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1.4. La prima crisi generale del capitalismo, la prima ondata della rivoluzione proletaria, il leninismo seconda superiore tappa del pensiero comunista

 

All’inizio del secolo XX i paesi capitalisti si scontrarono per la prima volta con il limite intrinseco del modo di produzione capitalista che Marx aveva indicato: la sovrapproduzione assoluta di capitale.(*) Il capitale accumulato era oramai talmente grande che se, nelle condizioni sociali esistenti, i capitalisti avessero impiegato nella produzione tutto il capitale che venivano accumulando, la massa del profitto sarebbe diminuita. Solo una parte del capitale accumulato poteva quindi essere impiegato come capitale produttivo.(*)(42) Da qui la lotta tra i gruppi capitalisti perché ognuno vuole valorizzare il suo capitale. Da qui la guerra interimperialista e la mobilitazione reazionaria delle masse popolari(*): la rovina dei “propri” capitalisti trascina con sé nella rovina l’attività economica della massa della popolazione e il suo modo di vita e ne compromette perfino la sopravvivenza in ogni paese, finché il suo ordinamento sociale resta borghese. Sovrapproduzione di capitale significa sovrapproduzione di tutte le cose in cui il capitale si materializza: sovrapproduzione di mezzi di produzione, sovrabbondanza di materie prime, sovrapproduzione di beni di consumo, sovrabbondanza di forza-lavoro (disoccupazione cronica, esuberi), sovrabbondanza di denaro. Quindi tutta la vita di tutte le classi ne viene sconvolta. Solo a prezzo di difficoltà crescenti, di un crescente abbrutimento morale e intellettuale degli individui e di ricorrenti cataclismi sociali, il processo di produzione  e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza dell’umanità e il ricambio organico tra l’uomo e la natura continuavano ad essere effettuati nell’ambito delle relazioni sociali capitaliste, delle relazioni sociali di denaro e delle relazioni sociali mercantili.(52) In contrasto con il progresso scientifico e tecnico e con la potenza delle forze produttive all’opera, tali relazioni rendevano in ogni paese, per la massa proletaria della popolazione, la soddisfazione dei bisogni elementari di una vita civile abbastanza complicata da assorbire a ogni individuo se non tutte, gran parte delle sue risorse intellettuali e morali e mantenerlo lontano dalle attività specificamente umane,(2) in una condizione di abbrutimento intellettuale e morale diverso ma non meno degradante e avvilente di quello in cui la massa dell’umanità era stata relegata nelle società del passato. Le relazioni sociali capitaliste, di denaro e mercantili avviluppavano ogni proletario in una ragnatela di obbligazioni e di costrizioni che lo spingevano a comportamenti individuali di cui ignorava gli effetti sociali, ma legittimati dallo stato di necessità, necessari cioè a soddisfare bisogni legittimi o comunque consacrati dalla cultura corrente. L’avidità, la criminalità e l’indifferenza per la sorte degli altri risultavano giustificati dallo stato di necessità in cui le relazioni sociali ponevano ogni individuo. L’effettiva impotenza del proletario non organizzato a incidere sul corso delle relazioni sociali che lo stringono da ogni lato, unita con la crescente divisione sociale del lavoro, generava e legittimava l’irresponsabilità per comportamenti individuali che, moltiplicati per milioni e miliardi di individui e ripetuti innumerevoli volte, generavano un corso collettivo delle cose mostruoso e disastroso. Contro questo corso delle cose, non la morale individuale, ma l’azione politica era l’arma che ogni proletario cosciente poteva e doveva impugnare.

Esplose allora la prima crisi generale del capitalismo (1900-1945). Essa nasceva dall’economia, ma la crisi economica non trovava soluzione in campo economico, come invece ancora accadeva per le crisi cicliche del secolo XIX. Essa si trasformava necessariamente in crisi politica e culturale. La sua soluzione esigeva il rivoluzionamento del complesso dei rapporti sociali. Da qui una situazione rivoluzionaria in sviluppo,(*) le guerre imperialiste e la rivoluzione proletaria. Questa prima crisi generale durò vari decenni ed ebbe fine solo grazie alle distruzioni delle forze produttive e agli sconvolgimenti degli ordinamenti, delle istituzioni e della cultura culminati nella Seconda Guerra Mondiale.

