Rettificare lo stile di lavoro per migliorare il lavoro collettivo e organizzativo a tutti i livelli

Rapporti Sociali 34 - gennaio 2004   (versione Open Office / versione MSWord)

 

Bilancio sulla prima campagna nazionale dei CARC per il 2003

 

Penso, compagni, che l’autocritica ci è necessaria come l’aria, come l’acqua. Penso che senza di essa, senza l’autocritica, il nostro partito non potrebbe progredire, non potrebbe mettere a nudo le nostre piaghe, non potrebbe liquidare le nostre deficienze. E le nostre deficienze sono numerose. Questo si deve riconoscere apertamente e onestamente.

Stalin, Sulla parola d’ordine dell’autocritica (1)

 

Come abbiamo detto nell’articolo di presentazione della prima campagna dei CARC del 2003, “la situazione politica interna e internazionale, il rapido sviluppo della crisi generale, il movimento di massa e il processo di ricostruzione del partito che si sviluppano impongono ai CARC e alle altre FSRS di cambiare e di cambiare con rapidità, di adeguarci” (2) Questo è il processo a cui, con maggior decisione, abbiamo dato avvio per mezzo di questa campagna. Si tratta di un avvio, cioè dell’inizio di un percorso, e perciò ogni risultato positivo che abbiamo ottenuto va considerato come un primo passo. D’altro lato l’avvio significa che inizia un movimento, e questo segna un salto di qualità rispetto alla condizione passata, quella che ci lasciamo alle spalle.

 

1. da I lavori della sessione plenaria comune di aprile del C.C. e della Commissione centrale di controllo (Rapporto all’Assemblea dell’attivo dell’organizzazione di Mosca del 13 aprile 1928).

 

2. Rapporti Sociali, n.33, pag. 22.

 

La nostra organizzazione ha avviato un processo determinato dallo sviluppo delle condizioni oggettive e dalla nostra volontà soggettiva. Quelle condizioni e questa volontà sono base di sviluppo per portare a termine il processo iniziato. Si tratta di un processo che è necessario compiere e che vogliamo compiere. È necessario: ogni soggetto individuale e collettivo che vuole contribuire alla crescita del movimento rivoluzionario e in particolare alla ricostruzione del partito comunista deve trasformarsi. Nel 1991 abbiamo scritto: “Il problema è che le forze soggettive o si adeguano alla nuova situazione e a far fronte ai compiti che la nuova situazione pone all’ordine del giorno o periscono. Quelli di oggi sono ‘tempi bui’ per chi non vuol cambiare. Sono in realtà un periodo di trasformazione. Dobbiamo ‘cambiare pelle’ per adempiere ai compiti ‘più gloriosi’ che la nuova situazione ci pone.” (3) La specifica esperienza di trasformazione cui abbiamo dato avvio quindi è espressione di qualcosa che riguarda tutte le forze soggettive della rivoluzione socialista (FSRS), e perciò è aperta, cioè i risultati che otteniamo e che otterremo sono contributi per tutto il movimento rivoluzionario che tutti noi siamo impegnati a sviluppare. Questa esperienza di trasformazione d’altro lato riguarda in particolare la nostra organizzazione. I CARC infatti si costituiscono come organismi che hanno tra le proprie funzioni quella di formare, cioè di trasformare compagni e compagne rendendoli capaci di ricostruire il partito, di condurlo alla vittoria, di riprendere la costruzione di paesi socialisti.

 

3. Rapporti Sociali, n. 9/10, pag. 43.

 

Vale anche per noi ciò che diceva Stalin: le nostre deficienze sono numerose. Le forme necessarie all’attività che dobbiamo mettere in campo oggi non ci sono ancora, mentre le vecchie forme non bastano più a gestire il ruolo che abbiamo assunto nel movimento di oggi. Come abbiamo scritto nell’articolo di presentazione della campagna (4) pesa la  mancanza di un legame diretto, in particolare nel campo del lavoro organizzativo, con l’esperienza del vecchio PCI, e da questo si generano il movimentismo, il liberalismo e lo spontaneismo. Questi limiti oggi si esprimono nella scarsa disciplina, nella difficoltà ad applicare scientificamente la linea di massa, nel fare inchiesta, piani e bilanci, cioè nell’utilizzare tutti quegli strumenti che permettono un’analisi del movimento sociale e politico, delle condizioni oggettive e soggettive in cui operiamo per poter dirigere la classe operaia e le masse popolari nella lotta per il potere, oggi nella lotta per la ricostruzione del partito comunista.

