitale. Meritano qui di essere sottolineati un paio di passaggi sui quali siamo completamente d’accordo. Si scrive: “Così come la vittoria dell’Ottobre si fondava dialetticamente sulla

sconfitta della rivoluzione del 1905, così come la Resistenza Antifascista si fondava dialetticamente sulla clandestinità del ventennio, allo stesso modo la rinascita del movimento comunista rivoluzionario in questo paese deve fare i conti con la sconfitta degli anni ’70 e non certo con il riformismo berlingueriano o bertinottiano”.

Più oltre si afferma che “sarebbe un errore credere che la crisi di per se stessa possa condurre ad una mobilitazione rivoluzionaria delle masse. Ma sarebbe un errore altrettanto e più grave se i comunisti non cogliessero l’aspetto principale della fase che non è la 'crisi ideologica del riformismo', ma la 'crisi economica del capitalismo'”.

Nei due passaggi sopra riportati si colgono due elementi fondamentali per la ricostruzione del partito. Uno è la considerazione del movimento rivoluzionario degli anni Settanta come momento con cui si “deve fare i conti”. Non è possibile ricostruire il partito comunista in Italia senza fare questi “conti”. Siamo quindi d’accordo con M.R. in merito alla questione. La sua definizione tuttavia è restrittiva: il movimento degli anni Settanta non si riduce alla sua sconfitta. Conteneva anche elementi positivi, pratiche nuove ed incisive,(6) che non sono state tali da evitare la sconfitta ma che sono il motivo per cui riteniamo necessario, appunto, “fare i conti”. Nell’altro passaggio si riconosce la crisi economica del capitalismo come aspetto principale della fase, e anche questo riconoscimento è essenziale per chiunque intenda lavorare alla ricostruzione del partito.

 

6. Ciò è riconosciuto nell’opuscolo Seminare per raccogliere, dove si parla, a proposito delle organizzazioni rivoluzionarie negli anni Settanta, sia di errori che di intuizioni (pag. 49).

 

Di seguito M.R., dopo aver svolto una critica al movimentismo, mette in chiaro la superficialità di coloro che si baloccano con il cosiddetto “pensiero unico”, lamentandosi del fatto che i comunisti non l’avrebbero, mentre i capitalisti sì, il che significa, secondo loro, che la borghesia la pensa tutta allo stesso modo, mentre in campo rivoluzionario non si riesce a mettersi d’accordo. Noi, comunque, siamo d’accordo con M.R. come dimostra ciò che scrivemmo proprio ai firmatari dell’appello Costituiamo un soggetto politico comunista. (7)

 

7. “…non esiste un 'pensiero unico del mercato'. Il 'pensiero' della borghesia imperialista, se si può parlare di qualcosa del genere, è un’accozzaglia di rappresentazioni e di opinioni senza fondamento ed in contraddizione l’una con l’altra, così come sono in contraddizione gli interessi che muovono i gruppi borghesi l’uno contro l’altro.” (Rapporti Sociali, n. 19, pag. 22).

 

8. Vedi Rapporti Sociali, n. 9/10, Sulla Situazione rivoluzionaria in sviluppo, pp. 31-43. Il carattere della situazione rivoluzionaria fu definito da Lenin. Mao Tse-tung sviluppò ulteriormente la definizione leninista.

 

Non condividiamo invece l’affermazione secondo cui saremmo in una condizione “né rivoluzionaria, né prerivoluzionaria”. L’autore dovrebbe chiarire qui cosa intende per condizione rivoluzionaria, dovrebbe cioè dire quali sono gli elementi che la producono, se intende per rivoluzione l’atto della conquista del potere o se intende qualcos’altro. Ciò che noi riconosciamo è la situazione rivoluzionaria in sviluppo,(8) e diciamo, in sintesi, che  all’evoluzione della crisi generale corrisponde lo sviluppo della situazione rivoluzionaria. Tale situazione non si determina in base alla capacità delle forze soggettive di attuare la rivoluzione o di tendere verso di essa. La situazione rivoluzionaria è una condizione oggettiva, in cui si dà la possibilità oggettiva di attuare il passaggio rivoluzionario, possibilità che può essere colta o no, in funzione dello sviluppo e adeguatezze delle condizioni soggettive.

