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1.5. La ripresa del capitalismo, il revisionismo moderno, la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, il maoismo terza superiore tappa del pensiero comunista

 

La fine della Seconda Guerra Mondiale segnò anche la fine della prima crisi generale del capitalismo. Durante questa prima crisi generale il movimento comunista aveva raggiunto grandi successi. Questo conferma che la linea seguita in questo periodo dal movimento nel suo complesso era principalmente giusta, anche se il movimento comunista aveva fallito il compito di instaurare il socialismo nei paesi imperialisti.

Proprio questi successi e la svolta intervenuta nel capitalismo ponevano al movimento comunista compiti nuovi e maggiori sia per quanto riguardava l’avanzamento della transizione dal capitalismo al comunismo nei paesi socialisti, sia per quanto riguardava l’irrisolto compito della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti, sia per quanto riguardava lo sviluppo della rivoluzione di nuova democrazia nei paesi coloniali e semicoloniali.

Durante la prima ondata della rivoluzione proletaria furono formati paesi socialisti solo in paesi semifeudali o comunque capitalisticamente arretrati. All’inizio degli anni ‘50 essi costituivano un vasto campo socialista che andava dall’Europa centrale all’Asia sudorientale e comprendeva un terzo della popolazione mondiale. La base rossa della rivoluzione proletaria mondiale si era enormemente ampliata. In questi paesi lo sviluppo del socialismo era per la loro natura più difficile di quanto lo sarebbe stato nei paesi imperialisti. Tuttavia il movimento comunista riuscì a difendere la loro esistenza e impresse un grande slancio al loro sviluppo economico, culturale e sociale. Restava tuttavia il problema di tracciare, nelle nuove condizioni di ripresa dell’accumulazione di capitale e di espansione dell’attività economica nei paesi imperialisti, una linea per proseguire al nuovo livello in ognuno dei paesi socialisti la trasformazione dei rapporti sociali verso il comunismo e per svolgere il loro ruolo nella rivoluzione proletaria mondiale. La grande influenza raggiunta dal movimento comunista nei paesi imperialisti e nei paesi coloniali e semicoloniali poneva in questi paesi il compito di portare avanti la lotta per la vittoria. Il movimento comunista doveva compiere un salto di qualità. Di conseguenza nel movimento comunista internazionale si aprì nuovamente uno scontro a livello mondiale tra due linee antagoniste.

Da una parte la sinistra sosteneva la prosecuzione della lotta contro l’imperialismo sui tre fronti (paesi socialisti, paesi imperialisti, colonie e semicolonie). Essa tuttavia non aveva alcun sentore che la prima crisi generale del capitalismo era conclusa e che si apriva per il capitalismo (che nel mondo rimaneva ancora il sistema economico dominante) un periodo relativamente lungo di ripresa dell’accumulazione di capitale e di espansione dell’attività economica. Quindi non aveva una linea generale adeguata alla situazione e in generale peccava di dogmatismo.

Dall’altra la destra sosteneva la linea dell’intesa e della collaborazione con la borghesia imperialista. Essa aveva la sua base teorica nel revisionismo moderno. In contrasto con la legge riformulata da Stalin dell’acutizzazione della lotta di classe, il revisionismo moderno sosteneva che la forza acquisita dal movimento comunista attenuava gli antagonismi di classe, rendeva possibile una trasformazione graduale e pacifica della società, riduceva la borghesia a più miti consigli e la rendeva propensa a concessioni e riforme. Essa interpretava le riforme che sotto l’incalzare dell’avanzata del movimento comunista la borghesia concedeva per non perdere tutto, come un cambiamento della natura del capitalismo. Secondo la destra il sistema capitalista non generava più crisi e guerre, come la bufera genera la grandine. Tale era la “nuova” teoria con cui si presentarono Kruscev, Togliatti, Thorez e gli altri revisionisti moderni. Nei paesi socialisti la destra cercava di attenuare gli antagonismi di classe, sosteneva che non esistevano più né divisione in classi né lotta tra le classi perché oramai la vittoria del socialismo era completa e definitiva. Nei rapporti internazionali sosteneva l’integrazione economica, politica e culturale dei paesi socialisti col mondo imperialista. Sostituiva la convivenza pacifica tra paesi a regime sociale diverso e il sostegno alla rivoluzione proletaria con la competizione economica, politica e culturale dei paesi socialisti con i paesi imperialisti. Nei paesi imperialisti la destra proponeva la via parlamentare e riformista al socialismo: riforme di struttura e ampliamento delle conquiste in campo economico, politico e culturale avrebbero gradualmente trasformato la società capitalista in società socialista. Nei paesi semicoloniali e coloniali la destra era contraria alla prosecuzione delle guerre antimperialiste di liberazione nazionale e sosteneva la direzione della borghesia burocratica e compradora che puntava a strappare gradualmente concessioni agli imperialisti.(58)

Gli sconvolgimenti politici ed economici e le distruzioni operati durante la prima crisi generale e in particolare dalle due guerre mondiali avevano aperto alla borghesia lo spazio per una ripresa, sia pure della durata di pochi decenni, dell’accumulazione del capitale con la conseguente nuova espansione nel suo ambito del processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza. I contrasti economici tra gruppi imperialisti e tra borghesia imperialista e masse popolari si attenuarono e ciò apparentemente smentiva la legge dell’acutizzazione della lotta di classe.

