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Capitolo III

Il partito comunista lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista

 

3.1. Le lezioni che abbiamo tratto dalla storia della rivoluzione proletaria – Principi guida del (nuovo)Partito comunista italiano

 

Una situazione rivoluzionaria in sviluppo sta davanti a noi. Nel corso di questa è del tutto possibile fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Il primo passo nel socialismo è la conquista del potere politico da parte della classe operaia nel corso di un movimento rivoluzionario.(33) Il successo di questa impresa dipende principalmente da fattori soggettivi, quindi in definitiva dalla concezione del mondo che guida il partito comunista italiano, dalla sua linea, dalla capacità e determinazione della sua organizzazione nell’applicarla e dalla rinascita del movimento comunista internazionale.

Ogni proposito di riformare il capitalismo è velleitario. La crisi generale del capitalismo ha portato e porta la borghesia ad allargare e rendere più feroce la guerra di sterminio non dichiarata che essa conduce ovunque, in ogni angolo del mondo, anche nei paesi imperialisti, contro le masse popolari. Davanti a noi vi sono solo due vie: la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari contro la borghesia imperialista per compiere la rivoluzione socialista o la mobilitazione reazionaria delle masse popolari per lottare contro altre masse popolari e dare una forma nuova all’ordinamento capitalista: la rivoluzione o la guerra.

Il capitalismo si sviluppa secondo le sue proprie leggi. Le lotte rivendicative e la partecipazione delle masse popolari alla lotta politica borghese, se sono condotte con orientamento rivoluzionario, obbligano i capitalisti ad allontanarsi momentaneamente, ora qui ora là, dai loro obiettivi e a scostarsi dalle leggi del loro ordinamento sociale.(37) Queste lotte, oltre che soddisfare in qualche misura bisogni immediati, sono per i lavoratori scuole di comunismo che la direzione del partito comunista può rendere particolarmente formative.(30) Ma i capitalisti in un modo o nell’altro ritornano appena possibile sulla loro strada. Nelle fila della borghesia è la destra che trascina la cordata. Tra le forze politiche borghesi, è la destra borghese che dirige. In definitiva la mobilitazione reazionaria delle masse è la sola via d’uscita dalla crisi che la borghesia può imboccare. La borghesia di sinistra segue la borghesia di destra sia pur esitando, moderando, piagnucolando. Essa è tanto più al seguito della destra, quanto più il movimento comunista è debole. Tra le forze politiche borghesi la sinistra borghese è succube della destra borghese.

In questa fase, i riformisti sono “riformisti senza riforme”: per questo sono cronicamente in crisi e alla rincorsa della destra borghese. Quando il movimento comunista sarà nuovamente diventato forte, i riformisti e la sinistra borghese si metteranno nuovamente alla sua rincorsa per mantenere l’influenza della borghesia sulle masse popolari, per distoglierle dalla rivoluzione. Nel movimento comunista è stata da più parti e ripetutamente sostenuta la tesi che i riformisti e la sinistra borghese in generale sono i peggiori nemici del movimento comunista.(104) Questa tesi è sostanzialmente sbagliata e indebolisce politicamente il movimento comunista. I riformisti e la sinistra borghese sono veicolo dell’influenza della borghesia nelle fila del movimento comunista. Essi sono un pericolo per la nostra causa solo nella misura in cui riescono ad influenzare la condotta del partito comunista, ad alimentare nelle nostre fila l’opportunismo e il revisionismo per imitazione, soggezione ideologica o corruzione, o il settarismo e il dogmatismo per reazione difensiva: insomma ad agire sulle nostre contraddizioni interne. Sono cioè un pericolo per noi solo nella misura in cui l’indipendenza ideologica, politica e organizzativa del partito comunista dalla borghesia è ancora incerta. Se invece il partito comunista riesce a ben difendere le sue fila dall’influenza della borghesia (in altre parole: se la sinistra tratta in modo giusto le contraddizioni interne al partito e conduce in modo giusto la lotta tra le due linee all’interno del partito), il partito comunista può e deve utilizzare i riformisti e in generale la sinistra borghese sia per allargare il suo lavoro di massa e per mobilitare i settori delle masse popolari più succubi della borghesia e quindi più refrattari all’azione diretta del partito sia per indebolire la borghesia allargando le sue contraddizioni interne di cui i riformisti e la sinistra borghese sono espressione.

 Per la classe operaia, per i proletari e per il resto delle masse popolari la sola via d’uscita dalla crisi attuale è la mobilitazione rivoluzionaria, la rivoluzione socialista e l’instaurazione della dittatura del proletariato.

Ogni proposito di instaurare il socialismo senza una rivoluzione e senza sconfiggere la resistenza accanita e furibonda della borghesia (in altre parole: senza guerra civile) è un’illusione o un imbroglio. La classe operaia e il resto delle masse popolari devono essere decisi a schiacciare la resistenza della borghesia. Il partito comunista li deve educare a questa determinazione rivoluzionaria. Solo se hanno questa determinazione possono uscire dal marasma in cui la borghesia li ha cacciati e in cui li affonda ogni giorno più. Quando le masse popolari instaurano il loro potere politico per creare un nuovo ordinamento sociale, o loro stroncano senza esitazione ogni opposizione politica della borghesia o la borghesia schiaccia le masse popolari. Dalla Comune di Parigi (1871), al Biennio Rosso (1919-1920), alla Spagna (1936-39), all’Indonesia (1964), al Cile (1973) al Nicaragua la storia ci ha dimostrato più volte questa verità. Il corso delle cose oggi la conferma.

 

1. Nella società moderna creata dal capitale solo due classi hanno una posizione che consente loro di prendere in mano le attività economiche principali e farle funzionare: quindi solo due classi sono in grado di gestire il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza:

la borghesia nell’ambito del rapporto di capitale sulla base della proprietà capitalista delle forze produttive e di rapporti mercantili,

la classe operaia sulla base del possesso pubblico delle forze produttive da parte dei lavoratori organizzati nel partito comunista e nelle organizzazioni di massa (fronte) e di una gestione unitaria e pianificata almeno delle principali attività economiche.

Di conseguenza nella società moderna sono economicamente possibili solo il potere della borghesia imperialista e il potere della classe operaia. Solo queste due classi possono detenere il potere politico. Nella società moderna, salvo circostanze eccezionali e di breve durata, qualsiasi Stato e governo, qualsiasi regime politico si fonda su una di queste due classi. Nella società moderna lo Stato o è monopolio della borghesia imperialista (quindi dittatura della borghesia) o è monopolio della classe operaia (quindi dittatura della classe operaia, dittatura del proletariato). Le forme con cui la classe dirigente è organizzata, le istituzioni attraverso cui elabora la sua linea di condotta, prende le sue decisioni e le mette in pratica, le forme in cui organizza i suoi rapporti con le altre classi sono varie, dipendono dalle situazioni concrete, oltre che dalla sua natura. Ovviamente quelle della borghesia imperialista sono profondamente diverse da quelle della classe operaia. La borghesia è una classe composta di gruppi e individui in concorrenza tra loro. È una classe sfruttatrice e reazionaria contrapposta dai suoi interessi pratici e dal suo ruolo sociale alla stragrande maggioranza della popolazione. Essa cerca costantemente di trasformare le contraddizioni tra sé e le masse popolari, in contraddizioni tra parti delle masse popolari. La classe operaia invece per la sua propria emancipazione deve lottare per il comunismo, deve lottare per porre fine alla divisione dell’umanità in classi, per l’estinzione dello Stato e per l’autogoverno delle masse popolari organizzate, cioè per un potere pubblico costituito dalle stesse masse popolari organizzate. Quindi la dittatura del proletariato deve mobilitare e organizzare le masse popolari nella misura più ampia possibile e sempre crescente, deve creare le condizioni materiali, morali e intellettuali per la loro crescente partecipazione all’esercizio del potere. Con il suo potere politico deve mobilitare tutte le risorse della società per educare le masse popolari ad autogovernarsi attraverso la pratica dell’autogoverno. Il partito comunista e lo Stato della dittatura del proletariato “non regalano il pesce alle masse, ma insegnano alle masse a pescare”. Niente deve essere fatto dall’alto, di quello che le masse possono essere mobilitate a fare da sé. Il partito comunista e lo Stato della dittatura del proletariato devono essere maestri nel mobilitare le masse a costruire in ogni campo la nuova società di cui hanno bisogno e a prendere in mano il loro destino in misura crescente.

 

2. L’esperienza dei primi paesi socialisti (vedere capitolo 1.7.) ha dimostrato che il proletariato deve mantenere la propria dittatura per un tempo indeterminato. L’indebolimento della dittatura del proletariato in nome dello “Stato di tutto il popolo” è stata una delle linee su cui ha fatto leva la borghesia per sabotare,  corrompere e corrodere i primi paesi socialisti fino a condurli alla loro rovina.

Quanto alla funzione storica che deve assolvere e all’opera che deve compiere, lo Stato della dittatura del proletariato è la repressione della vecchia borghesia e dei suoi tentativi di restaurazione dall’interno e dall’esterno; è la lotta per la mobilitazione, l’organizzazione e la trasformazione in massa degli operai in classe dirigente; è la lotta per la mobilitazione e l’organizzazione di tutte le masse popolari perché assumano sempre più la direzione della propria vita e diventino protagoniste della società socialista; è l’immediata riorganizzazione razionale delle forze produttive esistenti onde soddisfare nella misura più larga possibile i bisogni delle masse popolari e dare al lavoro l’organizzazione più rispettosa possibile della dignità dei lavoratori; è la lotta per la trasformazione a tappe di ogni forma di proprietà privata delle forze produttive in proprietà collettiva di tutti i lavoratori associati; è la lotta contro tutte le disuguaglianze sociali, contro i privilegi materiali e culturali, contro i vecchi rapporti sociali, contro le concezioni e i sentimenti che riflettono i vecchi rapporti di classe; è la lotta contro il consolidamento in nuove classi dominanti degli strati dirigenti ed economicamente, intellettualmente e politicamente privilegiati che permangono per molto tempo anche nel socialismo e di cui per ragioni oggettive le masse potranno fare a meno solo gradualmente; è il sostegno alle forze rivoluzionarie proletarie di tutto il mondo; è la lotta per un crescente legame internazionale tra tutti i popoli e tra tutti i paesi. Insomma è la lotta per l’adeguamento, in ogni paese e a livello internazionale (mondiale) dei rapporti di produzione, del resto dei rapporti sociali, delle concezioni e dei sentimenti al carattere collettivo delle forze produttive e per lo sviluppo del carattere collettivo di quelle forze produttive che ancora sono poco collettive.

Questo è il contenuto, il programma della dittatura del proletariato, l’opera che essa deve compiere. La dittatura del proletariato scomparirà solo con la scomparsa della divisione dell’umanità in classi e dello Stato stesso. Allora scomparirà anche il partito comunista. Non ci sarà più bisogno di una organizzazione specifica dell’avanguardia degli operai, dei comunisti. Con l’estinzione della divisione dell’umanità in classi, avrà fine anche la lotta di classe.

Quanto alla forma della dittatura del proletariato, a quale forma è più adeguata al compimento di questa opera, il movimento comunista ha accumulato già una ricca esperienza, a partire dalla Comune di Parigi fino ai primi paesi socialisti. Questi in particolare hanno fornito lezioni decisive.(116)

La dittatura del proletariato non può avere la forma della democrazia borghese, neanche la forma più perfetta di democrazia borghese che si possa immaginare. La borghesia forma e seleziona i suoi dirigenti politici, i suoi intellettuali organici, i suoi notabili, tramite la concorrenza nei suoi traffici correnti, nelle relazioni della sua società civile. Il pluripartitismo, le campagne elettorali di tanto in tanto, le assemblee rappresentative permettono a quei dirigenti della società civile di affermarsi e di imporsi come dirigenti dello Stato tramite il voto delle masse. Anche depurato di tutte le incrostazioni e i residui feudali e di tutte le degenerazioni imperialiste che hanno in realtà accompagnato, le une prima le seconde dopo, tutte le sue manifestazioni concrete, si tratta di un metodo di azione politica che ben corrisponde ai caratteri della società borghese, ma non ai caratteri della società socialista. Questo metodo di formazione e di selezione dei dirigenti politici implica la divisione in classi, la contrapposizione di interessi tra classi, tra gruppi e tra individui, la proprietà privata, le relazioni mercantili e capitaliste. Il pluripartitismo è impossibile senza proprietà privata. Per la borghesia un regime è tanto più democratico quanto più agli imprenditori, ai banchieri, ai professionisti, agli intellettuali più abili e in generale agli individui più dotati, energici, ambiziosi e decisi a usare le loro doti e le loro arti per compiere la loro arrampicata sociale, permette di emergere, di fare carriera, di crearsi una cerchia di relazioni personali, di arricchirsi, di proporsi alle masse come dirigenti politici: quanto più un regime stimola e permette a ogni individuo di compiere un percorso del genere. Anche nel migliore dei casi immaginabili, per quanto possa essere aperta al ricambio sociale, la società borghese per sua natura è una società elitaria.

Nell’ambito della società borghese il proletariato forma e seleziona i suoi dirigenti politici, i suoi intellettuali organici, nel corso della lotta di classe: quindi attraverso il suo partito comunista, le sue organizzazioni di massa, le sue lotte di ogni genere e i suoi movimenti.

Nel socialismo, regime di transizione dal capitalismo al comunismo, la borghesia, oltre che dalla borghesia di vecchio tipo (dagli esponenti delle vecchie istituzioni e relazioni borghesi e delle vecchie professioni liberali nella misura in cui esse sussistono ancora), è costituita da un nuovo tipo di borghesia: da  quei dirigenti del partito comunista, delle organizzazioni di massa, degli organismi economici, delle istituzioni pubbliche e degli organi statali che usano il loro potere per impedire o ostacolare la crescita della partecipazione degli operai e del resto delle masse popolari all’esercizio del potere, che si oppongono ai nuovi passi avanti possibili nella trasformazione dei rapporti di produzione e del resto dei rapporti sociali. Questo nuovo tipo di borghesia esisterà a lungo, durante il periodo di transizione dal capitalismo al comunismo.

Per il proletariato e per il resto delle masse popolari il regime della società socialista è tanto più democratico quanto più e meglio le risorse dell’intera società sono impiegate per allargare in misura crescente la partecipazione della massa della popolazione alle condizioni materiali, morali e intellettuali di una vita civile e all’esercizio del potere. Le risorse destinate ad allargare la partecipazione delle masse popolari devono essere tanto maggiori, quanto maggiori sono le disuguaglianze nello sviluppo materiale, morale e intellettuale che persistono tra dirigenti e diretti, tra lavoratori intellettuali e lavoratori manuali, tra uomini e donne, tra adulti e giovani, tra città e campagna, tra settori, regioni e nazioni avanzate e settori, regioni e nazioni arretrate: in una parola quanto maggiori sono ancora le disuguaglianze di classe e le disuguaglianze aventi carattere di classe.(76) Nel socialismo gli operai e gli altri lavoratori esercitano il potere partecipando all’attività del partito comunista e delle organizzazioni di massa ed eleggendo, come membri dei collettivi d’azienda o territoriali, i propri delegati, mettendoli alla prova e formandoli tramite l’esercizio del potere, revocandoli. Il sistema della dittatura del proletariato è formato

dai collettivi di base, costituiti nei luoghi di lavoro e territoriali: essi eleggono, controllano e revocano i loro delegati,

dalle organizzazioni di massa a cui chiunque abbia un minimo di volontà può partecipare e a cui tutti sono sollecitati a partecipare,

dal partito comunista a cui i più energici e generosi partecipano con il sostegno e il controllo dei loro compagni di lavoro o d’abitazione.