Più oltre si dà un elenco delle condizioni per la ricostruzione del partito. Le condizioni esposte vengono indicate come necessarie, ma non si specifica quali siano le principali, né si dà per concluso l’elenco. È meglio essere precisi, in queste circostanze.(9) Diversamente si corre il rischio di perdersi nel lavoro attorno a condizioni inessenziali, o a vedersi metter davanti ulteriori condizioni, e mai iniziare il lavoro. L’esigenza di ricostruzione del partito oggi non è più cosa di alcuni individui che lavorano allo scopo per dimostrare qualcosa a se stessi, ma è una necessità oggettiva ed urgente.

L’opuscolo Seminare per raccogliere è un lavoro completo, che affronta cioè tutte le questioni in campo. Merita di essere letto e discusso.

 

9. Ad esempio entrando nel merito sulla validità o meno delle quattro condizioni definite dai CARC (vedi Engels/10-100-1000 CARC, pag…, Statuto dei CARC).

 

Nell’Introduzione si indica il materialismo storico come concezione del mondo del proletariato, e se ne espone la genesi: l’esperienza pratica ed il capovolgimento della dialettica hegeliana operato da Marx e da Engels ne sono gli elementi fondanti.

In questo capitolo in particolare interessa la critica ai cosiddetti “antagonisti” e a quelli che si dichiarano comunisti e non lo sono.(10) I comunisti veri e propri si distinguono da questa marmaglia per molti versi, ed uno sta nel bilancio che si fa del movimento rivoluzionario del Novecento, dei suoi avanzamenti e delle sue sconfitte. Questo bilancio è fondamentale per la ricostruzione del partito comunista in Italia. La necessità di questo bilancio fu posta già nel convegno di Viareggio del 1992 su “La resistenza delle masse popolari al procedere della crisi del sistema capitalista e l’azione delle forze soggettive della rivoluzione socialista”. La nostra rivista è intervenuta sull’argomento più volte.(11) La seconda Lotta Ideologica nell’organizzazione dei CARC ha avuto una sua prima espressione aperta proprio in merito a questioni del genere,(12) e tutto ciò indica la rilevanza dell’argomento. Compagni e compagne del LM pongono la questione già nell’introduzione del loro opuscolo, e fanno bene.

Nel capitolo dell’opuscolo sull’analisi della fase si parla della crisi di sovrapproduzione del capitale, di come si genera, di ciò che provoca. Riconoscere la crisi di sovrapproduzione come l’elemento determinante della fase è essenziale. Il LM parla di una crisi che è insieme di merci e di capitali. Senza entrare nel particolare, consideriamo che il dato determinante della crisi è la caduta tendenziale del saggio di profitto, cioè l’impossibilità progressiva di valorizzazione per il capitale. Ciò che genera la crisi non è la natura di merce della ricchezza, ma la sua natura di capitale. È per questo motivo, tra gli altri, che la rivoluzione socialista è superamento definitivo della crisi, perché toglie alla ricchezza la sua natura di capitale.(13)

 

10. Seminare per raccogliere, pag. 9.

 

11. Vedi Rapporti Sociali, nn. 5/6, 7, 8, 9/10, 11, 21, 22.

 

12. Rapporti Sociali, n. 21,“Per una discussione sull’esperienza della costruzione del socialismo”, pp. 17-22.

Rapporti Sociali, n. 22, Critica a “Per una discussione sull’esperienza della costruzione del socialismo”, pp. 23-30.

 

13. All’opposto non è detto che la rivoluzione socialista possa togliere immediatamente alla ricchezza la natura di merce, che cioè nello stato socialista si possa immediatamente abolire la compravendita di merci.

 

 Riconoscere la crisi come determinata dalla sovrapproduzione di capitale conduce poi ad individuare, appunto, quelle “conseguenze concrete che tale fatto – direttamente o indirettamente – determina”,(14) e di cui parla il LM. Anzi, dato che la crisi investe completamente e capillarmente ogni area del mondo, riconoscerne la natura ci fa comprendere il senso di tutto quello che accade e di quello che non accade, e soprattutto ci fa comprendere quelle conseguenze concrete che non si sono ancora verificate, che si danno come possibilità alternative, cioè la guerra o la rivoluzione, soluzioni che eliminano la crisi l’una perché distrugge il capitale in eccesso,(15) l’altra perché, come s’è detto, toglie alla ricchezza la natura di capitale.

