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1.1. Il modo di produzione capitalista

 

1.1.1. La produzione mercantile

 

La produzione mercantile è il terreno su cui è germogliato e si è sviluppato il modo di produzione capitalista. Questi a sua volta ha reso universale la produzione mercantile: ha trasformato e ancora sta trasformando in produzione di merci una parte crescente delle attività umane.

La produzione mercantile è comparsa nella storia dell’umanità molto tempo fa, nell’ambito di società in cui prevaleva l’uno o l’altro dei modi di produzione precapitalisti (primitivo, patriarcale, schiavista, asiatico, feudale, ecc.), quando singoli lavoratori o gruppi hanno incominciato a produrre beni o servizi per scambiarli con beni e servizi prodotti da altri. Essa è sorta in società in cui invece normalmente i lavoratori producevano per il consumo proprio o di persone a cui a qualsiasi titolo provvedevano (prole, consanguinei, ecc.) oppure producevano a uso e consumo e su ordine del loro padrone, del loro signore o dei loro preti: insomma delle classi dominanti e sfruttatrici.

Per sua natura la produzione mercantile comportava e generava relazioni, concezioni, sentimenti e comportamenti radicalmente diversi da quelli connessi alle altre forme di produzione. Queste erano tutte basate su legami naturali, cioè affini a quelli che si incontrano in altre specie animali (di branco, di generazione, di genere, familiari, di clan, di vicinato, di sangue, ecc.) o su rapporti sociali specificamente umani di dipendenza personale (dello schiavo dal padrone, del servo dal signore, del lavoratore dal clero, dal notabile o dal protettore). La produzione mercantile invece, per sua natura, implicava la libertà da tutti questi vincoli. Essa implicava l’eguaglianza e la libertà dei produttori, la loro pari dignità sociale. Nello stesso tempo essa però implicava e promuoveva la divisione del lavoro tra individui e gruppi e quindi li rendeva uno dipendente dall’altro. Obbligava ogni produttore a conoscere e a interessarsi dei gusti e dei bisogni dei suoi possibili clienti, cioè di individui con i quali non aveva nessuno dei legami sopra indicati. Creava tra i produttori una reciproca dipendenza economica che potenzialmente oltrepassava i limiti dei legami di sangue, di relazioni personali, di razza, di religione, di cultura, di lingua, di vicinato: creava cioè una dipendenza e un legame universali. Il protagonista tipico della produzione mercantile produce, vende e compera secondo la propria convenienza, mosso dal proprio interesse. Egli però per vivere deve trovare compratori e venditori. Fino allora ogni uomo aveva potuto vivere solo grazie alla sua appartenenza a una sua propria comunità. L’individuo era stato un’appendice della sua comunità naturale, privo di autonomia rispetto ad essa: di norma non riusciva a sopravvivere al di fuori di essa. La produzione mercantile invece lo libera dal legame comunitario. Ogni uomo può sopravvivere grazie al legame mercantile che ogni individuo può stabilire con chiunque a sua volta commerci. Egli dipende da tutti gli altri, ma da nessuno in particolare. Nasce così l’individuo nel senso moderno del termine: non dipendente da alcun altro individuo e dipendente dalla loro società. La produzione mercantile fatta da singoli lavoratori rende ogni individuo personalmente indifferente a ogni altro, ma lo rende dipendente dalla società nel suo complesso: non più dipendente da questo o quell’individuo, ma dal complesso degli individui con cui è direttamente o indirettamente in rapporto tramite lo scambio (il mercato). Praticando a lungo e in situazioni differenti la produzione mercantile, gli uomini e le donne svilupparono gradualmente un nuovo livello di civiltà.

Un simile rapporto tra uomini sorse nella forma di una comune dipendenza da una qualità dei beni e dei servizi oggetto di scambio, chiamata valore. Infatti, a parità di altre condizioni, il rapporto si realizzava e si concludeva felicemente solo se compratore e venditore convergevano nella valutazione delle quantità degli oggetti che avrebbero scambiato tra loro; se concordavano sul loro valore di scambio; se entrambi lo riconoscevano e vi si sottomettevano. Vi era quindi tra loro un rapporto volontario, ma non arbitrario.(14) Si trattava di una qualità che gli stessi beni e servizi non avevano al di fuori della società mercantile e del rapporto mercantile.

