Torna all'indice del La Voce 10 - marzo 2002

L’ottava discriminante

- Sulla questione del maoismo terza superiore tappa del

pensiero comunista, dopo il marxismo e il leninismo

- Sulla necessità che i nuovi partiti comunisti siano marxisti-leninisti-maoisti e non solo marxisti-leninisti

(seconda parte, segue da La Voce n. 9)

(prima parte, La Voce n.9)

indice della seconda parte

 

1. La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata

Quale strada dobbiamo seguire noi comunisti dei paesi imperialisti per portare la classe operaia a instaurare la dittatura del proletariato, dare inizio alla fase socialista di trasformazione della società e contribuire alla seconda ondata della rivoluzione proletaria mondiale?

 

2. Le rivoluzioni di nuova democrazia

La strategia dei comunisti nei paesi coloniali e semicoloniali oppressi dall'imperialismo

 

3. La lotta di classe nella società socialista

Il contributo storico dei paesi socialisti costruiti durante la prima ondata della rivoluzione proletaria e gli insegnamenti della loro esperienza

 

4. La linea di massa

La linea di massa come principale metodo di lavoro e di direzione di ogni partito comunista

 

5. La lotta tra le due linee nel partito

La lotta tra le due linee nel partito come principio per lo sviluppo del partito comunista e la sua difesa dall’influenza della borghesia

 

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Ritengo che per noi tutti, tanto per i compagni russi che per i compagni stranieri, l’essenziale sia questo: dopo cinque anni di rivoluzione russa dobbiamo studiare (...). Ogni momento libero dalla lotta, dalla guerra, dobbiamo utilizzarlo per lo studio e per di più cominciando dal principio”.

(Lenin, al quarto congresso della IC novembre-dicembre 1922)

 

Parafrasando quello che Stalin dice trattando del leninismo,(1) premetto che esporre gli apporti che il maoismo ha dato al pensiero comunista non vuole dire esporre la concezione del mondo di Mao Tse-tung. La concezione del mondo di Mao e il maoismo non sono, per ampiezza, la stessa cosa. Mao Tse-tung è un marxista-leninista e la base della sua concezione del mondo è il marxismo-leninismo. Quindi esporre il maoismo non significa esporre tutta la concezione del mondo di Mao, ma esporre ciò che vi è di particolare e di nuovo nell’opera di Mao, ciò che Mao ha apportato al tesoro comune del marxismo-leninismo e che è legato al suo nome.(2) Questa è una discriminante tra noi e tutti quei “maoisti” che presentano il maoismo come una concezione a sé stante, assolutamente nuova e indipendente dal marxismo-leninismo, come una rottura col vecchio movimento comunista.

In questo articolo mi limiterò ad esporre cinque apporti di Mao al pensiero comunista. Essi illuminano alcuni dei principali problemi politici che tutti i comunisti per forza di cose attualmente devono affrontare, sono indispensabili anche per fare un giusto bilancio del vecchio movimento comunista e della prima ondata della rivoluzione proletaria ed è in forza di essi che i nuovi partiti comunisti devono essere e saranno marxisti-leninisti-maoisti.(3) I lettori che vogliono avere una conoscenza più ampia del maoismo, possono trovare altrove illustrati altri apporti di Mao.(4)

 

1. La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata

Quale strada dobbiamo seguire noi comunisti dei paesi imperialisti per portare la classe operaia a instaurare la dittatura del proletariato, dare inizio alla fase socialista di trasformazione della società e contribuire alla seconda ondata della rivoluzione proletaria mondiale?

 

Quando le forze soggettive della rivoluzione socialista vanno oltre un approccio spontaneo alle lotte e superano lo stadio in cui partecipano alle “lotte che ci sono”, fanno “quello che possono”, cercano di dare vigore a ogni lotta che capita e hanno fiducia che di lotta in lotta, se il numero delle lotte aumenta e così pure il numero dei lavoratori che vi partecipano, se le lotte diventano più accanite e decise (diventano più “militanti”), alla fine riusciremo a vincere, allora esse abbandonano il terreno della spontaneità (5) e si pongono il problema della via alla conquista del potere, il problema della strategia da seguire da oggi alla conquista del potere: qual è la “via da battere” per arrivare a instaurare la dittatura del proletariato, qual è l’impianto generale da cui dipende anche la strategia che seguiremo in ognuna delle fasi attraverso cui per forza di cose dovremo passare, l’indirizzo generale in base al quale fare piani a lunga scadenza e progettare le nostre singole operazioni, distinguere le iniziative che ci convengono da quelle che non ci convengono, capire quali sono le classi e le forze politiche e sociali su cui in ogni fase possiamo contare e quanto possiamo contare su ognuna e impiegare nel modo più opportuno le forze organizzate che dirigiamo. Avere una strategia giusta è rispondere in modo giusto alla domanda: quelli che già oggi sono convinti che in definitiva la classe operaia per risolvere i suoi mille problemi deve conquistare il potere e instaurare la dittatura del proletariato, cosa devono fare per avvicinarsi alla vittoria, per condurre di tappa in tappa la classe operaia a creare le condizioni necessarie perché in conclusione nel corso dell’attuale crisi generale del capitalismo instauri il suo potere e inauguri la nuova epoca della trasformazione della società, l’epoca socialista? Ciò è anche dare una risposta, fondata sull’esperienza e la scienza del movimento comunista e non solo spontanea, istintiva o di buon senso, alla “via democratica e parlamentare al socialismo”, alla “via delle riforme di struttura”, alla “evoluzione pacifica verso il socialismo”, alla “convergenza graduale tra i due sistemi” e alle altre “vie” di cui i revisionisti sono stati i paladini nei paesi imperialisti e che hanno mostrato, negli ultimi 15 anni oramai anche nella pratica, il loro carattere utopistico.

