INDICE di Cristoforo Colombo

2. LA CRISI DEL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO

3. I RISULTATI

- Introduzione

- Un problema di metodo

- Il successo della nostra azione

La creazione di un centro della lotta del proletariato per il potere

La scoperta dell'efficacia e del ruolo della lotta armata come strumento di lotta politica rivoluzionaria

L'accelerazione del declino dei revisionisti

La creazione di una nuova leva di rivoluzionari

Un limite alla demoralizzazione tra le masse

- Sfruttare i successi conseguiti

4. LA STRATEGIA DEI COMUNISTI NELLA METROPOLI IMPERIALISTA


Capitolo 3

 I RISULTATI

 

 

 Introduzione

 

Abbiamo detto che chi non fa autocritica sugli errori del passato, non è nemmeno in grado di sfruttare i risultati raggiunti.

Ma quali sono i risultati raggiunti?

La soluzione della crisi del movimento rivoluzionario, come abbiamo già detto, si pone come soluzione del problema dello sviluppo qualitativo del movimento rivoluzionario, come conferma della scoperta della via alla rivoluzione socialista nei paesi imperialisti, come soluzione del problema della costituzione del movimento rivoluzionario in partito.

Questo problema può quindi essere posto e risolto solo sulla base del bilancio dell'esperienza storica del movimento proletario della fase imperialista, dell'analisi della situazione oggettiva e dell'analisi della situazione soggettiva, ma a condizione che questa sia a sua volta condotta sulla base della prima.

La «propaganda armata» è stata solo l'inizio della rinascita del movimento rivoluzionario. Non è bastata e non poteva bastare a determinarne lo sviluppo. Essa però ha posto le basi per la costituzione del partito comunista ed ha aperto la via.

 

Lo sviluppo della lotta armata negli anni 70 e in particolare la creazione e l'attività delle Brigate Rosse hanno cambiato la situazione politica italiana. Perché, in che senso e in quale misura? Quale è stata la scoperta cui ha portato l'attività delle Brigate Rosse?

 

 

 Un problema di metodo

 

Anche i risultati raggiunti vanno misurati sulla società, non sugli obiettivi e sulle idee dei protagonisti.

Non importa che la lotta armata sia stata fin dall'inizio un progetto: in alcuni suoi promotori lo è stata, in altri no. Probabilmente pochi tra i promotori delle Brigate Rosse avevano previsto grosso modo l'andamento che le cose hanno avuto, anche se non era imprevedibile. Nella lotta armata sono confluite diverse componenti, diverse spinte e diverse origini: era un segno della sua forza, anche se a lungo andare l'eterogeneità, restando tale, è diventata un elemento di debolezza. Quello che importa è cosa ha prodotto la lotta armata nella società italiana e che ruolo avrà nel futuro della nostra società quello che la lotta armata ha seminato. Questo criterio vale nel bilancio di ogni movimento; a posteriori, non resta traccia di quello che il movimento pensava di sé, resta quello che ha prodotto nella società.

 

Facciamo un esempio. Quando abbiamo promosso la campagna di primavera del 1978 ed effettuato il sequestro di Moro e la sua esecuzione, potevamo o no esserci proposti, più o meno chiaramente, di mandare a monte il «compromesso storico», il progetto di nuova maggioranza governativa, la maggioranza di «solidarietà nazionale».

 Ciò non cambia assolutamente nulla al fatto che questo fu il risultato della nostra azione e oggi il rapimento Moro va valutato per questo risultato, non per le intenzioni degli autori.

Ancora: potevamo o no aver contato sulle contraddizioni che a proposito della «solidarietà nazionale» laceravano la borghesia italiana, i gruppi imperialisti di altri paesi e l'apparato statale italiano; questo non toglie nulla al fatto che quelle contraddizioni favorirono oggettivamente la nostra azione. Sono ridicoli quelli che oggi si affannano a mettere in luce quanti borghesi ce l'avevano con Moro per concludere che quindi le Brigate Rosse furono agenti di questi; altrettanto ridicoli quelli che si affannano a negare le convergenze obiettive e il concorso. Ma cosa vuol dire la tesi "sfruttare e allargare le contraddizioni in campo nemico" se non questo? L'operazione Moro è stata un esempio brillante, da manuale, di cosa significa, nella vita reale e nella guerra, sfruttare e allargare le contraddizioni in campo nemico. Tale è stato l'allargamento, che i suoi effetti si vedono ancora adesso: l'impossibilità dei partiti e dei gruppi borghesi di trovare uno stabile rapporto tra loro, la diffidenza tra essi e il fatto che ognuno di essi conta solo su sé, l'accentuarsi dello scontro militare e all'ultimo sangue tra gruppi borghesi, guerra di mafia compresa. E di più se ne vedranno se l'attività delle Brigate Rosse riprenderà al livello necessario oggi (in questo aveva ragione Moro quando diceva che dalla sua morte sarebbe venuta rovina per i suoi compari!).

Quello che si deve chiarire è se il risultato (liquidazione della linea della «solidarietà nazionale») corrispose o no agli interessi della nostra causa: in caso contrario ci ritroveremmo ad aver fatto, per limiti di analisi politica, gli interessi dei nostri avversari.

 

Altrettanto è utile analizzare oggi nuovamente tutte le iniziative militari delle Brigate Rosse, alla luce degli avvenimenti successivi, degli effetti conseguenti e dell'esperienza acquisita, e non della coscienza che ne ebbero i protagonisti e degli obiettivi che essi si proponevano di conseguire con quelle iniziative. Questa analisi sarà una grande fonte di insegnamento sui meccanismi attraverso i quali la società borghese evolve e attraverso i quali la politica rivoluzionaria può farla evolvere.