 

4. Rettificare lo stile di lavoro per migliorare il lavoro collettivo e organizzativo a tutti i livelli, in Rapporti Sociali, n. 33, pag. 22.

 

Attingiamo dal patrimonio teorico e pratico dei 150 di storia del movimento comunista, lo riconosciamo come necessario, lo traduciamo in principi organizzativi, ma non ce ne siamo ancora appropriati fino in fondo. Abbiamo scritto e definito una giusta linea su molte questioni, ma poco ancora di tutto ciò riusciamo ad applicare adeguatamente. Questo ci conduce a svolgere nel movimento pratico un ruolo inferiore alle potenzialità connesse alla nostra linea e alla nostra concezione.

La campagna dei CARC si è concentrata, quindi, nell’individuazione in noi degli aspetti che indicano la nostra immaturità, i limiti da combattere e superare per avanzare nella ricostruzione del partito. L’individuazione dei limiti è il primo passo per capire dove iniziare a “mettere le mani” per avviare il processo di trasformazione.

Per individuare i limiti e superarli è necessario applicare un importante metodo che ricaviamo dall’esperienza del movimento comunista: il processo di critica, autocritica e trasformazione (C.A.T.).

I primi passi di questo processo, la critica e l’autocritica, corrispondono alla comprensione: ci danno la possibilità di individuare limiti ed errori, di individuare una contraddizione, analizzarla e comprenderla. Dalla scoperta di tale contraddizione inizia un processo di trasformazione, cioè di sviluppo della contraddizione, che non procede in maniera lineare. È un percorso complesso, con momenti di avanzamento e di arretramento e così come ogni crescita è un processo che avviene, secondo quanto ci insegna il materialismo dialettico, per accumulazione quantitativa e salti qualitativi.

La comprensione in sé è già un inizio di cambiamento, se è animata dalla volontà di trasformazione. Noi individuiamo un nostro limite (autocritica) o un limite altrui (critica) perché intendiamo cambiarci e cambiare. Ci diamo quindi obiettivi coscienti, e questo è il primo passo necessario della strada da percorrere per realizzarli.

Per intraprendere il cambiamento necessario i CARC hanno avviato questa campagna ponendosi come obiettivo principale la promozione in tutta l’organizzazione, a partire dall’alto, del funzionamento collettivo secondo la concezione proletaria del mondo. Il funzionamento collettivo è sviluppo della critica e dell’autocritica, è trasformazione individuale e collettiva a tutti i livelli, a partire dagli organismi e dai compagni dirigenti; è sviluppo dello stile di lavoro collettivo. L’organizzazione si è quindi posta come obiettivi secondari l’affermazione della direzione complessiva, cioè la direzione sia sul lavoro politico sia sulla vita personale, la formazione, l’individuazione e la definizione dell’assetto organizzativo di ogni attività centrale e locale, la cura dell’aspetto finanziario delle nostre attività.

Il processo di critica, autocritica e trasformazione ha investito aspetti ideologici e organizzativi partendo dagli organi dirigenti più elevati, come primo passo per l’estensione del processo a tutta l’organizzazione e a ogni suo singolo membro. Il dibattito, facilitato e orientato da alcune scuole quadri, ci ha fatto riflettere sulla nostra capacità di dirigere in dettaglio (inchiesta, conoscenza reciproca, formazione di ogni singolo compagno, cura del processo di trasformazione, ecc.), di rafforzare i dirigenti e più in generale di rafforzare ideologicamente tutta l’organizzazione. Abbiamo concentrato l’attenzione sui nostri limiti ideologici che ostacolano il salto qualitativo necessario e possibile verso la ricostruzione del partito comunista. I testi di Mao sul liberalismo (5) hanno indicato quanto pesa in noi la  cultura della classe dominante. L’abitudine derivante da rapporti sociali tipici del capitalismo, l’abitudine a uno stile di vita diretto dalla borghesia, rendono la nostra trasformazione in comunisti un processo difficile e lungo. Lenin insegnava che l’abitudine ha una forza enorme. L’abitudine è fatta di atteggiamenti, concezioni, stili di vita derivati da secoli di dominazione borghese e da millenni di storia delle società divise in classi. A tutto questo noi possiamo opporre la forza soggettiva della volontà di trasformazione, possiamo e vogliamo combattere e vincere. Si tratta non solo di una battaglia contro il nostro nemico, ma anche di una battaglia interna, tra le nostre fila e in noi stessi, per spezzare l’influenza borghese nelle nostre coscienze e nella nostra vita. È una battaglia che si compie attraverso lo studio teorico, appropriandoci della concezione materialista dialettica del mondo, attraverso il lavoro collettivo, facendo di ogni collettivo una squadra forte e coesa, attraverso il processo di critica, autocritica e trasformazione. È una battaglia che chiarisce la preminenza del collettivo sull’individuo, che combatte l’individualismo borghese dentro e fuori dalle nostre file, che esalta la superiorità della concezione proletaria del mondo, perché noi sappiamo che l’individuo realizza se stesso nel modo più libero e più ricco solo entro la collettività.