 Tutto l’edificio e l’evoluzione della produzione mercantile, e della produzione capitalista che in essa ha le sue radici, sono diventate comprensibili solo grazie alla scoperta

che il valore è la qualità di una cosa, ma non è altro che una qualità che le attribuiscono i produttori di merci, stante il particolare rapporto che essi hanno tra loro: quindi il valore è un rapporto sociale in forza del quale gli uomini conferiscono alle cose da essi prodotte e ai servizi da essi svolti una particolare, specifica qualità;

che la determinazione quantitativa del valore (il valore di scambio) è data per ogni merce dalla quantità (cioè dal tempo) di lavoro socialmente necessaria per produrla.(15) (16)

La produzione mercantile è stata la cellula originaria di una nuova superiore fase della civiltà umana. Essa ha portato la specie umana a distinguersi ancora più radicalmente dalle altre specie animali. Ha segnato un’ulteriore rottura della specie umana con le radici che essa aveva in comune con le altre specie animali. È stata l’avvio di una trasformazione che attraverso il capitalismo porterà al comunismo. Il comunismo supererà, tramite l’associazione volontaria ma non arbitraria dei lavoratori, l’indifferenza reciproca che caratterizza i produttori di merci e rende ognuno di essi schiavo dei suoi rapporti sociali. Se consideriamo il percorso dai vecchi modi di produzione, alla produzione mercantile e infine al comunismo, questo appare come negazione della negazione. Proprio grazie alla coscienza e all’organizzazione connesse a questo superamento, la società comunista manterrà non solo le conquiste di civiltà prodotte dalla produzione mercantile, ma anche la coesione sociale che finora è imposta dalla classe dominante e ha quindi la sua impronta. Essa conterrà in sé i presupposti dell’ulteriore sviluppo delle une e dell’altra: sarà un’associazione di individui che si riconosceranno come eguali e, liberi finalmente dalla sottomissione cieca e inconsapevole sia alla natura che alle loro relazioni sociali, dirigeranno consapevolmente essi stessi le relazioni tra di loro e la loro vita collettiva. Il bisogno non restringerà più la loro attività e i rapporti sociali non si imporranno più ad essi come una potenza estranea ad essi, indipendente da essi, come il loro Dio.(12)

La produzione di merci intesa come produzione mercantile compiuta da individui liberi, i produttori diretti, è la produzione mercantile semplice. La produzione di merci, la circolazione delle merci, e il denaro da esse scaturito, sono comparsi fin da tempi remoti e in vari paesi, come aspetto marginale e ausiliario di altri modi di produzione (primitivo, patriarcale, schiavista, asiatico, feudale, ecc.). La produzione mercantile semplice non poteva imporsi su larga scala, diventare la forma principale e prevalente di produzione di interi paesi. Essa infatti 1. non era compatibile con le più avanzate tra le condizioni sociali della produzione già esistenti (i sistemi di irrigazione, le reti stradali, le grandi opere pubbliche, ecc.) e 2. non era compatibile con la divisione in classi già radicata nelle società in cui essa nacque. La produzione mercantile quindi si affermò su larga scala solo come produzione mercantile capitalista. Questa, infatti, combina la produzione di merci con la divisione della società in classi e con le condizioni collettive della produzione già elaborate dall’umanità nella storia precedente. La circolazione delle merci è stata, in effetti, il punto di partenza della formazione, tramite la trasformazione del denaro in capitale, di una nuova classe dominante: la borghesia.