All’inizio della prima crisi generale il mondo era stato già tutto diviso tra i gruppi imperialisti e i loro Stati. La borghesia imperialista difendeva ferocemente, in ogni paese e a livello internazionale, gli ordinamenti esistenti (il sistema coloniale, il sistema monetario aureo mondiale, gli ordinamenti giuridici e legislativi, ecc.) come forme del proprio potere. Ma d’altra parte il capitale aveva oramai occupato tutti gli spazi di espansione che gli erano possibili nell’ambito di quegli ordinamenti e non poteva più espandersi senza sovvertirli. Ogni singolo gruppo imperialista quindi poteva allargare i suoi affari e aumentare i suoi profitti solo occupando lo spazio di un altro gruppo imperialista. Le difficoltà incontrate dall’accumulazione del capitale sconvolgevano l’intero processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza dell’intera società, tutta la struttura economica della società e la sua sovrastruttura politica e culturale. I rapporti tra borghesia imperialista e masse popolari dispiegarono tutto il loro antagonismo. La classe dominante non poteva più regolare i rapporti tra i gruppi che la componevano né tenere a bada le masse popolari con i vecchi sistemi, né le masse potevano accettare la disgregazione e le sofferenze cui la crisi generale le portava e di cui la Prima Guerra Mondiale fu la manifestazione concentrata.

Iniziò allora una situazione rivoluzionaria in sviluppo.(53) Il mondo doveva cambiare. Interessi acquisiti e consolidati dovevano essere eliminati. La rete di relazioni commerciali e finanziarie doveva essere dissolta. Un nuovo ordine doveva essere instaurato. Nessun individuo, gruppo, partito o singola classe era in grado di far uscire la società dalla crisi in cui lo sviluppo oggettivo del capitalismo l’aveva condotta. Solo una mobilitazione generale delle ampie masse poteva eliminare rapporti, abitudini e prassi consolidate e stabilirne di nuovi, creare un nuovo ordinamento sociale. Costrette dalla situazione oggettiva le grandi masse si sarebbero mobilitate per instaurare una nuova società. La mobilitazione delle masse era un evento oggettivo, come in montagna il deflusso delle acque verso valle durante un temporale. Era un evento le cui cause motrici non risiedevano nell’iniziativa e nella coscienza degli individui e dei partiti, ma anzi creavano iniziativa e coscienza.

Due vie erano possibili. La borghesia trasforma le contraddizioni tra sé e le masse popolari in contraddizioni tra parti delle masse popolari. La classe operaia mobilita le masse popolari contro la borghesia  imperialista e su questa base le organizza e unisce. In gioco e oggetto della lotta politica tra classi, partiti e individui era quale via seguire.

1. La mobilitazione delle masse popolari diretta da qualche gruppo della borghesia imperialista contro altre masse popolari e volta all’instaurazione di un nuovo ordine mondiale ancora capitalista tramite la distruzione di una parte del capitale accumulato e delle forze produttive che lo impersonavano (mobilitazione reazionaria delle masse popolari(*)).

2. La mobilitazione delle masse popolari diretta dalla classe operaia tramite il suo partito comunista contro la borghesia imperialista e volta all’instaurazione della società socialista che toglieva da subito almeno alla parte più importante delle forze produttive esistenti il carattere di capitale (mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari(*)).

La mobilitazione delle masse popolari non è generata dal gruppo, partito o classe che la dirige. Ma non c’è mobilitazione delle masse popolari che non abbia una direzione. Già fin dall’inizio al suo interno vi è lotta per la direzione tra le due classi, le due vie e le due linee e la mobilitazione delle masse popolari realizza il suo obiettivo solo sotto la direzione di una delle due classi antagoniste.(54)

Nel movimento comunista la comprensione più alta della trasformazione che l’umanità stava compiendo e delle forze che in essa si scontravano fu espressa da Lenin (1870-1924). Il leninismo divenne la seconda superiore tappa del pensiero comunista.

Il leninismo ha arricchito e sviluppato il pensiero comunista oltre il marxismo. Esso ha dato apporti imprescindibili principalmente in tre campi: 1. la natura e il ruolo del partito comunista nel preparare e condurre la rivoluzione proletaria; 2. le caratteristiche economiche e politiche dell’imperialismo e la rivoluzione proletaria; 3. la direzione della classe operaia sul resto delle masse popolari e l’alleanza del proletariato dei paesi imperialisti con i popoli oppressi dall’imperialismo. Il marxismo-leninismo fu la concezione del mondo e il metodo di lavoro che guidò i comunisti durante la prima ondata della rivoluzione proletaria.