Questo sistema, se guidato da una concezione e un metodo di lavoro giusti, promuove una crescente partecipazione delle masse popolari al potere e permette di epurare i dirigenti che si oppongono ai nuovi passi avanti verso il comunismo.

L’esperienza dei primi paesi socialisti ha mostrato che in questo sistema convivono e devono convivere due distinte strutture di potere. 1. Una struttura è formata dai collettivi di base, dalle organizzazioni di massa e dal partito comunista e ha proprie istituzioni costituite in conformità alla divisione sociale del lavoro. La partecipazione dirette delle masse popolari a questa struttura è incoraggiata in ogni modo. Il campo delle competenze di questa struttura si estende man mano che procede la marcia verso il comunismo. L’ampiezza di questo campo e la quota delle masse popolari che partecipano attivamente a questa struttura sono anzi gli indici principali di quanto la società di un paese ha progredito verso il comunismo. 2. L’altra struttura è formata da uno Stato vero e proprio nel senso tradizionale del termine. Essa è costituita da istituzioni pubbliche apparentemente sotto vari aspetti simili a quelle che esistono nei paesi capitalisti: un governo, una Pubblica Amministrazione, una magistratura con propri carceri e tribunali, forze armate statali, polizie e polizie segrete, segreto di Stato sulle sue attività decisive. Gli organi di questa struttura sono corpi separati dal resto della società. Sono costituiti da professionisti staccati dai normali collettivi di lavoro e vincolati da disciplina e gerarchia proprie. Ogni organo agisce non in base alla mobilitazione popolare che suscita, ma in base alla forza e ai mezzi di cui direttamente dispone e secondo criteri e ordini provenienti dall’alto. Questa seconda struttura costituisce una volontaria, cosciente, riconosciuta e necessaria limitazione della democrazia delle masse popolari. L’estensione dei suoi compiti è tanto maggiore quanto più arretrato è il paese e maggiore la pressione a cui è sottoposto dall’esterno. Essa è dedita a garantire la difesa del paese, l’ordine pubblico, la giustizia e le altre funzioni statali nella misura in cui la prima struttura non è ancora in grado di farvi fronte.

Tra le due strutture esiste una compenetrazione e un rapporto di unità e lotta che rispecchia lo stato dei rapporti di classe del paese ed evolve man mano che procede la transizione. In definitiva la seconda struttura agisce su delega della prima che prende direttamente in mano le funzioni della seconda man mano che è in grado di farlo.

Nei paesi socialisti il sistema politico borghese (pluripartitismo, periodiche campagne elettorali,  assemblee rappresentative) permetterebbe ai dirigenti di gareggiare tra loro per conquistare il favore e il voto delle masse. Ma non offrirebbe alcun canale per promuovere la partecipazione di massa più ampia possibile all’esercizio del potere. Non permetterebbe alla massa di formarsi un’esperienza di esercizio del potere esercitandolo. Non permetterebbe alcun controllo reale, efficace e con cognizione di causa delle masse sui dirigenti. Manterrebbe (o riporterebbe) le masse ai margini del potere. Consoliderebbe lo strato dirigente e favorirebbe la trasformazione dei dirigenti in una nuova classe, la borghesia specifica dei paesi socialisti. È ciò che i revisionisti sono riusciti a fare nei primi paesi socialisti e che li ha prima indeboliti politicamente e poi portati allo sfacelo.

Quindi noi comunisti lottiamo per instaurare un sistema politico fondato 1. sui collettivi di base (consigli), formati nei luoghi di lavoro e territorialmente; 2. sui delegati eletti, controllati e revocabili da parte dei collettivi di base; 3. sulla partecipazione più ampia possibile e crescente all’attività delle organizzazioni di massa; 4. sulla partecipazione all’attività del partito comunista degli elementi più avanzati e più generosi. Tutto il sistema deve funzionare secondo il principio del centralismo democratico: elettività di tutti gli organismi dal basso in alto, obbligo di ogni delegato ed ogni organismo di rendere periodicamente conto della sua attività all’organismo che lo ha eletto e all’organismo superiore, severa disciplina e subordinazione della minoranza alla maggioranza, le decisione degli organi superiori nell’ambito delle loro competenze sono incondizionatamente obbligatorie per gli organi inferiori. La lotta di classe nell’intero paese e la lotta tra le due linee nel partito comunista offrono le uniche garanzie reali che nell’ambito di un tale sistema possa essere compiuta l’opera della dittatura del proletariato. Il partito comunista deve promuovere, organizzare e dirigere la lotta di classe nella società e la lotta tra le due linee nel partito.

 

3. La classe operaia è costituita dai collettivi delle unità produttive capitaliste. Essa si è formata soggettivamente prima nelle lotte rivendicative, economiche e politiche, in cui gli operai si sono opposti alla borghesia, poi nella lotta per il potere. Essa completerà la sua formazione come classe dirigente nell’esercizio del potere stesso. La classe operaia può e deve dirigere le altre classi delle masse popolari a lottare contro la borghesia imperialista, a instaurare il socialismo e a compiere la trasformazione di se stesse e dell’intera società fino al comunismo.

L’esperienza di tutte le rivoluzioni proletarie (dalla Comune di Parigi nel 1871 in avanti) ci insegna che il movimento rivoluzionario della classe operaia può svilupparsi oltre un livello elementare e può raggiungere la vittoria solo se è diretto da un partito comunista e se la classe operaia, il proletariato e il resto delle masse popolari sono organizzate in un articolato sistema di organizzazioni di massa. La classe operaia si costituisce come classe dirigente costituendo il partito comunista. Il Partito comunista è lo strumento più difficile a farsi e decisivo della costituzione della classe operaia in classe dirigente ed è anche il coronamento di questa sua trasformazione.

 

4. Il partito comunista deve essere, e riesce ad adempiere al suo ruolo solo se è:

la parte d’avanguardia e organizzata della classe operaia, che incarna ed elabora la coscienza della classe operaia in lotta per il potere ed è lo strumento della sua direzione sul resto del proletariato e delle masse popolari;

il partito della classe operaia, nel senso che lotta per instaurare il potere della classe operaia e per il comunismo;

il reparto d’avanguardia della classe operaia nel senso che è la coscienza della classe operaia in lotta per il potere, è l’interprete cosciente di un processo specialmente al suo inizio in gran parte spontaneo, conosce le leggi della rivoluzione senza di ché non sarebbe in grado di dirigere la lotta della classe operaia;

una parte della classe operaia, nel senso che nel partito vi sono gli elementi migliori della classe operaia, i più devoti alla causa del comunismo, i più combattivi, i più ricchi d’esperienza di lotta e d’iniziativa, i più influenti e disciplinati: nel partito possono esserci e in generale ci sono anche elementi di altre classi i quali hanno fatto propria la causa del comunismo, ma gli operai ne sono la componente indispensabile;

reparto organizzato nel senso che è un insieme disciplinato di organizzazioni che fanno tutte capo a  un centro di cui seguono le direttive con assoluta disciplina, a cui sono legate secondo i principi del centralismo democratico;

la forma più alta di organizzazione della classe operaia nel senso che promuove e dirige tutte le altre organizzazioni della classe stessa ed è lo strumento della sua direzione sul resto del proletariato e delle masse popolari, promotore e dirigente delle più svariate organizzazioni delle masse che raccoglie e indirizza verso il comune obiettivo raccogliendole in fronte;

lo strumento della dittatura della classe operaia: per instaurare la dittatura della classe operaia prima e poi per consolidarla ed ampliarla e fare in modo che sviluppi la transizione verso il comunismo.

La forma basilare, principale e decisiva di organizzazione del partito comunista è la cellula sul luogo di lavoro, i cui membri orientano, mobilitano e dirigono i loro compagni di lavoro: il partito comunista è realmente tale, è realmente lo Stato Maggiore della classe operaia che lotta per il potere solo quando nelle sue fila sono organizzati tutti o almeno gran pare degli operai avanzati, che dirigono moralmente, intellettualmente e praticamente il resto degli operai.(117)

Tra questi caratteri del partito comunista, stante le tradizioni del nostro paese, l’esperienza del primo Partito comunista italiano e la situazione in cui si forma il nuovo partito, dobbiamo dare risalto particolare al fatto che il partito è coscienza della classe operaia in lotta per il potere, interprete cosciente di un processo in larga misura spontaneo.

Per dirigere la rivoluzione alla vittoria il partito comunista deve aver assimilato in misura sufficiente il materialismo dialettico come concezione del mondo e come metodo di pensiero e d’azione, espresso nel marxismo-leninismo-maoismo e sapere applicarlo all’esame concreto della concreta situazione della rivoluzione socialista nel nostro paese per ricavarne la linea generale, le linee particolari, i metodi e le misure della sua attività.(118) Il partito deve possedere una buona comprensione del movimento economico e politico della società, delle tendenze oggettive in azione, delle classi in cui la società è divisa, delle forze motrici della trasformazione della società, degli esiti possibili dei singoli passaggi di cui si compone la trasformazione in corso. Quindi l’inchiesta è una componente importante e indispensabile del suo metodo di lavoro. Il movimento rivoluzionario per vincere deve essere diretto da un partito comunista che applichi creativamente il bilancio dell’esperienza passata (il marxismo-leninismo-maoismo) all’esperienza concreta del movimento di rivoluzionamento del nostro paese. La storia del movimento comunista del nostro paese è ricca di episodi di lotta in cui le masse popolari e singoli militanti hanno profuso eroismo e iniziativa rivoluzionari, ma non hanno conseguito la vittoria a causa della mancanza di una direzione (un partito comunista) basata su una giusta teoria della rivoluzione socialista nel nostro paese. È quindi una questione di responsabilità oggi per noi comunisti occuparci di trarre dall’esperienza questa teoria. Se il partito ha una linea giusta, esso conquisterà tutto quello che ancora non ha e supererà ogni difficoltà. Solo se il partito ha una teoria rivoluzionaria, esso può dirigere un movimento rivoluzionario che inevitabilmente in gran parte è spontaneo e privo di coscienza, date le condizioni in cui l’attuale classe dominante confina le masse popolari. Solo con una giusta direzione del partito il movimento rivoluzionario può quindi svilupparsi e arrivare alla vittoria.

La rivoluzione socialista è fatta dalla classe operaia, dal proletariato e dalle masse popolari: il partito comunista è la direzione, lo Stato Maggiore di questa lotta. È un partito di quadri che dirige una lotta di massa. Quindi è parte delle masse e profondamente legato alle masse onde essere in grado di comprenderne le tendenze e sviluppare le tendenze positive.

Il partito comunista si costruisce per stadi. Il primo stadio è la costituzione dei comunisti in partito sulla base della loro unità ideologica e della riunione delle condizioni organizzative minime indispensabili. Il secondo stadio è il consolidamento e rafforzamento del partito comunista tramite la conquista degli operai avanzati al partito comunista: il partito diventa così l’avanguardia organizzata della classe operaia. Il terzo stadio è la trasformazione del partito comunista in Stato Maggiore effettivo della classe operaia, capace di guidare la classe operaia a realizzare la linea per la conquista del potere che il partito comunista ha elaborato dall’esperienza della classe operaia stessa. Ogni stadio si sviluppa nel successivo. La verifica e la conferma della bontà della linea seguita dal partito comunista in uno stadio sono dati dal raggiungimento dello stadio superiore.

Mille iniziative, mille organismi e rapporti organizzativi, mille lotte rivendicative, proteste, ribellioni,  rivolte compongono il movimento pratico. Il partito deve capire le ragioni fondamentali ed unitarie di essi e fare di ognuno di essi una scuola di comunismo.(30) Quindi il partito deve acquisire quella coscienza che permette a chi la fa propria di lavorare in modo sistematico per svilupparli e potenziarli, liberarli dagli inciampi e dai limiti prodotti dall’influenza che ha in essi il vecchio mondo dei rapporti e della cultura della classe dominante, unirli in una forza vittoriosa capace di eliminare il vecchio mondo della borghesia e avviare la costruzione del nuovo mondo comunista. È questa la coscienza su cui si basa l’unità del partito e grazie alla quale il partito riesce a dirigere il movimento delle masse alla vittoria della rivoluzione socialista.

Il partito deve essere unito sulla linea politica e sulla concezione del mondo e il metodo di azione e di conoscenza del proletariato, il materialismo dialettico, che permettono di ricavare la linea giusta dall’analisi dell’esperienza della lotta concreta che conduce e della situazione concreta.

Su questa base il partito conduce con successo la lotta contro l’influenza della borghesia nelle sue fila (la lotta tra le due linee), cementa la propria unità, rafforza la propria organizzazione, crea e rafforza i propri legami con le masse.

L’unità del partito si consolida con l’applicazione rigorosa del centralismo democratico, la verifica delle idee nella pratica, l’unità con le masse, la pratica della critica-autocritica-trasformazione, la formazione dei quadri, la lotta tra le due linee, l’epurazione. Il partito comunista è il partito della classe operaia, ma in esso esercita la sua influenza anche la borghesia. La vita del partito è inevitabilmente influenzata dalla contraddizioni di classe (lotta tra le due linee) , dalla contraddizione tra il nuovo e il vecchio, dalla contraddizione tra il vero e il falso. Questo è un fatto oggettivo: solo se lo riconosciamo, possiamo comprenderlo e farvi fronte efficacemente.

Trasformazione significa compiere programmaticamente e sistematicamente certe azioni, costringersi a ripetere certi comportamenti, fino a quando essi non hanno prodotto un nuovo modo di essere.

Ogni trasformazione qualitativa è il risultato di un processo di accumulazione, moltiplicazione, crescita quantitativa. Per raggiungere una trasformazione qualitativa bisogna 1. individuare cosa occorre moltiplicare e 2. compiere questo processo di moltiplicazione per tutto il tempo necessario.

Ai fini dell’azione del partito il collettivo è più importante dell’individuo. Il funzionamento del collettivo, il suo orientamento, la sua assimilazione del materialismo dialettico, la sua capacità di raccogliere l’esperienza ed elaborarla, la sua efficienza nell’adempimento dei suoi compiti istituzionali determinano l’azione del partito. Ma ogni collettivo è composto di individui o di collettivi di livello inferiore. Sarebbe sbagliato richiedere ad ognuno di essi la capacità di sintesi e di azione che si richiede al collettivo: l’importante è che essi siano tra loro complementari. Ma ognuno di essi deve essere spinto a crescere e posto nella condizioni migliori per crescere.

