DIBATTITO
Sei punti per l’analisi di classe

Rapporti Sociali n. 30 - giugno 2002 (versione Open Office / versione MSWord)

 

Brutta cosa è contrapporre al ragionamento e all’analisi della realtà, il luogo comune, il comune sentire, l’opinione corrente o il pregiudizio. Tutto ciò è importante e merita di essere preso in esame, per chiedersi se riflette una realtà ancora non compresa dalla ragione ma che si impone nell’esperienza. Per chiedersi quale è la sua origine. Ma il saggio non fa di esso la prova della verità. (Sun Tzu)

 

“Fare una politica di classe” è un principio della politica comunista e sempre più deve guidare ogni aspetto del nostro lavoro. Esso significa che gli ordinamenti e le istituzioni politiche attuali non esistono a caso o per errore ma perché rispondono agli interessi della borghesia imperialista e sono difesi da essa. Esso significa che la loro eliminazione può avvenire solo per opera delle classi i cui interessi sono in contrasto con quelli della borghesia imperialista e lottando contro di essa: ogni promessa di trasformazioni sostanziali ad opera dell’attuale classe dominante e senza una lotta accanita contro di essa è ciarlataneria, illusione o inganno. Esso significa che, tra tutte le classi, quella che nella società attuale ha le caratteristiche necessarie per assumere la loro direzione in questa lotta contro la borghesia imperialista è la classe operaia.

“Fare una politica di classe” è un principio che deriva dalla concezione comunista del mondo e deve permeare le nostre analisi, la nostra propaganda, il lavoro per la ricostruzione del partito comunista, il nostro lavoro di massa. Fare la stessa propaganda, fare lo stesso lavoro organizzativo e di mobilitazione verso classi diverse è in generale una violazione di questo principio e causa della inefficacia del nostro lavoro. Le motivazioni ideali e morali di individui e gruppi sono certo anch’esse importanti, ma esse sono tanto più solide e quindi possiamo far leva su di esse tanto più quanto più sono conformi ai loro interessi e alla loro esperienza pratica. Fare attività politica di massa senza analisi di classe è lavorare alla cieca, senza conoscere le persone a cui ci rivolgiamo. Solo tenendo conto degli interessi specifici che oppongono ogni singola classe delle masse popolari alla borghesia imperialista e lo stato in cui si trovano le sue contraddizioni di classe possiamo riuscire a mobilitarla nella comune lotta contro la borghesia imperialista. È questa la via per trasformare i differenti contrasti oggettivi di interessi che dividono tutte le classi delle masse popolari dalla borghesia imperialista, nel contrasto principale della lotta politica, relegando in una posizione secondaria tutti gli altri contrasti che invece la borghesia e i gruppi da essa influenzati cercano di mettere in primo piano.

Che l’attuale ordinamento della società debba cambiare è una percezione sempre più diffusa, che si mostra in ogni angolo del mondo, da New York a Buenos Aires, da Genova all’Afghanistan. È invece ancora poco diffusa una giusta comprensione della natura del cambiamento e di quali sono le forze motrici del cambiamento. D’altra parte la società sta cambiando anche se noi non siamo capaci di metterci alla testa del cambiamento. Le classi dominanti non riescono più a governare il mondo attuale con gli ordinamenti in vigore e con le istituzioni ereditate e si illudono di trovare la propria salvezza nella restaurazione degli ordinamenti spazzati via dalla prima ondata della rivoluzione proletaria. Esse cercano di imporre alle classi e ai popoli oppressi una diffusa e generale regressione ad essi benché in realtà essi siano oggi ancora meno compatibili con le condizioni oggettive di quanto lo fossero cento anni fa. Le classi e i popoli oppressi non possono sopportare gli ordinamenti e le istituzioni attuali. Tanto meno possono accettare di regredire a quelli anteriori alla prima ondata della rivoluzione proletaria. Questo è un dato di fatto, benché il fallimento del primo “assalto al cielo”, che hanno condotto durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, sintetizzato nel crollo del  campo socialista, abbia sconvolto e disorientato le loro fila. Al momento il risultato è che ogni idealista dice quale trasformazione secondo lui gli uomini dovrebbero introdurre per risolvere i loro problemi. In realtà la società attuale ha già in sé gli elementi necessari alla soluzione dei suoi problemi ed essi definiscono anche la natura della soluzione, come un uovo fecondato ha in sé quanto determina la sua futura natura.(1) Essa può e deve andare verso l’instaurazione del socialismo; solo la classe operaia può essere la forza motrice di questo cambiamento e per realizzarlo essa deve mobilitare contro la borghesia imperialista tutte le classi che la loro condizione attuale spinge al cambiamento. Quanto più rapidamente, chiaramente e consapevolmente le masse popolari imboccheranno questa strada, tanto meno disperderanno le proprie energie in tentativi vani, tanto meno facile sarà alla borghesia imperialista promuovere la mobilitazione reazionaria delle masse, le guerre di rapina contro i popoli dei paesi semicoloniali e la guerra interimperialista, tanto meno distruttivo e doloroso sarà per le masse il cambiamento.

 

1. Le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS) che la borghesia imperialista stessa deve continuamente mettere in campo per mediare col carattere collettivo delle forze produttive e dell’attività economica, mostrano quale sarà il futuro che sorgerà dall’attuale società e creano anche alcuni elementi costitutivi di esso.