 

 

 Il successo della nostra azione

 

Quali sono i risultati oggettivi raggiunti dalle Brigate Rosse in alcuni anni di «propaganda armata», quali gli elementi nuovi da essi introdotti nella società italiana?

 

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La creazione di un centro della lotta del proletariato per il potere

 

La lotta armata condotta dalle Brigate Rosse ha fatto risorgere in Italia, per la classe dominante e per le masse, un centro della lotta del proletariato per il potere.

 

Nel 1944 con la «svolta di Salerno» il PCI era entrato, in posizione subordinata, in un sistema di alleanze e nello Stato della classe dominante (la collaborazione nell'ambito dei CNL, dopo il 1943, era una collaborazione tra forze combattenti e il PCI vi aveva l'egemonia).

Nel 1947 il PCI era stato estromesso dal governo del paese ed aveva accettato l'estromissione; l'accettazione venne sanzionata e ribadita con le elezioni del 1948.

 Da allora in poi, l'azione del PCI si svolse nell'ambito dell'accettazione del proprio ruolo di opposizione politica nel regime, che lo Stato a sua volta riconosceva. La storia del passaggio dalla reciproca accettazione dei distinti ruoli come un dato di fatto alla collaborazione è la storia della politica italiana degli anni 50 e 60.

Dopo la conclusione della Resistenza e a causa dell'assetto politico che si creò in Italia, cessò di esistere un reale centro della lotta del proletariato per il potere, cioè un centro dotato dell'autonomia d'iniziativa necessaria per rendere sistematico e organizzare a livello di lotta politica il potenziale di antagonismo esistente tra le masse. Il PCI agiva nell'ambito di limiti ben definiti, che sia il PCI che lo Stato conoscevano e rispettavano; il PCI e le organizzazioni di massa connesse erano in condizioni di libertà condizionata e vigilata, agivano nell'ambito delle leggi dello Stato e in condizioni di dipendenza e ricattabilità da parte dello Stato. Era una condizione che il gruppo dirigente del PCI aveva accettato, chi per convinzione, chi per calcolo, chi per necessità e di cui tutti, compresa la sinistra più sinistra del PCI era schiava (altro che le velleità di Secchia!). In questa situazione il PCI stesso di conseguenza poneva tutti i limiti che si possono porre istituzionalmente allo sviluppo dell'antagonismo tra le masse, perché l'antagonismo cresce oltre certi limiti elementari e primitivi solo se trova terreno su cui esercitarsi e verificarsi. La volontà di combattere non cresce oltre un livello elementare se non si traduce in combattimento e in vittorie.

I gruppi politici «rivoluzionari» sorti a partire dai primi anni 60 non vollero o non seppero superare questa condizione. E' probabile del resto che l'inizio di un nuovo corso richieda, perché non sia stroncato sul nascere e riesca ad impiantarsi e riprodursi, il concorso di una serie di circostanze oggettive, sia più un'occasione da cogliere che una decisione soggettiva. Detto in altre parole, per la «propaganda armata» occorrono determinate circostanze che assicurino fin dall'inizio il seguito e il contesto necessari per raggiungere il suo risultato.

 

E' solo con la nascita delle organizzazioni combattenti e in particolare delle Brigate Rosse nell'ambito del grande movimento di massa a cavallo degli anni 60 e 70 che venne superato il limite accettato dal PCI nel 1947. Il successo e la continuità dell'azione delle Brigate Rosse stabilizzò la nuova situazione: ci fu nuovamente un centro promotore ed organizzatore della lotta del proletariato per il potere.

Negli anni 20 condizione determinante la costituzione del PCd'I fu il suo legame con la Rivoluzione d'Ottobre e l'Internazionale Comunista. Era questo legame che per le masse faceva la qualità del partito e lo poneva ad un altro livello rispetto ai vari gruppi e organismi di sinistra. Non a caso nel PCd'I la continuità del partito fu rappresentata da questo legame, non dalla linea e i gruppi che ruppero con quel legame (Bordiga e C.) finirono nel nulla.

E' il legame con la lotta armata, con la «propaganda armata» ciò che oggi fa sì che le Brigate Rosse siano in condizioni di porsi come centro promotore del nuovo partito comunista e della nuova direzione del movimento delle masse.

 

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E' indiscutibile per ogni proletario, d'accordo o no con le Brigate Rosse, che esse sono un'altra cosa dal sistema di potere oggi dominante. La coalizione di tutti i gruppi, gruppetti, partiti e partitini esistenti nel paese, accomunati dalla reciproca tolleranza, dalla comune convivenza nel patto costituzionale (che garantisce la sopravvivenza e le regole del gioco tra di loro) e dalla comune prassi di deplorare quello che si continua a lasciare avvenire e con cui si convive al punto che è impossibile distinguere la deplorazione fatta per accaparrarsi voti dalla deplorazione sincera ancorché impotente, questa «Santa Alleanza» contro le Brigate Rosse ha creato delle  grosse difficoltà a queste a partire dal 1980, ma le ha consacrate come unico punto di riferimento rivoluzionario per le masse del nostro paese.