Il metodo principale che il partito impiega per assolvere il suo compito di dirigere la classe operaia, il resto del proletariato e delle masse popolari è la linea di massa.(119)

Il partito conduce la sua opera di agitazione e di propaganda e il suo lavoro di organizzazione tra le masse sulla base della sua linea politica. Orienta e dirige il movimento delle masse in modo da sviluppare le forze della rivoluzione, rafforzarle e raccoglierle sotto la direzione della classe operaia. Il suo obiettivo non è quello di cercare consensi, né di far accettare alle masse le proprie concezioni, ma quello di dirigere il movimento delle masse nella lotta contro la borghesia imperialista per instaurare la dittatura della classe operaia. Nelle lotte rivendicative delle masse popolari, del proletariato e della classe operaia il partito persegue sempre l’obiettivo di farne una scuola di comunismo e di raccogliere e accumulare forze rivoluzionarie. Nella difesa delle conquiste delle masse, il partito prepara le condizioni per l’attacco.

Il partito conduce l’agitazione tra le masse, ma si distingue nettamente dagli avventurieri e dai mestatori e dagli individui che usano l’agitazione delle masse come merce di scambio per la loro scalata nelle gerarchie del regime: essi “agitano le masse” senza avere idea di dove andare, senza preoccuparsi di assimilare l’esperienza del passato, senza porsi il problema di individuare e superare i limiti per i quali il proletariato nel nostro paese nel periodo 1900-1950 non riuscì a conquistare il potere. Oggi questi movimentisti e profittatori delle lotte delle masse confluiscono con quei vecchi opportunisti che di fronte al crollo dei revisionisti moderni si propongono come “conservatori del comunismo” (PRC, PdCI, ecc.) e il cui ruolo effettivo è quello di paralizzare nel pantano di una politica sterile di risultati rivoluzionari ma ammantata di frasario comunista, le energie che il crollo delle organizzazioni revisioniste libera.

 Il partito comunista si mette alla scuola delle masse, impara a dirigere la lotta che le masse stanno conducendo contro la borghesia imperialista nell’ambito della seconda crisi generale del capitalismo. Ma il partito si mette alla scuola delle masse non nel senso di confondersi con le masse o di “agitare le masse” al modo dei soggettivisti e degli economicisti, ma nel senso di imparare

dall’esperienza del primo “assalto al cielo”: la Rivoluzione d’Ottobre, l’esperienza dei primi paesi socialisti, l’Internazionale Comunista, la lotta contro il fascismo e la Resistenza, le rivoluzioni antimperialiste, la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria;

dall’esperienza negativa dei regimi dei revisionisti moderni: per avanzare dobbiamo imparare anche dagli errori che la borghesia e i suoi portavoce cercano invece di usare contro di noi;

dall’esperienza del movimento di massa e rivoluzionario del nostro paese, dalla lotta della classe operaia e dalla resistenza che le masse popolari oppongono al procedere della crisi generale del capitalismo.

Il partito ricava da questa esperienza una concezione del mondo, una teoria della rivoluzione, un programma, una linea politica e una linea organizzativa sulla base dei quali tesse nell’ambito della classe operaia, del proletariato, del resto delle masse popolari e dell’intera società i conseguenti rapporti organizzativi, di direzione e d’influenza. Per un comunista oggi il nodo principale del problema non è quanto le masse “sono in agitazione”, perché stante la situazione rivoluzionaria in sviluppo le masse presentano e inevitabilmente presenteranno sempre più un terreno favorevole all’azione dei comunisti, ma quanto il partito ha imparato ad assolvere i compiti che lo rendono capace di dirigere il movimento delle masse fino alla vittoria della rivoluzione socialista.(120)

Il partito comunista è legato alle masse popolari. Ma non nel senso che si scioglie tra le masse popolari, si mette al loro livello, segue tendenze e opinioni. È legato nel senso preciso che si rivolge agli operai avanzati, recluta i migliori, i più disposti a diventare comunisti e tramite essi dirige il resto della classe operaia e attinge alla sua esperienza per elaborare la propria linea e la propria concezione. Si rivolge agli esponenti più avanzati delle altre classi delle masse popolari, recluta quelli che dimostrano di sapersi trasformare e diventare comunisti e tramite la classe operaia dirige il resto delle masse popolari.

Il ruolo specifico dell’iniziativa del partito in ogni situazione data, sta nel riunire e mobilitare le forze motrici di una delle soluzioni possibili in contrapposizione alle altre. Ma è il movimento pratico e in particolare economico della società che nel suo corso genera in ogni situazione concreta sia gli obiettivi possibili dell’attività politica dei comunisti che le forze con cui perseguirli. Procurarsi le condizioni materiali dell’esistenza è oggi ancora l’occupazione principale e la forza motrice dell’attività della stragrande maggioranza degli uomini: l’intreccio delle attività a ciò dirette è l’ambito entro cui si svolge la vita di tutti gli individui e il divenire dell’intera società. Le tendenze soggettiviste, proprie dell’aristocrazia proletaria dei paesi imperialisti che porta nelle masse l’influenza della borghesia, hanno fatto spesso dimenticare anche ai comunisti queste tesi fondamentali della concezione materialista della storia. La conseguenza è stata ed è il pullulare di concezioni, linee ed obiettivi politici arbitrari e quindi perdenti.

È il movimento pratico, organizzato e spontaneo, delle masse che trasforma la società. Una teoria diventa una forza trasformatrice della società solo se si incarna in un movimento pratico, come orientamento della sua azione. Una teoria rivoluzionaria sorge solo come elaborazione e sintesi dell’esperienza di un movimento pratico. Il partito quindi riconosce e afferma il primato del movimento pratico come fonte della conoscenza, come operatore della trasformazione della società e come metro d’ultima istanza della verità di ogni teoria della rivoluzione. Il partito non si presenta alle masse dottrinariamente proclamando una nuova verità che chiede di accettare, né chiede di unirsi ad esso a professare una nuova teoria. Il partito cerca di ricavare dall’esperienza comune del movimento delle masse la ragione che sta negli avvenimenti che la compongono. Quindi non dice mai alle masse: smettete di lottare, quello che state facendo è inutile, dovete prima farvi una coscienza e darvi una teoria. Al contrario cerca di comprendere qual è il vero motivo per cui le masse combattono e qual è la fonte vera della loro forza e di ricavare da ciò una linea per andare verso la vittoria. La linea è una cosa che per procedere le masse devono far propria e attuare. Il partito deve solo trovare il modo efficace per portargliela.(121)

 

 5. Nel suo lavoro di massa il partito deve far leva sulle tendenze positive che si sviluppano nelle masse popolari, sulle concezioni e i sentimenti progressisti che la prima ondata della rivoluzione proletaria e la stessa propaganda menzognera della sinistra borghese hanno radicato nelle masse popolari e sui punti deboli della controrivoluzione preventiva. Il procedere della crisi generale del capitalismo e l’attuazione del programma comune della borghesia imperialista mettono allo scoperto i punti deboli della controrivoluzione preventiva.

In ogni paese imperialista la repressione acquista un ruolo crescente tra gli strumenti di governo della borghesia imperialista. Bisogna mobilitare le masse popolari anche su questo fronte, sviluppando la denuncia, le iniziative di solidarietà e la resistenza alla repressione. Lo sviluppo crescente della repressione e, di contro, della resistenza alla repressione, della lotta contro la repressione e della solidarietà spostano gradualmente il terreno di scontro tra la borghesia e le masse popolari verso la guerra civile, educano le masse popolari a distinguere tra ciò che è nel loro interesse, quindi legittimo, da ciò che è legale (cioè non vietato dalle leggi emanate dalla borghesia), le educano all’illegalità, a riconoscere per esperienza diretta lo Stato come strumento della classe dominante, come organismo nemico da abbattere.

In ogni paese imperialista la crisi politica rende per la borghesia sempre più difficile governare il suo Stato mantenendo le apparenze della rappresentanza popolare e della partecipazione delle masse popolari alla lotta politica borghese. Bisogna renderglielo ancora più difficile incalzandola sul suo stesso terreno, portando le masse popolari a irrompere nel teatrino della politica borghese, smascherando tutto quanto si svolge dietro le quinte, fino a obbligare la borghesia a chiudere il teatrino e a violare la sua stessa legalità.

In ogni paese imperialista le organizzazioni delle masse popolari, in primo luogo i grandi sindacati di regime e in secondo luogo la vasta rete di associazioni, sempre meno possono soddisfare le migliori aspirazioni e i migliori sentimenti delle masse popolari, sempre meno possono soddisfare le loro richieste elementari di una vita dignitosa per tutti e di condizioni dignitose di lavoro. In ogni organizzazione bisogna sostenere la sinistra perché unisca a sé il centro, isoli la destra e prenda in mano la direzione. Non si devono creare associazioni a parte dirette dal partito, salvo quando ciò è necessario per non disperdere le persone che gli agenti della borghesia espellono dalle grandi organizzazioni di massa. Il nostro obiettivo non è infiltrare membri del partito perché dirigano queste grandi organizzazioni. Il nostro obiettivo è mobilitare la sinistra, rafforzarla perché unisca a sé il centro, isoli la destra e prenda la direzione, conquistare al comunismo gli elementi più avanzati, reclutare nel partito gli elementi migliori.

Il partito deve dirigere e promuovere la mobilitazione delle masse popolari a difesa di ogni conquista che la borghesia imperialista cerca di eliminare; deve appoggiare ogni gruppo di lavoratori (grande o piccolo che esso sia) che difende una sua conquista (quale che essa sia) dalla borghesia imperialista che vuole eliminarla: dalla libertà di sciopero, al posto di lavoro, alla sicurezza sul lavoro, alle pensioni, alla tutela dell’ambiente, alla casa, all’istruzione, alla sanità, ai servizi. Nelle lotte di difesa le masse imparano per loro esperienza diretta che ogni sacrificio che la borghesia riesce ad imporre chiama altri sacrifici; che per vincere bisogna allargare la lotta e trasformarla in un problema di ordine pubblico, in un problema politico; che le difficoltà che nascono all’interno della singola azienda, della singola istituzione, possono essere risolte solo a livello politico. Insomma che la proprietà e l’iniziativa private su cui si fonda il capitalismo sono in contrasto con la realtà delle cose, portano le masse in difficoltà inestricabili e le sottomettono a sofferenze crescenti. Le singole aziende sono in crisi perché la società nel suo complesso è in crisi. In linea generale la crisi della singola azienda non la si può risolvere nell’azienda, ma solo con l’azione politica.

Il partito deve dirigere e promuovere la mobilitazione delle masse a provvedere direttamente alla soluzione dei problemi della propria vita, ad aggregarsi e a costruire le proprie istituzioni e a difenderle, a sviluppare la produzione per soddisfare i propri bisogni, a dare una svolta rivoluzionaria anche alle iniziative oggi dette del “terzo settore”, al “no-profit”, al volontariato, al “commercio equo e solidale”, ai Centri Sociali, ecc. battendo le tendenze borghesi a farne dei ghetti, a farne aziende per sfruttare lavoro precario, sottopagato e in nero, a farne uno strumento per la corruzione e la formazione di nuovi dirigenti borghesi, a farne una valvola di sfogo alla disperazione.

Il partito deve dirigere e promuovere la mobilitazione delle masse a prendere e a farsi dare dalla borghesia imperialista le risorse necessarie per provvedere direttamente alla soluzione dei problemi della propria vita (denaro, edifici, mezzi di produzione, mezzi di trasporto, ecc.), risorse che la borghesia imperialista spreca su  grande scala.

Il partito deve ricavare e generalizzare gli insegnamenti delle lotte di difesa, imparare e generalizzare le leggi secondo cui si svolgono. Una vittoria su grande scala e duratura della difesa è impossibile stante la crisi, ma in ogni caso singolo è possibile vincere, impedire, ritardare o ridurre l’attacco della borghesia imperialista. In ogni lotta di difesa il partito deve favorire l’organizzazione delle masse, riconoscere la sinistra, rafforzarla e organizzarla perché impari a conquistare il centro e a isolare la destra.

Tutto questo è strettamente legato alla lotta per il potere, alla lotta per instaurare un nuovo ordinamento sociale. Solo la prospettiva di un nuovo ordinamento sociale permette alle masse popolari di sottrarsi al ricatto dei padroni e dei loro uomini politici. Questi infatti di fronte ad ogni problema particolare cercano sistematicamente di prospettare alle masse popolari la soluzione nella lotta e nella concorrenza con altre masse popolari. Solo la lotta per il potere può dare continuità, portare all’espansione e assicurare il successo alla lotta delle masse popolari per la difesa delle proprie conquiste e per la sopravvivenza, per porre fine alla condizione di esubero in cui la borghesia imperialista relega una parte crescente delle masse, per sviluppare le proprie energie e soddisfare i propri bisogni.

In ogni lotta di difesa il partito deve raccogliere le forze per l’attacco. Se non si sviluppa l’attacco, è impossibile sviluppare la difesa su grande scala e migliorare le possibilità di vittoria. La mancanza dell’attacco frena le masse anche nella difesa.

Raccogliere le forze per l’attacco vuol dire comprendere e far emergere le ragioni delle vittorie e delle sconfitte, generalizzare i metodi che portano alla vittoria e combattere quelli che portano alla sconfitta, elevare con ogni mezzo la combattività delle masse e la loro fiducia in se stesse, guidare la parte più combattiva a realizzare una maggiore mobilitazione del resto, reclutare alle organizzazioni di massa e al partito, rafforzare l’organizzazione del partito, promuovere l’aggregazione e l’organizzazione delle masse, riunirle in un fronte diretto dal partito e impiegare le forze disponibili nei compiti tattici dell’attacco, onde fare esperienza e sviluppare una linea vincente di raccolta e di accumulazione delle forze rivoluzionarie.

 

6. Benché sopravvivano ancora le nazioni ed esistano ancora tanti singoli Stati, il capitalismo ha già unificato il mondo intero sul piano economico e in una certa misura anche sul piano politico e culturale. Quindi il socialismo non può affermarsi definitivamente che come sistema mondiale. A sua volta ogni ondata della rivoluzione proletaria unifica maggiormente il mondo, avvicina paesi e nazioni. Il ritorno stabile e a tempo indeterminato a un mondo spezzettato in varie isole autosufficienti è un obiettivo non solo reazionario, ma irrealizzabile.

Le crisi generali del capitalismo sono crisi mondiali e mondiale è anche la situazione rivoluzionaria in sviluppo che ne deriva. Tuttavia la rivoluzione proletaria (rivoluzione socialista o rivoluzione di nuova democrazia) può vincere in alcuni paesi e non svilupparsi o essere sconfitta in altri. Il suo successo dipende anche da fattori particolari specifici di ogni paese.

Il primo passo della rivoluzione socialista in ogni paese è la distruzione dello Stato esistente e la creazione di un nuovo Stato. In ogni paese la borghesia imperialista oggi ha il suo Stato ed è quello che dobbiamo abbattere.