 

2. Articoli di Rapporti Sociali dedicati all’analisi di classe: n. 26/27 (2001) pag. 48 Sulla questione dell’analisi di classe M.M. e pag. 52 La classe operaia (da Resistenza n. 2 - 5 del 2000); n. 25 (2000) pag. 13 Fondere in una unica lotta di classe per il comunismo (Tonia Cannizzaro); n. 23/24 (2000) pag. 42 Sulla questione dell’analisi di classe (DS - MI); n. 22 (1999) pag. 8 La classe operaia deve prendere la direzione del resto delle masse popolari (Enrico L.); n. 20 (1998) La composizione di classe della società italiana e Come parlano le classi; n. 14/15 (1994) Per l’analisi di classe; n. 12/13 (1992) Il campo della rivoluzione socialista: classe operaia, proletariato, masse popolari; n. 5/6 (1990) Per un’inchiesta collettiva sulle modificazioni nel processo di produzione e riproduzione ecc.; n. 3 (1989) L’analisi delle classi in cui è divisa la società borghese.

 

È quindi indispensabile che noi comunisti individuiamo in modo giusto la classe operaia che deve prendere la direzione della lotta, quali sono le altre classi che per i loro propri e attuali interessi essa può mobilitare nella sua lotta per il socialismo, quali sono le classi che per i loro attuali interessi si oppongono all’instaurazione del socialismo.

Rapporti Sociali ha dedicato già alcuni articoli all’analisi di classe della società italiana e ai criteri per condurla.(2) Il Progetto di Manifesto Programma ha dedicato (pag. 89) un certo spazio ad essa e ha indicato che la società italiana si divide in quattro grandi raggruppamenti: tre (classe operaia, altri classi proletarie, altre classi delle masse popolari) appartenenti al campo delle masse popolari e uno che costituisce il campo della borghesia imperialista. Per fare una politica di classe occorre sia definire via via in modo più chiaro i contorni di ognuno dei quattro grandi gruppi sia individuare via via le più importanti divisioni di interessi e quelle culturali che ci sono in ognuno di essi. Solo così potremo distinguere le divisioni (culturali) che si possono eliminare con un lavoro politico dalle divisioni che spariranno solo con la trasformazione pratica della società ed elaborare delle linee differenziate adatte alla mobilitazione delle classi e dei gruppi nelle varie situazioni.

Voglio qui di seguito illustrare alcune questioni che a mio parere nei lavori in corso sono trascurate o del tutto ignorate.

 

1. Bisogna fondare ogni analisi del movimento politico sulle classi e non solo sugli Stati e sui contrasti già costituiti e noti come contrasti politici. È vero che oggi le divisioni politiche in generale non coincidono con le divisioni di classe: ad es. gli operai sono o estranei alla lotta politica o sparsi in vari partiti. È proprio questo che fa della politica il regno delle truffe e delle manipolazioni. Ma anche le truffe e le manipolazioni sono messe in opera da esponenti di alcune classi, a vantaggio di alcune classi e a danno di altre. Sono anzi i contrasti di classe che rendono le truffe e le manipolazioni uno strumento necessario della lotta politica. Dove vi sono contrasti che la classe dominante ha interesse a nascondere, lì si crea lo spazio per le truffe e le manipolazioni. Esse rivelano che la classe dominante non ha più forza sufficiente per far fronte apertamente al contrasto, ma ne ha ancora abbastanza per imbastire e far valere più o meno a  lungo e più o meno efficacemente le sue truffe e manipolazioni.

La borghesia imperialista dirige le attività dello Stato. I rapporti tra gli individui e i gruppi che costituiscono la classe dominante, i rapporti tra la classe dominante e le classi da essa oppresse sono due elementi distinti, entrambi indispensabili per comprendere in modo giusto le attività statali, anche quelle verso altri Stati. La politica estera e la politica interna si condizionano reciprocamente. Studiando le analisi che sono state fatte sulle cause e le conseguenze degli attentati di martedì 11 settembre a New York e Washington, balza all’occhio il poco rilievo che gli analisti borghesi e quelli influenzati dalla borghesia hanno dato al preesistente contrasto tra i gruppi imperialisti americani e le masse popolari americane, benché molte delle misure prese dallo Stato americano dopo gli attentati siano dirette proprio contro le masse popolari americane, che i gruppi imperialisti giustamente trattano come un potenziale nemico interno o come un seguace aleatorio e inaffidabile. Le analisi degli avvenimenti di settembre che non hanno alla loro base la divisione e il contrasto tra gruppi imperialisti americani e masse popolari americane, sono insufficienti se non addirittura false e comunque inadatte per elaborare una linea d’azione per noi comunisti.(3) Proprio perché trascurano le divisioni in classi, sovente le analisi politiche condotte da esponenti della borghesia di sinistra o da persone da esse influenzate, si riducono a dichiarare assurdo quello che invece è razionalmente conforme agli interessi della borghesia imperialista e alle leggi di funzionamento dell’imperialismo, alle concezioni e alle idee che lo giustificano e rappresentano, ai sentimenti che esso genera negli individui oppure sono una conseguenza necessaria proprio del contrasto di classe da cui la borghesia imperialista può prescindere sì nei “sermoni domenicali”, ma non nella sua attività pratica. Con ciò quegli analisti si privano della capacità di comprendere il mondo reale e a maggior ragione della capacità di scoprire i mezzi per trasformarlo.