 

 

1.1.2. La nascita, la natura e lo sviluppo del modo di produzione capitalista

 

II capitalismo nasce là dove il possessore di mezzi di produzione e di beni di consumo, o del denaro con cui li si possa acquistare (quindi la nascita del capitalismo implica, presuppone un certo grado di sviluppo della produzione mercantile), incontra l’operaio “libero” venditore della sua forza-lavoro (capacità lavorativa).(17) Nel capitalismo la forza-lavoro assume la forma (il ruolo, la funzione) di una merce che appartiene all’operaio: una merce che viene venduta (dall’operaio) e comperata (dal capitalista) come ogni altra merce. Essa quindi nel capitalismo è un valore e ha un valore di scambio: questo si chiama salario. L’attività dell’operaio, conseguentemente, assume la forma di lavoro salariato. II valore di scambio della forza-lavoro, come il valore di scambio di ogni merce, è determinato dal tempo di lavoro socialmente necessario per la sua produzione. Pertanto il valore di scambio della forza-lavoro è il valore di scambio dei beni di consumo e dei servizi necessari a mantenere l’individuo lavoratore nel suo stato corrente di vita e di  lavoro, nel dato paese e nella data epoca e a mantenere la sua famiglia: ossia ad assicurare la riproduzione della merce forza-lavoro.(18)

L’operaio vende per un tempo determinato la sua forza-lavoro in cambio del salario. II capitalista diventa proprietario, per quel tempo, di questa merce e la consuma nella sua azienda, nella fabbrica. La durata del lavoro del suo operaio è superiore a quella (detta “lavoro necessario”) necessaria all’operaio per produrre, nelle merci finali, un valore di scambio eguale a quello (il salario) che riceve in cambio della forza-lavoro che ha venduto. II capitalista quindi fa produrre all’operaio valori di scambio di cui non paga l’equivalente. Si appropria di un valore di scambio aggiuntivo a quello che egli ha anticipato con il salario. Questo valore aggiuntivo è chiamato plusvalore: esso è il prodotto del pluslavoro, il lavoro che l’operaio compie in più del lavoro necessario. II capitalista sfrutta l’operaio e valorizza (aumenta) il suo capitale. Ne deriva che, per sua natura, il capitalista è interessato a prolungare la durata del tempo complessivo di lavoro dei suoi operai. Ma per sua natura è interessato anche a ridurre la durata del tempo di lavoro necessario: è cioè interessato ad aumentare la produttività del lavoro. Questo uso della forza-lavoro è il processo di produzione capitalista di merci: un processo di produzione di beni e servizi che è anche processo di creazione di valore (perché svolto nell’ambito della produzione mercantile) e processo di valorizzazione del capitale o di estrazione del plusvalore (perché svolto nell’ambito del modo di produzione capitalista).

Questa è l’essenza del modo di produzione capitalista messa in luce da K. Marx e F. Engels.(19)

Questo processo di sfruttamento è la cellula dalla quale si è sviluppata nel corso di alcuni secoli tutta la società attuale. È la base sulla quale si innalza tutto l’edificio dell’attuale società borghese. Questa cellula racchiude già in sé l’antagonismo che è la fonte dell’inconciliabile lotta di classe tra gli operai, privi di tutto meno che della loro forza-lavoro, e i capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione, dei beni di consumo e delle condizioni generali, materiali e intellettuali, della produzione e, su questa base, classe dominante e dirigente dell’intera società.

Il modo di produzione capitalista è nato in Europa a partire dal secolo XI. Sviluppi della produzione mercantile verso il capitalismo si erano avuti anche in epoche precedenti e in altre regioni. Ma non avevano avuto seguito. Quindi non hanno importanza storica, come non l’hanno avuta i viaggi nelle Americhe prima di quelli del 1492. Invece nel secolo XI, in alcune zone d’Europa iniziò un processo che non si è più arrestato. Esso al contrario si è esteso a tutto il mondo, ha condotto all’attuale società mondiale e condiziona ancora oggi l’evoluzione di tutta l’umanità.