Tutto questo conferma sia la necessità della formazione di partiti comunisti specifici in ogni paese, sia la necessità della loro collaborazione internazionalista, della creazione di una nuova Internazionale Comunista. Dove vi sono paesi plurinazionali, il partito comunista deve inoltre e con forza particolare promuovere la lotta contro l’oppressione nazionale e lo sciovinismo nazionalista, sostenere il diritto di ogni nazione a disporre di se stessa fino alla secessione e unire i lavoratori e le masse popolari di tutte le nazionalità nella lotta comune contro la borghesia imperialista e il suo Stato.

Per vincere i loro rispettivi nemici i vari “reparti nazionali” della classe operaia devono imparare l’uno dall’altro, collaborare tra di loro e sostenersi reciprocamente. È quanto abbiamo visto succedere nel corso dei 160 anni del movimento comunista, in forme più o meno sviluppate a seconda delle varie fasi: in forma organizzata nella Lega dei comunisti (1847-1852), nella I Internazionale (1864-1876), nella II Internazionale (1889-1914), nell’Internazionale Comunista (1919-1943), nel Cominform (1947-1956); in modo informale negli altri periodi in cui non è esistita un’organizzazione internazionale.

La borghesia realizza l’unità economica del mondo nell’ambito del rapporto di produzione capitalista e di  rapporti borghesi. Quindi questa unità ha la forma del mercato mondiale e dell’esportazione di capitali, della concorrenza, dello sviluppo ineguale, dell’oppressione e dello sfruttamento dei paesi più deboli da parte dei paesi più forti, della formazione di aristocrazie operaie in alcuni paesi e dello sfruttamento fino all’esaurimento degli operai in altri paesi, della divisione del mondo intero tra pochi gruppi imperialisti, della sopraffazione dei gruppi imperialisti più deboli da parte dei più forti, dello sterminio delle popolazioni che non sanno resistere all’invadenza dei capitalisti, della feroce dominazione imperialista, delle guerre mondiali, della sovrappopolazione mondiale che condanna intere popolazioni all’estinzione, della lotta tra nazioni per la sopravvivenza, lo “spazio vitale”, il “posto al sole” (guerra di sterminio non dichiarata).(122)

Di contro, man mano che la rivoluzione proletaria avanza, l’unità economica del mondo viene trovando gradualmente, per salti, con passi avanti e passi indietro, la sua forma adeguata a livello sovrastrutturale nella formazione dei partiti comunisti in ogni paese, nella loro collaborazione più o meno stretta e più o meno organizzata, nella creazione di organizzazioni di massa internazionali, nella creazione del campo socialista. Nel futuro assumerà altre forme più avanzate.

La classe operaia di ogni paese impara da quelle degli altri paesi ed è di insegnamento a quelle di altri paesi. Lo sviluppo della sua lotta dipende dall’andamento dell’economia mondiale, dal sistema delle relazioni internazionali, ecc. La classe dominante di un paese collabora con quella di altri o si scontra con esse. Sono tutti altrettanti aspetti del carattere internazionalista del movimento comunista di un paese. Un carattere oggettivo, che esiste indipendentemente dal livello della comprensione di esso da parte di ogni singolo movimento comunista nazionale e dall’attività consapevole che ogni singolo movimento comunista nazionale esercita in questo campo attraverso il suo partito comunista e le sue organizzazioni di massa. Il partito comunista deve avere coscienza di questo legame internazionale, svilupparlo, farlo valere, valorizzarlo nella sua attività, tradurlo in forme organizzative.

Il partito comunista di ogni paese ha il dovere di portare al successo la rivoluzione nel proprio paese, di collaborare con i partiti comunisti degli altri paesi e di contribuire così al successo della rivoluzione a livello mondiale.

 

 

3.2. Lo Stato della borghesia imperialista e la lotta per instaurare il socialismo

 

Il partito deve combattere tra i suoi membri ogni concezione e tendenza a fondare la sua esistenza e la sua azione sulle libertà (di pensiero, di propaganda, di agitazione, di organizzazione, di manifestazione, di riunione, di sciopero, di protesta, ecc.) che con la vittoria della Resistenza sono state in qualche misura introdotte nel nostro paese e che in parte sopravvivono ancora benché la borghesia imperialista dalla metà degli anni ‘70 a questa parte stia sistematicamente eliminando tutte le conquiste che la classe operaia e le masse popolari le hanno strappato. Nello stesso tempo il partito deve condurre le masse a trarre un giusto bilancio dall’esperienza che giorno dopo giorno stanno facendo dei limiti in cui la classe dominante ha sempre contenuto quelle libertà e delle restrizioni che viene ponendo per effetto del progredire della crisi generale del capitalismo. Le masse hanno bisogno di condurre in ogni campo e su ogni terreno un movimento pratico di lotta di classe perché solo attraverso di esso possono imparare, sviluppare la loro coscienza, creare e rafforzare la loro organizzazione e passare a livelli più elevati di lotta.

Con l’inizio della fase imperialista la borghesia ha cessato di lottare per la democrazia sia pure borghese, cioè per tutti a parole ma nei fatti limitata alle classi possidenti. “L’imperialismo tende a sostituire la democrazia in genere con l’oligarchia”, “l’imperialismo contraddice ... a tutto il complesso della democrazia politica”. “L’imperialismo non frena l’estensione del capitalismo e il rafforzamento delle tendenze democratiche tra le masse della popolazione, ma acuisce l’antagonismo tra queste aspirazioni democratiche e le tendenze antidemocratiche dei monopoli”.(123)

Tutte le volte che la classe operaia ha basato la sua lotta sulla democrazia borghese, la borghesia imperialista ha ricordato che il potere le appartiene ricorrendo a massacri e repressioni di massa, colpi di Stato, provocazioni e scissioni contro le organizzazioni della classe operaia e ha imposto il suo potere: dalla Spagna, all’Indonesia al Cile. Ha confermato ciò che Engels aveva già indicato nel 1895: la borghesia di  fronte alla maturazione politica della classe operaia avrebbe violato essa stessa per prima la propria legalità.(124) Un’accumulazione delle forze rivoluzionarie adeguata alla conquista del potere e all’instaurazione del socialismo non può avvenire subordinandosi alle procedure e alle libertà scritte nelle costituzioni della borghesia. Queste nella realtà valgono solo nei limiti in cui consentono alla borghesia di mantenere il suo potere. Non sono norme comuni, “super partes”, che regolano la lotta di tutte le classi, a cui tutte le classi si subordinano. Sono misure per tenere sottoposte la classe operaia e le altre classi sfruttate e oppresse. La borghesia poteva restare democratica solo finché la classe operaia era lontana dall’esercitare nella pratica i diritti che le erano riconosciuti sulla carta. La realtà ha smentito le illusioni che continuasse l’epoca in cui la borghesia aveva svolto un ruolo progressista, che il fascismo fosse una parentesi o una deviazione nel corso della vita della società borghese, che dopo il fascismo la borghesia potesse ritornare alle vecchie forme di potere. I revisionisti moderni di tutto il mondo hanno propagandato queste illusioni e hanno condotto le masse nel vicolo cieco del parlamentarismo, della partecipazione, della concertazione, delle riforme di struttura e di altre chiacchiere che sono rimaste tali. Queste illusioni hanno pesato negativamente sulla lotta della classe operaia e sulla capacità di direzione del suo partito. Ma esse esistono ancora e continueranno ad esistere per un certo tempo, in particolare in paesi imperialisti come il nostro. Su grande scala solo l’esperienza pratica le spazzerà via.

La controrivoluzione preventiva è il regime politico del nostro come degli altri paesi imperialisti. Quando essa non è efficace, non basta più a impedire la crescita della coscienza e dell’organizzazione delle masse popolari, la borghesia ricorre alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari, al terrore, al fascismo, alla guerra. Se il partito comunista ha ben diretto l’accumulazione delle forze rivoluzionarie, allora la borghesia porta la lotta di classe sul terreno della guerra civile: il terreno risolutivo dello scontro tra le masse popolari e la borghesia imperialista. Il partito comunista deve educare le masse popolari a non temere la guerra civile che la borghesia prepara e prima o poi scatenerà, deve educarle a combatterla vittoriosamente: è anche l’unica maniera per evitarla, ammesso che una maniera esista, e comunque per renderla meno grave per le masse popolari.

Il procedere della crisi generale del capitalismo costringe la borghesia ad accentuare il carattere repressivo, militarista, segreto del suo regime, nei rapporti con le masse popolari e nei rapporti tra gli stessi gruppi imperialisti. La disinformazione, la confusione, la diversione, l’intossicazione, la provocazione, il controllo, l’infiltrazione, l’intimidazione, il ricatto, l’eliminazione e la repressione sono correntemente pratica di lotta politica da parte della classe dominante e lo diventeranno ancora più di quanto lo sono stati nei cinquanta anni passati.

Con l’inizio dell’epoca imperialista e ancora più con la prima crisi generale del capitalismo lo Stato della borghesia imperialista è diventato uno Stato poliziesco e militarista, profondamente reazionario. Esso ha cessato di essere lo Stato della democrazia borghese ed è diventato lo Stato della controrivoluzione preventiva organizzata, strumento per la repressione e la guerra della borghesia imperialista contro la classe operaia e le masse popolari.(125)

L’esperienza della prima crisi generale del capitalismo ha dimostrato che la lotta tra la borghesia imperialista e le masse popolari con il procedere della crisi diventa inevitabilmente guerra civile o guerra tra Stati. Dove la classe operaia non ha saputo porsi alla testa della mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari, la mobilitazione delle masse è diventata mobilitazione reazionaria delle masse popolari, la classe operaia ha subito la guerra imposta dalla borghesia e tutte le masse popolari ne hanno pagato le conseguenze.(126)

Il partito deve costruirsi tenendo conto di questi aspetti e nello stesso tempo tenendo conto della debolezza e dell’instabilità del regime della borghesia imperialista, corroso dall’opposizione crescente delle masse popolari, dalla crescita delle contraddizioni tra i gruppi imperialisti e dallo sviluppo, in contrasto e lotta tra loro, della mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari e della mobilitazione reazionaria delle masse popolari.

Sulla base dell’analisi della situazione concreta e dei compiti che esso deve assolvere per condurre la classe operaia alla conquista del potere, il nuovo partito comunista ha definito la sua strategia per fare dell’Italia un nuovo paese socialista e la natura e le caratteristiche che esso deve assumere per essere  all’altezza dei suoi compiti.

 

 

3.3. La nostra strategia: la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata

 

La nostra strategia, la via per fare dell’Italia un nuovo paese socialista, è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata (GPRdiLD) .(*) Questa è la conclusione del bilancio dell’esperienza del movimento comunista, della lotta della classe operaia contro la borghesia imperialista, in particolare durante la prima ondata della rivoluzione proletaria. Per sua natura la lotta della classe operaia contro la borghesia imperialista per instaurare il socialismo è una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. I partiti comunisti devono riconoscere questa realtà, comprenderla a fondo e servirsi di questa coscienza per dirigere la rivoluzione. A conclusione del bilancio dell’esperienza delle lotte che il movimento comunista ha condotto contro la borghesia nei paesi imperialisti negli ultimi 130 anni, noi dobbiamo ripetere, parafrasando, quello che disse Mao nel 1940 a proposito della rivoluzione proletaria in Cina: “Per più di cento anni noi abbiamo fatto la rivoluzione senza avere una concezione chiara e giusta della rivoluzione, abbiamo agito alla cieca: da qui le nostre sconfitte”.(127)

Mao Tse-tung ha elaborato in dettaglio la teoria della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.(128) La teoria della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è uno dei principali apporti del maoismo al pensiero comunista.(129) Mao Tse-tung però si riferiva al caso concreto della rivoluzione di nuova democrazia in Cina. Quindi nella sua elaborazione si combinano le leggi universali della GPRdiLD, valide per ogni paese e tempo, e le leggi particolari, valide per la rivoluzione di nuova democrazia compiuta in Cina nella prima metà del secolo scorso.(130) Bisogna quindi che ogni partito impari dal maoismo le leggi universali della GPRdiLD ed elabori le leggi particolari proprie del suo paese e della sua epoca.

La questione di come la classe operaia sarebbe arrivata a prendere il potere, fu posto per la prima volta chiaramente da F. Engels nel 1895, nella sua Introduzione della ristampa degli articoli di K. Marx Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850.

Alla fine del secolo XIX, all’inizio dell’epoca imperialista del capitalismo, i partiti socialdemocratici nei paesi più avanzati avevano già compiuto la loro opera storica di costituire la classe operaia come classe politicamente autonoma dalle altre. Avevano posto fine all’epoca in cui molte persone di talento o inette, oneste o disoneste, attratte dalla lotta per la libertà politica, dalla lotta contro il potere assoluto dei re, della polizia e dei preti, non vedevano il contrasto fra gli interessi della borghesia e quelli del proletariato. Costoro non concepivano neanche lontanamente che gli operai potessero agire come una forza sociale autonoma. I partiti socialdemocratici avevano posto fine all’epoca in cui molti sognatori, a volte geniali, pensavano che sarebbe bastato convincere i governanti e le classi dominanti dell’ingiustizia e della precarietà dell’ordine sociale esistente per stabilire con facilità sulla terra la pace e il benessere universali. Essi sognavano di realizzare il socialismo senza lotta della classe operaia contro la borghesia. I partiti socialdemocratici avevano posto fine all’epoca in cui quasi tutti i socialisti e in generale gli amici della classe operaia vedevano nel proletariato solo una piaga sociale e constatavano con spavento come, con lo sviluppo dell’industria, si sviluppava anche questa piaga. Perciò pensavano al modo di frenare lo sviluppo dell’industria e del proletariato, di fermare la “ruota della storia”.(131) Grazie alla direzione di Marx ed Engels i partiti socialdemocratici avevano invece creato nei paesi più avanzati un movimento politico, con alla testa la classe operaia, che riponeva le sue fortune proprio nella crescita del proletariato e nella sua lotta per l’instaurazione del socialismo e la trasformazione socialista dell’intera società. Iniziava l’epoca della rivoluzione proletaria.(132) Il movimento politico della classe operaia era il lato soggettivo, sovrastrutturale della maturazione delle condizioni della rivoluzione proletaria, mentre il passaggio del capitalismo alla sua fase imperialista ne era il lato oggettivo, strutturale.