 

3. In questo contesto tanto più si distinguono il Comunicato della CP datato 30 settembre e l’articolo di Nicola P. (Un passo avanti) del n. 9 di La Voce, proprio perché entrambi danno nell’analisi al contrasto tra i gruppi imperialisti americani e le masse popolari americane il ruolo importante che esso ha nella realtà.

 

 

2. I rapporti di produzione. La divisione in classi è data dai rapporti di produzione. Le forze produttive degli uomini hanno raggiunto livelli solo cinquanta anni fa ancora impensati. Con esse oggi è tecnicamente possibile produrre in abbondanza tutto quanto necessario a soddisfare i consumi dei 6 miliardi di uomini che oggi sono sulla terra e anche di più. La “lotta contro la natura per strapparle di che vivere” ha perso gran parte della sua importanza. L’ostacolo al pieno soddisfacimento dei bisogni e al pieno sviluppo personale degli individui non è più nel rapporto con la natura (la terra, le risorse naturali, il clima, ecc.) ma nei rapporti di produzione. Quindi i rapporti di produzione (e le divisioni che derivano da essi) non solo non hanno perso d’importanza, ma sono diventati più importanti di quanto mai siano stati nella storia degli uomini, quando la loro vita era ancora in larga misura condizionata dalle condizioni naturali. L’Argentina è il granaio del mondo e, in proporzione alla popolazione, vi sono più animali da macello che in qualsiasi altro paese del mondo, ma molti suoi abitanti patiscono la fame.

Dei rapporti di produzione occorre considerare tre aspetti: 1. la proprietà dei mezzi di produzione (es. utensili, macchinari, fabbriche, ecc.) e delle condizioni (es. denaro liquido, brevetti, know-how, reti di vendita e di acquisto, ecc.) della produzione, 2. i rapporti tra gli uomini nell’attività lavorativa (la divisione tra lavoro di direzione, di progettazione, di pianificazione, di organizzazione, di elaborazione e il lavoro esecutivo, la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra lavori prestigiosi e lavori degradanti e nocivi, quindi il livello culturale di base della società e il suo effettivo livello di democrazia ed eguaglianza, la divisione del lavoro tra i sessi, la divisione tra città e campagna, tra regioni e nazionalità progredite e regioni o nazionalità arretrate, ecc.), 3. la distribuzione del prodotto tra gli individui. Solo tenendo conto di tutti questi tre aspetti dei rapporti di produzione è possibile fare un’analisi di classe delle varie società, comprese le società socialiste. Chi si limita alla proprietà dei mezzi di produzione, non lo può. In  Unione Sovietica (e in larga misura anche nella Repubblica popolare cinese e in altri paesi socialisti) la proprietà individuale dei mezzi di produzione era stata pressoché totalmente eliminata: esisteva solo la proprietà pubblica e la proprietà cooperativa. Ma la propria capacità di lavoro era ancora principalmente proprietà privata degli individui (quindi sostanzialmente non era ancora applicato il principio “da ognuno secondo le sue possibilità”) e i rapporti tra gli individui nell’attività lavorativa mantenevano ancora buona parte delle caratteristiche ereditate dalla vecchia società, né poteva essere diversamente. Nella distribuzione a sua volta sostanzialmente non era ancora applicato (né in generale lo poteva essere) il principio “a ognuno secondo il suo bisogno”. La distribuzione corrispondeva sostanzialmente ancora alla vecchia divisione in classi e al sistema ad essa connesso di costrizione della massa della popolazione al lavoro. Di conseguenza, come avviene nei paesi borghesi, solo un’infima parte della popolazione riceveva secondo il suo bisogno. Quindi la transizione dal capitalismo al comunismo aveva fatto solo un tratto di strada ed era a certe condizioni ancora in una certa misura reversibile.

È tenendo conto di tutti e tre gli aspetti che diventa chiara la posizione di classe dei dirigenti, degli intellettuali e di altre categorie. Ciò è particolarmente importante anche nell’analisi di classe delle società imperialiste. In esse infatti la proprietà del capitale è in larga misura distinta dalla direzione delle imprese; dirigenti politici, alti prelati, alti funzionari della pubblica amministrazione, capi di sette e di bande criminali sono in generale proprietari di capitale finanziario; i rapporti di denaro e i rapporti personali si intrecciano e condizionano. Tutte cose che fanno dire a tanti intellettuali che la società moderna è troppo complessa per essere analizzata secondo le classi che la compongono, in contrasto con il fatto che essa nella fase imperialista si è estremamente semplificata.