 

14. Seminare per raccogliere, pag. 11.

 

15. “…la distruzione attiva delle forze produttive che una frazione dominante cerca di infliggere ad altre frazioni…è una delle soluzioni classiche delle fasi di crisi più acute del processo di accumulazione”. (Seminare per raccogliere, pag. 23). Il LM riconosce qui la soluzione che la borghesia dà alla sovrapproduzione di capitale. La distruzione delle forze produttive attraverso la guerra è infatti distruzione di capitale. La guerra elimina la classe operaia in “esubero” e spiana le fabbriche, oltre poi a distruggere anche ciò che è capitale non in forma di forza produttiva (denaro, merci).

 

Il LM tratterà più oltre queste soluzioni come conseguenze necessarie e tra loro in opposizione. Tratta ora delle condizioni che portano a tali conseguenze. “La crisi si manifesta, infatti, come sempre maggiore incapacità a mantenere il vecchio ordinamento sociale e come necessità del suo rivoluzionamento. Il malcontento popolare che viene alimentato dalla crisi e dalle misure repressive che conseguono… può prendere la direzione della mobilitazione rivoluzionaria o quella della mobilitazione reazionaria a seconda che siano i rivoluzionari o i reazionari a dirigere tale mobilitazione”.(16)

 

16. Seminare per raccogliere (SpR), pag.13. Più oltre (pag. 22) si scrive che “la crisi economica determina anche una crisi politica che si manifesta come sempre maggiore incapacità da parte degli organismi/istituzioni nazionali e internazionali a impedire e fronteggiare nuove manifestazioni di questa crisi e come incapacità a porvi rimedi efficaci e duraturi.” Questa incapacità a fronteggiare la situazione da parte della borghesia imperialista insieme al malcontento che esprime l’impossibilità da parte delle masse popolari di mantenere le condizioni di vita finora garantite, sono i due elementi che rendono la situazione rivoluzionaria, secondo la definizione che ne dà Lenin. Secondo questo criterio la situazione negli anni ’70, quando eravamo appena agli inizi della crisi, non era rivoluzionaria, ciò che si dice anche in questo opuscolo (pag. 12, nota 11).

 

17. SpR, pag. 18.

 

18. Rapporti Sociali, n. 17/18, pag. 63.

 

In Seminare per raccogliere si dedica spazio alla descrizione della natura della crisi, e la sintesi prodotta è utile. È molto importante indicare che lo stato attuale è determinato da una crisi oggettiva del capitalismo, e quindi da una condizione di debolezza della borghesia imperialista, quando tanta parte delle forze soggettive continua a pensare e a dire che la borghesia è più forte che mai e che si esprime in tutta la sua arroganza e infamia proprio perché si sente sicura di sé e priva di avversari.

Nella sintesi del LM non si definisce in modo preciso il carattere assoluto della crisi. Non tutti intendono che sia tale carattere assoluto a generare “un crollo tutto sommato a breve della catena imperialista o di qualche suo anello più debole”.(17) Il carattere assoluto della crisi sta nel suo generare “una trasformazione che nessuna forza può impedire”,(18) trasformazione che può avvenire in senso reazionario o in senso rivoluzionario, che può essere, appunto, o guerra o rivoluzione. Questa resta tuttavia tra le sintesi esposte dalle FSRS negli ultimi tempi la più completa, quella che espone posizioni notevolmente avanzate, tali da favorire il dibattito ad un livello alto. Questo giudizio vale per l’intera esposizione contenuta nell’opuscolo. Il carattere avanzato dell’analisi invita a specificare le differenze, il che è base per un ulteriore avanzamento. Al di là delle differenze, tuttavia, sono moltissime le identità di posizione tra quanto esposto  qui e altrove dal LM e quanto i CARC vanno elaborando dalla data della loro formazione.