La stasi, le defezioni, la crisi, la lunghezza del travaglio del parto del partito non hanno ancora eliminato questo risultato raggiunto nella fase della «propaganda armata». Contro la sua volontà e i suoi interessi, la borghesia deve rafforzare continuamente questo nostro ruolo. Addebitando alle Brigate Rosse tutto quanto di antagonista ad essa sorge tra le masse, distribuendo a destra e a manca accuse di banda armata e di associazione sovversiva, rinnova continuamente tra le masse il prestigio delle Brigate Rosse. Gli arresti, le scoperte di sedi, ecc. nel contesto di una giusta linea che assicura la continuità dell'organizzazione e il suo legame con le masse, non hanno mai fermato un'organizzazione rivoluzionaria, anzi in molti casi ne hanno determinato lo sviluppo (come hanno capito anche molti strateghi della controrivoluzione preventiva che però ben poco possono fare al riguardo).

Tra le migliaia di partiti, organismi, associazioni, club, proposte politiche, profezie e bei discorsi di cui pullula la società imperialista, le Brigate Rosse si sono poste e ogni giorno vengono ancora poste come qualcosa di unico e a sé stante, come centro promotore della lotta per il potere del proletariato. Da qui tutto lo sforzo della borghesia e dei suoi alleati per svuotare di valenza politica la lotta armata degli anni 70 e quindi vanificare il risultato.

Da ciò consegue che le Brigate Rosse (e solo loro) sono oggi nelle condizioni per costituire nuovamente un partito comunista.

Ogni altro gruppo che si ponesse questo compito indipendentemente dalle Brigate Rosse, non potrebbe di fatto giovarsi dei risultati della lotta armata degli anni 70, dovrebbe aprirsi una diversa via. E per l'inizio, che le BR ebbero nel contesto del grande movimento popolare degli anni 70, ogni altro gruppo dovrebbe giovarsi di altre circostanze che, come tutte le circostanze, gli individui non possono determinare ma solo cogliere quando vi siano.

 

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 La scoperta dell'efficacia e del ruolo della lotta armata come strumento di lotta politica rivoluzionaria

 

In secondo luogo le Brigate Rosse, impugnando le armi e combattendo per vari anni, hanno scoperto che un'organizzazione comunista poteva mandare a monte progetti (come la «solidarietà nazionale») che mille dimostrazioni di piazza non scalfivano, che poteva determinare un corso degli eventi che era impossibile determinare senza questo strumento e che questo conferiva ad un centro della rivoluzione proletaria ancora debole una capacità di iniziativa politica che in nessun altro modo poteva avere.

 

Se l'effetto diretto della «propaganda armata» fu quello di creare nuovamente un centro della lotta proletaria per il potere, indirettamente, già nella fase della «propaganda armata», è venuto in luce il ruolo fondamentale della lotta armata proletaria come strumento della lotta per il potere, in una situazione non rivoluzionaria e quando non si hanno neppure le condizioni per una «guerra dispiegata» (23). E' stato cioè scoperto il ruolo della lotta armata proletaria in quella fase dello sviluppo del movimento che potremmo chiamare fase di accumulazione delle forze rivoluzionarie in condizioni di accerchiamento da parte delle forze borghesi.

 

(23) Abbiamo già chiarito sopra cosa intendiamo per situazione rivoluzionaria e per rivoluzione («ultima e decisiva battaglia per il potere», insurrezione).

 Per «guerra dispiegata» intendiamo una situazione in cui le forze armate rivoluzionarie sono in grado di affrontare apertamente le forze controrivoluzionarie, quindi il rapporto di forza si è modificato fino ad un certo punto a favore della rivoluzione. Pensiamo ad esempio alle condizioni della lotta partigiana in Italia negli anni 1943-45.

Sia nel corso della rivoluzione che della guerra dispiegata il ruolo principale della lotta armata diventa, a differenza che nella fase di accumulazione delle forze rivoluzionarie in condizioni di accerchiamento da parte delle forze borghesi, la liquidazione delle forze armate e delle altre strutture di potere della borghesia.

 

 

Già negli anni 70 fu mostrato che il partito del proletariato, intervenendo con la lotta armata in un processo politico di cui ha compreso giustamente i termini, le tendenze, le contraddizioni, le forze motrici e i gruppi in lotta, può entro certi limiti determinare la direzione in cui evolverà la situazione o impedire che, tra le direzioni possibili, essa evolva in quella più sfavorevole al proletariato.

Insomma si è scoperto che era possibile «colpire il cuore dello Stato» ed impedire che le contraddizioni interne alla borghesia trovassero un terreno di soluzione tale da creare una condizione di maggior forza per essa.

Si è scoperto che era possibile disarticolare, rendere inoperante, neutralizzare per un certo tempo una struttura del potere nemico particolarmente efficace, insidiosa e temibile nella sua azione di lungo termine contro le forze rivoluzionarie.

Questo duplice ruolo della lotta armata proletaria venne prima esercitato e solo dopo compreso. Venne cioè scoperto dalle Brigate Rosse al modo in cui Cristoforo Colombo scoprì l'America e ancora non sono state comprese e sfruttate tutte le conseguenze di questa scoperta.

 

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Tutta la storia delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni nei paesi imperialisti nel corso di questo secolo mostra che il movimento economico e politico della società porta periodicamente per la sua stessa natura a situazioni di crisi acuta, di collasso del processo produttivo e di paralisi dello Stato; ma mostra anche che queste situazioni contengono più soluzioni possibili e che la borghesia ha riunito abbastanza risorse ed esperienza per impedire che si arrivi a condizioni tali per cui la soluzione che si realizza sia quella della presa del potere da parte del proletariato, per prevenire insomma l'accumulazione delle forze rivoluzionarie oltre un limite critico.