 

3. Imprese capitaliste di servizi e impiegati. La divisione in classi non è data dal contenuto del lavoro svolto (se si lavora per produrre cuscinetti a sfere, per allevare manzi, per allestire spettacoli, per curare ammalati o per distrarre annoiati), benché alcuni (che tuttavia vogliono essere marxisti e comunisti) si ostinino a individuare le classi in base al lavoro svolto (operaio dell’industria, contadino, ecc.). Tra questi vi sono quelli per cui operaio sarebbe ancora eguale a “lavoratore manuale dell’industria”. Siccome nelle condizioni concrete che Marx ha studiato, i proletari che lavoravano per valorizzare il capitale erano effettivamente in larga misura lavoratori manuali dell’industria, per alcuni “marxisti” lo sviluppo che il capitale ha compiuto dopo i tempi studiati da Marx non esiste. I nuovi settori di cui il capitale si è impadronito strappando via via aspetti della vita individuale e sociale alla tradizionale sfera dell’attività “naturale” dell’individuo, delle famiglie e di altre comunità tradizionali, le nuove attività che esso stesso ha creato, la divisione del lavoro che esso ha incrementato: tutto ciò viene trascurato, non esiste (nelle loro analisi). E questo benché Marx, quando parlava del generale e non del concreto, abbia chiaramente insegnato che può diventare merce ogni cosa che soddisfa bisogni umani di qualsiasi tipo, non importa che provengano dallo stomaco o dalla fantasia, che si tratti di un oggetto o di un servizio, di una prestazione materiale o intellettuale, che sia un panino da mangiare, una bambola con cui giocare, uno spettacolo di calcio o una seduta di massaggio, che sia lo zappare di un contadino, il compilare testi di uno scrivano o la lezione di un maestro. Purché ognuna di queste cose sia prodotta nell’ambito di un rapporto sociale mercantile.(4) La divisione in classi è data dai rapporti nell’ambito dei quali viene svolto il lavoro, cioè dai rapporti di produzione. Il prodotto influisce sulla divisione in classi solo nei limiti in cui la sua natura influisce sui rapporti nei quali viene prodotto.

 

4. Cioè purché sia prodotta per essere venduta da uomini liberi di vendere a uno piuttosto che ad un altro, al prezzo e alle condizioni che essi ritengono accettabili, liberi di produrre questo o quello secondo il loro tornaconto e la loro capacità. Ovviamente nella società capitalista il libero produttore è il capitalista, non il proletario. Marx ha ben spiegato che né ogni ricchezza materiale è valore (con ciò inizia la sua Critica al programma di Gotha, 1875), né ogni valore è incorporato in beni che continuano ad esistere oltre l’atto della loro produzione. Alcuni, che pur vogliono essere marxisti, si ostinano a credere che produrre valore sia eguale a produrre ricchezza materiale, a produrre oggetti che si possono accumulare, beni di consumo e  strumenti di produzione. I servizi non sopravvivono all’attimo della loro produzione, il prodotto consiste nell’attività del produrre e quindi per loro, “veri materialisti”, non esistono, benché si assoggettino a comperarli come facciamo noi e tutti i comuni mortali. In fondo essi non accettano ciò che distingue il capitalismo dagli altri modi di produzione e che è la sostanza dell’analisi economica di Marx. Per essi il valore in fondo non è che un oggetto prodotto col lavoro, il plusvalore non è che plusprodotto, come hanno insegnato i loro non riconosciuti maestri Baran e Sweezy. Nulla di strano che di seguito scoprano che anche in URSS i lavoratori producono plusvalore. Cosa che, se chiamiamo il plusprodotto plusvalore, è vera per ogni paese e ogni epoca a partire da quando venne superato lo stadio del comunismo primitivo, certamente in tutta l’epoca storica a noi nota. Ma così il marxismo come scienza della società capitalista va a carte quarantotto, dato che sempre e dovunque si sarebbe prodotto valore e plusvalore e si sarebbe usato capitale (mezzi di produzione).

 

Quindi nella società attuale gli operai e gli impiegati dipendenti dalle imprese capitaliste, quale che sia il settore (industria, servizi alle persone, servizi alle imprese, trasporti, ecc.) in cui queste valorizzano il loro capitale, hanno le stesse caratteristiche quanto al ruolo che svolgono nell’ambito del sistema sociale di produzione: valorizzano capitale. Ciò sia che lavorino prevalentemente con le mani o prevalentemente con la testa (e anche se lavorano con i piedi!), quale che sia la loro specializzazione e la loro mansione.