Concordiamo, infatti, con quanto il LM dice in questo capitolo in merito al “movimento di Seattle”,(19) con la critica del concetto di “globalizzazione” che la borghesia di sinistra usa per “affossare la categoria marxista di imperialismo”(20), con l’affermazione dell’importanza del ruolo che gli stati nazionali mantengono.(21)

 

19. SpR, pag. 23.

 

20. SpR, pag. 27.

 

21. SpR, pag. 27. Infatti il lavoro da compiere oggi, per le FSRS italiane, è la ricostruzione del partito comunista italiano.

 

Sempre in questo capitolo, dove si tratta del quadro internazionale e in particolare della fine dell’URSS, si scrive: “La fine dell’URSS può essere salutata con favore solo da chi non comprende l’impatto epocale che essa ha avuto sulle larghe masse popolari in tutto il mondo”. Siamo i primi a valutare positivamente quell’impatto, e ci sforziamo continuamente di difendere il prestigio dell’URSS a fronte della propaganda borghese. Quel prestigio tuttavia è caduto in basso non solo a causa di quella propaganda, ma anche a causa dell’azione e della propaganda dei partiti revisionisti. Bisogna quindi distinguere entro la storia dell’URSS il periodo in cui il governo della nazione fu in mano ai revisionisti. In questo modo la causa del crollo diventa comprensibile.(22) Certamente l’assenza di un paese come l’URSS rende le cose molto più difficili per le masse popolari e per i comunisti in tutto il mondo, sia sul piano materiale che su quello spirituale, ma la situazione non è più negativa di quanto lo fosse prima della Rivoluzione d’Ottobre, quando mai la classe operaia aveva conquistato il potere, quando le masse popolari di tutto il mondo non pensavano nemmeno alla possibilità di un mutamento rivoluzionario quale quello che poi ci fu effettivamente. La fine dell’URSS viene salutata con favore perché è la fine del revisionismo moderno, naturalmente, e perché impone prima di tutto ai comunisti di assumere tutte le responsabilità necessarie allo svolgimento dei loro compiti. Senza questa fine ci saremmo trascinati a tempo indeterminato nel pantano dell’opportunismo, della confusione, dell’irresponsabilità che domina il campo sia di chi si definisce comunista sia delle forze soggettive dalle più moderate alle più estreme.

 

22. Per l'analisi della fase di sviluppo del socialismo e la fase di regressione ad opera dei revisionisti moderni si rimanda a quanto detto nel PMP, paragrafo 1.7, pagg. 41-54.

 

Nel terzo capitolo dell’opuscolo (“La lotta tra capitale e lavoro e la ristrutturazione capitalistica”) il LM scrive: “Nel corso degli anni ’80, cioè con l’affermarsi di nuovi rapporti di forza a livello internazionale tra borghesia e proletariato, si sviluppa un processo di smantellamento delle conquiste sociali strappate durante gli anni di espansione economica”.(23) Tutto ciò avviene con l’indispensabile complicità dei sindacati di regime. Riportiamo questo passaggio perché qui si dà completa identità di vedute da parte nostra. In generale tale identità si mantiene per massima parte di quanto scritto nel capitolo. Riteniamo che si dia troppo peso al fatto che le masse popolari sono condizionate dai partiti revisionisti. Le ultime tornate elettorali in Italia indicano una caduta di consensi generale nei confronti di tutti i partiti, ma in particolare di quelli di centro-sinistra. A questo si accompagna il calo della "militanza" dei lavoratori e delle masse popolari (diminuzione del numero di iscritti e militanti, di sedi, di prestazioni gratuite, ecc.) nei partiti e nelle organizzazioni della sinistra borghese e riformista. Il LM parla invece di rafforzamento “del controllo ideologico sulla classe operaia da parte delle direzioni riformiste.”(24) Se questo avviene ancora, la causa sta nell’assenza di un partito comunista.(25) In tale condizione la classe operaia si orienterà necessariamente verso la sinistra riformista, che è “meno peggio”, o verso la destra.

 

23. SpR, pag. 32.

 

24. SpR, pag. 36.

 

25. Lo stesso LM afferma quanto stiamo scrivendo qui più oltre (SpR, pag. 43), dove parla della caduta di  consensi delle masse popolari per la sinistra borghese, della mancanza di un punto di riferimento qual è il partito, del fatto che se il partito manca la responsabilità è dei comunisti.