E' la controrivoluzione preventiva come nuova arma della borghesia nella fase storica della sua agonia. Infatti nel corso di questo secolo nei paesi imperialisti dell'Europa Occidentale la regola è che la borghesia ha sempre preso l'iniziativa in campo militare, stroncando in tempo l'accumulazione delle forze rivoluzionarie, salvo poi ritornare alla «legalità» quando il risultato era stato raggiunto.

 

Nell'Introduzione a Le lotte di classe in Francia scritta nel 1895, Engels, che gli opportunisti a volte portano a sostegno delle proprie tesi, indicava chiaramente che quando i regimi borghesi fossero arrivati al punto da rompere i «patti» su cui si reggeva la democrazia borghese (e assicurava che ci sarebbero arrivati), compito dei partiti proletari sarebbe stato proseguire la loro strada con tutti i mezzi, senza lasciarsi legare le mani dalla legalità borghese e dalla sottomissione allo Stato borghese. C'è qualcuno, persino tra gli opportunisti, che può sostenere che anche uno solo degli Stati borghesi d'Europa non ha dopo di allora «rotto i patti» della democrazia borghese? E' almeno dall'inizio della 1° Guerra Mondiale che ciò è avvenuto! Non c'è un paese imperialista in cui, nel periodo compreso tra l'inizio del secolo e oggi, la borghesia non sia ricorsa ripetutamente ora a una ora all'altra di queste misure: lo stato d'assedio, lo stato di guerra, le  misure d'emergenza, la mobilitazione militare, lo scioglimento delle organizzazioni proletarie, il terrore delle forze armate di Stato o parastatali contro i proletari e le loro organizzazioni, la eliminazione dei dirigenti proletari, la corruzione dei dirigenti proletari, l'infiltrazione delle organizzazioni proletarie, le provocazioni, la creazione di organizzazioni parallele, le operazioni diversive di massa, lo spionaggio, le stragi e i massacri, la intossicazione intenzionale e sistematica dell'opinione pubblica, la creazione pianificata di organizzazioni diversive, i brogli elettorali, la sovversione dei risultati elettorali, il boicottaggio e il ricatto economici.

Proprio per questo la «scoperta» delle Brigate Rosse è la continuazione e lo sviluppo dei germi della nuova strategia, adeguata alle condizioni della fase imperialista, che sia i partiti comunisti che il movimento delle masse vennero sviluppando negli anni 20 e 30 di questo secolo. Nella storia dell'epoca, in special modo in Italia, durante la guerra civile 1919-1922 e dopo, e in Germania la tendenza a porre stabilmente l'attività combattente tra le proprie forme di lotta, è evidente sia nei partiti comunisti che nel movimento delle masse.

La lotta armata come strumento per «colpire il cuore dello Stato», quindi come strumento per mantenere aperte e intervenire attivamente nelle contraddizioni della borghesia e come strumento per neutralizzare temporaneamente strutture della controrivoluzione, restituisce al proletariato l'iniziativa politica nella situazione propria delle società imperialiste, lo fa uscire da una situazione di attesa e di ostaggio nelle mani della borghesia. Nella fase imperialista, tutte le organizzazioni proletarie che nei periodi «pacifici» hanno voluto contenere la propria azione nell'ambito della legalità borghese o limitarsi alla difensiva, sono state o soffocate o travolte al sopravvenire di un periodo non pacifico, di fronte al quale si sono trovate impotenti.

La storia delle società imperialiste mostra che quando una società si avvia alla paralisi, il vecchio regime non cade da sé: succede che una parte della classe dominante si coalizza nel compito supremo di conservare alla propria classe il predominio che viene eroso dalla paralisi avanzante; sottopone con mezzi straordinari ad una nuova disciplina se stessa ed il resto della classe dominante; sacrifica quanto necessario della proprietà e della libertà di iniziativa degli altri gruppi; avoca a sé tutti i diritti di proprietà e di iniziativa; prende tutte le necessarie misure per soffocare ed eliminare quanto si oppone al suo obiettivo.

L'epoca dell'imperialismo è stata l'epoca delle esecuzioni degli avversari politici, dei colpi di mano e degli stermini di massa non solo nei paesi dipendenti, ma anche nel cuore della «civilissima Europa».

La lotta armata del proletariato è lo strumento necessario per impedire che nel corso delle crisi economiche e politiche delle società imperialiste prevalga questa evoluzione, per impedire il successo della parte della borghesia che di volta in volta si assume il compito «rivoluzionario» di salvare il potere della propria classe e schiacciare il proletariato.

La lotta armata proletaria avrà probabilmente il duplice ruolo sopra indicato finché l'evoluzione della situazione, determinatasi proprio perché il proletariato ha impedito lo sbocco controrivoluzionario e modificato le condizioni a suo favore, consentirà di passare o all'«ultima e decisiva battaglia per il potere» (la rivoluzione, l'insurrezione) o alla guerra dispiegata. Non siamo oggi in grado di prevedere quale dei due eventi si verificherà, perché ciò dipende da circostanze oggi imprevedibili.

L'esplicazione di questo duplice ruolo della lotta armata nella lotta del proletariato per il potere comporta che il partito abbia una comprensione giusta e dettagliata dei processi politici in corso e quindi, a differenza di quanto pensano i militaristi, comporta il predominio netto e assoluto del politico sul militare nel partito e nel movimento proletario. L'azione militare serve e deve essere solo in funzione di obiettivi politici.