Possono tutti allo stesso modo emanciparsi dalla dipendenza dai capitalisti solo abolendo la proprietà privata dei mezzi e delle condizioni della produzione e sostituendola con la proprietà collettiva? Possono assumere anche lo stesso ruolo politico, di classe dirigente delle altre classi delle masse popolari nella trasformazione della società, di classe che dirige la lotta per il socialismo? Possono le imprese di servizi e le concentrazioni di impiegati diventare centri del movimento comunista e cellule dello Stato della dittatura del proletariato come lo sono state le fabbriche durante la prima ondata della rivoluzione proletaria? In una parola costituiscono questi lavoratori un’unica classe, nonostante la diversità delle mansioni e dei settori di lavoro? Dipende. Potenzialmente sì. Per la condizione oggettiva in cui la società borghese li pone, sì. Subiscono allo stesso modo le stesse leggi del capitalismo e allo stesso modo sono educati a subordinare la loro attività produttiva a leggi socialmente necessarie (assunzione, licenziamento, dispotismo del capitalista, indifferenza del contenuto del loro lavoro rispetto ai gusti personali). Sono costretti a vivere le stesse condizioni di contrapposizione collettiva al capitale (contratti e leggi del lavoro). Frequentano la stessa scuola di aggregazione, di organizzazione collettiva e di sviluppo intellettuale costituita dall’impresa capitalista. Storicamente però impiegati e dipendenti dei servizi sono arrivati più tardi, non hanno partecipato alla prima ondata della rivoluzione proletaria, non hanno incorporato l’esperienza degli operai dell’industria, la borghesia coltiva in mille modi la loro differenza dai settori tradizionali di operai. Fino agli anni ‘70 in Italia operai e impiegati anche di grandi imprese, dove gli uni e gli altri erano migliaia, avevano ingressi separati, mense separate ed erano distinti per vari istituti contrattuali. Quindi in generale proletari delle imprese di servizi e impiegati sono politicamente, organizzativamente, culturalmente più arretrati dei settori tradizionali della classe operaia. Ma neanche per questi il ruolo politico che hanno svolto nella prima ondata della rivoluzione proletaria è nato né spontaneamente né simultaneamente con la loro nascita come classe oggettiva. Ci sono voluti anni di lotte di massa e uno sviluppo intellettuale e organizzativo durato decenni perché arrivassero dove sono arrivati. Ma la società non consentiva loro altra strada. Ebbene oggi nella società imperialista è in corso la stessa cosa per i proletari dei servizi e per gli impiegati delle imprese capitaliste. Ogni rivoluzionamento della produzione comporta l’accrescimento del loro numero e la dequalificazione della loro prestazione. Già oggi le imprese capitaliste di servizi occupano più proletari delle imprese capitaliste industriali, in molte imprese capitaliste gli “impiegati” sono più numerosi degli “operai”. Nella società moderna la produzione capitalista di servizi e di prestazioni ha eguagliato e in molti paesi ha superato per importanza la produzione capitalista di beni di consumo e di mezzi di produzione e si avvia a diventare l’attività principale. I servizi costituiscono una parte importante della ricchezza e del benessere di ogni paese imperialista, benché esistano solo nell’attimo in cui sono resi e non possano essere accumulati nei magazzini e trasportati lontano dal luogo della loro diretta produzione. Non solo, ma “in tutte le forme di società è  una produzione determinata che assegna rango e influenza a tutte le altre, come del resto anche i rapporti ad essa connessi assegnano rango e influenza a tutti gli altri” (Marx, Grundrisse - Introduzione, 1857). E proprio la produzione di servizi viene assumendo questo ruolo nei paesi più progrediti. Il modo di produzione capitalista si è dapprima appropriato della produzione di beni di consumo. L’ha sottratta alle famiglie contadine, ad altre comunità “naturali” e agli artigiani e ha eretto la produzione di ogni bene in attività economica a se stante. Oggi sottrae alle famiglie, ad altre comunità naturali, a professionisti di vecchio stampo i servizi (la custodia dei bambini, l’assistenza agli anziani, i lavori domestici, la confessione dei propri atti e pensieri, il rapporto sessuale, l’intrattenimento, l’educazione, la procreazione, ecc.), porta più avanti la divisione del lavoro anche nelle imprese, divide in distinte attività autonome lavori finora compiuti come un’attività unica, crea nuovi servizi e nuove attività. L’asservimento alle leggi del modo di produzione capitalista in un primo tempo ha posto i lavoratori produttori di beni nelle condizioni di dover instaurare il comunismo come unica via possibile per eliminare la propria dipendenza dai capitalisti e ha nello stesso tempo creato le condizioni del loro sviluppo intellettuale e organizzativo. L’imperialismo pone ora gli impiegati e i lavoratori dei servizi nelle stesse condizioni. Essi quindi oggi fanno parte della classe operaia, nonostante la loro arretratezza rispetto ai lavoratori manuali dell’industria dal punto di vista dell’esperienza politica e organizzativa. Ma questa arretratezza sarà sicuramente superata con un adeguato lavoro politico e sindacale che la loro situazione oggettiva rende inevitabile e fruttuoso.(5)

 

5. Vale la pena di precisare che questi nuovi “operai” stanno compiendo e compiranno sicuramente in un periodo molto più breve il percorso intellettuale e politico che gli operai produttori di beni-merci hanno percorso nei settant’anni che separano l’inizio del movimento comunista (1848) dalla prima rivoluzione proletaria vittoriosa (1917). Essi seguono una strada intellettuale e politica già ben aperta dagli operai tradizionali, la percorrono in loro compagnia e in condizioni generali di più inoltrata maturità e di più avanzato deperimento del capitalismo (FAUS più sviluppate, contraddizioni più acute, unificazione mondiale più avanzata, ecc.). È da auspicare che il dogmatismo dei vecchi “marxisti” che non sanno andare oltre le vecchie care immagini del passato non ostacoli troppo la loro marcia, visto che questa marcia ha assoluto bisogno del marxismo.