 

L’assenza di un partito comunista è problema che compete esclusivamente alle forze soggettive. Il LM parla di “crisi politica del movimento operaio” e di “crisi politica del movimento comunista rivoluzionario”, dicendo che “crisi politica del movimento operaio e crisi politica del movimento comunista sono fattori dialetticamente correlati, nel senso che l’uno è al tempo stesso causa ed effetto dell’altro.”(26) I fattori sono indubbiamente correlati in modo dialettico, e quindi sono ognuno contemporaneamente causa ed effetto. Bisogna però precisare quale è principalmente causa, e quale principalmente è effetto. Nel caso nostro sicuramente l’attuale condizione materiale e politica del movimento operaio rende difficile il processo di ricostruzione del partito, ma è principalmente l’arretratezza nella ricostruzione del partito causa della condizione del movimento operaio. L’arretratezza nel processo di ricostruzione del partito poi non è dovuta tanto alla condizione politica del movimento operaio, ma è problema tutto interno alle forze soggettive. Se siamo deboli, dunque, significa che stiamo compiendo alcuni errori di fondo, che abbiamo alcuni limiti superati i quali il percorso sarà più agevole.(27) La riscossa, insomma, parte da noi.

 

26. SpR, pag. 11.

 

27. Abbiamo qualche difficoltà, tuttavia, ad adoperare termini come “movimento operaio” e “movimento comunista” perché non sappiamo bene a cosa si riferiscono. È il termine “movimento” che ci confonde, dato l’uso improprio che se ne è fatto da troppo tempo. Diciamo che esiste una classe operaia, che si trova in una condizione di crisi oggettiva e soggettiva, che all’interno di tale classe esistono operai avanzati (forse il LM intende l’attività di questo settore avanzato come “movimento”), che esistono poi forze soggettive della rivoluzione socialista, molte delle quali impegnate nel processo di ricostruzione del partito comunista (forse il LM intende questo come “movimento comunista”).

 

Il capitolo sulla lotta tra capitale e lavoro si conclude così: “Per non dover ripercorrere a ritroso tutta la china verso il 'medioevo del mondo del lavoro' è necessario sostenere ogni più piccola forma di resistenza che il proletariato oppone al tentativo di riportarlo a quel 'medioevo'. E in questo compito le forze soggettive devono essere in prima fila per trasformare la resistenza spontanea e isolata in difesa organizzata.”(28) Qui c’è molto che allude all’atto di nascita di un’organizzazione come i Comitati d’Appoggio alla Resistenza - per il Comunismo, come si può comprendere dal nome stesso e la linea generale che hanno indicato per la fase: “unirsi senza riserve alla resistenza che le masse popolari oppongono al procedere della seconda crisi generale del capitalismo, appoggiarla, promuoverla, organizzarla e far prevalere in essa la direzione della classe operaia trasformandola così in lotta per il socialismo e adottare la linea di massa come principale metodo di lavoro e di direzione”. Il comunismo di cui si parla nasce come trasformazione di quella resistenza, come indirizzo politico per quella resistenza. Quella resistenza trova nel comunismo il suo credere e il suo organizzarsi. Naturalmente, qui come altrove, il LM non sta dicendo l’identica cosa che dicono i CARC, però ciò che i due organismi dicono è molto vicino. Si dà tra forze soggettive una vicinanza molto superiore a quella fino ad oggi sperimentata (almeno da noi) e questo ci fa contenti.

Il capitolo quarto, sul ruolo delle forze soggettive nella ricostruzione del partito comunista, si apre con questa constatazione: “Il tentativo di dare alla crisi capitalistica uno sbocco indolore si rivela sempre di più per quello che realmente è: una pura illusione. È sempre più evidente – malgrado di questo non esista ancora una larga percezione – che alla crisi del capitale non possono che seguire due soluzioni: la guerra imperialista o la guerra rivoluzionaria”.(29) Il nuovo partito comunista italiano si forma in una situazione che si muove verso l’una o l’altra di quelle soluzioni, e la sua ricostruzione si compie adeguatamente a tale situazione.