La classe operaia aveva già compiuto alcuni tentativi di impadronirsi del potere: in Francia nel 1848-50(133) e nel 1871 con la Comune di Parigi,(134) in Germania con la partecipazione su grande scala alle elezioni politiche.(135) Era oramai possibile e necessario capire come la classe operaia sarebbe riuscita a  impadronirsi del potere e avviare la trasformazione socialista della società. Erano riunite le condizioni per affrontare il problema della forma della rivoluzione proletaria. Nella Introduzione del 1895 F. Engels fece il bilancio delle esperienze fino allora compiute dalla classe operaia ed espresse chiaramente la tesi che “la rivoluzione proletaria non ha la forma di un’insurrezione delle masse popolari che rovescia il governo esistente e nel corso della quale i comunisti, che partecipano ad essa assieme agli altri partiti, prendono il potere”. La rivoluzione proletaria ha la forma di un accumulo graduale delle forze attorno al partito comunista, fino ad invertire il rapporto di forza: la classe operaia deve preparare fino ad un certo punto “già all’interno della società borghese gli strumenti e le condizioni del suo potere”. Marx aveva già spiegato che era un’illusione credere di poter instaurare un nuovo ordinamento sociale impadronendosi dello Stato borghese e usandolo per compiere quell’opera. Engels aggiunse che era un’illusione credere di riuscire a impadronirsi dello Stato borghese vincendo le elezioni: quando questa prospettiva si fosse avvicinata, la borghesia avrebbe essa stessa rotto la sua legalità. Quindi il partito comunista doveva lavorare già oggi in vista di questo evento sicuro, doveva preparare le masse a far fronte a questo evento, ad approfittarne per fare definitivamente i conti con la borghesia. Gli avventuristi, gli opportunisti, i riformisti e i movimentisti si congiungevano in questo: non tenevano conto già oggi di quell’evento sicuro, distoglievano le masse dal prepararsi già oggi ad esso. Lo sviluppo delle rivoluzioni nel secolo scorso ha confermato, precisato e arricchito tutte queste tesi di F. Engels.(136)

In contrasto con la tesi di Engels che la classe operaia può arrivare alla conquista del potere solo attraverso un graduale accumulo delle forze rivoluzionarie, alcuni presentano la rivoluzione russa del 1917 come un’insurrezione popolare (“assalto al Palazzo d’Inverno”) iniziata dal partito il 7 novembre 1917 nel corso della quale i bolscevichi hanno preso il potere. In realtà l’instaurazione del governo sovietico nel novembre del 1917 era stata preceduta da un lavoro sistematico condotto dal partito di Lenin volto ad accumulare forze rivoluzionarie attorno al partito comunista. Questi a partire dal 1903 si era costituito come forza politica libera, che esisteva e operava con continuità in vista della conquista del potere nonostante che il regime zarista mirasse a distruggerla e quindi come forza politica indistruttibile dal nemico. Quindi la lotta condotta dal partito comunista russo nel periodo 1903-1917 ci può insegnare qualcosa su come si accumulano forze rivoluzionarie in seno alla società dominata dal nemico, a condizione di tener conto nella giusta misura che la Russia zarista era un paese imperialista ma ancora semifeudale, che la rivoluzione da compiere era una rivoluzione di nuova democrazia, che in Russia non esisteva un regime di controrivoluzione preventiva L’instaurazione del governo sovietico nel novembre 1917 è stata preceduta dal lavoro più specifico fatto tra il febbraio e l’ottobre 1917, in condizione di doppio potere, di equilibrio tra le forze dei due campi contrapposti, quando la rivoluzione disponeva già di forze militari che obbedivano solo ai soviet. È stata seguita da una guerra civile e contro l’aggressione imperialista durata tre anni e conclusa alla fine del 1920. In realtà conclusa solo in un certo senso: infatti se consideriamo le cose a livello internazionale, non dal punto di vista della rivoluzione in Russia ma dal punto di vista della rivoluzione proletaria mondiale, lo sforzo della borghesia imperialista per soffocare l’Unione Sovietica (divenuta la base rossa della rivoluzione proletaria mondiale) è proseguito nelle lunghe e molteplici manovre antisovietiche degli anni ‘20 e ‘30 e nell’aggressione nazista del 1941-1945.(137)

La storia della rivoluzione russa è in realtà una brillante conferma della tesi di Engels, tanto più brillante perché la guerra popolare rivoluzionaria fu in questo caso condotta con successo senza avere prima elaborato la sua teoria. Se consideriamo l’andamento delle rivoluzioni che si sono da allora succedute nei singoli paesi e anche l’andamento della rivoluzione a livello mondale, vediamo che la teoria della GPRdiLD ne esce confermata, sia nei casi in cui la rivoluzione è stata condotta fino all’instaurazione del nuovo potere, sia nei casi in cui la rivoluzione è stata sconfitta. Alla luce della teoria della GPRdiLD diventa anzi chiara anche la causa delle sconfitte subite finora dal movimento comunista nei paesi imperialisti.(138) L’esperienza ha confermato che l’insurrezione popolare è, in determinate circostanze, una manovra utile e necessaria all’interno di una guerra. Ma se la assumono come strategia della rivoluzione, la forza delle cose costringe i comunisti a oscillare tra l’avventurismo e l’inerzia.

 

La teoria della GPRdiLD indica il percorso che il movimento comunista deve compiere per rovesciare il  potere esistente e instaurare il potere della classe operaia. Questa teoria è una scienza sperimentale: è stata costruita elaborando l’esperienza della lotta condotta finora dal movimento comunista e trova la sua verifica e la sua conferma nei risultati che il movimento comunista ottiene applicandola nella lotta di classe. È la sintesi dell’esperienza compiuta, tradotta in indicazioni, criteri, linee, metodi e regole per la rivoluzione che dobbiamo ancora compiere. È una scienza aperta, nel senso che essa viene arricchita, precisata, sviluppata man mano che la rivoluzione proletaria avanza nel mondo. È una scienza che comprende principi e leggi generali, validi in ogni paese e in ogni momento e principi e leggi particolari che rispecchiano quello che di particolare ha ogni paese.

Anzitutto la rivoluzione socialista è un processo unitario. Mille sono i tipi di lotta che compongono questo processo e gli episodi attraverso i quali esso si svolge. Ma essi compongono un unico processo. Ognuno di essi vale nella misura in cui fa avanzare l’intero processo: questo è il metro per decidere la linea da seguire in ogni episodio e in ogni campo particolare e su cui valutare il risultato della nostra azione. Per dirigere in modo giusto l’intero processo e ogni suo singolo passaggio e componente, dobbiamo comprendere il filo che unisce i vari tipi di lotta e i vari episodi, dobbiamo dirigere ognuno di essi tenendo il debito conto del suo carattere universale e del suo carattere particolare e usando il particolare per realizzare l’universale. Dobbiamo comprendere come una fase prepara e genera la fase successiva. Dirigere in modo giusto la lotta in una fase vuol dire fare in modo che essa generi la fase successiva. Bisogna tener conto del legame che unisce tutti gli scontri e tutti gli eventi l’uno all’altro, bisogna tener conto che ogni evento ne genera un altro, bisogna tener conto che il risultato qualitativo è generato dall’accumulazione quantitativa. Ogni lotta particolare deve contribuire a realizzare la vittoria finale: in concreto deve contribuire ad allargare la lotta, a portarla a un livello superiore, sviluppare nuove forze, aprire nuovi fronti di lotta, rafforzare le forze che l’hanno combattuta. Ogni fase deve preparare il terreno e le forze per la fase successiva. D’altra parte per condurre vittoriosamente in porto uno scontro, bisogna tener accuratamente conto del maggior numero possibile dei suoi aspetti particolari.

Quindi il partito comunista deve avere un piano che copre tutti gli aspetti della lotta delle masse popolari e l’intero processo della rivoluzione socialista, fino all’instaurazione del socialismo. Gli opportunisti si oppongono sistematicamente all’elaborazione di un piano. Gridano contro “il piano costruito a tavolino”. Essi sono per il navigare a vista, fare caso per caso “quello che si può fare”, approfittare delle circostanze. Quindi si trovano bene con gli spontaneisti. Entrambi impersonano il carattere degli strati più arretrati del nostro movimento che agiscono spontaneamente, si adagiano in esso. Noi siamo per elaborare e realizzare un piano, per guidare nel modo giusto ogni movimento spontaneo perché si sviluppi e raggiunga un livello superiore, per rafforzare in ogni movimento spontaneo la tendenza positiva e combattere la tendenza negativa. Solo il piano strategico permette di capire quale è la tendenza positiva e quale quella negativa. Certo non si tratta di un piano arbitrario. Deve essere una concezione ben fondata e una linea d’azione chiara: una prospettiva storica costruita scientificamente, con serietà scrupolosa, che basa su tutto il corso passato delle cose gli obiettivi da raggiungere nell’avvenire, che proponiamo alle masse popolari perché sono obiettivi di cui esse hanno bisogno e che esse devono consapevolmente raggiungere. Implica un metodo consistente nel valutare i risultati delle lotte di ieri, per definire con precisione gli obiettivi delle lotte di domani.

D’altra parte il partito deve avere un metodo d’azione e di conoscenza, che gli consente di dirigere con successo ogni singolo passo e ogni singolo scontro, in ogni campo e su ogni terreno. La lotta tra la classe operaia e la borghesia non procede a caso. Come ogni processo ha le sue leggi. Il partito deve scoprirle, comprenderle, applicarle in ogni campo e su ogni terreno di lotta, passo dopo passo, fase dopo fase.

Nella società moderna in ultima analisi il potere è la direzione dell’attività pratica delle masse popolari. La direzione combina la conquista del cuore e della mente delle masse popolari con l’esercizio della coercizione e con l’organizzazione della vita quotidiana in tutti i suoi aspetti. L’essenza della GPRdiLD(*) consiste nella costituzione del partito comunista come centro del nuovo potere popolare della classe operaia; nella mobilitazione e aggregazione crescente di tutte le forze rivoluzionarie della società attorno al partito comunista; nella elevazione del livello delle forze rivoluzionarie; nella loro utilizzazione secondo un piano per sviluppare una successione di iniziative che pongono lo scontro di classe al centro della vita politica del paese in modo da reclutare nuove forze, indebolire il potere della borghesia imperialista e rafforzare il nuovo potere, arrivare a costituire le forze armate della rivoluzione, dirigerle nella guerra contro la borghesia fino a  rovesciare i rapporti di forza, eliminare lo Stato della borghesia imperialista e instaurare lo Stato della dittatura del proletariato.

Il partito comunista è il centro propulsore del nuovo potere. Dalla sua fondazione, esso si pone come un potere autonomo da quello della borghesia e in concorrenza con esso. La sua espansione e il suo rafforzamento vanno in parallelo con la riduzione e l’indebolimento del potere della borghesia. La borghesia cerca di soffocare il nuovo potere, eliminando il partito comunista o corrompendolo fino a trasformarlo in un partito “come gli altri”, in un partito borghese. La semplice resistenza, continuare ad esistere, non lasciarsi né soffocare né corrompere, per il partito è già una vittoria, la prima vittoria del nuovo potere.

La crescita e il rafforzamento del nuovo potere, dalla sua nascita alla sua vittoria, passa attraverso tre grandi fasi.

 

1. La prima fase è strategicamente una fase difensiva (la difensiva strategica).(*) La superiorità della borghesia è schiacciante. Il partito comunista deve accumulare le forze rivoluzionarie. Raccogliere attorno a sé (nelle organizzazioni di massa e nel fronte) e in sé (nelle organizzazioni del partito) le forze rivoluzionarie, estendere la sua presenza e la sua influenza, educare le forze rivoluzionarie alla lotta dirigendole a lottare. L’avanzamento del nuovo potere si misura dalla quantità delle forze rivoluzionarie che si raccolgono nel fronte e dal livello delle forze stesse. In questa fase l’obiettivo principale non è l’eliminazione delle forze nemiche, ma raccogliere tra le masse popolari forze rivoluzionarie, estendere l’influenza e la direzione del partito comunista, elevare il livello delle forze rivoluzionarie: rafforzare la loro coscienza e la loro organizzazione, renderle più capaci di combattere, rendere la loro lotta contro la borghesia più efficace, elevare il loro livello di combattività.

 

2. La seconda fase è quella dell’equilibrio strategico.(*) Il contrasto tra le forze rivoluzionarie raccolte attorno al partito comunista e la borghesia è arrivato ad un punto tale che la lotta di classe diventa guerra civile e il nuovo potere, inquadrando militarmente una parte delle masse popolari e tramite il passaggio alla rivoluzione di una parte delle forze armate nemiche, forma proprie forze armate che si contrappongono a quelle della borghesia. La prima fase genera la seconda fase. Senza preventiva accumulazione delle forze rivoluzionarie non c’è seconda fase. Nella storia del movimento comunista abbiamo persino visto Stati borghesi dissolversi (Germania, Austria e Ungheria nel 1918, Italia nel 1943, Germania nel 1945), senza che per questo il movimento comunista passasse alla seconda fase. Nella storia del movimento comunista, il passaggio dalla prima fase alla seconda è avvenuto in vari modi. In alcuni casi la borghesia, non potendo più sopportare la situazione creata dallo sviluppo del nuovo potere, ha rotto la sua legalità ed è scesa sul terreno della guerra civile. Classico è il caso della Spagna del 1936. Sarebbe stato il caso dell’Indonesia del 1964 e del Cile del 1973 se il movimento comunista non fosse già stato corroso dai revisionisti moderni e dalle loro concezioni e politiche di “passaggio pacifico”. In altri casi è stato il movimento comunista che ha preso esso l’iniziativa di portare la lotta di classe sul terreno della guerra civile. È il caso della Russia nel 1905, dell’Italia negli anni ‘70. In altri casi il passaggio si è realizzato nel corso di una guerra generale. È il caso del colpo di Stato borghese del febbraio 1917 in Russia, della rivoluzione del 1918 in Germania, in Austria e in vari altri paesi dell’Europa centrale e orientale, della Resistenza nel 1940 in Francia, della Resistenza nel 1943 in Italia. Questo passaggio si sarebbe determinato in altri casi se il movimento comunista non avesse fatto vergognosamente marcia indietro, perché impreparato allo scontro, di fronte alla sfida, alle minacce e al ricatto della borghesia di scendere sul terreno della guerra civile: nel 1914 in vari paesi europei, nel Biennio Rosso (1919-1920) in Italia, nel 1936 in Francia, ecc. Una volta formate le proprie forze armate, il nuovo potere deve riuscire a tenerle in campo e rafforzarle, contro l’assalto furibondo della borghesia. Impedire la loro rapida distruzione è già una vittoria. È quello che il movimento comunista realizzò, se consideriamo le cose dal punto di vista della rivoluzione mondiale, con la sconfitta dell’aggressione imperialista alla Russia sovietica nel 1920 e poi nuovamente nel 1945. L’obiettivo strategico in questa fase è impedire la distruzione delle proprie forze armate, riuscire a fare in modo che continuino ad esistere, che il nemico non riesca a distruggerle. Di regola però la conquista di questa vittoria è più una questione politica (impedire che la borghesia dispieghi completamente le sue forze e faccia valere la sua superiorità militare) che una questione  militare in senso stretto.

 

3. La terza fase è quella dell’offensiva strategica.(*) Il nuovo potere è oramai in grado di lanciare le proprie forze all’attacco, sia in termini strettamente militari, sia in termini politici generali, per distruggere le forze nemiche. L’avanzamento della rivoluzione si misura dalla quantità di forze nemiche, militari in senso stretto e politiche in generale, eliminate o dissolte. L’obiettivo strategico in questa fase è l’instaurazione del nuovo potere in tutto il paese. La sua realizzazione conclude questa fase della GPRdiLD e conclude anche la GPRdiLD stessa.