Per sfruttare le grandi possibilità offerte dalla scoperta della lotta armata nel suo duplice ruolo, occorre che impariamo a «suonare il piano con dieci dita», che facciamo un salto avanti nella  comprensione del movimento politico, che ci allontaniamo mille miglia dalla prassi di quelli che danno il titolo di «cuore dello Stato» ad ogni bersaglio che colpiscono. La giustezza degli obiettivi della nostra iniziativa militare discende dalla giustezza della nostra analisi della situazione politica e gli effetti pratici conseguenti al successo della nostra iniziativa militare sono una verifica della giustezza della nostra analisi politica.

 

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Nella lotta del proletariato dei paesi imperialisti per il potere, il duplice ruolo della lotta armata nella fase di accumulazione delle forze rivoluzionarie in condizioni di accerchiamento da parte delle forze borghesi, ruolo scoperto dall'azione delle Brigate Rosse, vale ovviamente per tutti i paesi imperialisti perché non è legato a particolarità nazionali del nostro paese. Questo diventa quindi uno dei criteri con cui determinare i nostri collegamenti internazionali, tenendo presente che l'inizio, come sopra detto, è legato ad occasioni e situazioni politiche dei vari paesi.

 

Accanto a questo duplice ruolo della lotta armata nella fase di accumulo delle forze rivoluzionarie in condizioni di accerchiamento da parte delle forze borghesi, restano i ruoli che già si conoscevano (eliminazione di spie e traditori, finanziamento ed equipaggiamento, in alcuni casi punizione esemplare di nemici del popolo ed altre operazioni propagandistiche).

 

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 L'accelerazione del declino dei revisionisti

 

In terzo luogo le Brigate Rosse impugnando le armi hanno costretto i revisionisti a rivelare il loro vero volto di questurini ben più di quanto vi erano riusciti mille opuscoli.

Impugnando le armi li hanno costretti a schierarsi in modo che altrimenti avrebbero vantaggiosamente evitato (da Minucci costretto a schierarsi contro gli operai FIAT «fondo del barile raschiato», alla FULC costretta ad abbandonare la denuncia delle «fabbriche della morte»). Essa ha impedito che i revisionisti potessero ancora cavalcare le lotte rivendicative delle masse, imbrigliando e vanificando in esse le energie creative delle masse. Tali lotte e il contenere in esse il movimento popolare erano la forza e la funzione dei revisionisti. Da quando la classe dominante non può più trarre giovamento da questa loro opera, i revisionisti sono diventati ferrivecchi inutili anche per la borghesia che non se ne può più servire e hanno perso anche il suo sostegno.

Questo indebolisce ulteriormente l'azione di contenimento e diversione delle energie rivoluzionarie del proletariato che risultava dalla loro esistenza e attività. Fino a qualche anno fa chi iniziava a muoversi, andava a iscriversi al PCI e lì per un tempo più o meno lungo si acquietava, sforzandosi di esprimere nelle forme del PCI quello che lo aveva mosso e lo muoveva. Ma ora che le sezioni chiudono, che l'articolata e variegata struttura si ischeletrisce e quel che ne resta diventa elitaria, ora che la denuncia delle condizioni dell'oppressione di classe e l'attività di organizzazione delle rivendicazioni e delle proteste cessano (soffocate, oltre che dalla mancanza di risultati, dal timore prodotto dalla costatazione che «se si denuncia la fabbrica della morte, poi è inevitabile che qualcuno faccia fare a Taliercio la fine che ha fatto»), quella via di espressione deviata della rivolta si chiude e ogni proletario che oggi si sveglia alla rivolta deve cercare altre vie.

 Oggi i revisionisti rifuggono dalle lotte rivendicative e dalle proteste nel cui ambito contenevano l'energia di tanti proletari, valorizzandola ed esaurendola. Negli anni 70 è stato dimostrato che le lotte rivendicative, che sembravano essere solo un efficace diversivo dalla lotta rivoluzionaria per il potere, sono invece state levatrici di coscienza politica e di ribellione, il terreno su cui è rinata la lotta politica rivoluzionaria. La parte maggiore delle risorse dei revisionisti e dei sindacati di regime oggi è spesa, sempre più diffusamente e ossessivamente, per riuscire a controllare i lavoratori. Contenere, controllare, riassorbire i COBAS, reprimerli nella misura a ciò necessaria, introdurre codici di autoregolamentazione, mantenere il monopolio della rappresentanza e della contrattazione, moderare le richieste e renderle compatibili: questa è la loro occupazione principale. E' poca cosa che da alcuni anni i revisionisti debbano costantemente guardarsi le spalle da iniziative di base e preoccuparsi di sedare le lotte anziché porsi come promotori e organizzatori di esse?

Questo li indebolisce, come già oggi è chiaro persino nonostante l'assenza del movimento rivoluzionario sul terreno delle lotte rivendicative e dell'orientamento della protesta delle masse. Questo apre un terreno importante d'azione per il movimento rivoluzionario. Coltivare questo terreno è una questione di resistenza e di vita del partito, oltre che un aspetto necessario del suo carattere di classe.

 

L'azione combattente delle Brigate Rosse, combinandosi con la fine del progetto di costruire una società del benessere, ha decretato la fine del ruolo che i revisionisti avevano svolto nel regime.

E' probabile che l'esecuzione di questa sentenza comporti anche il ridimensionamento elettorale del PCI, i cui voti sono ancora in buona parte «voti di speranza in una società diversa» e quindi destinati a venir meno assieme alla speranza e a rifluire, almeno provvisoriamente, in voti di clientela, voti di intimidazione, voti di superstizione e d'ignoranza (24).