 

28. SpR, pag. 40.

 

29. SpR, pag. 41.

 

 Già costruire un partito preparato ad affrontare la guerra pone una differenza incolmabile tra l’azione dei comunisti e l’azione della sinistra borghese e riformista. Allo stato attuale la sinistra borghese conduce una politica di attacco alle conquiste delle masse popolari allo stesso modo della destra. Si presenta come “meno peggio” ma, dice il LM, “la politica del meno peggio conduce necessariamente al peggio”,(30) e non possiamo che essere d’accordo, visto che abbiamo scritto la stessa cosa sui nostri manifesti e sui nostri fogli d’informazione.

Le masse popolari ritirano la loro fiducia alla sinistra borghese. L’abbiamo detto più sopra e lo dice anche qui il LM,(31) specificando che la sfiducia nella sinistra borghese non si traduce spontaneamente né immediatamente in fiducia nei comunisti se i comunisti non riescono ad assolvere il loro compito fondamentale, la ricostruzione del partito. Queste affermazioni sono del tutto giuste. Altrettanto giusto è quanto detto oltre, che il partito non solo è lo strumento indispensabile per la trasformazione, ma pure per la difesa delle conquiste esistenti, e che l’unità che si realizza come partito (la forma di unità più alta e solida) “deve basarsi sulla condivisione di alcuni capisaldi teorici fondamentali e su una pratica di comune impegno politico.”(32) Quanto al Partito della Rifondazione Comunista, di cui qui si parla, compagne e compagni del LM lo conosceranno meglio di noi, dato che vi hanno transitato. Notano giustamente che tale partito continua a dichiararsi comunista perché così raccoglie il consenso di tutti coloro che in Italia non intendono omologarsi e di tutti coloro che si considerano comunisti. Secondo noi i risultati elettorali del PRC hanno l’unico aspetto positivo nell’indicare che un’importante parte delle masse popolari italiane, nonostante la deriva a cui li hanno condotti i revisionisti moderni e il bombardamento della propaganda anticomunista, continua a riferirsi al comunismo come progetto organizzativo ed ideale. Se il PRC smettesse di chiamarsi comunista sparirebbe.

 

30. SpR, pag. 42.

 

31. SpR, pag. 43. Vedi anche nota 21.

 

32. SpR, pag. 44.

 

33. SpR, pag. 48.

 

Il partito deve essere un partito di quadri e di militanti, e non un partito-massa, si scrive. Il partito “deve essere espressione della consapevolezza che non esiste alcuna via pacifica al socialismo.”(33) Tuttavia “l’ineluttabilità dello scontro militare-rivoluzionario non deve tuttavia essere confusa con l’adozione della guerriglia come forma di propaganda e come strategia per l’accumulo delle forze [cosa che è] sintomo di una visione eroico – idealistica del mondo e, in definitiva, di un’intima insofferenza per le 'resistenze' offerte dalle masse alla loro opera di convincimento”.(34) Questa è una precisa critica della deviazione militarista, a cui segue una dichiarazione sui prigionieri rivoluzionari: “…la difesa dei prigionieri rivoluzionari e la solidarietà nei loro confronti è uno dei compiti fondamentali di ogni comunista… [e]…ogni iniziativa di solidarietà verso i prigionieri politici deve essere sostenuta ed amplificata dagli altri comunisti, così come deve essere sostenuta ogni iniziativa che faccia conoscere la storia e l’esperienza delle organizzazioni rivoluzionarie, i loro errori e le loro intuizioni.”(35) Non possiamo che ringraziare compagne e compagni del LM per queste affermazioni, che ci rafforzano nell’iniziativa da noi svolta nei decenni a sostegno dei rivoluzionari prigionieri.

 

34. SpR, pag. 48.

 

35. SpR, pag. 49.

 

Non comprendiamo invece le affermazioni fatte più oltre, quelle secondo cui la classe operaia, per esistere deve distinguersi e porsi in relazione alle altre, deve cioè avere qualche coscienza di sé. La classe esiste oggettivamente, indipendentemente dal fatto che si qualifichi come soggetto a se stante rispetto ad altro. L’atto con cui la classe dichiara  di avere coscienza di sé non è la somma dell’evoluzione delle molte coscienze che compongono la classe, (dei molti operai). La coscienza della classe è il partito comunista. Oggi dire che la classe non ha coscienza di sé è lo stesso che dire che la classe operaia non ha un proprio partito.