Dapprima prevalse la mobilitazione reazionaria. La borghesia imperialista aveva dovunque già in mano il potere e nella II internazionale la sinistra non era riuscita a contrastare con successo l’azione dei revisionisti perché non aveva raggiunto una comprensione abbastanza avanzata delle condizioni, dei risultati e delle forme in cui oramai si svolgeva la lotta di classe. La II Internazionale non aveva quindi accumulato forze rivoluzionarie della qualità necessaria perché la classe operaia e i suoi partiti comunisti fossero in grado di affrontare con successo la guerra civile a cui la borghesia li sfidava. La borghesia precipitò tutti i popoli in un periodo di sconvolgimenti, di distruzioni, di sofferenze e di massacri di dimensioni fino allora inaudite che durarono più di trenta anni. L’Europa e l’Asia furono messe a ferro e a fuoco. Le due Americhe, l’Africa e l’Oceania furono spremute perché contribuissero alla guerra. In ogni paese emersero gruppi borghesi che in nome della salvezza degli interessi generali della propria classe, ne presero la direzione sottomettendo ai propri interessi quelli degli altri gruppi e si misero alla testa della mobilitazione reazionaria delle masse popolari, le cui forme esemplari furono il fascismo in Italia e il nazismo in Germania.

La mobilitazione reazionaria delle masse popolari assunse, e non poteva che assumere la forma della guerra tra Stati e della guerra civile. La borghesia imperialista non aveva altro modo né per “decidere” quali interessi particolari dovevano essere sacrificati alla salvezza della classe e quali dovevano imporsi come nuovi interessi generali di tutta la classe, né per prevenire e impedire la rivoluzione. In ogni paese imperialista per contrastare l’instabilità del regime politico che derivava dalla crisi, lo Stato della borghesia imperialista doveva impiegare i suoi mezzi più avanzati per aprire nel mondo nuovi spazi all’espansione degli affari dei gruppi capitalisti del paese. I contrasti economici tra gruppi imperialisti e tra borghesia e masse popolari erano diventati antagonisti e si trasformavano in contrasti tra Stati imperialisti e in contrasti politici all’interno di ogni paese. Il corso della società capitalista aveva posto all’ordine del giorno l’alternativa guerra o rivoluzione. Ma in nessuno dei paesi imperialisti la classe operaia era in grado di affrontare vittoriosamente la guerra civile che la borghesia imponeva. La borghesia imperialista mobilitò quindi grandi masse, su scala mai vista prima, contro altre masse, straniere o dello stesso paese e la guerra riassunse il carattere più primitivo di guerra di sterminio di massa, condotto però con le risorse e i mezzi più  moderni e nello stesso tempo in contrasto con la cultura e i sentimenti più avanzati che l’umanità aveva oramai prodotto.

I primi anni della crisi generale furono dedicati alla preparazione politica, militare, economica e psicologica della guerra. Poi la borghesia lanciò le masse nella Prima Guerra Mondiale. Ma già nel corso della Prima Guerra Mondiale la classe operaia riuscì in una serie di paesi a trasformare la mobilitazione reazionaria in mobilitazione rivoluzionaria delle masse(*) che la borghesia imperialista aveva mobilitato e gettato fuori dal corso tradizionale della loro vita perché dessero le loro forze e il loro sangue per far prevalere i suoi interessi, si volsero contro chi le dirigeva e cambiarono di campo.

Gli avvenimenti mostrarono che tra tutti i partiti della II Internazionale, solo il Partito Operaio Socialdemocratico della Russia, guidato da Lenin, aveva compiuto un’accumulazione delle forze adeguata per qualità a far fronte alla situazione. Esso riuscì quindi a trasformare nell’Impero Russo la guerra imperialista in rivoluzione proletaria. Nel 1917 seppe approfittare delle condizioni create dalla guerra imperialista e instaurò il potere rivoluzionario in una parte importante del territorio dell’Impero. Esso mobilitò e organizzò le masse popolari attorno al partito comunista (i soviet, forma concreta del fronte delle classi e delle forze rivoluzionarie che il partito comunista deve aggregare sotto la propria direzione per condurre la rivoluzione proletaria) e le mobilitò sul piano militare creando proprie forze armate (l’armata rossa, altra forma di organizzazione delle masse popolari che il partito comunista deve promuovere per condurre la rivoluzione proletaria).

