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Comunicato CC 05/11 - 23 gennaio 2011

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Il coraggio, chi non ce l’ha non se lo può dare!

 

Liberazione è schierata con Susanna Camusso e il PD o con Paolo Ferrero e la FIOM?

 

Una singolare polemica su Liberazione, nascosta dietro un articolo di Gramsci, pone all’ordine del giorno la domanda. Vediamo i fatti.

 

Uomini in carne e ossa

Antonio Gramsci (da L’Ordine Nuovo, 08.05.1921)

 

“Questo articolo si riferisce agli avvenimenti della primavera 1921, quando a Torino, in seguito all'annunciato licenziamento di più di mille operai, le maestranze Fiat e Michelin entrano in sciopero. Gli industriali rispondono con la serrata degli stabilimenti e l'agitazione si conclude, agli inizi di maggio, con la sconfitta delle organizzazioni sindacali e il licenziamento di più di 3.500 lavoratori.”

Qui finisce la presentazione dell’articolo di Gramsci fatta da Liberazione il 15.01.2011, il giorno dopo la grande affermazione del “NO a Marchionne” degli operai delle Carrozzerie di Mirafiori (2.305 NO di fronte a 2.314 SI tra gli operai e 2.325 NO di fronte a 2.735 SI del totale dei dipendenti): punto di partenza per lo sciopero del 28 gennaio e per quello che ne seguirà verso la costituzione di un governo d’emergenza delle Organizzazioni Operaie e delle Organizzazioni Popolari, il Governo di Blocco Popolare.

Contro la rassegnazione alla “sconfitta con onore”, suggerita subdolamente il 15 gennaio da Liberazione in linea con Susanna Camusso e il PD, insorsero alcuni lettori del giornale. Riportiamo in Appendice allo scritto di Gramsci, la lettera di uno di loro e la risposta del direttore di Liberazione, Dino Greco, già segretario della Camera del Lavoro di Brescia. Nella risposta Dino Greco ribadisce che nonostante l’eroismo degli operai, a Mirafiori la lotta è finita e che è finita con la vittoria di Marchionne e dei suoi mandanti. Bisogna pensare a come fare a rimontare la china: “ricucire le trame di rapporti a sinistra oggi lacerati o sdruciti e scrollarsi di dosso quella sindrome della sconfitta che ha per troppo tempo consegnato noi all’impotenza e i lavoratori alla solitudine” dice Dino Greco. Il direttore di Liberazione non vuole vedere che l’esito dello scontro di Mirafiori ha invece per ora unito milioni di lavoratori, giovani, studenti, donne, precari, insegnanti, pensionati attorno alla FIOM e ai sindacati di base con essa associati e ha allargato la strada che porta alla costituzione del Governo di Blocco Popolare. Quindi si tratta di dargli il seguito: passare all’attacco grazie al successo conseguito. Si affretta a dichiararlo una sconfitta con onore e chiacchierare su come i politici della sinistra (borghese), reduci dalle elezioni del 2008, devono rimediare alla sconfitta degli operai. È probabile che Dino Greco si sia sentito chiamato in causa anche dalla denuncia che Gramsci fa dei dirigenti che fanno sprecare alle masse mezzi ed energie in lotte di dettaglio e inconcludenti, perché non danno ad esse una direzione realisticamente rivoluzionaria. In sintesi, ai dirigenti sindacali che oggi si ostinano a limitarsi alle rivendicazioni, quando la situazione è tale che sono gettandosi in politica, alla testa del movimento per costituire il GBP, riescono a fare ancora con qualche successo lotte rivendicative “No, dice Dino Greco, che i sindacalisti continuino a fare i sindacalisti e lascino la politica a noi, che ricuciremo con Bersani e Vendola e magari anche con Bertinotti e Prodi”.

“La situazione è cambiata”, civettano ad ogni pie’ sospinto. Ma prontamente agli incitamenti che la FIOM prenda la testa del movimento per costituire il GBP replicano: “I sindacati devono fare i sindacati!”.

Questa è la scienza dei dogmatici di destra: tenere aperto l’ombrello anche quando brilla il sole! Continuare a remare anche quando la scialuppa affonda e c’è la nave di soccorso a portata di mano!