Per una combinazione di circostanze, in quelle zone dell’Europa e in quell’epoca la produzione mercantile aveva raggiunto uno sviluppo abbastanza ampio. Nel suo ambito comparve il capitalista, come personificazione del capitale commerciale. Egli acquistava merci non per uso personale, ma per venderle. Faceva questa attività non per ricavare da vivere, ma per aumentare il suo denaro. Il passo successivo avvenne quando il capitalista, ancora commerciante, passò a commissionare regolarmente la produzione di merci. Successivamente, a partire dal secolo XVI, il capitalista divenne industriale: passò a organizzare egli stesso la produzione. Prese ad assumere a lavorare, in propri locali (manifatture) e con propri mezzi di produzione e proprie materie prime, individui che a loro volta erano liberi da vincoli di servitù, ma erano anche stati privati della possibilità di provvedere alla propria vita in altro modo che vendendo la propria forza-lavoro. Da quel momento la sorte del lavoratore cessò di essere più o meno direttamente legata al suo asservimento al lavoro, al suo sforzo lavorativo o alle condizioni dell’ambiente in cui vive e passò a dipendere principalmente dall’andamento degli affari dei capitalisti e dal suo rapporto di forza col capitalista. D’altra parte divenne interesse del capitalista non solo far lavorare il più a lungo e il più intensamente possibile ogni suo lavoratore, ma anche elevare al massimo possibile la produttività del suo lavoro.

La storia precedente aveva già concentrato il patrimonio culturale e scientifico della società e la sua ricchezza nelle mani delle classi dominanti e aveva scavato tra queste e il resto della popolazione un solco che era cresciuto con lo sviluppo del patrimonio culturale e scientifico e della ricchezza. Ma, a differenza delle classi dominanti che l’avevano preceduta, la borghesia, per sua natura, usò sistematicamente sia il patrimonio culturale e scientifico sia la ricchezza per elevare la produttività del lavoro degli operai. Qui sta la base della superiorità della società capitalista sulle società che l’hanno preceduta, il motivo per cui le ha soppiantate.

 Spinta dal suo interesse, a partire dal secolo XVIII, la borghesia è passata dalla manifattura alla grande industria prima meccanizzata e poi informatizzata. Ha attuato un processo di ampia socializzazione e divisione del lavoro e ha sempre più accentuato la dipendenza tra le distinte aziende (unità produttive). Ha esteso la produzione mercantile a un numero crescente dei vecchi settori di lavoro: miniere, trasporti, foreste, agricoltura, pesca, servizi. Ha creato nuovi settori di produzione mercantile: ricerca, comunicazione, divertimento, gioco, culto, assistenza sanitaria, cura dei bambini e degli anziani, educazione, relazioni umane, relazioni sessuali, servizi d’ogni genere. Ha reso tra loro dipendenti i più vari settori produttivi, facendo di uno il mercato dell’altro. Ha legato l’uno all’altro regioni e paesi fino allora estranei. Ha usato, assimilato, trasformato o distrutto ogni materiale e istituzione che la storia le forniva. Ha creato le nazioni e gli Stati nazionali come sovrastrutture del suo mercato e del suo terreno d’investimento produttivo e di affari. Ha sottomesso a sé i vecchi Stati e ne ha creati di nuovi, mettendoli tutti al servizio della valorizzazione del capitale. Ha invaso e, in un modo o nell’altro, reso campo dei suoi affari tutti i paesi, non solo dell’Europa, ma anche di tutti gli altri continenti e li ha divisi tra paesi capitalisti e paesi oppressi (colonie e semicolonie). Il lavoro salariato è diventato di gran lunga il rapporto di lavoro più diffuso e anche gli altri rapporti di lavoro hanno in qualche modo assunto la sua forma.

I rapporti capitalisti di produzione sono stati uno stimolo potente allo sviluppo della produzione, delle forze produttive e della civiltà.

La ricerca del profitto ha spinto la borghesia ad ampliare la produzione, a perfezionare i macchinari e a migliorare la tecnologia nell’industria, nell’agricoltura, nei trasporti, nei servizi: in ogni campo. L’ha portata a creare grandi infrastrutture, a sviluppare la scienza e la ricerca scientifica in ogni ambito fino a fare della ricerca e dell’applicazione dei suoi risultati nella produzione un settore produttivo a se stante; a trasformare l’ambiente; a non arretrare di fronte a nessuna impresa; a modificare la conformazione di tutto il pianeta. La sua illimitata e individuale (unilaterale) ricerca di profitto ha spinto la borghesia a travolgere abitudini e consuetudini vecchie di secoli, a non arrestarsi di fronte a nessun crimine, a eliminare intere popolazioni e civiltà, a impoverire, inquinare e distruggere le risorse naturali e l’ambiente.