 

La divisione in classi è data dai rapporti di produzione, ma è la lotta politica e culturale che fa assumere a ogni classe il ruolo che essa per sua natura può assumere nella lotta politica. Da una parte è inutile ogni sforzo per far assumere ad una classe un ruolo incompatibile con la sua natura. Ogni sforzo di individui e partiti per far assumere nella società moderna un ruolo dirigente ai lavoratori autonomi (piccola-borghesia) di fronte alla borghesia, al capitale produttivo di merci di fronte al capitale finanziario, ai contadini o artigiani semifeudali di fronte all’imperialismo, ecc. sono destinati al fallimento. I giornalisti alla Tiziano Terzani che contrappongono il “buon mondo antico” semifeudale all’imperialismo fanno un lavoro di diversione e di fantasia. Al contrario un lavoro politico paziente dei comunisti porterà immancabilmente gli impiegati proletari che lavorano nelle aziende capitaliste e i proletari che lavorano nelle aziende capitaliste di servizi a raggiungere il resto della classe operaia. Nonostante i suoi interessi e contro la sua volontà, la stessa borghesia imperialista, con le sue ristrutturazioni, con i licenziamenti, con l’intensificazione del lavoro, dettati anch’essi dai suoi interessi, asseconderà questa trasformazione che però richiede il lavoro politico e culturale dei comunisti.

 

4. Lavoro astratto e lavoro concreto. Ogni proletario per vivere deve vendere la sua forza lavoro, la sua capacità lavorativa. Ma esistono capacità lavorative molto diverse tra loro. Ad un estremo vi è la capacità lavorativa normale di una data società. Quello che la gran massa degli individui sa fare. Le attività in cui un individuo è immediatamente o quasi immediatamente (cioè con un breve periodo di addestramento) sostituibile con un altro. Marx chiamò questa attività “lavoro astratto”, cioè lavoro che prescinde, astrae da ogni specifica abilità e formazione. Tipico esponente: il manovale. All’estremo opposto vi è la capacità lavorativa dell’individuo che ha doti naturali preziose e rare o che  conosce in misura impareggiabile la sua arte e quindi è in grado di svolgere una data attività in un modo che non si può raggiungere solo con la formazione e l’addestramento. Tipico esponente: l’artista. In mezzo vi sono tutti i gradi di abilità che si raggiungono con una formazione e un addestramento più o meno prolungati e che richiedono predisposizioni e doti naturali più o meno diffuse. Marx chiamò “lavoro concreto” un lavoro che è caratterizzato anche dalle particolari abilità acquisite con la formazione, l’addestramento e l’esperienza. I mercati di queste diverse capacità lavorative differiscono profondamente l’uno dall’altro e quindi nella società borghese i relativi proprietari sono collocati in condizioni diverse sia quanto alla dipendenza dal capitalista sia quanto al prezzo che spuntano nella vendita (quindi nella loro collocazione quanto ai rapporti di distribuzione) e quindi quanto alle condizioni generali della loro vita. Ciò crea nella classe operaia e in generale nelle classi proletarie differenziazioni di cui bisogna tener conto nell’attività politica. Anche nelle società socialiste queste differenze mantengono grande importanza finché l’attività lavorativa è principalmente una proprietà individuale e devono essere trattate in modo opportuno.

 

5. L’imperialismo ha creato la base materiale dell’egemonia della classe operaia. Nel capitale finanziario si fondono in un tutto unico sia attività produttive di merci (beni e servizi) tramite cui i capitalisti estraggono plusvalore alla classe operaia sia attività finanziarie con cui i capitalisti sia sfruttano economicamente anche altre classi dei paesi imperialisti e i popoli dei paesi oppressi che avvolgono in una ragnatela di rapporti di debito, di credito e di pagamenti e in una spirale di ratei, polizze, imposte, tariffe, diritti, affitti, brevetti, interessi e prezzi di monopolio alla vendita e all’acquisto (e con ciò costringono lavoratori non dipendenti dal capitale a lavorare per valorizzare il capitale), sia soggiogano e dominano le une e gli altri in mille altre forme (finanziando le campagne elettorali dei politici asserviti, sabotando autorità sgradite, finanziando guerre e assassinii, ecc.). Il modo di produzione capitalista non ha portato (e non può portare) all’estremo la sua tendenza alla proletarizzazione della massa della popolazione (ossia non può creare una società composta solo di proletari e di capitalisti) ma ha generalizzato, tramite il capitale finanziario, lo sfruttamento economico ed esteso il domino dei capitalisti. La comune contrapposizione alla borghesia imperialista è la base oggettiva e quindi può e deve diventare anche la base politica dell’alleanza della classe operaia con le altre classi delle masse popolari e della sua direzione su di esse nella lotta contro la borghesia imperialista (Fronte popolare).

 

6. Il campo della borghesia imperialista. Giustamente il PMP (pag. 89) afferma che “la crisi generale in corso divide e sempre più dividerà la popolazione in due campi nettamente distinti e contrapposti:

- da una parte quelli che riescono a vivere solo se riescono a lavorare: questi costituiscono il campo delle masse popolari;

- dall’altra il campo della borghesia imperialista costituito da quelli che godono di tutti i vantaggi [consumano secondo i loro bisogni, svolgono solo attività per cui hanno naturale inclinazione o talento] senza lavorare o che, se lavorano, non lo fanno per vivere, ma per aumentare la loro ricchezza”. Nelle pagine successive il PMP quantifica il numero dei membri di questo campo (che forse troppo sbrigativamente chiama anche “borghesia imperialista”) al 10% della popolazione, assumendo come criterio il possesso di un patrimonio fruttifero di circa 1 milione di euro o un reddito netto annuo di circa 50 mila euro (tra 3.500 e 4.000 euro al mese per 13 o 14 mensilità).