Contrariamente alle attese dello stesso POSDR, il nuovo potere dovette affrontare una lunga e decisiva guerra civile (1918-1920). Le forze reazionarie dell’impero zarista mobilitarono ai loro ordini la borghesia russa e le forze che erano sotto la sua influenza. Esse furono sostenute da tutte le potenze imperialiste. Queste con i paesi loro satelliti, nei limiti che la situazione interna di ogni paese consentiva, lanciarono le loro forze all’attacco del nuovo potere rivoluzionario, per soffocarlo sul nascere, ripetendo quanto nel 1871 era riuscito alle classi dominanti francesi e tedesche contro la Comune di Parigi.(55)

Ma a differenza di quanto era avvenuto per la Comune di Parigi, il nuovo potere ora era guidato da un partito comunista all’altezza della situazione e non era affatto isolato internazionalmente, anzi era sostenuto dalle forze rivoluzionarie di tutti i paesi, anche se le altre rivoluzioni proletarie comunque scoppiate in Europa (Germania, Austria, Ungheria, Finlandia, Paesi Baltici, ecc.) vennero sconfitte e in altri paesi (Italia, Romania, Polonia, Francia, ecc.) il fermento rivoluzionario non riuscì neanche a trasformarsi in inizio della conquista del potere, tanto erano arretrati i partiti comunisti locali e inadeguata a far fronte alla guerra civile era l’accumulazione delle forze compiuta nell’ambito della II Internazionale. In circa tre anni di guerra civile e di resistenza all’aggressione imperialista, il nuovo potere rivoluzionario instaurato nel 1917 in Russia riuscì a schiacciare le forze controrivoluzionarie, a respingere l’aggressione imperialista e a imporre e consolidare la sua direzione su gran parte del territorio del vecchio Impero Russo. Nel 1922 venne costituita l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS).

Con la rivoluzione russa del 1917 ebbe inizio la prima ondata della rivoluzione proletaria che ha sconvolto il mondo e ha aperto una nuova epoca per tutta l’umanità. A livello internazionale la rivoluzione proletaria aveva oramai conquistato e consolidato nell’URSS una sua base territoriale, la sua prima base rossa. La sua esistenza e la sua attività fecero fare un salto di qualità alle forze rivoluzionarie sia dei paesi imperialisti sia dei paesi oppressi. La rivoluzione proletaria mondiale assunse da allora in ogni paese due aspetti: la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari del paese e la difesa e il consolidamento della base rossa della rivoluzione proletaria mondiale, l’URSS.

Da allora in ogni paese per la mobilitazione rivoluzionaria il partito comunista si giovò dell’aiuto organizzativo e ideologico che gli veniva dalla base rossa mondiale della rivoluzione. A sua volta dovette misurarsi con i compiti della mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari del proprio paese e con la difesa e il consolidamento della base rossa costituita dall’Unione Sovietica.

Il partito comunista dell’Unione Sovietica dovette misurarsi con i compiti che derivavano dal ruolo di base rossa che l’URSS svolgeva per la rivoluzione mondiale e con i compiti della trasformazione socialista dei vari modi di produzione (Lenin nel 1919 all’VIII congresso del PC(b)R ne enumerò ben sei) che esistevano sul territorio del vecchio e arretrato Impero Russo.

 Nella mobilitazione reazionaria ogni gruppo imperialista aveva costantemente due direttrici guida: la guerra tra gruppi imperialisti e la repressione della rivoluzione proletaria. A partire dalla costituzione della prima base rossa della rivoluzione proletaria mondiale, la repressione della rivoluzione assunse in ogni paese un aspetto locale (la soppressione o il contenimento delle forze rivoluzionarie locali) e un aspetto internazionale (l’eliminazione della base rossa della rivoluzione proletaria mondiale). La mobilitazione reazionaria fu indebolita ogni volta che questi distinti aspetti entravano in conflitto e i gruppi imperialisti erano lacerati da contrasti sulla priorità tra essi.