 

(24) I voti per il PCI erano in larga misura il risultato della mobilitazione di alcune decine di migliaia di proletari e comunisti che volontariamente, coraggiosamente, in contrasto con la spinta al guadagno e al tornaconto personali, sacrificando tempo ed energie facevano uscire, con mille iniziative e operando in mille modi, milioni di lavoratori dalla condizione di abbrutimento fisico e di asservimento mentale e psicologico al padrone, al prete, alla TV, ai pregiudizi e alla superstizione e li portavano a sperare nel meglio, a crescere, a vedere più in là, ad allargare gli orizzonti: in conclusione, alle elezioni, a votare PCI anziché DC, PSI, MSI, PSDI, ecc. ecc. Ora quelle decine di migliaia di militanti un po' alla volta abbandonano il loro lavoro perché delusi dalla linea conservatrice, di destra e poliziesca del PCI o si corrompono diventando carrieristi profittatori. Quei milioni di persone che grazie al loro lavoro avevano alzato la testa, avevano incominciato a tirarsi su dal fango, ma che non erano ancora consolidati in questa condizione da trasformazioni materiali, strutturali della società, (perché la loro condizione materiale restava ancora quella di casalinghe relegate nell'isolamento domestico, di lavoratori sballottati qua e là a rimediare soldi rischiando la pelle o adattandosi in mille modi alla volontà e ai capricci del loro padrone), ripiombano nella loro condizione ordinaria e alle elezioni votano DC, PSI, PSDI, MSI, ecc. ecc. Non è un caso che il PCI ha avuto il massimo successo elettorale proprio nel momento di massimo sviluppo del movimento rivendicativo delle masse degli anni 70, nonostante il suo ruolo frenante nelle lotte rivendicative e nonostante che nel movimento fluisse un mare di improperi e di critiche contro di esso.

 

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 La creazione di una nuova leva di rivoluzionari

 

L'azione delle Brigate Rosse ha innescato la formazione di una nuova leva di rivoluzionari che si tempra nell'attuale situazione, che si verifica, che passa il suo esame ora, con molte bocciature è vero, ma con una selezione che è indispensabile e che produce compagni che crescono autocriticandosi e riorganizzandosi al livello della nuova situazione. Il limite posto in luce dall'esame non è colpa dell'esame. E' un'ottima cosa che, essendoci il limite, l'esame lo faccia venire alla luce. L'esperienza della lotta armata, come ha istupidito ed abbattuto alcuni, ha  educato e temprato altri. Le Brigate Rosse sono rimaste l'unico meccanismo che il proletariato ha a sua disposizione per selezionare nuovi quadri dirigenti di classe, cioè per riconquistare la sua indipendenza ed autonomia politica.

Un compagno che oggi impara ad usare la stampa clandestina, a farla circolare, a nasconderla, a beffare la polizia ufficiale e quella ausiliaria del PCI e dei gruppi, vale più di mille ciarlatani preparati dalla FGCI e dal PCI.

Così è per il compagno che riesce a portare un'assemblea di lavoratori a perseguire la propria rivendicazione nonostante la volontà dei ras sindacali; il compagno che riesce a condurre la lotta contro l'opportunismo di gruppi e gruppuscoli ed a propagandare i principi della lotta politica rivoluzionaria in forma opportunamente mascherata; il compagno che sa maneggiare le armi; il compagno che impara a mantenere un rapporto di partito nella più assoluta clandestinità: tutti «tipi» di compagni di cui il nuovo corso ha avviato la formazione.

La formazione degli uomini è certamente il lavoro più difficile ma anche il più prezioso. Dedicare a questo lavoro le energie necessarie fa parte dell'autocritica attuale delle Brigate Rosse che, quasi come il resto delle organizzazioni combattenti, si sono per anni limitate a unire e inquadrare gli uomini che spontaneamente si ponevano sul terreno rivoluzionario, crescendo quindi di quanto la situazione spontaneamente produceva e subendo le conseguenze quando il movimento delle masse è entrato in una fase di riflusso.

 

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 Un limite alla demoralizzazione tra le masse

 

La nascita e l'attività delle Brigate Rosse hanno fatto sì che il riflusso del movimento di massa e la sua sconfitta sul piano dei suoi obiettivi rivendicativi non si risolvessero in una completa e prolungata demoralizzazione.

La lotta degli anni 70 non è stata inutile perché ha prodotto un'esperienza che continua e si sviluppa nelle Brigate Rosse. Le sconfitte degli anni 80 non sono definitive, nel senso in cui una sconfitta del proletariato in quest'epoca può essere definitiva, nel senso cioè di una rottura nel trasferimento e nella crescita dell'esperienza (una sconfitta definitiva fu quella della Resistenza antifascista), perché il germe che allora si è formato è ancora vivo. Ben lo sanno gli strateghi dell'«antiterrorismo» e i loro nuovi accoliti della «soluzione politica». Questo è un potente strumento di sostegno e di forza per tutto il movimento delle masse che dispiegherà tutta la sua efficacia se e quando le Brigate Rosse completeranno l'attuale, lungo e doloroso travaglio della gestazione del partito.

 

 

 Sfruttare i successi conseguiti

 

E' forse «colpa» della «propaganda armata» se il terreno creato dal suo successo non viene fatto fruttare? Se le Brigate Rosse si attardano a fare «propaganda armata» quando essa, come contenuto principale della loro attività, ha già dato tutto quanto poteva dare e oramai può svolgere un ruolo utile solo come attività marginale?