 

5. In particolare Contro il liberalismo, in Opere di Mao Tse-tung, Ed. Rapporti Sociali, Milano, 1991, vol. 5, pagg. 123 - 125.

 

Abbiamo posto la formazione come uno degli obiettivi della campagna perché è uno degli aspetti centrali del lavoro organizzativo. Formare compagni, studiarli, individuarli per il lavoro più adeguato è una parte fondamentale di questo lavoro. Le scuole quadri in questo senso, oltre a indicarci i nostri limiti ideologici, ci hanno insegnato e ci hanno fatto fare esperienze importanti di metodo. Abbiamo potuto constatare che alcuni segretari non si pongono sufficientemente come dirigenti all’interno del loro comitato, che cioè dedicano poca cura alla preparazione delle riunioni, alla loro direzione e orientamento non soffermandosi a cogliere le posizioni dei vari compagni, a cogliere le difficoltà espresse, le arretratezze, le posizioni che possono portare verso alcune deviazioni. Sulla base di queste constatazioni abbiamo adottato quindi metodi più adeguati per la stesura degli ordini del giorno e per la direzione delle riunioni, con una buona introduzione della riunione che la orienti, faciliti il dibattito, dia spazio a tutti i compagni, ecc.

Non porsi come dirigenti significa non sforzarsi di superare il ruolo di subalternità cui la borghesia vorrebbe relegarci in eterno. Questo può manifestarsi, come abbiamo visto sopra, in una riunione di Comitato, e può manifestarsi, come è successo nella Segreteria nazionale (SN), come difficoltà persistente nei compagni a porsi come dirigenti nazionali, ad uscire dal particolarismo e localismo. Abbiamo fatto passi in avanti da questo punto di vista, comprendendo meglio la differenza, il salto che c’è tra essere un dirigente locale e un dirigente nazionale, comprendendo meglio il legame dialettico tra i due aspetti. In genere ogni compagno che ha fatto passi importanti come dirigente locale è in grado di dare un buon contributo come dirigente nazionale se esce da questo particolarismo “del proprio orticello”; ogni dirigente nazionale che fa dei passi in avanti nel suo ruolo sicuramente cresce come dirigente locale. La pratica della C.A.T. ha rafforzato il gruppo dirigente, lo ha reso più unito e forte. Sono migliorati i rapporti di solidarietà e appoggio tra i membri impegnati nella critica/autocritica e che stanno imparando non solo, appunto, a far rilevare agli altri compagni i loro limiti (critica) e a vederli in se stessi (autocritica), ma stanno imparando a sostenere ogni compagno nel suo processo di trasformazione.

Anche la scarsa capacità di pianificazione è un limite ideologico. Alla borghesia fa comodo che noi non si sappia pianificare il nostro futuro, che si viva alla giornata, e anzi si sforza in ogni modo di contrastare ogni nostro progetto che preveda la nostra libera realizzazione sia collettiva che individuale. Quanto meno noi pianifichiamo la nostra vita, tanto più la nostra vita può essere pianificata ai fini della classe dominante.