Alle tre grandi contraddizioni dell’epoca imperialista già indicate, si aggiunse da allora una quarta contraddizione: la contraddizione tra il sistema imperialista e il campo socialista. A livello mondiale, dal punto di vista della rivoluzione proletaria mondiale, la fase dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie(*) era trapassata nella fase dell’equilibrio strategico(*): il movimento comunista aveva oramai una sua base territoriale e proprie forze armate che la borghesia non riusciva a eliminare.

 

La mobilitazione reazionaria delle masse si concretizzò nell’instaura-zione di regimi terroristici di massa come il fascismo (1922), il nazismo (1933) e il franchismo (1936-1939), nell’invasione giapponese della Cina e di altri paesi asiatici (1936-1945), nello scatenamento della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945).

La mobilitazione rivoluzionaria trasse forza dalla vittoria conseguita in Russia. La classe operaia, tramite i suoi partiti comunisti creati nell’ambito della prima Internazionale Comunista (1919-1943), prese la direzione delle rivoluzioni democratiche antimperialiste in vari paesi coloniali e semicoloniali. Il culmine di queste fu la vittoria della rivoluzione di nuova democrazia(*) in Cina e l’instaurazione della Repubblica popolare cinese (1949). La classe operaia condusse con forza in molti paesi la lotta contro il fascismo, il nazismo e il franchismo. Difese con successo i propri ordinamenti politici instaurati in Unione Sovietica dai ripetuti assalti delle potenze imperialiste coalizzate (1918-1920 e 1941-1945) e dai sabotaggi, dai blocchi economici, dall’aggressione furibonda della borghesia imperialista che non arretrò di fronte ad alcun delitto. Riuscì a scoraggiare i progetti aggressivi dei gruppi imperialisti anglo-americani che meditavano una seconda aggressione contro l’URSS e a impedire la loro confluenza controrivoluzionaria con i gruppi imperialisti tedeschi, giapponesi e italiani.(56) Con la grande vittoria contro l’aggressione dei nazisti e dei loro alleati (1945) riuscì a creare democrazie popolari nella Corea del Nord, in Jugoslavia, Albania, Polonia, Germania orientale, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria. Avviò la transizione al comunismo di più di un terzo della popolazione mondiale. Sviluppò le forze rivoluzionarie in tutto il mondo. Acquisì una grande esperienza nel campo del tutto inesplorato della transizione dal capitalismo al comunismo, sintetizzata nelle opere di Lenin, di Stalin (1879-1953) e di Mao Tse-tung (1893-1976).

 

Nonostante questi grandi successi, durante la prima crisi generale del capitalismo la classe operaia non raggiunse tuttavia ancora un livello di coscienza e di organizzazione sufficiente per vincere la borghesia anche nei paesi dove questa era più forte, nei paesi imperialisti. In questi paesi la classe operaia non aveva ancora espresso una sua direzione né abbastanza consapevole dei compiti strategici né, di conseguenza, abbastanza capace di individuare e realizzare sistematicamente i compiti tattici relativi all’accumulazione delle forze della rivoluzione e alla conquista del potere.

I partiti socialisti esistenti in questi paesi all’inizio della crisi generale avevano formulato prese di posizione contro la guerra che la borghesia stava preparando (come il Manifesto del congresso internazionale di Basilea – 1912). Ma le dichiarazioni rivoluzionarie mascheravano una linea politica, una tattica e un’organizzazione riformiste, tutte interne al movimento politico borghese, impregnate di illusioni sul carattere ancora democratico della borghesia. Le parole nascondevano i fatti anziché illuminarli. La lotta politica rivoluzionaria era da quei partiti unilateralmente confusa con l’intervento nella lotta politica borghese: questa soffocava la prima. Questi partiti erano quindi del tutto impreparati ad assumere la direzione della mobilitazione delle masse e nel 1914 furono sommersi e travolti dall’opportunismo e dal socialsciovinismo.