In queste condizioni nel movimento comunista prevalse il revisionismo moderno, così come all’inizio del secolo era prevalso il revisionismo promosso da Bernstein. Il suo successo era favorito, oltre che dalla fine, con la Seconda Guerra Mondiale, della prima crisi generale del capitalismo senza che il movimento comunista fosse riuscito a prevalere in nessun paese imperialista (cosa che costituiva e costituisce tuttora il maggiore limite del movimento comunista), dalla debolezza della sinistra del movimento comunista nel comprendere la novità dei compiti che la nuova fase poneva ai comunisti.

Nei trenta anni (1945-1975) successivi alla Seconda Guerra Mondiale il modo di produzione capitalista poté espandersi nuovamente in tutto il mondo in cui la borghesia aveva mantenuto il potere.

In questa nuova situazione il proletariato e le masse lavoratrici dei paesi imperialisti, forti dell’esperienza rivoluzionaria acquisita nel periodo precedente, riuscirono a strappare una serie di miglioramenti nelle condizioni economiche, lavorative, politiche e culturali: miglioramento delle condizioni materiali dell’esistenza, politiche di pieno impiego e di stabilità del posto di lavoro, diritti di organizzazione sul posto di lavoro, diritti di intervento nell’organizzazione del lavoro, attenuazione delle discriminazioni di razza, sesso ed età, scolarizzazione di massa, misure di previdenza contro l’invalidità e la vecchiaia, sistemi di assistenza sanitaria, edilizia a prezzi regolati, ecc. In tutti i paesi imperialisti, a partire dai paesi anglosassoni e dagli USA, si avviò di fatto in quegli anni la costruzione di un capitalismo dal volto umano, ossia di una società in cui, pur sempre nell’ambito dei rapporti di produzione capitalisti e del lavoro salariato (quindi della capacità lavorativa come merce e del lavoratore come venditore di essa), ogni membro delle classi oppresse disponesse in ogni caso dei mezzi necessari per un’esistenza normale e per il sostentamento e l’educazione delle persone a suo carico, avesse nella vita produttiva della società un ruolo in qualche misura confacente alle sue caratteristiche, progredisse ragionevolmente nel diminuire la fatica, fosse assicurato contro la miseria in caso di malattia, invalidità e vecchiaia. La controrivoluzione preventiva trovava la base economica per il suo successo.

Su questo terreno in tutti i paesi imperialisti si affermarono i revisionisti moderni e i riformisti. Essi in tutti i paesi imperialisti assunsero la direzione del movimento operaio quali teorici, propagandisti e promotori in seno ad esso del miglioramento nell’ambito della società borghese. Essi proclamarono che lo sviluppo della società borghese sarebbe proceduto illimitatamente di conquista in conquista, di riforma in riforma fino a trasformare la società borghese in società socialista. Le bandiere, gli slogan e i principi che essi inalberarono furono diversi da paese a paese a secondo delle concrete condizioni politiche e culturali ereditate dalla storia, ma eguale fu in quel periodo il loro ruolo nel movimento politico ed economico della società.

Grazie al nuovo periodo di sviluppo del capitalismo anche nella maggior parte dei paesi dipendenti dai gruppi e dagli Stati imperialisti la direzione del movimento delle masse venne presa dai sostenitori e promotori della collaborazione con gli imperialisti, portavoce della borghesia burocratica o compradora. La maggioranza di questi paesi divennero semicolonie: costituirono Stati autonomi dipendenti da uno o più gruppi imperialisti (colonialismo collettivo). Alcuni residui feudali vennero in qualche misura limitati distruggendo però contemporaneamente anche le condizioni di riproduzione di larghe masse di contadini che si riversarono come poveri nelle città. Altri residui feudali vennero assunti dall’imperialismo sotto le sue ali e utilizzati per tenere in piedi il colonialismo, come ad esempio le strutture religiose dei paesi arabi e musulmani. Crebbe il capitalismo burocratico e compradore.