Possiamo anche continuare a «tirar giù» un Ruffilli o un Giorgieri all'anno, magari con qualche sforzo anche uno al mese e ogni volta più che giustamente mostrare nella rivendicazione che essi  avevano un ruolo importante nella ridefinizione reazionaria della società, nel traffico d'armi, nella militarizzazione della società.

Ma se la nostra attività si limita a questo, cosa otteniamo con un Ruffilli o un Giorgieri al mese? Di impedire la collaborazione diretta di professori e ricercatori universitari con i gruppi dirigenti dei partiti? Di distogliere i generali dal traffico d'armi?

La «propaganda armata» non è un talismano, un sortilegio. E' una chiave che apre una porta. Ma una porta si apre per andare avanti e non serve continuare a girare la chiave!

La «propaganda armata» ha raggiunto pienamente il risultato che con essa ci si poteva ragionevolmente riproporre. Ha insomma sgombrato il terreno dagli equivoci che intralciavano ogni effettiva avanzata nel senso rivoluzionario.

 

 

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E' evidente che le sconfitte subite dalle Brigate Rosse (lo smantellamento di larga parte delle strutture, il tradimento e la defezione di gran numero di arrestati, la messa in forse della continuità delle Brigate Rosse, della loro riproduzione) sono dovute ai limiti ed errori di concezione e di impostazione delle Brigate Rosse stesse, ai vizi d'origine conservati caparbiamente, alle malattie dovute al contesto non ancora superato, da cui hanno avuto origine. Per cui tutto oggi si riassume nel dilemma se riusciremo o no a superare i nostri limiti ed errori.

Questo mette fuori gioco chi vuole ricominciare da capo, vuole ripartire a fare come facevamo nel '68, come individui o gruppi nel movimento di massa. Ovvio che lasciar perdere i risultati raggiunti e ritornare da capo è più semplice, si può evitare di risolvere tutti i problemi che invece si devono risolvere per passare dalle Brigate Rosse, che hanno fatto «propaganda armata» e che con questo hanno sgomberato il terreno per la formazione del partito rivoluzionario, al partito rivoluzionario che, libero a questo punto da ogni accordo e ogni regola del gioco con la classe dominante, dirige le masse proletarie nell'accumulazione delle forze rivoluzionarie per la conquista del potere «suonando il piano con dieci dita». Ma ciò è appunto rifuggire dai compiti posti dalla storia già percorsa, è liquidazione dell'organizzazione e dell'attività rivoluzionaria.

 

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Le Brigate Rosse hanno finalmente rotto nel movimento operaio italiano la tradizione della sinistra che promuoveva, organizzava, gestiva lotte rivendicative e di protesta, diffondeva la propria cultura (propaganda politica e iniziative culturali), creava le organizzazioni confacenti a questi compiti e supponeva che tutto ciò, giunto ad un certo (imprecisato) punto di sviluppo e in congiunzione con certe circostanze, si sarebbe non si sa come trasformato in insurrezione per la conquista del potere, senza che la borghesia muovesse un dito per impedire che si arrivasse a quel punto.

Questa era stata la linea del PSI. Fu quella prevalente nel PCd'I tra le due guerre nonostante un gran numero di spunti e tentativi di rompere con questa tradizione prodotti dalla confluenza di tendenze interne con la pratica e l'esperienza della 3° Internazionale e della guerra di Spagna. Negli anni 20 e nei primi anni 30 il corpo e la direzione del PCd'I sono percorsi da tendenze e tentativi di sviluppare un'attività combattente di partito e di massa che però furono soffocate dalla confluenza dell'opposizione «di sinistra» che avversava una linea di massa su questo terreno (tipico il sabotaggio del movimento degli «Arditi del popolo») con l'opposizione di destra che  avversava l'attività combattente in generale. Mentre i protagonisti dei tentativi di attività militare a loro volta non arrivano mai a dare ad essi l'organicità di una linea basata su un'analisi del movimento economico e politico della società borghese nella fase imperialista.

Durante la Resistenza la linea del PCI non fu dissimile, anche se a causa delle circostanze si pose prevalentemente sul piano militare. Il PCI non si mosse mai complessivamente ed organicamente come partito che lottava per conquistare il potere per il proletariato. Si pose sempre come partito che lottava per estendere a settori più ampi della popolazione i diritti sanciti dalla democrazia borghese, per il ristabilimento delle istituzioni della democrazia borghese, per l'uguaglianza politica ed il miglioramento delle condizioni di vita. E man mano che questa linea si rivelava impotente e questa strada impercorribile, abbandonava uno ad uno i suoi obiettivi, riduceva passo dopo passo le sue richieste.

Dopo il 25 aprile '45 la linea ufficiale del PCI fino all'ottavo congresso (1956) e delle sue correnti di sinistra fino a noi (meglio, fino a Cossutta) fu una versione farsesca della «linea insurrezionalista», ed è questa versione che vari compagni del movimento rivoluzionario e vari personaggi di altri movimenti criticano come «linea insurrezionalista della 3° Internazionale», in una combinazione di ignoranza e di calcolo.

Il PCI non ebbe insomma mai una linea militare, una linea che anche in campo militare raccogliesse, rendesse organico e sistematico ed elevasse al livello di strumento di lotta politica quanto spuntava tra le masse e quindi ne favorisse lo sviluppo.

 

La linea di tutte le opposizioni di sinistra (i gruppi) a cavallo tra gli anni 60 e gli anni 70 fu simile a quella del PCI.