 

L’intero processo si configura quindi come una guerra: esso confluisce e si conclude con l’eliminazione dello Stato della borghesia tramite uno scontro armato, perché le forze armate sono il presidio di ultima risorsa del suo potere.

Una guerra popolare: perché il suo cuore è la mobilitazione e organizzazione delle masse popolari attorno al partito comunista, è combattuta dalle masse popolari e in definitiva può essere vinta solo dalle masse popolari.

Una guerra rivoluzionaria: per il suo obiettivo (instaurare il potere della classe operaia e aprire la via alla costruzione di un nuovo ordinamento sociale), per la sua natura (non è lo scontro tra Stati e tra forze armate contrapposte, ma tra una classe oppressa che gradualmente assume la direzione delle masse popolari, conquista il loro cuore e la loro mente e gradualmente costruisce il suo nuovo potere di contro a una classe di oppressori che ha già un suo Stato e le sue forze armate e ha ereditato dalla storia l’egemonia sulle masse popolari), per il suo metodo (la classe rivoluzionaria ha l’iniziativa e tramite la sua iniziativa costringe la classe dominante a scendere sul terreno di lotta che è più favorevole alla classe oppressa).

È una guerra di lunga durata perché compiere l’intero processo sopra indicato richiede in ogni caso un tempo che non può essere stabilito a priori. Per vincere, bisogna essere disposti a combattere per tutto il tempo che sarà necessario, formare, organizzare e dirigere le proprie forze in conformità a questo imperativo, manovrare. Volere a tutti i costi chiudere la guerra in breve tempo, è fatale per la classe operaia, porta alla sconfitta e alla resa. La borghesia al contrario cerca disperatamente di chiuderla in breve tempo, perché più la guerra si prolunga, più la sua vittoria diventa difficile. Non riuscire a soffocare la guerra popolare rivoluzionaria in breve tempo, per la borghesia è già una sconfitta.

Il processo della rivoluzione socialista ha le sue leggi, si svolge nel corso di un certo tempo. Noi comunisti ne abbiamo una conoscenza limitata e quindi ci appare ancora come un processo complesso. Solo gradualmente impariamo a condurlo con successo e via via il processo ci apparirà più semplice. Noi abbiamo quindi bisogno di tempo.

La classe operaia vincerà sicuramente. Chi dice che la classe operaia non può vincere, rovesciare la borghesia imperialista e prendere il potere, sbaglia (i pessimisti e gli opportunisti sbagliano). I successi raggiunti dal movimento comunista nella prima ondata della rivoluzione proletaria (1900-1950) hanno confermato praticamente ciò che Marx ed Engels avevano dedotto teoricamente dall’analisi della società borghese.

Chi dice che la classe operaia può facilmente e in breve tempo vincere, rovesciare la borghesia imperialista e prendere il potere, sbaglia (gli avventuristi sbagliano: da noi abbiamo visto all’opera i soggettivisti e i militaristi). Le sconfitte subite dal movimento comunista nella prima ondata della rivoluzione proletaria (prima nel “Biennio Rosso” (1919-1920) e poi negli anni ‘40 dopo la vittoria della Resistenza), le rovine prodotte dal revisionismo moderno dopo che negli anni ‘50 ha preso la direzione del movimento comunista e la sconfitta subita in Italia dalle Brigate Rosse all’inizio degli anni ‘80 hanno confermato praticamente anche questa tesi.

La classe operaia può vincere, rovesciare la borghesia imperialista e prendere il potere, ma attraverso un lungo periodo di apprendistato, di dure lotte, di lotte dei tipi più svariati e di accumulazione di ogni genere di forze rivoluzionarie, nel corso del processo di guerre civili e di guerre imperialiste che durante la crisi generale del capitalismo sconvolgono il mondo fino a trasformarlo. Per condurre con successo questa lotta, per ridurre gli errori che si compiono, bisogna capire la natura del processo, le contraddizioni che lo determinano, le leggi secondo cui si sviluppa.

 Non per scelta di noi comunisti, ma per le caratteristiche proprie del capitalismo, il processo di sviluppo dell’umanità si è posto in questi termini: o guerre tra parti delle masse popolari dirette ognuna da gruppi imperialisti (guerre tra gruppi imperialisti) o guerre delle masse popolari dirette dalla classe operaia contro la borghesia imperialista. È un dato di fatto, un fatto a cui non possiamo sfuggire per forza dei nostri desideri o della nostra volontà se non ponendo fine all’epoca dell’imperialismo.(139) È un fatto reso evidente dallo studio dei più che 100 anni dell’epoca imperialista già trascorsi e dallo studio delle tendenze attuali della società. La situazione è resa ancora più complessa dal fatto che nella sua guerra contro la borghesia imperialista la classe operaia deve sfruttare le contraddizioni tra gruppi imperialisti. I due tipi di guerre (la guerra della classe operaia contro la borghesia imperialista e le guerre tra gruppi imperialisti) in sostanza si sviluppano entrambi e si intrecciano.(140) Il problema è quale prevale. I comunisti devono fare in modo che gli antagonisti nella guerra, i due poli dei campi che si affrontano, siano la classe operaia e la borghesia imperialista. Con la loro iniziativa, manovrando le forze di cui già dispongono, essi devono fare in modo che la lotta tra le classi diventi il centro dello scontro politico. Solo così la classe operaia riuscirà a imporsi alla conclusione dello scontro come nuova classe dirigente, come la classe che ha vinto la guerra. D’altra parte devono condurre la guerra in modo tale che i gruppi imperialisti si azzuffino tra loro onde non uniscano e concentrino le loro forze, all’inizio prevalenti, contro la classe operaia. Questo è un problema della relazione tra strategia e tattica nella rivoluzione proletaria.

Per dirigere una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata(*) con meno sconfitte, con meno perdite, con meno sofferenze per le masse popolari, è essenziale che il partito sia consapevole della strategia che sta attuando e che impari dalla sua esperienza. Avere una strategia giusta, è la prima condizione per una vittoria sicura. Non ha senso parlare di tattica, della giustezza delle singole manovre e operazioni tattiche, se il partito non ha una strategia. Una volta che ha una strategia giusta, il partito deve combinare l’assoluta fermezza strategica con la massima flessibilità tattica. L’esperienza ha dimostrato che se il partito raggiunge questa condizione, difficilmente la borghesia riesce a sconfiggere la rivoluzione proletaria.

 

 

3.4. Il partito clandestino

 

La classe operaia ha bisogno del partito comunista. Questa è la prima lezione che ci deve essere chiara e che deriva sia dall’esperienza storica sia dall’analisi della società capitalista. La classe operaia ha bisogno del partito comunista perché il ruolo del partito comunista non può essere assolto dalla classe nel suo complesso. Solo l’avanguardia della classe operaia si organizza nel partito. La borghesia seleziona e prova i suoi dirigenti politici nel corso dei traffici della “società civile”; al contrario la classe operaia non ha altra possibilità che selezionarli, formarli, verificarli nel corso dell’attività del partito comunista e delle organizzazioni di massa con esso collegate. La crisi della forma-partito, di cui tanto parlano i sociologi e i politologi borghesi, è la crisi dei partiti riformisti e borghesi del vecchio regime, è un aspetto della crisi del vecchio regime. I partiti riformisti sono in crisi perché la crisi generale impedisce che le masse strappino nuove conquiste di civiltà e di benessere se non in un movimento rivoluzionario per il quale i partiti riformisti sono inadatti: da qui la crisi dei partiti riformisti. Essi hanno perso il terreno oggettivo (le conquiste reali che nel periodo del capitalismo dal volto umano masse popolari effettivamente strappavano alla borghesia nonostante fossero dirette dai partiti riformisti) su cui erano costruite le loro fortune. Gli altri partiti del regime DC sono in crisi perché tutto il regime è in crisi. Esso era il regime del compromesso degli interessi. Esso è entrato in crisi come in tutti i paesi imperialisti sono entrati in crisi i regimi di controrivoluzione preventiva che pur avevano efficacemente impersonato il dominio della borghesia nel periodo della ripresa e dello sviluppo, i regimi impostisi alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Oggi è venuto il turno delle forze borghesi che si candidano a promotrici della mobilitazione reazionaria delle masse, benché alle loro fortune si oppongano ancora sia l’arretratezza delle forze rivoluzionarie (è la loro iniziativa che suscita una controrivoluzione potente vincendo la quale le forze rivoluzionarie prendono il potere) sia la paura che la borghesia ha della mobilitazione reazionaria: la borghesia ha ripetutamente sperimentato che essa può trasformarsi in mobilitazione rivoluzionaria.

 La natura del partito comunista è dettata dalla strategia che esso deve seguire per la rivoluzione socialista. Alla strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata corrisponde un partito comunista clandestino. Esso nasce nella clandestinità e dalla clandestinità costruisce i suoi rapporti, le sue organizzazioni di massa pubbliche e no, sviluppa tutta la sua attività, anche quella pubblica e legale. Chi sogna un partito comunista che si costituisce per confluenza di movimenti o organizzazioni di massa, confonde l’epoca attuale con quella delle origini del movimento comunista. Rinnega uno dei tre principali apporti del leninismo al pensiero comunista.(40) Dobbiamo imparare dal passato, non disperdere forze nel vano tentativo di ripeterlo. Il presente è il frutto del passato, non la sua ripetizione.

Nella guerra popolare rivoluzionaria, il partito comunista ha il compito strategico di essere il centro dell’aggregazione, della formazione e dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie: partito, fronte, forze armate. In questa triade il partito è la direzione. Il suo compito è la raccolta e l’impiego delle forze proletarie, prima nella corsa alla mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari, per sopravanzare la mobilitazione reazionaria delle masse popolari o trasformare la mobilitazione reazionaria in mobilitazione rivoluzionaria; poi nella guerra civile che è la sintesi e la conclusione della lotta delle masse popolari contro la borghesia imperialista. Infatti la classe operaia per porsi come classe che lotta in proprio per il potere deve porsi come contendente, forza politica sul terreno della guerra civile, sia che la situazione che dovremo affrontare abbia la semplice forma di una guerra civile, sia che abbia anche la forma di una guerra tra gruppi e Stati imperialisti.

Il partito deve quindi essere libero dal controllo della borghesia. Non può vivere e operare nei limiti che la borghesia consente, come uno tra i tanti partiti della società borghese. I rapporti tra i gruppi imperialisti (e tra le rispettive forze politiche) appartengono a una categoria diversa da quella a cui appartengono i rapporti tra le masse popolari (e la classe operaia che ne è la sola potenziale classe dirigente) e la borghesia imperialista. Sono rapporti di natura diversa e si sviluppano secondo leggi diverse. Quelli che in un modo o in un altro si ostinano a considerare questi rapporti come rapporti dello stesso ordine, soggetti alle stesse leggi, o cadono nel politicantismo borghese (parlamentare o affine) o nel militarismo: infatti l’accordo alle spalle delle masse e la guerra imperialista sono le due forme alterne con cui i gruppi imperialisti trattano i rapporti tra loro.

Questo vuol dire che la classe operaia (e la sua espressione politica, il partito comunista) non è comunque condizionata dalla borghesia? No. Vuol dire che il partito comunista non poggia la sua possibilità di operare sulla tolleranza della borghesia, che il partito assicura la propria possibilità di esistere e operare nonostante la borghesia cerchi di eliminarlo o almeno limitarne e impedirne l’attività. Vuol dire che il partito, grazie alla sua analisi materialista-dialettica della situazione e ai suoi legami con le masse, precede le misure della controrivoluzione preventiva volgendole a proprio favore. Vuol dire che il partito è condizionato dalla borghesia come in una guerra ognuno dei contendenti è condizionato dall’altro e condizionato in ogni fase della guerra secondo il rapporto delle forze in quella fase (difensiva strategica, equilibrio strategico, offensiva strategica). Ma non è soggetto alle sue leggi e al suo Stato, come invece lo sono le masse in condizioni normali. Il partito comunista è fin dall’inizio della sua costruzione quello che la classe operaia, il proletariato e il resto delle masse popolari diverranno gradualmente nel corso della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.

Questa è l’unica soluzione realistica. Una dopo l’altra tutte le affermazioni dei socialisti e dei revisionisti sulla via pacifica, democratica, parlamentare al socialismo sono state nei fatti smentite dalla borghesia stessa. Come F. Engels già nel 1895 aveva ben indicato, essa non ha avuto alcuno scrupolo a sovvertire la sua legalità, ogni volta che questa non assicurava la continuità del suo potere. La partecipazione alle elezioni e in generale a una serie di altre normali attività della società borghese, cui le organizzazioni operaie partecipano in quanto libere associazioni tra le altre, è stata uno strumento utile per affermare l’autonomia della classe operaia. Ma da quando è iniziata l’epoca della rivoluzione proletaria, ogni volta che i partiti comunisti l’hanno presa come strumento per la conquista del potere, si è trasformata in una catena controrivoluzionaria.(141)

La pratica ha mostrato anche la natura utopistica della strategia consistente nel passare da un’attività legale o da un’attività principalmente legale all’insurrezione. Nella pratica questa strategia ha posto sempre i partiti comunisti di fronte al dilemma: o rischiare di perdere tutto o non fare niente. In tutta la storia del  movimento comunista mai, nessuna insurrezione scatenata dal partito al di fuori di una guerra già in corso, è mai stata vittoriosa. Le insurrezioni vittoriose i partiti comunisti le hanno condotte solo come manovre particolari all’interno di una guerra più ampia già in corso, quindi quando forze militari rivoluzionarie già in opera appoggiavano il movimento insurrezionale. Così è stato nelle insurrezioni dell’aprile 1945 in Italia, così è stato a Pietroburgo nell’Ottobre 1917.

La controrivoluzione preventiva ha reso sistematico l’impegno della borghesia a prevenire e impedire lo sviluppo del movimento comunista, prima di doverne reprimere il successo. Ciò ha reso più chiaro che, da quando la conquista del potere da parte della classe operaia è storicamente all’ordine del giorno, la direzione della sua lotta per il potere, cioè il partito comunista, deve essere una struttura libera dal controllo della borghesia e sottratta ai suoi sistemi di repressione, cioè deve essere un partito clandestino.

La classe operaia non può combattere vittoriosamente la borghesia imperialista, non può porsi come suo contendente nella lotta per il potere, non può condurre l’accumulazione delle forze rivoluzionarie fino a rovesciare l’attuale sfavorevole rapporto di forza con le forze della reazione, se ha una direzione che sottostà alle leggi e al potere della borghesia.

Non si tratta solo di avere un apparato clandestino. Questo lo avevano già tutti i partiti della prima Internazionale Comunista: faceva parte delle condizioni per essere ammessi nell’Internazionale Comunista, era la terza delle 21 condizioni approvate dal II Congresso (17 luglio – 7 agosto 1920). Essa diceva: “In quasi tutti i paesi d’Europa e d’America la lotta di classe entra in un periodo di guerra civile. In queste condizioni i comunisti non possono affidarsi alla legalità borghese. Essi devono creare ovunque, accanto all’organizzazione legale, un organismo clandestino, capace di assolvere nel momento decisivo al suo dovere verso la rivoluzione. In tutti i paesi in cui, a causa dello stato d’assedio o di leggi d’eccezione, i comunisti non possono svolgere legalmente tutto il loro lavoro, essi devono senza alcuna esitazione combinare l’attività legale con l’attività illegale”.

