Comunisti che non parlano di comunismo

Rapporti Sociali n. 30 - giugno 2002 (versione Open Office / versione MSWord)

 

In Toscana si sta lavorando da qualche mese alla costituzione di una nuova aggregazione, i Comitati Antimperialisti e Antifascisti Toscani. Pubblichiamo il loro Documento di costituzione del coordinamento promotore, testo a cui facciamo precedere questo nostro commento.

Il Documento di costituzione del coordinamento promotore ha un limite generale, da cui discendono tutti i limiti particolari (di cui esporremo un campione): non si fa il minimo accenno al comunismo (e meno che mai alla struttura organizzativa che al comunismo dà concretezza, il partito comunista). Il silenzio su una tale questione è assordante: come si può non fare accenno alla questione del comunismo, soprattutto se si utilizzano alcune delle sue categorie analitiche, se si difendono queste sue categorie a fronte dell’ideologia borghese che oggi più di ieri vorrebbe destituirle di fondamento? A questo ragionamento astratto se ne accompagna uno concreto. I Comitati antifascisti e antimperialisti toscani dovrebbero essere l’esito di un progetto politico e organizzativo partito da una riunione pubblica svoltasi nel dicembre del 2001 a Firenze, cui presero parte molte FSRS, tra le quali citiamo redattori di Nuova Unità, gli organizzatori di un “Corso di formazione per comunisti”, i membri della redazione di Politica Comunista. Tutti questi soggetti prendono parte all’attuale esito del progetto, vale a dire, partecipano all’elaborazione di questo Coordinamento promotore? Se sì, come mai tutti questi comunisti vanno alla caccia di ogni sinonimo pur di non pronunciare la parola “comunismo”?

Il problema è il solito: si evita di mettere in campo la questione del comunismo (e la necessità della ricostruzione del partito) perché si pensa che per le masse sia questione di troppo alto livello, che sia cosa da trattare al proprio interno. Dubitiamo che poi al proprio interno la si possa trattare effettivamente, o almeno che la si possa trattare all’interno di un organismo come questo Coordinamento promotore. Infatti, all’interno di questo Coordinamento convivono posizioni profondamente differenti, il cui unico modo per non entrare in contrasto sta nell’evitare il contatto. L’esito del dibattito interno quindi non tratta del comunismo e del partito, di quanto è, cioè, al livello più alto, e si mantiene ad un livello basso non solo perché si reputa (sbagliando) che comunismo e partito sono cose che alle masse non interessano. L’esito è basso perché al proprio interno la differenza di posizioni costringe a trovare un accordo sul minimo denominatore comune. In questo caso tali denominatori sono l’antifascismo e l’antimperialismo, denominatori che hanno, come capita sempre, la qualità negativa di essere soltanto “contro” qualcosa e non “per” qualcosa d’altro. Alle masse popolari tutto questo interessa minimamente. Le masse si possono unire soltanto per il comunismo, e concretamente, oggi, nel processo di ricostruzione del partito comunista. Altrettanto vale per le FSRS, che dibattendosi in eterno alla ricerca di soluzioni alternative non possono che produrre intergruppi, organismi dove ci si ritrova non per portare avanti un proprio progetto, da noi scelto e condotto con i tempi che richiede, ma per rispondere agli attacchi della borghesia, che sceglie modi e tempi d’azione.

Non diciamo che questo documento manchi di accenni positivi. Il negativo è che sono solo accenni, e sparsi in modo tale da risultare inutili o anche snaturati dallo sforzo di non chiamare le cose con il loro nome.

Al primo punto della Piattaforma si dice: “I fenomeni della globalizzazione scaturiscono dall’imperialismo, di cui è necessario cogliere i caratteri odierni e le trasformazioni.”. Il termine “globalizzazione” è usato al posto del termine “imperialismo”, in generale, da tutti coloro che propagandano quest’ultimo come una categoria antiquata, appartenente al “vecchio armamentario ideologico del movimento comunista”.

Il Coordinamento promotore vorrebbe difendere l’utilizzo di questa categoria ma lo fa male, dicendo che “la globalizzazione scaturisce dall’imperialismo”, come se fosse un suo sottoprodotto e glissando sul fatto che il termine è utilizzato in funzione di propaganda anticomunista. Solo più oltre si riconosce l’uso ideologico del termine “globalizzazione”, quando si parla dell’“imperialismo odierno, cosiddetto globalizzato”.

 Al quarto punto della Piattaforma si parla di recessione e guerra, ma non si indica la natura del legame tra i due fenomeni, cioè del fatto che la recessione è fenomeno prodotto dalla crisi di sovrapproduzione di capitale e che questa crisi, finché la borghesia imperialista è classe dominante, conduce alla guerra.