La necessità della critica al revisionismo, al dogmatismo, al gruppismo,(36) svolta nell’opuscolo alle pagine 51 e 52 ci trova perfettamente d’accordo. Altrettanto vero è quanto si scrive nella pagina successiva sulla relazione tra teoria e pratica e sulle deviazioni date dal privilegiare l’una a totale scapito dell’altra (dogmatismo e movimentismo). È inoltre estremamente importante che si parli qui di ricostruzione del partito, e non di costruzione o di ricostituzione. Ciò comporta, com’è spiegato, che il nuovo partito da un lato non parte da zero, ma fa tesoro dell’esperienza del primo PCI, dall’altro si forma contro ed oltre quegli errori e quelle deviazioni che hanno portato alla fine di quel partito.

 

36. Per la critica al gruppismo si veda Rapporti Sociali, n. 19, pp. 3-5.

 

C’è da discutere sull’affermazione secondo cui il partito può nascere solo dall’aggregazione o dalla fusione di singole organizzazioni di compagni, cosa di cui compagne e compagni del LM sono convinti. Infatti scrivono in una lettera indirizzata al CARC di Firenze: “Sostenete che la forma aggregativa è sbagliata, punto e basta. Eppure non potete negare che il primo partito marxista russo, il POSDR, nato nel 1898, fosse concepito su base aggregativa, che fino al secondo congresso (1903) i delegati fossero sostanzialmente espressi in quanto rappresentanti di gruppi (Bund, Iuzny Rasoci, Raboceie Dielo, Iskra…) tanto è vero che tali gruppi furono sciolti, appunto, durante il secondo congresso. Il Che fare? non fu proprio l’elaborazione che Lenin offrì al dibattito nel tentativo di dare al partito una forma più organizzata? Il centralismo democratico non fu proprio la proposta che gli 'iskristi' formularono per superare la forma organizzativa che il partito aveva adottato per ben 5 anni?”. Ci occupiamo di questo passaggio importante nella storia del movimento comunista nel numero 9 di Resistenza (settembre 2000), nell’articolo “Dal primo al secondo congresso del POSDR: nasce il partito bolscevico”. Qui leggiamo: “Il primo congresso del Partito operaio socialdemocratico della Russia (POSDR) fu convocato a Minsk nel marzo del 1898 e vi parteciparono alcune “Unioni di lotta”, quelle che si erano costituite a Pietroburgo, Mosca, Kiev e Iekaterinoslav, e il Bund, ovvero l’organizzazione socialdemocratica ebrea. Questo atto rappresentava la volontà di passare dalla propaganda svolta dai vari circoli e gruppi marxisti della Russia al collegamento con il movimento operaio. I delegati presenti al primo congresso erano soltanto nove: il partito non nasceva come scissione da un’organizzazione preesistente (come ad esempio i partiti comunisti degli anni ’20) e quindi il nucleo fondatore era piuttosto ridotto. Lenin non era presente in quanto in quel tempo era deportato in Siberia. Il primo congresso proclamò costituito il partito, sebbene esso non fosse ancora una realtà. I circoli e le varie organizzazioni marxiste non erano ancora unite da vincoli organizzativi. Non vi era ancora una linea, un programma, uno statuto comune. Il Comitato Centrale eletto dal congresso venne quasi subito arrestato e il partito rimase senza un centro di direzione. La mancanza di un legame tra le varie organizzazioni marxiste russe portava un inevitabile sbandamento ideologico tra i militanti locali e creava le condizioni per lo sviluppo di quella corrente opportunista di subordinazione alla borghesia che va sotto il nome di economicismo, ovvero della limitazione delle lotte operaie al solo campo economico, senza l’obiettivo del potere politico. Questo spinse, primo fra tutti Lenin, a costituire un centro ideologico e organizzativo del movimento rivoluzionario russo. A tale scopo venne fondato nel dicembre del 1900 il primo giornale dei marxisti rivoluzionari russi: l’Iskra. Con la pubblicazione dell’Iskra e la diffusione delle sue tesi si voleva unificare ideologicamente e organizzativamente i vari gruppi e circoli isolati in un vero unico partito operaio socialdemocratico russo.” La forma aggregativa dunque, una volta adottata, fu sottoposta ad una critica immediata, e di tale critica facciamo tesoro. In ogni caso l’esclusione dell’aggregazione come strumento per la formazione del partito è sbagliata. Questo è uno strumento che può essere necessario per portare a compimento determinati passaggi. In generale  il partito invece si definisce non come unità di molti, ma come unità di due linee, che sono tra loro in opposizione,(37) cosa che si verificò anche per il POSDR abbastanza presto dopo la prima esperienza aggregativa.