L’esperienza della rivoluzione proletaria durante la prima crisi generale del capitalismo (1900-1945) ha mostrato che i paesi in cui i partiti comunisti possono svolgere tutto il loro lavoro legalmente, se il loro lavoro legale ha successo nonostante la controrivoluzione preventiva, si trasformano in paesi in cui i partiti comunisti non possono svolgere il loro lavoro legalmente e a quel punto però incontrano difficoltà insormontabili a far fronte alla nuova situazione. Nei paesi dove la borghesia imperialista non aveva la forza per operare autonomamente questa trasformazione (ad es. la Francia degli anni ‘30), essa ha preferito l’aggressione e l’occupazione straniera purché questa trasformazione si attuasse.

La lotta di classe è entrata in un periodo di guerra civile potenziale o dispiegata dovunque la classe operaia non ha rinunciato alla lotta per il potere. Quindi essa deve condurre la sua lotta per il potere come una guerra civile e i partiti comunisti, se vogliono restare tali, non possono e non devono “affidarsi alla legalità borghese”. I partiti comunisti svolgono legalmente, alla luce del sole, tutto il loro lavoro solo dove la classe operaia detiene già il potere: nei paesi socialisti e nelle basi rosse. La forza dei fatti è sempre stata più forte delle idee che non si fondano sui fatti. Essa ha costretto i partiti comunisti a condurre attività non alla luce del sole. La differenza è tra condurle consapevolmente, sistematicamente, dando ad esse il ruolo che le leggi del movimento reale esigono, o condurle da spontaneisti, da dilettanti, alla cieca.

L’esperienza ha mostrato che avere un organismo clandestino che entra in azione “nel momento decisivo” non basta a rendere i partiti comunisti capaci di dirigere con successo le masse. Non basta a evitare la decapitazione e decimazione del partito comunista. Lascia le masse senza direzione nel momento in cui ne hanno particolarmente bisogno, nel momento in cui la loro lotta può e deve fare un salto di qualità.

L’accumulazione e la formazione delle forze rivoluzionarie deve avvenire “in seno alla società borghese”, ma per forza di cose avviene gradualmente. Essa quindi non può avvenire legalmente, non può cioè avvenire entro i limiti definiti dalla legge borghese. Questa è elaborata e applicata dalla borghesia espressamente per impedire che il partito comunista accumuli forze. Per di più la borghesia non esita a precedere nell’azione repressiva la legge e anche violarla apertamente quando questa risulta essere un ostacolo a un efficace contenimento delle forze del movimento comunista. Il partito deve anzi evitare, con una conduzione tattica adeguata, di essere costretto a uno scontro decisivo (come un’insurrezione) finché le forze rivoluzionarie non sono state accumulate fino ad avere la superiorità su quelle della borghesia imperialista.

Non basta quindi creare un organismo clandestino “accanto all’organizzazione legale”. È il partito che  deve essere clandestino. È l’organizzazione clandestina che deve dirigere le organizzazioni legali e assicurare comunque la continuità e la libertà d’azione del partito. Il partito comunista deve essere un partito clandestino e dalla clandestinità deve promuovere o appoggiare, dirigere, orientare o influenzare tutti i movimenti legali che sono necessari e utili alla classe operaia, al proletariato e alle masse popolari. Il partito comunista clandestino deve far conoscere nel modo più ampio possibile tra la classe operaia e le masse popolari la sua esistenza, i suoi obiettivi, la sua concezione, la sua analisi della situazione, la sua linea; deve invece nascondere alla borghesia la sua struttura, il suo funzionamento e i suoi membri. Questa è la lezione della prima ondata della rivoluzione proletaria per i paesi imperialisti.

L’esperienza ha dimostrato che i partiti comunisti per adempiere con successo al loro compito nei paesi imperialisti devono combinare l’attività legale con l’attività illegale, nel senso preciso che l’attività illegale dirige ed è fondamento e direzione dell’attività legale; che l’attività illegale è principale e l’attività legale è ad essa subordinata; che l’attività illegale è assoluta e l’attività legale condizionata, relativa al rapporto delle forze tra classe operaia e borghesia imperialista e ad altre condizioni concrete; che l’attività legale è relativa al piano complessivo di guerra del partito comunista e relativa alle decisioni che la classe dominante reputa convenienti per se stessa.(142) L’esperienza ha altresì dimostrato che questo preciso genere di combinazione di attività illegale con l’attività legale non deve essere fatta dai partiti comunisti solo nei paesi in cui “a causa dello stato d’assedio o di leggi d’eccezione” la borghesia ha limitato l’attività legale: deve essere fatta in ogni paese, prima che la borghesia metta in atto stati d’assedio o leggi d’eccezione, prima che imponga all’attività politica del proletariato limiti legali più ristretti di quelli che impone ai singoli gruppi della classe dominante o comunque prima che imponga limiti più ristretti di quelli oggi vigenti.

La terza delle 21 condizioni di ammissione alla Internazionale Comunista era stata formulata per avviare la trasformazione in partiti bolscevichi (bolscevizzazione) dei vecchi partiti socialisti che, come il PSI, avevano aderito all’Internazionale Comunista perché verso questo spingeva il vento che tirava tra le masse, ma restavano assolutamente inadeguati a svolgere la funzione di direzione delle masse nel movimento rivoluzionario del loro paese.(143) Era stata introdotta per correggere la “insufficienza rivoluzionaria” resa evidente dagli avvenimenti del 1914 dei vecchi partiti socialisti che nel 1919 facevano la fila per aderire all’Internazionale Comunista. Ma era stata formulata in termini concilianti, con concessioni alle resistenze presenti in questi partiti a trasformarsi in partiti adeguati ai compiti dell’epoca. In conclusione l’esperienza ha dimostrato che la terza condizione per l’ammissione alla Internazionale Comunista era inadeguata. Nei paesi imperialisti i partiti comunisti che nacquero dopo la Prima Guerra Mondiale facendola propria si dimostrarono incapaci di far fronte ai propri compiti, anche per la concezione riduttiva, subordinata dell’attività clandestina che in essi dominava e che la terza condizione recepiva.

Ne segue che concepire l’attività del partito comunista come un’attività strategicamente legale, considerare la legalità come la regola e la clandestinità come l’eccezione che entra in azione nei momenti d’emergenza, non prevenire il momento in cui la borghesia cerca di stroncare il partito, non costruire il partito in vista e in funzione della guerra civile, è non conformarsi alle leggi della rivoluzione proletaria nei paesi imperialisti. I partiti comunisti che si sono comportati in questa maniera hanno pagato dure lezioni: basta riflettere sulla storia del partito comunista italiano, tedesco, spagnolo, francese, americano, giapponese, ecc.

La clandestinità non impedisce di sviluppare un’ampia attività legale, sfruttando tutte le condizioni. Anzi rende possibile ogni genere di attività legale. Rende possibile attività legali che un partito comunista legale non è in grado di compiere. Rende possibile anche le attività meno “rivoluzionarie”, che diventano strumento per legare organizzativamente al campo della rivoluzione anche le parti più arretrate delle masse popolari e influenzarle, che diventano strumenti per rafforzare la clandestinità.

D’altra parte la clandestinità non si improvvisa. Un partito costruito per l’attività legale o principalmente per l’attività legale e che subisce l’iniziativa della borghesia, difficilmente è in grado di reagire efficacemente all’azione della borghesia che lo mette fuori legge, che lo perseguita. Un partito legale non è inoltre in grado di resistere efficacemente al controllo, alla persecuzione, all’infiltrazione, alla corruzione, all’intimidazione, ai ricatti, alle azioni terroristiche della controrivoluzione preventiva, della “guerra sporca”, della “guerra di bassa intensità” e del resto dell’arsenale di cui si è munita la borghesia dei paesi imperialisti per opporsi  all’avanzata della rivoluzione proletaria. Un partito legale non è in grado di raccogliere e formare le forze rivoluzionarie che il movimento della società genera gradualmente e di impegnarle via via nella lotta per aprire l’ulteriore strada al processo rivoluzionario, in questo modo addestrandole e formandole. Un partito legale non è in grado di dibattere fino in fondo il bilancio delle esperienze e le sue parole d’ordine e quindi di elaborare una strategia e una tattica giuste e di portarle alle masse popolari.(144)

Il partito comunista deve quindi essere una direzione clandestina di tutto il movimento della classe operaia, del proletariato e del resto delle masse popolari. La linea di massa(*) è il metodo per dirigere anche i movimenti che ancora non vogliono essere diretti dal partito. Il partito comunista deve essere un partito che si costruisce nella clandestinità e che dalla clandestinità tesse la sua “tela di ragno” e muove la sua attività multiforme in ogni campo. Deve essere un partito che è strategicamente clandestino (quindi ha nella clandestinità il suo retroterra strategico), ma destina una parte dei suoi membri clandestini a svolgere compiti nella lotta politica legale, nel lavoro legale di mobilitazione delle masse e crea tutte le strutture legali che la situazione consente di creare. Il rapporto numerico tra le due parti, i compagni dedicati unicamente all’attività clandestina e i compagni clandestini dedicati ad attività legali, varia a secondo delle situazioni concrete. Attualmente e per un tempo ancora indeterminato nel nostro paese il rapporto sarà decisamente a favore dei compagni clandestini dedicati ad attività legali.

Il nuovo partito comunista italiano deve essere una direzione strategica clandestina. Ma attualmente nel nostro paese la classe operaia e le masse popolari svolgono la stragrande maggioranza della loro attività politica, economica e culturale non clandestinamente. Esse si giovano dell’agibilità politica che il movimento comunista ha imposto alla borghesia con la vittoria della Resistenza antifascista. Un’agibilità politica che la borghesia imperialista ha limitato e limita, ma che non ha ancora osato sopprimere. Quindi solo pochi lavoratori sono oggi disposti a impegnarsi in un lavoro clandestino. L’attività di difesa e di attacco dei lavoratori si svolge oggi in gran parte alla luce del sole, con attività tollerate dalla borghesia. Essa le scoraggia e le ostacola, ma non osa ancora vietarle apertamente. La classe operaia deve sfruttare e deve guidare le masse popolari a sfruttare fino in fondo gli spazi di agibilità politica conquistati con la Resistenza e con le lotte degli anni successivi e spingere, anche da questo terreno, la borghesia a smascherarsi, a restringere tali libertà rivelando i suoi veri interessi. La pratica ha insegnato e insegna che è del tutto inconsistente ogni tentativo (fatto con l’esempio e con la propaganda) di indurre gli operai e le masse popolari ad abbandonare questo terreno. Anche in questo vano tentativo consistette e consiste la deviazione militarista delle Brigate Rosse e delle società segrete(*) che si proclamo loro eredi e che le imitano in questa come in altre deviazioni, non consentendo la situazione di imitarle nel loro ruolo positivo. Ogni tentativo in questo senso porta solo a lasciare campo libero ai revisionisti, agli economicisti, ai borghesi. Solo man mano che la borghesia impedirà lo svolgimento legale delle attività politiche e culturali che dalla vittoria della Resistenza in qua le masse svolgono legalmente, metterà fuori legge, perseguiterà, ecc. chi persiste a svolgerle legalmente (ed è sicuro che arriverà a tanto: basta vedere i “progressi” che già ha fatto su questa strada per quanto riguarda la libertà di sciopero, l’espressione del pensiero e la propaganda, la rappresentanza nelle assemblee elettive: la borghesia non ha altra strada, benché per esperienza ne conosca i pericoli e faccia mille sforzi per non imboccarla), solo man mano che i progressi dell’attività del partito comunista, della classe operaia e delle masse popolari, la loro resistenza organizzata al procedere della crisi e alla guerra di sterminio che la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari, la loro irruzione nella lotta politica borghese fino a impedire la recita truffaldina che la borghesia presenta alle masse, susciteranno una controrivoluzione potente alla quale però il partito comunista saprà tener testa, solo allora, sulla base della loro esperienza, la classe operaia, il proletariato e le masse popolari sposteranno una parte crescente delle loro lotte e delle loro forze nella guerra, che solo allora diventerà la forma principale in cui esse potranno esprimersi e nella quale il partito sarà in grado di dirigerle vittoriosamente.

Il PCd’I nei primi anni venti aveva un apparato clandestino, ma non la direzione clandestina; nel 1926 subì la messa fuori legge; divenne clandestino perché costretto e ci riuscì in modo abbastanza facile solo grazie all’aiuto della Internazionale Comunista; perdette la sua direzione (Antonio Gramsci); ancora nel luglio ‘43 non approfittò del crollo del fascismo per costruire un esercito; si basò sull’alleanza con i partiti democratici per un passaggio pacifico dal fascismo ad un nuovo regime borghese; nel settembre ‘43 lasciò disperdere il grosso dell’esercito costituito da proletari in armi perché non era ancora in grado di dare ad essi  una direzione concreta e non approfittò del vuoto di potere e del materiale militare che la fuga del re e di gran parte degli alti ufficiali aveva messo a disposizione di chi sapeva approfittarne. Solo nei mesi successivi metterà la guerra al primo posto, creerà le proprie formazioni armate antifasciste e antinaziste e costringerà a seguirlo su questo terreno tutte le altre forze politiche che non volevano perdere i contatti con le masse e volevano avere un ruolo nel dopoguerra.(103)

Il KPD (Partito comunista tedesco) nel corso degli anni ‘20 tentò varie insurrezioni (non casualmente fallite) e nel 1933 lasciò arrestare la sua direzione (Ernst Thaelmann); mantenne organizzazioni clandestine, ma non riuscì a mobilitare sul piano della guerra né gli operai comunisti (benché il KPD avesse avuto 5 milioni di voti alle ultime elezioni nel 1933), né gli operai socialdemocratici, né gli ebrei e le altre parti della popolazione che pure erano perseguitati a morte dai nazisti.

Il PCF (Partito comunista francese) nel 1939 (il governo francese dichiarò guerra alla Germania il 1° settembre) si trovò in condizioni tali che migliaia di suoi membri vennero arrestati dal governo francese assieme a migliaia di altri antifascisti e l’organizzazione del partito saltò quasi interamente. M. Thorez, segretario del PCF, rispose alla chiamata alle armi del governo borghese! All’inizio del giugno 1940 il PCF “chiese” al governo Reynaud di armare il popolo contro le armate naziste che dal 10 maggio dilagavano in Francia e ovviamente la risposta fu il decreto del governo “francese” che intimava a ogni “francese” che possedeva armi da fuoco di consegnarle ai commissariati. Solo grazie all’aiuto dell’Internazionale Comunista dal luglio 1940 in avanti, dopo che i contrasti tra i gruppi imperialisti francesi erano sfociati in guerra civile tra essi (il Proclama di De Gaulle da Londra è del 18 giugno 1940), il PCF ricostruirà con eroismo e tenacia la sua organizzazione e solo a partire dal 1941 un po’ alla volta assumerà la guerra rivoluzionaria come forma principale di attività.