Nei primi paesi socialisti i fautori della via capitalista e i promotori della restaurazione del capitalismo trassero anch’essi grande forza dal nuovo periodo di sviluppo del capitalismo. Essi trovarono nei revisionisti moderni capeggiati da Kruscev, Breznev e Teng Hsiao-ping i loro esponenti in seno agli organismi degli Stati dei paesi socialisti, alle organizzazioni delle masse e ai partiti comunisti. Essi impedirono che fossero prese le misure economiche, politiche e culturali necessarie a portare avanti la trasformazione della società verso il comunismo. Posero i loro paesi alla scuola dei capitalisti scimmiottandone le istituzioni. Allacciarono stretti legami economici (commerciali, tecnologici e finanziari), politici e culturali con i capitalisti fino a trasformare i paesi socialisti in paesi economicamente e culturalmente dipendenti e politicamente deboli. Kruscev, Breznev e i loro seguaci trasformarono il sistema dei primi paesi socialisti in un regime burocratico, antidemocratico, basato sulla dipendenza della massa della popolazione da un coacervo di gruppi di individui privilegiati, tesi a conservare e sviluppare i loro privilegi in combutta con la malavita economica (che prese a svilupparsi su larga scala) e con i gruppi imperialisti internazionali. È tuttavia sbagliato indicare il regime economico formato dai revisionisti nei primi paesi socialisti come capitalismo monopolistico di Stato, come “modo di produzione asiatico”, come “capitalismo burocratico”, ecc.. Vuol dire rinunciare ad esaminare il nuovo nei suoi lati avanzati e nei suoi lati arretrati e fermarsi alle vecchie forme di cui il nuovo è più o meno ammantato e macchiato. I comunisti devono studiare il regime dei primi paesi socialisti, nelle loro diverse e contrastanti fasi di ascesa e decadenza, partendo anzitutto dalle loro caratteristiche specifiche, non dalle somiglianze che inevitabilmente si riscontrano tra essi e i paesi capitalisti. Il tentativo di studiare le specie superiori, più sviluppate con le categorie delle specie più arretrate, porta fuori strada anche nelle scienze sociali. Chi indulge a simili mistificazioni si priva di un patrimonio di esperienze di cui i comunisti devono invece fare tesoro per assolvere ai loro compiti. Per questo dedichiamo un capitolo di questo Manifesto Programma al bilancio dell’esperienza storica dei primi paesi socialisti.

In conclusione i trenta anni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale costituirono complessivamente un periodo di ripresa della borghesia. Tuttavia le forze rivoluzionarie per alcuni anni continuarono la loro avanzata e conseguirono alcuni successi di grande significato (Cuba, Indocina). Ma, soprattutto, resistendo al revisionismo moderno si arricchirono dell’esperienza della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976).

In controcorrente rispetto alla maggioranza del movimento comunista mondiale, il Partito comunista cinese condusse infatti una lunga lotta contro il revisionismo moderno a livello internazionale e cercò di portare avanti la transizione verso il comunismo nella Repubblica popolare cinese. Anche se la lotta del PCC non ha invertito nell’immediato il corso del movimento comunista mondiale né è riuscita a impedire che il PCC stesso cadesse in mano ai revisionisti, essa ha lasciato ai comunisti di tutto il mondo il maoismo come terza superiore tappa del pensiero comunista, dopo il marxismo e il leninismo, bilancio dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e dell’esperienza della lotta di classe nei primi paesi socialisti. Il maoismo ha arricchito e sviluppato il pensiero comunista con apporti imprescindibili principalmente in cinque campi:

  1. la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata come forma universale della rivoluzione proletaria;

  2. la rivoluzione di nuova democrazia nei paesi semifeudali oppressi dall’imperialismo;

  3. la nuova natura della borghesia nei paesi socialisti e la lotta di classe durante il socialismo;

  4. la linea di massa come metodo principale di lavoro e di direzione del partito comunista;

  5. la lotta tra le due linee come mezzo principale per difendere il partito comunista dall’influenza della borghesia e svilupparlo.(59)

Il successo del revisionismo moderno ha fatto arretrare il movimento comunista rispetto ai risultati raggiunti alla fine della prima crisi generale del capitalismo. Ma il successo dei revisionisti moderni è stato per forza di cose temporaneo. Per sua natura il revisionismo è un freno allo sviluppo del movimento comunista, una controtendenza rispetto alla tendenza principale e, nel peggiore dei casi, riporta al capitalismo da cui per forza di cose rinasce il movimento comunista. Lo sviluppo pratico degli eventi derivati dal suo temporaneo successo ha insegnato a tutti i comunisti che il revisionismo fa gli interessi della borghesia imperialista. Il collasso cui il revisionismo ha portato alla fine degli anni ‘80 gran parte delle istituzioni create durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, paragonabile per gravità al collasso dei partiti socialdemocratici nel 1914, ha creato una delle condizioni necessarie per una nuova più alta ripresa del movimento comunista.

 

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