 

Gli operai della Fiat sono ritornati al lavoro. Tradimento? Rinnegamento delle idealità rivoluzionarie? Gli operai della Fiat sono uomini in carne e ossa. Hanno resistito per un mese. Sapevano di lottare e resistere non solo per sé, non solo per la restante massa operaia torinese, ma per tutta la classe operaia italiana.

Hanno resistito per un mese. Erano estenuati fisicamente perché da molte settimane e da molti mesi i loro salari erano ridotti e non erano più sufficienti al sostentamento familiare, eppure hanno resistito per un mese. Erano completamente isolati dalla nazione, immersi in un ambiente generale di stanchezza, di indifferenza, di ostilità, eppure hanno resistito per un mese.

Sapevano di non poter sperare aiuto alcuno dal di fuori: sapevano che ormai alla classe operaia italiana erano stati recisi i tendini, sapevano di essere condannati alla sconfitta, eppure hanno resistito per un mese. Non c'è vergogna nella sconfitta degli operai della Fiat. Non si può domandare a una massa di uomini che è aggredita dalle più dure necessità dell'esistenza, che ha la responsabilità dell'esistenza di una popolazione di 40.000 persone, non si può domandare più di quanto hanno dato questi compagni che sono ritornati al lavoro, tristemente, accoratamente, consapevoli della immediata impossibilità di resistere più oltre o di reagire.

Specialmente noi comunisti, che viviamo gomito a gomito con gli operai, che ne conosciamo i bisogni, che della situazione abbiamo una concezione realistica, dobbiamo comprendere il perché di questa conclusione della lotta torinese.

Da troppi anni le masse lottano, da troppi anni esse si esauriscono in azioni di dettaglio, sperperando i loro mezzi e le loro energie. E' stato questo il rimprovero che fin dal maggio 1919 noi dell' "Ordine Nuovo" abbiamo incessantemente mosso alle centrali del movimento operaio e socialista: non abusate troppo della resistenza e della virtù di sacrificio del proletariato; si tratta di uomini comuni, uomini reali, sottoposti alle stesse debolezze di tutti gli uomini comuni che si vedono passare nelle strade, bere nelle taverne, discorrere a crocchi sulle piazze, che hanno fame e freddo, che si commuovono a sentir piangere i loro bambini e lamentarsi acremente le loro donne.

Il nostro ottimismo rivoluzionario è stato sempre sostanziato da questa visione crudamente pessimistica della realtà umana, con cui inesorabilmente bisogna fare i conti. Già un anno fa noi avevamo previsto quale sbocco fatalmente avrebbe avuto la situazione italiana, se i dirigenti responsabili avessero continuato nella loro tattica di schiamazzo rivoluzionario e di pratica opportunistica. E abbiamo lottato disperatamente per richiamare questi responsabili a una visione più reale, a una pratica più congrua e più adeguata allo svolgersi degli avvenimenti.

Oggi scontiamo il fio, anche noi, dell'inettitudine e della cecità altrui; oggi anche il proletariato torinese deve sostenere l'urto dell'avversario, rafforzato dalla non resistenza degli altri. Non c'è nessuna vergogna nella resa degli operai della Fiat. Ciò che doveva avvenire è avvenuto implacabilmente. La classe operaia italiana è livellata sotto il rullo compressore della reazione capitalistica. Per quanto tempo? Nulla è perduto se rimane intatta la coscienza e la fede, se i corpi si arrendono ma non gli animi.

Gli operai della Fiat per anni e anni hanno lottato strenuamente, hanno bagnato del loro sangue le strade, hanno sofferto la fame e il freddo; essi rimangono, per questo loro passato glorioso, all'avanguardia del proletariato italiano, essi rimangono militi fedeli e devoti della rivoluzione. Hanno fatto quanto è dato fare a uomini di carne ed ossa; togliamoci il cappello dinanzi alla loro umiliazione, perché anche in essa è qualcosa di grande che si impone ai sinceri e agli onesti.