A me pare evidente che nell’analisi esposta nel PMP i confini tra gli strati più benestanti delle masse popolari e il campo della borghesia imperialista restano indefiniti o sono mal definiti. Un funzionario pubblico o un dipendente del settore privato che porta a casa tra 3.500 e 4.000 euro al mese, finché non ha accumulato un patrimonio personale e continua a dipendere da queste entrate per vivere, non si trova in condizione di poter vivere senza lavorare. Il ragionamento fatto dal PMP (pag. 90) vale solo se si ammette che un individuo che ha un simile reddito accumulerà dei risparmi che trasformerà in capitale e arriverà a possedere un capitale di valore tale da poter vivere di interessi. Ma,  ammesso che la cifra indicata di 50 mila euro di reddito netto annuo permetta effettivamente risparmi (e ciò dipende in modo determinante dalla situazione familiare e da altre condizioni), bisogna che il processo di accumulazione si compia effettivamente prima che l’individuo in questione entri a far parte del campo della borghesia imperialista. In linea di massima è sbagliato sostituire ciò che uno può forse diventare a ciò che è.

Bisogna inoltre considerare il “cannibalismo” della borghesia imperialista. La Borsa per sua natura è un campo in cui i capitalisti si sottraggono l’uno all’altro il capitale accumulato, in cui il forte e chi gode di buone relazioni mangia il debole e l’ingenuo. I rivolgimenti propri della crisi generale, i crac di Borsa e i fallimenti annullano i capitali e anche i risparmi di una massa considerevole della popolazione, mentre sono occasioni di rapido arricchimento di altri. A seguito di tutto ciò esiste in ogni società imperialista una massa di una certa consistenza di persone che vivono a rischio avendo poca o nessuna influenza sulle scelte da cui il loro capitale o il loro risparmio dipende. Io non sono in grado di dire quanti sono in Italia questi “capitalisti precari”, ma certamente si tratta di una quantità e di un tipo sociale non trascurabile.

Infine nel campo della borghesia imperialista occorre fare delle distinzioni: chi vive principalmente di rendita è distinto, per interessi, relazioni e ruolo sociali, da chi è principalmente un imprenditore. Il cardinale, il grande proprietario terriero, il capo di un’organizzazione criminale, il banchiere, il grande industriale, ecc. probabilmente andrebbero distinti tra loro pur essendo vero che “il capitale finanziario unifica in qualche misura tutti i ricchi” (PMP pag. 90). Nella società imperialista sopravvivono, come forme secondarie del capitale, accanto al capitale finanziario e ad esso in qualche modo subordinate, le vecchie forme del capitale: i capitalisti che si dedicano unicamente alla produzione di merci, quelli che si dedicano unicamente al commercio, quelli che si dedicano unicamente al prestito di denaro, ecc. Sette e chiese con i loro capi e il loro alto clero hanno preso rinnovato vigore, capi di bande criminali si arricchiscono taglieggiando, una fauna variopinta svolge il suo ruolo nel tenere sottomesse le masse. Solo uno studio accurato delle attività della popolazione del paese e delle relazioni che uniscono e dividono i suoi membri, delle attività che essi svolgono e della vita pratica che essi conducono può portarci a una visione chiara, prima che della consistenza numerica delle singole classi, delle divisioni politicamente rilevanti, che quelle attività e relazioni pratiche implicano e delineano. La sociologia borghese mette sullo stesso piano, uno accanto all’altro, senza gerarchia genetica e di importanza, caratteri strutturali e caratteri sovrastrutturali, attività di ogni genere: come uno si guadagna da vivere, le sue opinioni sul calcio e la frequenza ai sacramenti religiosi. Quindi non aiuta a comprendere le contraddizioni e il movimento che ne deriva. Ma d’altra parte l’analisi delle classi non può prescindere dallo studio delle caratteristiche che, oltre un certo limite, sono peculiari di ogni formazione economico-sociale. Un’analisi di classe condotta con i tre libri de Il capitale anziché studiando il paese (beninteso alla luce dei tre libri de Il capitale e in generale del patrimonio teorico del movimento comunista), non serve che a eludere l’analisi di classe con uno schema inutilizzabile e a distogliere dall’inchiesta sul terreno che essa richiede. È ovvio che questo studio non poteva entrare nel PMP, ma è tuttavia necessario condurlo nel corso del lavoro politico (da concepire anche come “inchiesta sul terreno”). Dobbiamo sistematicamente accumulare via via i risultati per elaborare linee specifiche di azione.

M. M.

*****Manchette

Le Edizioni Rapporti Sociali stanno pubblicando le

OPERE DI STALIN

20 volumi, pagg. 300, € 16, 00/cad

 

Sono usciti i primi 5 volumi.

Per sottoscrivere e acquistare l’intera opera al prezzo speciale di € 180,00, versare l’importo sul ccp n. 29954203 intestato a Resistenza - Milano

Per informazioni Edizioni Rapporti Sociali,

tel./fax 02-26306454 e-mail carc@riseup.net, www.carc.it

*****

 

 ******

Terza di copertina

EDIZIONI RAPPORTI SOCIALI

La casa Editrice pubblica e diffonde opere che ritiene diano un valido contributo all’arricchimento del patrimonio teorico del movimento rivoluzionario, indipendentemente dalla collocazione politica degli autori.