I gruppi, nei casi migliori, in questo come in altri campi cercarono di rompere con gli sviluppi ultimi del revisionismo del PCI, non con l'impianto generale. Del resto questo era inevitabile dato che essi, nonostante tutti i rigori di linea organizzativa adottati, non si elevarono mai molto al di sopra della condizione di organizzazioni di massa, non riflettevano la coscienza d'avanguardia, ma riflettevano (sia pur estremizzandola) la coscienza comune, diffusa del movimento di massa ed erano guidati da questa coscienza comune che inevitabilmente era una combinazione variegata ed instabile di elementi dell'esperienza diretta e di elementi della cultura della classe dominante.

Essi furono quasi unicamente movimenti pratici e cessarono di esistere, senza bisogno di una specifica azione per eliminarli, quando rifluì il movimento di massa che li aveva prodotti. Le conquiste economico-pratiche e di costume cui essi avevano contribuito, vengono via via eliminate dall'avanzare della crisi economica e dalla conseguente ristrutturazione della società (il lamentato «imbarbarimento») e di esse non rimase nulla che passasse al futuro. Cosa è rimasto delle loro analisi? In cosa hanno portato avanti il patrimonio teorico, conoscitivo, il bagaglio di esperienze del movimento operaio italiano? Cosa è rimasto dei loro metodi d'azione?

La scomparsa dalla scena politica e la dissociazione dalla lotta di classe degli uomini che ne fecero parte, oltre che rispondere in una certa misura alla composizione di classe dei gruppi (25), rispecchiò la loro natura di organizzazioni di massa: quando un'iniziativa di massa cessa senza aver raggiunto i suoi obiettivi, i suoi protagonisti tornano alle loro normali abitudini.

 

(25) I gruppi assorbirono in sé e diedero forma anche alla contraddizione generazionale interna alla classe dominante. Il contrasto tra i padri e i figli, particolarmente acuto in quell'epoca a causa della crisi complessiva della classe dominante, si concretò nell'afflusso dei figli nei gruppi, nella loro «andata agli operai e al popolo». Per verificarlo basta fare l'analisi dell'origine di classe dei membri dei gruppi e dei loro organismi dirigenti. Si trova che la percentuale di elementi di origine borghese è elevata e spesso, soprattutto negli organismi dirigenti, addirittura più elevata della percentuale della borghesia sulla popolazione complessiva.

L'«andata agli operai e al popolo» dei figli dei borghesi era un'espressione della grande egemonia della classe operaia in quel periodo (in altre epoche gli stessi figli dei borghesi in vena di emancipazione confluivano nello squadrismo fascista e in formazioni analoghe). Ma era inevitabile il ritorno di una parte di essi alla loro classe. Il ritorno fu  pressoché totale a causa del fallimento del movimento.

 

La «propaganda armata» introdusse nel movimento operaio e popolare italiano un'esperienza pratica nuova. Le lotte rivendicative, le occupazioni di fabbriche, di case e di luoghi pubblici, le dimostrazioni di piazza, i servizi d'ordine, gli scontri di piazza e tutte le altre forme assunte dal movimento di quegli anni, erano forme già note, già appartenenti all'esperienza del movimento operaio e popolare del nostro paese e molte di esse non raggiunsero in quegli anni l'ampiezza e l'intensità che avevano raggiunto in altri periodi.

Ciò che fu innovativo fu la «propaganda armata», un'organizzazione comunista che ponesse programmaticamente la lotta armata come strumento dell'azione politica propria e delle masse. Per la prima volta ciò entrò e riuscì a mettere radici nel movimento operaio e popolare italiano. Diventò una nuova realtà. Le Brigate Rosse quindi costituiscono il compimento finalmente raggiunto delle tendenze, dei tentativi e delle aspirazioni ad adeguare la strategia proletaria alle condizioni politiche della fase imperialista presenti nella storia della 3° Internazionale dalla sua fondazione.

 

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La generalizzazione del reato di «banda armata» e di «associazione sovversiva» è l'indice del nostro successo. Siamo riusciti a costituire un centro della lotta del proletariato per il potere. Ad esso vengono addebitati tutti i reati politici, tutti i tentativi (veri o presunti) di sovversione dell'ordine borghese. Tutto ciò che nel proletariato si muove in contrasto con l'ordine borghese viene fatto risalire alle Brigate Rosse, e ciò è un esempio di come anche i movimenti dell'avversario portino acqua al nostro mulino, quando il nostro mulino macina nel senso del movimento oggettivo.

Siamo riusciti ad agganciare il nemico e portarlo sul nostro terreno. Il proletariato ha ripreso in mano l'iniziativa in campo politico.

C'era una società in cui la lotta politica era diventata politica-spettacolo; contemporaneamente la base della società viveva un contrasto antagonista di interessi che restava fuori dalla politica e a quel livello si consumavano le peggiori nefandezze. Ebbene noi siamo riusciti a rompere quella finzione di lotta politica e a far diventare lotta politica quello scontro antagonista di interessi che si svolge alla base della società. O meglio, siamo riusciti a rompere quella finzione di lotta politica e abbiamo gettato il seme perché lo scontro di interessi antagonisti che si svolge alla base della società diventi lotta politica, lotta per il potere. Si è creata una situazione in cui per qualunque proletario che si affaccia alla lotta e incomincia a concepire l'emancipazione della propria classe, il problema si pone nei termini: aderire alle Brigate Rosse o lasciar perdere e rassegnarsi?


INDICE di Cristosforo Colombo - Capitolo 4 - LA STRATEGIA DEI COMUNISTI NELLA METROPOLI IMPERIALISTA

Indice della letteratura comunista