Le precedenti classi dominanti avevano tutte sfruttato i lavoratori principalmente per soddisfare il proprio bisogno di consumo. Quindi avevano nel proprio consumo il limite dello sfruttamento. Invece la borghesia ha come obiettivo non il proprio consumo, ma l’aumento del suo capitale: un obiettivo per sua natura senza limiti. Essa ha quindi spinto lo sfruttamento dei lavoratori e delle risorse naturali ben oltre quanto necessario al consumo individuale e collettivo della classe dominante e lo spinge illimitatamente in avanti. Nonostante questa veste ancora barbarica, essa ha tuttavia aperto orizzonti illimitati all’attività pratica, intellettuale e morale degli uomini. Nell’ambito del modo di produzione capitalista la specie umana ha raggiunto nel suo sviluppo uno stadio in cui il limite principale dello sviluppo non è più né l’ambiente naturale, né la produttività del lavoro, né il livello delle conoscenze, ma l’ordinamento sociale.

Da quanto fin qui detto risaltano i motivi della superiorità economica e culturale del capitalismo sui vecchi modi di produzione (schiavista, asiatico, feudale, ecc.) tra i quali esso si è sviluppato e del ruolo progressista che, per tutta un’epoca storica, la borghesia ha svolto nella storia dell’umanità. II modo di produzione capitalista si affermò definitivamente in Europa nel secolo XVI lottando contro il modo di produzione feudale. Esso non comportava solo nuovi rapporti di produzione e la fine della corporazioni, dei monopoli feudali, delle corti, dei particolarismi feudali, del Papato e della Chiesa romana, del dogmatismo teologico e dell’oscurantismo clericale.(20) Esso esigeva e faceva sorgere anche nuovi rapporti politici. Per fare spazio ai suoi affari, la borghesia impose alle Autorità del vecchio mondo la propria rappresentanza politica: i parlamenti, le elezioni, la divisione dei poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario), la limitazione dei poteri dell’esecutivo, la subordinazione di questo a leggi e costituzioni. Fece sorgere nella massa della popolazione comportamenti, concezioni, sentimenti incompatibili col feudalesimo. Definì o ridefinì, secondo i suoi interessi, pesi, misure, calendari, codici e istituzioni di ogni genere.

Il modo di produzione capitalista prevalse su larga scala anzitutto in Gran Bretagna dove, per una serie di circostanze, poté impiegare la forza del vecchio Stato per spazzare via la resistenza feudale fino a impadronirsi dell’agricoltura che allora era ancora di gran lunga l’attività economica più importante. Seguirono poi la Francia e via via gli altri paesi europei e le colonie anglosassoni di popolamento (l’America  del Nord e l’Australia). La serie quasi ininterrotta di guerre che costituisce la storia dell’Europa nei secoli XVI, XVII, XVIII, la Rivoluzione inglese (1638-1688), la Guerra d’indipendenza americana (1776-1783), la Rivoluzione francese (1789-1815) e, infine, la Rivoluzione europea del 1848, sono le tappe principali della lotta con la quale, in Europa Occidentale, la borghesia eliminò, nella misura in cui ciò le era necessario, il mondo feudale e affermò la propria direzione. Il predominio mondiale della Gran Bretagna e dei paesi anglosassoni nell’epoca contemporanea è strettamente legato a questo primato e alla profondità con cui il modo di produzione capitalista ha conformato a se stesso in questi paesi, in particolare negli USA, le relazioni sociali.

Mentre la borghesia conduceva la sua lotta contro il feudalesimo, contro il Sacro Romano Impero Germanico e le monarchie feudali, contro l’assolutismo monarchico, contro l’oscurantismo della Chiesa Cattolica Romana e del Papato, nell’ambito del suo modo di produzione una nuova classe, la classe operaia, cresceva numericamente e acquistava maturità culturale e forza politica. La borghesia la costringeva a condizioni di lavoro e di vita peggiori di quanto mai si era fino ad allora visto. Nello stesso tempo, però, ne proclamava e imponeva la liberazione dalle servitù feudali e clericali. Contro queste, la borghesia inalberava le parole d’ordine di “libertà, eguaglianza e fratellanza” universali. Contro la resistenza dei feudatari e del clero, essa mobilitava la stessa classe operaia.