Noi, quindi, cominciando dalla SN abbiamo concentrato la nostra attenzione nel migliorare la nostra capacità di pianificazione dell’attività. La pianificazione è una forma assai peculiare e moderna di conoscenza del futuro attraverso la sua progettazione. Abbiamo cominciato all’interno della SN un lavoro più accurato di pianificazione di ogni singolo settore. Lo sviluppo di questo lavoro è ancora ineguale tra i vari settori e discontinuo. Sono state però poste nuove riflessioni e si sono compresi meglio alcuni aspetti della pianificazione. Abbiamo visto che quando pianifichiamo  spesso lo facciamo pensando più alle nostre aspirazioni, desideri e necessità, quindi senza tenere in conto la situazione concreta in cui operiamo, le forze in gioco, i passaggi necessari. Sono stati fatti, quindi, passi avanti nella comprensione dell’importanza dell’individuazione, attraverso l’analisi delle condizioni oggettive e soggettive, degli obiettivi generali e della definizione di obiettivi specifici. Abbiamo capito che una volta definiti gli obiettivi bisogna individuare il metodo specifico da applicare, gli strumenti adatti, e a questo bisogna aggiungere un programma vero e proprio nel quale si indicano iniziative, date, collaborazioni, referenti esterni, ecc. Una volta redatto, il piano deve essere svolto, e al suo svolgimento deve seguire un adeguato bilancio. Dal bilancio (dalla pratica si va alla teoria), quindi dall’analisi dell’esperienza, vengono tratti i nuovi obiettivi su cui lavorare, si torna a redigere un piano e ad applicarlo (dalla teoria alla pratica).

Una volta, quindi, analizzato il contesto, (analisi delle condizioni oggettive e soggettive) si stende un piano. Un piano deve rispondere a queste domande: perché? (obiettivi), come? (metodi), con che cosa? (strumenti), quando, dove e con chi? (programma). Abbiamo capito meglio che il piano non è un mero esercizio di scrittura che serve a far sapere ad altri cosa facciamo, ma è un’utile riflessione sulla nostra attività e che ci permette di fare un bilancio che non sia frutto di sensazioni del momento ma che sia frutto di un’analisi della realtà, che ci porta a valutare se i nostri obiettivi erano adeguati e corrispondenti alla nostra analisi e altrettanto le nostre azioni, che ci permette di capire i limiti che abbiamo nel non portare a termine ciò che ci prefiggiamo, o ci fa capire gli aspetti che ancora non siamo capaci di prevedere e considerare nello sviluppo della nostra azione, in sintesi ci consente di combattere il movimentismo e lo stile di lavoro approssimativo e artigianale.

Abbiamo posto come obiettivo della campagna il principio e la pratica della direzione complessiva, della direzione sia sul lavoro politico sia sulla vita personale. Abbiamo compiuto passi in avanti in questo senso sia riguardo ai singoli compagni che agli organismi, contrastando l’atteggiamento piccolo - borghese di appartenenza all’organizzazione solo “quanto, quando e come voglio io individualmente”, rafforzando la necessità della subordinazione dell’individuo al collettivo. Se la contraddizione individuo/collettivo, privato/politico viene ignorata o non viene trattata adeguatamente porta alla regressione sia dell’individuo sia del collettivo. Ad esempio è sbagliato pensare all’attività politica non come aspetto principale della propria vita ma come unico aspetto, negando tutto il resto, quindi negando la contraddizione. Bisogne invece focalizzare meglio tale contraddizione, prenderla saldamente in mano e dirigere la trasformazione ad un livello superiore.

Le difficoltà, le caratteristiche, i limiti personali non solo si riversano sugli aspetti politici, ma scaturiscono da (e sono espressione di) concezioni ideologiche precise. La nostra vita personale deve essere trasformata in funzione della nostra vita politica. La vita politica è l’aspetto dirigente.

La trasformazione avviene ugualmente con o senza di noi, ma se noi impariamo a trattare la contraddizione possiamo imparare a dirigerla, a dare allo sviluppo della contraddizione il risultato che vogliamo. Il movimento delle masse esiste al di là dell’esistenza dei comunisti. Se non ci sono i comunisti le masse vengono dirette dalla borghesia. Se i comunisti ci sono ma non sono capaci di trattare le contraddizioni connesse al movimento delle masse stesse allora ugualmente dirigerà la borghesia. Anche la nostra vita personale viene diretta o dai comunisti o dalla borghesia. Solo se prendiamo in mano la nostra vita da comunisti potremo spezzare in una certa misura l’influenza della borghesia, conquistare autonomia ideologica dalla borghesia in tutti gli aspetti sia politici che personali e giungere a maturità, quella maturità che ci permette di progredire nel nostro lavoro di ricostruzione del partito comunista.