 

37. Una linea è per la ricostruzione del partito e per il suo rafforzamento, l’altra è contro tutto questo, una linea è per l’avanzamento verso il socialismo, l’altra è per l’arretramento, una linea è rossa, l’altra è nera. La stessa CCA, aggregazione di molte forze, ha avuto uno sviluppo governato dalla contraddizione tra le due linee, una per la ricostruzione del partito, l’altra contraria.

 

La parte finale del capitolo sul partito tratta del sindacato di classe, del blocco sociale anticapitalista, e infine del programma dei comunisti. Molto di quanto viene detto è condivisibile, e compagne e compagni del LM hanno una competenza in alcune materie (ad esempio, sull’analisi dell’azione sindacale) che non è da tutti. Quanto al programma, senza entrare nei particolari, riteniamo giusto dire che nessuna organizzazione oggi può scrivere un programma del partito. Il programma, infatti, lo può scrivere solo il partito, che comunque avrà il lavoro facilitato se le varie organizzazioni lavoreranno in anticipo sulla questione. Questo è il motivo per cui la Segreteria Nazionale dei CARC ha elaborato un Progetto di Manifesto Programma per il Nuovo Partito Comunista Italiano, ed ha aperto una tribuna nella nostra rivista che accoglie i contributi più vari ai fini di produrre il lavoro più completo possibile, e più adeguato alle esigenza del partito che verrà formato. Il lavoro della SN dei CARC corrisponde sia alla esigenza di definire un programma sia alla necessità che tale programma sia dato in forma aperta, cioè come progetto. La SN si è applicata a questo lavoro dopo avere in molti modi fatto appello alle varie forze soggettive perché ci si applicasse ad un impegno che è così essenziale, e dopo che tale appello è rimasto inascoltato per anni. Sulla questione del programma si continua a ribattere dai primi numeri della rivista Rapporti Sociali, tra l’altro. E infine proprio su questa questione si è scatenata una lotta ideologica all’interno della nostra organizzazione, e la Segreteria Nazionale è stata criticata perché avrebbe voluto anteporre l’elaborazione e lo studio del Progetto di Manifesto-Programma all’iniziativa pratica del momento, che nel caso era l’attacco Nato alla Jugoslavia. L’iniziativa sul programma, come si vede, non è un parto facile.

In quest’ultimo capitolo e nelle conclusioni sono moltissimi i punti sui quali si può sviluppare una discussione ed un’analisi interessante per entrambe le parti. In particolare tutto il capitolo sul partito è di interesse grande. Non entriamo ulteriormente nei particolari, visto che ci siamo dilungati abbastanza e ci saranno sicuramente altre occasioni per farlo. In generale, quanto esposto nei documenti che il LM ha elaborato, permette alle FSRS di sviluppare a un livello superiore la comprensione reciproca, la verifica delle linee e dei criteri in vista del comune obiettivo, la ricostruzione del partito comunista. L’obiettivo che sia il LM, i CARC e le altre FSRS di sinistra dichiarano apertamente come prioritario. Aiutano le FSRS di sinistra a comprendere che senza una base ideologica e politica comune e giusta, ogni tentativo di unirsi in partito è condannato all'insuccesso. Lo sviluppo di una pratica comune definirà la relazione in modo più ricco di quanto non possa fare il confronto teorico, e tutto questo farà bene al lavoro di ricostruzione del partito comunista italiano.

 

 

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