Nel secolo XVIII nel paese capitalista più avanzato, l’Inghilterra, l’antagonismo tra la borghesia e gli operai era già abbastanza sviluppato. L’operaio si era abbastanza differenziato sia dal capitalista sia dall’artigiano, dal garzone di bottega e dal povero in genere, al punto da dar luogo a ribellioni di vario genere, individuali e collettive e alle prime forme di organizzazione di classe. Gli operai parteciparono attivamente alla Rivoluzione francese, ma ancora sostanzialmente al seguito della borghesia. Nei primi decenni del secolo XIX, nei paesi dell’Europa Occidentale gli operai si contrapponevano sempre più diffusamente alla borghesia. Così acquisivano coscienza di classe e capacità di lotta. Trascinavano nella lotta al loro seguito il resto delle masse popolari. Diventarono un problema per l’ordine pubblico.(21) Nella Rivoluzione europea del 1848, benché fosse ancora la borghesia a cogliere i frutti della loro lotta, essi parteciparono già come classe a se stante. Nel giugno del 1848, a Parigi, subirono una repressione feroce e di massa che in Francia segnò il netto distacco tra le due classi e anche la fine della neonata repubblica borghese. La contraddizione tra la borghesia e la classe operaia era diventata la contraddizione principale della società.

Fino ad allora inutilmente i più grandi teorici della borghesia avevano cercato di capire le origini, la natura, le leggi di sviluppo e il ruolo storico del modo di produzione capitalista. L’elaborazione delle esperienze della lotta della classe operaia contro la borghesia condusse a una comprensione esauriente di tutto ciò. Vennero quindi comprese anche le condizioni materiali entro le quali si svolgeva e da cui era condizionata la lotta della classe operaia.(22)

Il capitalismo combina l’asservimento di classe dei vecchi tempi con la libertà individuale del venditore e compratore di merci. Gli uomini e le donne proletari compongono la massa della popolazione e in varia misura influenzano e sagomano a propria immagine anche gli altri lavoratori. Essi dovrebbero essere asserviti a un pugno di uomini (i borghesi) e nello stesso tempo, come produttori e venditori di una merce (la forza-lavoro) e acquirenti dello scintillante e mutevole mondo delle merci messe in vendita dalla borghesia, sviluppare ognuno le attitudini, i comportamenti e le capacità intellettuali e morali di un protagonista del mercato mondiale e vivere ai suoi ritmi. Per un verso, il capitalismo ha bisogno di lavoratori abbrutiti come i lavoratori delle vecchie società; di lavoratori la cui aspirazione principale è servire padroni che per di più la civiltà borghese stessa ha oramai spogliato anche dell’aureola del diritto divino o naturale che consacrava i loro predecessori quali depositari del potere. Per l’altro verso, il capitalismo esige dai proletari la capacità di badare ognuno ai fatti propri in una società in continua trasformazione: una società oramai priva delle costrizioni abitudinarie e consacrate da una lunga tradizione che nei precedenti modi di produzione dettavano “per l’eternità” la vita e il comportamento di ogni individuo a seconda della classe a cui apparteneva e del mestiere che esercitava. Il capitalismo è la contraddizione in atto. È per sua natura un regime di transizione. Non può, come i vecchi modi di produzione, durare millenni come modo d’essere di generazioni che si succedono illimitatamente, eguali per l’essenziale le une alle altre, a somiglianza, per molti aspetti, di quello  che avviene per le altre specie animali, a un ritmo in cui i mutamenti sono di regola lenti, casuali e limitati in gran parte a quella minoranza che costituisce la classe dominante. Nell’evoluzione della specie umana il capitalismo ha il ruolo storico di educare in massa gli uomini e le donne a una vita intellettuale, morale, sentimentale e sociale da individui liberi ed eguali; ma tale vita è incompatibile con la natura del capitalismo stesso, perché esso è l’ordinamento di una società ancora intrinsecamente basata sull’oppressione di classe.