 

Coprocò

I FATTI E LA TESTA

pagg. 160 - € 12 - Ed. 1983

 

Coi, Gallinari, Piccioni, Seghetti

POLITICA E RIVOLUZIONE

pagg. 256 - € 12 - Ed.1984

 

Autori vari a cura di Adriana Chiaia

IL PROLETARIATO NON SI E’ PENTITO

pagg. 608 - Ed. 1984 (esaurito, fotocopia a € 25)

 

Sante Notarnicola

LA NOSTALGIA E LA MEMORIA

pagg. 172 - € 8 - Ed. 1986

 

PCE(r) e GRAPO

¿QUE CAMINO DEBEMOS TOMAR?, (in italiano)

pagg. 416 - € 8 - Ed. 1986

 

Marco Vanni

CAPITALISMO E COMUNISMO

pagg. 23 - € 2 - Ed. 1987

 

Silvano Alessi

MANUALE DI DIFESA LEGALE

pagg. 72 - € 2,50 - Ed. 1987

 

Giuseppe Pelazza

CRONACHE DI DIRITTO DEL LAVORO 1970-1990

pagg. 80 - € 5,50 - Ed. 1989

 

Gian Luigi Nespoli

L’oceano

(Poesie 1986 - 1988) pagg. 80 - € 5,50 - Ed. 1989

 

Enrique Collazo

La guerra rivoluzionaria

pagg. 224 - € 12 - Ed. 1990

 

Antologia di poesie a cura di G. Nespoli e P. Angione

Bisogna armare d’acciaio i canti del nostro tempo

pagg. 142 - € 5,50 - Ed. 1991

 

A cura dei C. D. Filorosso di Milano e Viareggio

La resistenza delle masse popolari al procedere della crisi del sistema capitalista e l’azione delle forze soggettive della rivoluzione socialista.

Atti del Convegno del 21-22 novembre 1992, pagg. 176 - € 8 - Ed. 1993

 

Friedrich Engels

L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza

pagg. 96 - € 5,50 - Ed. 1993

 

Gina De Angeli, Riccardo Antonini

SIN: una forma di resistenza per la difesa dell’occupazione

pagg. 64 - € 5,50 - Ed. 1993

 

Giuseppe Stalin

Materialismo dialettico e materialismo storico

pagg. 48 - € 3 - Ed. 1993

 

 

 

 CARC

Sul maoismo, terza tappa del pensiero comunista

pagg. 48 - L. 2.000 - Ed. 1994

 

CARC

G7 - I caporioni della borghesia imperialista a convegno

pagg. 40 - L. 4.000 - Ed. 94

 

CARC

Il punto più alto raggiunto finora nel nostro paese dalla classe operaia nella sua lotta per il potere

Celebriamo il 50° anniversario della vittoria della Resistenza traendo gli insegnamenti attuali. pagg. 32 - € 2 - Ed. 1995

 

Riccado Antonini

LA LOTTA DEI FERROVIERI IN VERSILIA – UNA VITTORIA DEI LAVORATORI

pagg. 48 - € 5,50 - Ed. 1995

 

CARC

FEDERICO ENGELS/10, 100, 1000 CARC PER LA RICOSTRUZIONE DEL PARTITO COMUNISTA

pagg. 60 - € 3 - Ed. 1995

 

CARC di Padova

Assumersi nuove responsabilità

Il bilancio di un lungo percorso dall’Autonomia alla lotta per la ricostruzione del partito comunista.

pagg. 24 - € 2 - Ed. 1996

 

CARC

Celebriamo il 30° anniversario della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria

pagg. 20 - € 2 - Ed. 1996

 

PCE(r)

La Guerra di Spagna, il PCE e L’Internazionale Comunista

Un bilancio dell’azione del Partito Comunista Spagnolo durante la prima crisi generale del capitalismo. Edizione italiana in occasione del 30° anniversario dell’inizio della Guerra di Spagna (1936-1939), pagg. 192 - € 8 - Ed. 1997

 

CARC

Le conquiste delle masse popolari

La fase delle conquiste (1945-1975) e la fase della loro eliminazione, pagg. 64 - € 3 - Ed. 1997

 

CARC

La Rivoluzione d’Ottobre e alcuni suoi insegnamenti attuali. Nell’80° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre (1917-1997), pagg. 24 - € 3 - Ed. 1997

 

CARC

Lo statuto dei CARC

pagg. 20 - € 2 - Ed. 1997

 

CARC

La parola al comandante Giacca

La verità su Porzûs, pagg. 32 - € 3 - Ed. 1998

 

CARC

Progetto di manifesto programma del nuovo partito comunista italiano

pagg. 128 - € 4,50 - Ed. 1998

 

CARC

Le donne e la Resistenza

Intervista a Piera Antoniazzi, pagg. 24 - € 3 - Ed. 2000

 

CARC di Firenze

Progetto di manifesto programma del nuovo partito comunista italiano Guida allo studio

pagg. 60 - € 3 - Ed. 2000

 

CARC

I programmi nel movimento comunista

pagg. 60 - € 3 - Ed. 2000

 

Tutte le pubblicazioni si possono ricevere scrivendo a

Edizioni Rapporti Sociali, v. Tanaro 7, 20128 Milano, tel/fax 0226306454 o versando l’importo sul ccp 2954203 intestato a: Resistenza - Milano.

****

 

Rapporti Sociali 1985-2008 - Indice di tutti gli articoli