 I partiti comunisti formati nei paesi imperialisti nell’ambito della prima Internazionale Comunista costituirono dovunque un salto in avanti rispetto ai partiti socialisti. Essi tuttavia non riuscirono a mettersi all’altezza della situazione. Rimasero forti le correnti di destra, impregnate di illusioni sul carattere ancora democratico della borghesia e di sfiducia nella capacità rivoluzionaria della classe operaia e delle masse popolari. La sinistra non comprese la natura della crisi generale in corso, né le caratteristiche della situazione rivoluzionaria in sviluppo. Non riuscì di conseguenza a sviluppare una linea giusta per l’accumulazione delle forze rivoluzionarie. Essa considerò il regime terroristico instaurato dalla borghesia imperialista in alcuni paesi (Italia, Germania, ecc.), le sue minacce di scatenare la guerra civile in altri e la collaborazione degli Stati e gruppi imperialisti dei paesi cosiddetti democratici con gli Stati fascisti come una situazione eccezionale e d’emergenza, come un’anomalia nel corso della storia e della lotta tra le classi. Il fascismo, il nazismo, le guerre e in generale la mobilitazione reazionaria delle masse furono da essi in generale considerati come anomalie circoscritte e locali, eccezioni ed emergenze. Non assimilarono la concezione che in realtà la rivoluzione socialista procede solo suscitando contro di sé una controrivoluzione potente, solo vincendo la quale le forze rivoluzionarie diventano capaci di fondare la nuova società. Invano Stalin ripeté in quegli anni la legge già enunciata da Marx che la lotta di classe diventa più acuta man mano che la classe operaia avanza verso la vittoria.(57)

Lo sviluppo della rivoluzione proletaria a livello mondiale spaccò in ogni paese la borghesia imperialista in due ali contrapposte e acuì i contrasti tra di esse. Un’ala destra che riteneva possibile e conveniente soffocare la rivoluzione proletaria con la repressione e con uno scontro frontale. Un’ala sinistra che riteneva possibile e conveniente soffocare la rivoluzione proletaria con una tattica più flessibile: guadagnare tempo, fare alcune concessioni, rafforzare la propria influenza nelle fila della rivoluzione, reprimere selettivamente, migliorare i propri rapporti di forza, dividere e corrompere le fila rivoluzionarie fino a disgregarle. L’opposizione tra le due ali della borghesia era un elemento di forza per la rivoluzione. Ma nei paesi imperialisti il movimento comunista, dati i limiti della sua sinistra, non seppe approfittare della divisione della borghesia e oscillò costantemente tra contrapposizione settaria e conciliazione opportunistica, tra settarismo dogmatico e collaborazione senza principi, tra lotta senza unità e unità senza lotta. La destra del movimento comunista ebbe buon gioco a imporre una linea riformista, in cui il partito comunista fungeva da ala sinistra di uno schieramento politico diretto dall’ala sinistra della borghesia imperialista e la classe operaia rinunciava a cercare di prendere il potere. I partiti comunisti dei paesi imperialisti diedero in generale questa interpretazione di destra alla linea del Fronte popolare antifascista, lanciata dall’Internazionale Comunista nel suo settimo congresso (luglio-agosto 1935). In alcuni di questi paesi le masse popolari, guidate dai rispettivi partiti comunisti, condussero grandi lotte e dispiegarono un grande eroismo nella lotta contro il fascismo, il nazismo e il franchismo e la reazione in generale, lotte che hanno accumulato un grande patrimonio di esperienze e che tuttora costituiscono il punto più alto finora raggiunto dalla classe operaia di quei paesi nella sua lotta per il potere. Il movimento comunista raggiunse un grande prestigio negli stessi paesi imperialisti e costrinse la borghesia a fare grandi concessioni. Essa riuscì a impedire che la prima ondata della rivoluzione proletaria avesse successo anche nei maggiori paesi imperialisti, ma dovette pagare un caro prezzo: le riforme che le masse popolari riuscirono a strapparle.

Nei paesi coloniali e semicoloniali la linea della rivoluzione di nuova democrazia,(*) con cui la classe operaia tramite il suo partito comunista assumeva la direzione della rivoluzione democratico-borghese, fu adottata e applicata solo da alcuni dei partiti comunisti, in particolare dal Partito comunista cinese, dal Partito del lavoro coreano e dai partiti comunisti indocinesi, con grandi successi. In altri paesi coloniali e semicoloniali prevalse la linea di lasciare la direzione della rivoluzione democratico-borghese in mano alla borghesia nazionale che la condusse al fallimento. Benché fallite, le rivoluzioni democratico-borghesi portarono tuttavia alla scomparsa del vecchio sistema coloniale e alla trasformazione delle colonie in semicolonie o in paesi relativamente indipendenti.

 

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