II capitalismo ha accelerato l’evoluzione della civiltà e della specie umana. Esso di continuo crea e sopprime le condizioni di una vita superiore per la massa della popolazione.(2) Il capitalismo combina in se stesso la vecchia barbarie e la nuova civiltà. Mantiene la vecchia barbarie semi-animale del lavoratore strumento del suo padrone e crea le condizioni della nuova civiltà comunista. Attraverso il procedere del capitalismo, le condizioni della nuova civiltà continuamente si moltiplicano e si radicano. Le due anime del capitalismo, quindi, si differenziano, si separano e si contrappongono fino a escludersi a vicenda. La borghesia diventa tanto più reazionaria, quanto più ha completato la sua missione storica di creare le condizioni della nuova civiltà comunista.

Le conseguenze più barbariche della sopravvivenza del suo dominio – i genocidi, le guerre, le carestie, le epidemie, l’emarginazione, l’alienazione, la precarietà, ecc. – non sono peggiori degli avvenimenti ricorrenti nelle società primitive. Ma esse sono oggi insopportabili proprio perché oramai superflue e perché di conseguenza nuovi sono oggi i sentimenti e la cultura che l’umanità ha sviluppato. Nella sua decadenza la borghesia rimette in uso, perpetua e intensifica su scala mai prima raggiunta tutti i comportamenti propri della fase barbarica dell’umanità, ma che con la coscienza di oggi gli uomini ripudiano. Nuova non è la barbarie che la borghesia rievoca, perpetua, impone e impersona. Nuovi sono i sentimenti e le idee che ce la rendono intollerabile e la situazione pratica che la rende superflua.

Da una parte, miliardi di uomini e donne si accostano in massa alle condizioni materiali, intellettuali e morali adeguate all’”associazione in cui il libero sviluppo di ognuno è la condizione del libero sviluppo di tutti”. Dall’altra, la classe dominante si chiude sempre più nella conservazione della vecchia oppressione di classe e impugna, a sua estrema difesa, tutta la potenza delle armi di oppressione, di abbrutimento e di distruzione alla cui produzione essa piega tutte le forze produttive della società. Essa evoca a suo sostegno tutte le vecchie forze del paradiso e dell’inferno, del cielo e della terra. Chiama a raccolta i preti e i profeti di tutte le religioni e i cultori di ogni vizio: assicura ad essi un illimitato campo d’azione e di espansione e si giova sia della loro attività sia della repressione di essa. Nei paesi capitalisti più avanzati la borghesia ha fatto di ogni bene e servizio una merce e del denaro il tramite indispensabile di ogni relazione. Essa costringe quindi ogni proletario a impiegare la maggior parte se non tutte le sue energie fisiche, intellettuali e morali per procurarsi il denaro necessario a soddisfare i bisogni di una vita sociale elementare. Essa avviluppa ogni proletario in una rete di obbligazioni, di pagamenti, di mutui, di rate che lo costringe a dedicare, in cambio del salario, il meglio delle proprie capacità ad adempiere il compito che gli è assegnato nell’ambito della divisione sociale e tecnica del lavoro che nel suo insieme fa funzionare e riproduce il sistema sociale che incarna la dominazione della borghesia. Da qui uno stato di abbrutimento intellettuale e morale universale che la borghesia promuove da ogni lato, che è il principale ostacolo di ogni progresso civile e che il movimento comunista deve rimuovere per assolvere al suo compito.

La classe operaia è diventata la forza dirigente dell’ulteriore progresso dell’umanità: della trasformazione, cioè, della società capitalista in società comunista. Il comunismo è, oltre che il processo pratico della trasformazione in corso, la concezione del mondo e il metodo di azione e di conoscenza con cui questa nuova classe conduce la sua lotta. La prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale con i suoi primi paesi socialisti(*) è stata l’aurora, contemporaneamente già luminosa e ancora tenebrosa, dello scontro decisivo.

 

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1.2. Le classi e la lotta di classe