(da "L'Ordine Nuovo", 8 maggio 1921)

 

Appendice

Una lettera a Liberazione e la risposta del direttore il 19.01.2011

 

Il coraggio di chi si è ribellato al sopruso

Una pagina nuova

 

Caro direttore,

ti scrivo a proposito dell'articolo di Antonio Gramsci, riportato in prima pagina dal nostro quotidiano il 15 gennaio, quando si conoscevano già i risultati della votazione degli operai della Fiat, contro l'accordo capestro imposto da mister Marchionne e da tutti i suoi servi sciocchi e meno sciocchi. Permettimi, caro direttore, di ritenere che quell'articolo, così carico di umanità di Gramsci, scritto in occasione di una terribile sconfitta per il movimento operaio della Fiat nel '21, è fuori luogo di fronte all'orgoglio con cui gli operai di Mirafiori hanno respinto l'accordo capestro. Sì respinto, perché senza il servilismo opportunista del 95% di quegli impiegati d'officina, gli operai, quelli che producono con fatica, hanno risposto un "no", sofferto, ma secco. E, allora, perché quell'articolo in prima pagina, così bello e struggente, ma così inappropriato? Certamente perché Liberazione, come tutti gli altri quotidiani usciva di stampa alcune ore prima dei risultati del referendum di Mirafiori, e probabilmente il coraggio di quegli operai ci ha sorpresi, mettendo a nudo il nostro pessimismo, ben diverso dal "nostro ottimismo rivoluzionario" sottolineato da Gramsci. Forse perché, malgrado il quotidiano impegno di compagni e compagne davanti a Mirafiori in questi giorni, ciò che ci confonde le idee, come Partito, è quale deve essere il nostro compito. Oserei dire che sono quegli operai a farci coraggio e non viceversa. Ma allora potremo da domani continuare ad essere gli stessi nei confronti dei vari Chiamparino, Fassino, ma anche giovani "rottamatori" fiorentini? Quale il nostro ruolo, oltre a quello di cercare di salvare la "nostra pelle"? Quale il nostro ruolo, in una società, dove un milione e mezzo di cittadini firmano in poco tempo contro la privatizzazione dell'acqua; una vastità di persone esprime forte preoccupazione per le scelte energetiche che ci vogliono riportare al nucleare; molte comunità lottano contro la realizzazione di infrastrutture devastanti quanto inutili. E intanto gli operai della Fiat respingono, seppure spaventati, il bestiale ricatto di mister pullover. Tutti alla ricerca di risposte diverse ad una società ormai insostenibile. Il Partito e il giornale non dovrebbero diventare guida verso un modello di società diverso più equo-eco-socio sostenibile? Proprio perché ci costringono a questa cruda riflessione, nei confronti di quegli operai dobbiamo "toglierci il cappello", ma non dinanzi alla "loro umiliazione", ma di fronte al loro coraggio. Quello che serve ora è il nostro coraggio nel proporre e lottare per un nuovo modello di società che faccia i conti con i capitalisti, ma anche con quegli pseudo-riformisti che dai neo liberisti differiscono sempre meno.

Gianni Naggi Torino

 