Al sesto punto sta scritto: “Nella storia la competizione tra Stati imperialisti ha partorito ben due guerre mondiali e probabilmente la deterrenza nucleare ha contribuito ad evitare la terza in tempi di ‘guerra fredda’. Oggi si tratta di vedere qual è e come si evolve l’ordine internazionale dopo il crollo dell’URSS. In questo nuovo secolo comunque si affaccia la minaccia di un nuovo conflitto mondiale”. Non è la competizione tra Stati imperialisti che ha partorito le guerre mondiali, ma la crisi di sovrapproduzione di capitale. Oggi non “si tratta di vedere qual è e come si evolve l’ordine internazionale dopo il crollo dell’URSS”, ma di prepararsi per contrastare la tendenza alla guerra generata dall’attuale crisi. La tendenza alla guerra è ridotta ad una “minaccia” secondo i CAAT, cioè a qualcosa che può essere o non essere.

Eduardo de Filippo nelle vesti di “sindaco del rione Sanità” (nell’omonima commedia) avverte il suo amico medico che se questi se ne andrà in America troverà chi lo aspetta (per farlo fuori). Il medico risponde inviperito: “Questa è una minaccia!”. De Filippo risponde che i mezzi uomini minacciano, e si vede che sono mezzi per il fatto che alle loro minacce non necessariamente seguono fatti. L’avvertimento invece indica qualcosa che accadrà necessariamente (e De Filippo amichevolmente avverte il medico che, se lo abbandonerà, i suoi amici per necessità dovranno farlo fuori).

All’undicesimo punto, si dice che l’attuale involuzione verso regimi autoritari manifesta “l’analogia con gli anni tra le due guerre mondiali”. Ciò che appare come analogia sta nel fatto che in quel periodo, come oggi, le condizioni politiche sono determinate dalla crisi di sovrapproduzione di capitale. Si tratta cioè non di analogia ma di fenomeni che hanno la stessa causa.

Al dodicesimo punto si scrive che “solo la denuncia di questa sinistra può rilanciare le lotte per la pace, la giustizia sociale, la democrazia, la libertà e il progresso, che altrimenti risultano impotenti e sterili”. La denuncia di “questa sinistra”, termine con cui si indicano le putrefazioni e le macerie del neorevisionismo, è cosa che si fa da quando il PCI imboccò la strada che avrebbe portato alla sua dissoluzione, cioè da almeno cinquant’anni a questa parte, ed è una denuncia che non ha mai rilanciato nulla. Ciò che serve, in questo caso e in ogni caso, non è la denuncia. Alle masse non serve sapere che chi li rappresenta è un infame. Ciò che serve è essere rappresentate da un partito comunista vero.

Più oltre leggiamo che “occorre una nuova resistenza, cioè la ripresa del conflitto sociale e di classe per una nuova e autentica democrazia che dia sbocco al protagonismo e alle esigenze dei lavoratori e delle masse popolari”. Anche qui vale quanto detto sopra. Ciò che occorre è un partito che lotta per la conquista del potere e per l’instaurazione di una società socialista.

Queste poche citazioni stanno a dimostrare la fragilità di questo ennesimo tentativo di aggregazione. La timidezza con cui si affronta il tema della crisi è palese. Gli autori del Documento promotore non si sono avvalsi delle analisi svolte da Raffaele Picarelli entro il “Corso per la formazione dei comunisti” in questi anni a Firenze, dove si dimostra l’esattezza delle tesi esposte in Rapporti Sociali,(1) che indicano questa come crisi di sovrapproduzione di capitale. D’altra parte quelle stesse analisi si prestano a rimanere confinate entro il campo dell’analisi economica, perché esse stesse in tale campo si confinano. Se si facesse un ragionamento scientifico, che componesse i particolari nell’insieme generale, che unisse la teoria con la pratica, se si ricercasse un’unità organica e non l’accostamento eclettico, si inizierebbe a intravedere un risultato, una via d’uscita. Compagni, presentiamo alle masse qualcosa di concreto. È un dovere, per noi. E infine, alziamo la bandiera del comunismo. Chi lo deve fare, se non noi?

 

Vai al testo del  Documento di costituzione del coordinamento promotore

 

1. Vedi: La crisi attuale: crisi per sovrapproduzione di capitale (Rapporti Sociali n. 0), Ancora sulla crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale (Rapporti Sociali n. 5/6), Marx e la crisi per sovrapproduzione di capitale (Rapporti Sociali n. 8), La seconda crisi generale per sovrapproduzione di capitale (Rapporti Sociali n. 12), Per il dibattito sulla causa e sulla natura della crisi attuale (Rapporti Sociali n. 17), Il procedere della seconda crisi generale del capitalismo (Rapporti Sociali n. 20).

 

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