Da tutta questa esperienza storica, che lezione dobbiamo trarre? Che oggi dobbiamo costruire il nuovo partito comunista a partire dalla clandestinità. La clandestinità è una questione strategica, non tattica. È una decisione che dobbiamo prendere oggi per essere in grado di far fronte in modo giusto ai nostri compiti di oggi e essere in grado di far fronte ai nostri compiti di domani. La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è la strategia del nuovo movimento comunista e già oggi guida la nostra attività. Le lotte pacifiche sono un aspetto della tattica del movimento comunista e oggi sono l’aspetto più diffuso dell’attività delle masse popolari. Non dobbiamo subire l’iniziativa della borghesia, né aspettare che la mobilitazione delle masse ci abbia preceduto. Dobbiamo prendere l’iniziativa, precedere la borghesia e predisporre le nostre attuali piccole forze in modo che siano in grado di accogliere, organizzare, formare e dirigere alla lotta le forze che il corso della crisi generale del capitalismo produce di per sé tra le masse, ma con fertilità che è e sarà accresciuta dall’esistenza e dal lavoro di massa del partito comunista.

 

Il partito comunista è clandestino, ma non è una società segreta. Esso è cosa diversa dalle varie società segrete che vivono e operano nel nostro paese. Dopo la sconfitta subita dalle Brigate Rosse all’inizio degli anni ‘80, alcuni compagni, anziché criticare la deviazione militarista che aveva generato la sconfitta e quindi raccogliere le forze residue e impegnarle nella costruzione del partito comunista, hanno costituito un certo numero di “società segrete”.(145) In quell’epoca la borghesia cercava di consolidare la sua vittoria e la destra del movimento (Toni Negri & C), che ne rappresentava gli interessi, era per la liquidazione dell’organizzazione rivoluzionaria e il ritorno alla “lotta legale”. Ciò che la borghesia cercava di ottenere con le persecuzioni, con le torture, con il regime carcerario speciale e con i premi a delatori (“pentiti” o “dissociati”), la destra lo rafforzava con la linea della liquidazione. Va dato atto ai compagni che hanno costituito le società segrete di essersi opposti alla destra e alla liquidazione dell’organizzazione rivoluzionaria. Questo è il lato positivo della loro azione. Il lato negativo è che essi hanno cercato e cercano di risuscitare quello che la pratica ha dimostrato che non era vitale. Le società segrete pretendono di supplire, alcune a tempo determinato, altre a tempo indeterminato, la classe operaia con Organizzazioni Comuniste Combattenti (OCC). Cercano di fare esse quello che la classe operaia, il proletariato e il resto delle masse popolari almeno per il momento non sono disposti a fare. Esse non hanno compreso né i motivi del successo delle Brigate Rosse, né i motivi della loro sconfitta. La teoria della “supplenza” è frutto della sfiducia nella capacità rivoluzionaria delle masse e la pratica delle società segrete, nella misura in cui ha un effetto politico,  alimenta quella sfiducia.

Il partito comunista non assume il compito donchisciottesco di condurre la guerra civile contro la borghesia al posto della classe operaia, del proletariato e del resto delle masse popolari, di “supplire” alla loro “mancanza di slancio rivoluzionario”. L’esperienza del movimento comunista ha più volte mostrato che sono la classe operaia, il proletariato e il resto delle masse popolari, e non il partito comunista, che conducono e possono condurre una guerra civile vittoriosa contro la borghesia imperialista. Il compito del partito comunista è raccogliere, formare, organizzare, dirigere la classe operaia, il proletariato, il resto delle masse popolari a fare le rivoluzione. Il suo lavoro di massa oggi consiste nel mobilitare la classe operaia, il proletariato, il resto delle masse popolari a compiere un movimento pratico che le condurrà a una guerra civile vittoriosa contro la borghesia imperialista, nel quadro della seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo.

 

È possibile costruire un partito comunista clandestino nelle condizioni attuali di controrivoluzione preventiva e al di fuori delle condizioni di una guerra generale? Non è fatale che la borghesia imperialista riesca a impedirne l’esistenza, a stroncare ogni sforzo di costruirlo?

La costruzione del partito comunista nella clandestinità è impresa necessaria e possibile, benché sia un’impresa difficile, essendo un’impresa nuova e in cui, a causa del guasto prodotto dai revisionisti moderni, non possiamo che in minima parte giovarci del patrimonio di esperienze accumulato dai partiti della prima Internazionale Comunista. Nel nostro paese possiamo però giovarci anche dell’esperienza delle Brigate Rosse e delle stesse società segrete. Tuttavia rovesci e sconfitte sono possibili, probabili, da mettere in conto. Non possiamo e non potremo evitarli completamente. La nostra vittoria consiste nel risorgere dopo ogni sconfitta, nel non lasciarci mai eliminare completamente, nell’imparare dagli errori commessi.

La classe operaia ha avuto nel passato partiti clandestini in varie circostanze: nella Russia zarista, nella Cina nazionalista, nell’Italia fascista e in molti altri paesi. I revisionisti moderni hanno alimentato e alimentano l’immagine terroristica della borghesia onnipotente per togliere alla classe operaia uno strumento indispensabile per la sua lotta rivoluzionaria. “Dio è dappertutto”, “Dio vede tutto”, “Dio può tutto” dicono i preti; i portavoce della borghesia e i revisionisti hanno sostituito queste vecchie frasi minatorie dei preti con “La CIA vede tutto, è dappertutto, può tutto”, “Non si muove foglia che la CIA non voglia” e hanno promosso uno sgangherato carrozzone di assassini, di spioni e di mercenari assetati di denaro e di carriera al ruolo di Dio onnipotente! Se i movimenti rivoluzionari negli USA non sono riusciti a svilupparsi, secondo loro la colpa è della CIA e della FBI. Se le Brigate Rosse sono state sconfitte, è “merito dello Stato che a un certo punto ha incominciato a combatterle sul serio”. E così via. L’onnipotenza della classe dominante è stato sempre un tema della propaganda terroristica della stessa classe dominante e una giustificazione sia degli opportunisti sia degli sconfitti che non vogliono riconoscere i propri errori e fare autocritica. Se la ferocia e l’intelligenza delle classi dominanti potessero fermare il movimento di emancipazione delle classi oppresse, la storia sarebbe ancora ferma allo schiavismo. La società borghese è ricca di contraddizioni, ha in sé tanti fattori di instabilità, il suo funzionamento è costituito da un numero illimitato di traffici e di movimenti e per il suo funzionamento la borghesia è costretta ad avvalersi delle masse che nello stesso tempo calpesta: insomma è una società che più delle precedenti società di classe presenta lati favorevoli all’attività delle classi oppresse, che siano decise a battersi. L’attività clandestina che tutti i partiti rivoluzionari hanno dovuto e devono condurre anche nei paesi imperialisti (anche se si professano legali e condannano la clandestinità e quindi la conducono in maniera ausiliaria e dilettantesca), così come l’esperienza delle Brigate Rosse e delle società segrete, confermano che un’organizzazione clandestina può esistere nei paesi imperialisti nonostante il regime di controrivoluzione preventiva, anche nei paesi non coinvolti in una guerra esterna, in periodo di “pace”.

La possibilità per un partito comunista di costituirsi e operare clandestinamente dipende in definitiva dal suo legame con le masse e questo a sua volta dipende dalla linea politica del partito: se essa è o no conforme alle reali condizioni concrete dello scontro che le masse stanno vivendo pur avendone esse una coscienza limitata. Questa è la chiave del successo o della sconfitta di un partito comunista. Per quanto feroce e capillare sia la repressione, essa non è mai riuscita a impedire la vita e l’attività di un partito comunista che aveva una linea giusta e sulla base di questa linea attingeva all’inesauribile serbatoio di energie e di risorse di  ogni genere costituito dalla classe operaia, dal proletariato e dalle masse popolari.

 

 

3.5. Il Piano Generale di Lavoro (PGL)

 

Compito del (nuovo)Partito comunista italiano è guidare la classe operaia a fare dell’Italia un nuovo paese socialista e a dirigere, a partire da questo risultato, il resto delle masse popolari nella transizione dal capitalismo al comunismo. Il (n)PCI svolge questo compito contribuendo così alla rivoluzione proletaria mondiale. La strategia del partito è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Noi stiamo attualmente compiendo la prima fase, quella della difensiva strategica. Il nostro compito in questa fase consiste nell’accumulazione delle forze rivoluzionarie. Il nostro lavoro in questa fase si suddivide in due campi fondamentali.

 

1. Il consolidamento e rafforzamento del partito

Il partito deve mettersi in condizioni di continuare ad esistere, quali che siano gli sforzi della borghesia per distruggerlo o limitarne l’attività; di continuare a moltiplicare il numero e migliorare la qualità delle sue organizzazioni e della loro attività; di unire le masse, mobilitarle e organizzarle (fare di ogni lotta di massa una scuola di comunismo); di costruire, consolidare e rafforzare organizzazioni di massa; di prendere la direzione, tramite la linea di massa, delle organizzazioni di massa già esistenti, in particolare degli attuali sindacati di regime, facendo principalmente leva sugli interessi e le aspirazioni della massa dei loro membri, mobilitando la sinistra perché isoli la destra, unisca a sé il centro e osi dirigere. Il partito deve mettersi in condizione di continuare, quali che siano gli sforzi della borghesia per distruggerlo o limitarne l’attività, a raccogliere l’esperienza, le idee e gli stati d’animo delle masse, elaborarle con crescente maestria alla luce del marxismo-leninismo-maoismo e tradurle in linee, parole d’ordine, direttive, metodi che porta alle masse affinché li assimilino e li attuino; di continuare a svolgere la più larga attività di orientamento, organizzazione e direzione delle masse popolari; di continuare a esercitare e ad allargare la sua influenza nel movimento delle masse e nell’intera società.

Il partito deve quindi costantemente dirigere le forze che raccoglie in modo da rafforzare la sua struttura clandestina centrale, migliorando la divisione del lavoro, creando riserve (di mezzi, strumenti, denaro, risorse di ogni genere) e formando un numero crescente di compagni su ogni terreno del lavoro clandestino.

Il rafforzamento della struttura clandestina centrale va di pari passo con la moltiplicazione dei Comitati di Partito di base (cellule) e intermedi, in particolare delle cellule di azienda. La parola d’ordine “Costruire in ogni azienda, in ogni zona d’abitazione, in ogni organizzazione di massa un Comitato di Partito clandestino!” indica il lavoro che dobbiamo fare in questi anni. Il (nuovo)Partito comunista italiano sarà l’effettivo Stato Maggiore della classe operaia che lotta contro la borghesia imperialista quando sarà in grado di orientare e dirigere il movimento pratico della classe operaia. A questo fine almeno una parte importante degli operai avanzati dovranno essere membri dei Comitati di Partito: il numero degli operai avanzati membri del partito è il metro dei progressi del partito verso il raggiungimento del suo ruolo di Stato Maggiore della classe operaia che lotta contro la borghesia imperialista.

In questa fase i compiti principali di ogni Comitato di Partito (CdP) sono: funzionare in modo clandestino, tenere collegamenti col centro, formare i propri membri, reclutare nuovi membri, svolgere il lavoro di massa, in primo luogo l’orientamento e la direzione delle organizzazioni di massa.

 

2. Il lavoro di massa del partito

In questi anni il partito svolgerà, tramite le sue attività centrali e l’attività dei suoi CdP, il lavoro di massa consistente nel promuovere, organizzare, orientare e dirigere la lotta delle masse popolari su quattro fronti. Si tratta di quattro fronti legati tra loro, che si sviluppano in dialettica tra loro: lo sviluppo di un fronte favorisce lo sviluppo degli altri, un fronte non può svilupparsi senza lo sviluppo, in una qualche misura, degli altri.

Primo fronte: la resistenza alla repressione, la lotta contro la repressione e la solidarietà. Mobilitazione delle masse popolari nella lotta contro la repressione e nella solidarietà con le organizzazioni e gli individui bersaglio delle misure repressive della borghesia, con l’obiettivo principale di rafforzare la capacità delle  masse popolari e delle loro organizzazioni di resistere alla repressione, di accrescere la resistenza morale e intellettuale alla repressione, di sviluppare la coscienza di classe, la coscienza del contrasto antagonista di interessi e la coscienza della lotta che oppone le masse popolari alla borghesia imperialista e in secondo luogo con l’obiettivo di limitare, ostacolare e impedire l’attività repressiva della borghesia. Il partito deve sostenere tutte le organizzazioni che si propongono questi obiettivi e far confluire tutte le loro lotte particolari in un unico torrente che unisca e rafforzi le masse popolari.

Secondo fronte: la mobilitazione delle masse popolari a intervenire nella lotta politica borghese, con l’obiettivo principale di favorire l’accumulazione di forze rivoluzionarie e in secondo luogo con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari ed estendere i loro diritti, di acuire e sfruttare le contraddizioni tra i gruppi e le forze della borghesia imperialista. Il modo più rapido e più efficace per distruggere nelle masse popolari ogni fiducia e illusione circa la serietà e utilità della recita del teatrino della politica borghese, è mobilitare le masse a irrompere sulla scena di quel teatrino.

Terzo fronte: la mobilitazione delle masse popolari nelle lotte rivendicative, nella difesa senza riserve delle conquiste strappate alla borghesia nell’ambito della prima ondata della rivoluzione proletaria, nelle lotte per l’ampliamento dei diritti e per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari. Il principale principio guida del lavoro su questo fronte è “fare di ogni lotta una scuola di comunismo”.

Quarto fronte: la mobilitazione delle masse popolari a costruire gli strumenti e gli organismi autonomi dalla borghesia (case del popolo, centri sociali, cooperative, circoli culturali, casse di mutuo soccorso, associazioni sportive e ricreative, ecc.) utili per soddisfare direttamente, senza dipendere dal mercato della borghesia imperialista e dalla sua Amministrazione Pubblica, i propri bisogni e ad estendere la propria partecipazione al godimento e allo sviluppo del patrimonio culturale della società. Il principale principio guida del lavoro su questo fronte è “fare di ogni iniziativa una scuola di comunismo”.

Il lavoro del partito su questi quattro fronti, combinandosi con il procedere della crisi generale del capitalismo, con l’attività della borghesia imperialista e con la rinascita del movimento comunista a livello internazionale, avrà come risultato la raccolta delle forze rivoluzionarie nel fronte delle organizzazioni e delle classi rivoluzionarie, l’elevamento della qualità delle forze rivoluzionarie della classe operaia che impareranno a dirigere il proletariato e il resto delle masse popolari. Ciò renderà più larga e più acuta la lotta delle classi oppresse contro la borghesia imperialista e determinerà lo schieramento crescente di esse in un fronte che si contrapporrà al campo della borghesia imperialista, darà modo alla direzione della classe operaia di affermarsi in ogni capo del movimento delle masse popolari, creerà le condizioni per il passaggio dalla prima alla seconda fase(*) della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.

 

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Capitolo IV
Programma per la fase socialista