È per questo che deve essere l’organizzazione (cioè noi stessi uniti in un collettivo) a prendersi “cura” della nostra vita, dei nostri limiti, delle nostre arretratezze. Se non lo fa l’organizzazione saremo più “legati e influenzati” dalla borghesia. Dobbiamo sempre aver presente che se non lo facciamo noi, lo fa il nostro nemico.

All’interno della campagna abbiamo infine iniziato a porre una particolare attenzione sull’aspetto finanziario della  nostra azione (dell’azione dei comunisti), lavorando sia sugli aspetti ideologici che limitano lo sviluppo del nostro lavoro sia su quelli organizzativi. In questo campo sono particolarmente radicate concezioni idealiste e piccolo-borghesi. Il denaro, nella società capitalista, è misura della potenza dell’individuo, e quindi l’atteggiamento di fronte al denaro è una cartina al tornasole per valutare quanto ognuno di noi effettivamente si contrappone all’individualismo borghese, quanto ognuno di noi nelle attuali condizioni concrete realizza anche in questo campo l’unità superiore tra collettivo e individuo, quanto, cioè, contribuisce anche economicamente alla ricostruzione del partito. Combattere le concezioni piccolo-borghesi significa saper indirizzare quanto più possibile le nostre risorse economiche per la causa comune. Combattere l’idealismo significa contrastare l’idea che guadagnare (avere) denaro è di per sé negativo, che meno se ne ha più si è “puri” (idealismo), che bisogna averne solo quel tanto che ci serve per la gestione corrente (minimalismo) o che bisogna mobilitarsi solo per far fronte a spese straordinarie o quando le casse sono in rosso (emergenzialismo). Dobbiamo raccogliere denaro (sottoscrizioni piccole e grandi), mettere in piedi attività economiche e curare la nostra economia per sviluppare la nostra attività, per svolgere ad un livello superiore il nostro lavoro, per condurre meglio la lotta della nostra classe. La “timidezza” e le arretratezze in questo campo sono dei limiti ideologici. Dobbiamo ricostruire un grande partito comunista, e quindi dobbiamo considerare un limite quello che ci impedisce non solo di sviluppare un adeguato lavoro di funzionariato, non solo di pubblicare le opere dei dirigenti del movimento comunista e in generale quelle che illustrano l’unica verità, quella rivoluzionaria, ma anche quello che impedisce ai compagni e alle compagne di spostarsi da una città all’altra, di riunirsi, di scambiarsi direttamente le esperienze. Anche in questo campo abbiamo iniziato a riscontrare i primi risultati positivi, il che significa che anche qui siamo sì agli inizi, ma il lavoro è avviato.

 

Conclusioni

Il lavoro intrapreso con questa campagna è importante e ci ha dato modo di comprendere meglio il percorso di trasformazione in comunisti che dobbiamo sviluppare. Siamo solo agli inizi. Fare un salto dal punto di vista organizzativo permetterà di raccogliere meglio i frutti della semina che abbiamo fatto in questi anni. Per dirigere il movimento delle masse è necessario costruire un’organizzazione forte sia dal punto di vista ideologico sia dal punto di vista organizzativo. Senza organizzazione anche la migliore teoria serve a poco. La teoria migliore è quella che sa tradursi in organizzazione.

Avanziamo nella ricostruzione del partito comunista, il partito che “è la parte d’avanguardia e organizzata della classe operaia, incarna la coscienza della classe operaia in lotta per il potere ed è lo strumento della sua direzione sul resto del proletariato e della masse popolari”, il partito che “è reparto organizzato nel senso che è un insieme disciplinato di organizzazioni che fanno tutte capo a un centro di cui seguono le direttive con assoluta disciplina, a cui sono legate secondo il principio del centralismo democratico”.(6)

 

La responsabile della campagna

 

6. Segreteria Nazionale CARC, Progetto di Manifesto Programma del nuovo Partito comunista italiano, Ed. Rapporti Sociali, p. 61.

 

 

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