Caro Gianni,

comprendo il motivo che ti ha spinto a scriverci e la preoccupazione, da te così ben espressa, che fosse nostra intenzione sovrapporre, pari pari, il commento di Gramsci alla storica sconfitta operaia che nel '21, alla Fiat, pose fine al "biennio rosso", preparando l'avvento del fascismo, alla magnifica prova di dignità e di coraggio con cui la metà dei lavoratori dell'azienda torinese ha saputo rispondere al ricatto loro imposto da Sergio Marchionne. Liberazione ha trattato (sta trattando) la questione in modo inequivoco e ha sottolineato come quei lavoratori, e la Fiom che li ha saputi guidare, rappresentino un capitale politico e morale su cui investire per riprendere la lotta, fuori da ogni rassegnazione. Resta, tuttavia, il dato - drammatico - di un colpo d'ariete assestato al contratto nazionale di lavoro, al diritto di coalizione e a quello di sciopero; resta una vulnerazione profonda della stessa Costituzione; e resta un peggioramento delle già gravose condizioni di lavoro indotte da una metrica, da un'organizzazione del lavoro, e da una contrazione delle pause che - per dirla con le parole di Maurizio Landini - “spezzano” il fisico di quanti vi sono sottoposti. La circostanza che la metà dei lavoratori abbia ritenuto di non avere scelta e "con la pistola puntata alla tempia" abbia detto sì, validando quel brutale atto di prepotenza, fa ben capire, come da domani, sarà la vita in fabbrica. Bisogna saperlo, non per sminuire il significato di quella battaglia o per retrocedere di un solo passo, ma per ricucire le trame di rapporti a sinistra oggi lacerati o sdruciti e scrollarsi di dosso quella sindrome da sconfitta che ha per troppo tempo consegnato noi all'impotenza e i lavoratori alla solitudine. Ecco, quello che non dobbiamo permettere accada è che la straordinaria prova di coraggio degli operai della Fiat rimanga un episodio di eroica resistenza, un atto di ribellione sul quale poi si richiuda lo stagno. Dunque, sono d'accordo con te: qui c'è molto da imparare. E da fare. A partire da Torino si deve raccogliere la sfida e svolgere il tema di una rappresentanza politica di quel mondo operaio che, rischiando in proprio, si è ribellato al sopruso. Per aprire una pagina nuova.

Dino Greco

 

Il coraggio, chi non ce l’ha non se lo può dare! Ma non è sempre vero!

Ci sono situazioni in cui alcuni prendono il coraggio a due mani!

 

Fare di venerdì 28 gennaio una giornata di mobilitazione generale

e di sciopero di tutte le categorie per diffondere e rafforzare
la volontà di costituire il Governo di Blocco Popolare
e la mobilitazione per costituirlo!

 

Già a Pomigliano e meglio ancora a Mirafiori abbiamo retto all’urto di Marchionne!

 

Dobbiamo porre costantemente in ogni lotta del presente le basi per ulteriori avanzamenti!

 

Nessuna delle lotte in corso è solo una lotta rivendicativa. Salvo eccezioni, ognuna delle lotte rivendicative oggi condotte dalle Organizzazioni Operaie e dalle Organizzazioni Popolari può avere successo solo con una soluzione che le combina tutte insieme: solo grazie a una trasformazione politica del paese, alla costituzione del Governo di Blocco Popolare!

 

Nessun governo emanazione dei vertici della Repubblica Pontificia e subordinato al sistema imperialista mondiale attuerà mai le misure necessarie perché il nostro paese rimedi immediatamente agli effetti più gravi della crisi e contribuisca con gli altri paesi a porre fine alla crisi economica e ambientale che sconvolge tutto il mondo!

 

Le misure imposte da Marchionne, da Sacconi e dai loro mandanti e complici non ci portano fuori dalla crisi. Se dovessero passare, sarebbero solo un altro passo nella crisi che si aggrava e nel precipizio di una maggiore barbarie, della guerra e della distruzione degli uomini e dell’ambiente!

 

La giornata del 28 gennaio può e deve diventare un punto di svolta nella trasformazione del nostro paese!

 

Il nuovo Partito comunista italiano

- chiama ogni lavoratore e ogni elemento cosciente delle masse popolari a partecipare e far partecipare alle mobilitazioni per far fronte alla crisi, contro i vertici della Repubblica Pontificia!

- chiama gli operai avanzati a costituire comitati contro la crisi in ogni azienda!

- chiama ogni elemento avanzato delle masse popolari a costituire organismi popolari in ogni quartiere e in ogni paese!

 

Il nuovo Partito comunista italiano

chiama gli operai e gli elementi delle masse popolari più avanzati e più generosi a costituire clandestinamente Comitati di Partito in ogni reparto e azienda, in ogni quartiere e paese, in ogni organizzazione di massa, a ogni livello: per aggregare gli elementi più avanzati, imparare a funzionare clandestinamente, imparare assieme a svolgere una efficace opera di orientamento sui propri compagni, sulle OO e sulle OP della zona, sulle organizzazioni sindacali, sulle masse popolari!

 

Possiamo vincere! Dobbiamo vincere! Avanti, verso il Governo di Blocco Popolare!

 

I comunisti hanno il coraggio di affrontare la situazione, forti delle lezioni del movimento comunista!