A chiunque rifletta sull’argomento, diventa poi chiaro che anche la frequenza e l’intensità delle lotte, la quantità di lavoratori che vi partecipano e l’accanimento con cui vi partecipano e, soprattutto, l’efficacia delle lotte, cioè tutto quello che per lo spontaneista è il dato da cui partire, a parità di altre condizioni in realtà dipende dall’indirizzo che diamo alla nostra attività, dalla via che seguiamo. Più e più volte ogni compagno ha vissuto situazioni in cui molti lavoratori vorrebbero fare, ma non sanno cosa fare o, se anche hanno un’idea di cosa fare, non hanno concretamente i mezzi per farlo perché non se li sono preventivamente procurati e non sono nelle condizioni per farlo perché non le hanno per tempo create. Il livello di mobilitazione delle masse popolari che effettivamente si determina di fronte ad un avvenimento non è il frutto spontaneo né casuale di tante volontà individuali né delle relazioni spontaneamente stabilite tra le masse popolari dal ruolo che esse svolgono nella società borghese. Neanche la coscienza che si ha nelle masse popolari di un avvenimento è il frutto spontaneo o casuale di tante esperienze individuali. Entrambi sono il frutto delle condizioni che la lotta politica e il precedente movimento politico hanno creato. Quante lotte ci sono, quanti lavoratori vi partecipano e con quale determinazione, che caratteristiche hanno queste lotte, sono dati che possiamo modificare con una linea appropriata: se abbiamo creato una rete organizzativa e canali di intesa, se abbiamo per tempo diffuso un orientamento giusto, se abbiamo preparato adeguatamente le lotte, se abbiamo indetto le lotte giuste al momento giusto, se abbiamo conseguito delle vittorie. Per vincere è indispensabile avere e attuare una strategia giusta, cioè conforme alle condizioni concrete in cui lottiamo, alle condizioni da cui partiamo e che non dipendono dalla nostra volontà e dalla nostra intelligenza, che non possiamo cambiare con la nostra attività o che possiamo cambiare solo conducendo per un certo tempo un'attività adeguata.

È quindi indispensabile e ovvio che noi comunisti, che ricostruiamo il partito comunista nel mezzo di una fase di instabilità e di sconvolgimento dell’ordine esistente (che chiamiamo “situazione rivoluzionaria in sviluppo”) che si protrarrà ancora per molti anni quali che siano le iniziative di individui, gruppi e partiti, definiamo, sia pure in termini generali e schematici, la strada che dobbiamo seguire nei prossimi anni, da ora fino a quando avremo instaurato la dittatura del proletariato: la nostra strategia. Una FSRS che non si occupa di ciò, anche se dichiara di lavorare alla ricostruzione del partito comunista, o è fuori strada o dà comunque un contributo limitato.

I comunisti si sono posti fin dai tempi del Manifesto del partito comunista (1848) il problema di quale era la via che dovevano seguire, l’indirizzo generale a cui dovevano attenersi per adempiere al compito di condurre la classe operaia a instaurare il suo potere.

Nel 1848 e per un po’ di anni i comunisti si sono illusi che il proletariato avrebbe conquistato il potere nel corso di una rivoluzione popolare, in modo analogo a come l’aveva conquistato la borghesia contro le forze feudali. Per sua natura la società borghese è perennemente terreno di innumerevoli lotte di interesse tra classi, gruppi e individui. Queste lotte ogni tanto “entrano in risonanza”, si acutizzano, si coalizzano fino a dividere la società in due campi contrapposti ed esplodono in un conflitto che coinvolge l’intera società. “Sarebbe successo che una minoranza, costituita da un partito proletario capace di mettersi alla testa del movimento e di esprimere coerentemente le esigenze economiche, politiche e culturali del proletariato e della maggioranza della popolazione, sarebbe stata in grado, lottando contro la minoranza borghese in alleanza con la quale era stata combattuta la prima fase della rivoluzione, di guidare la maggioranza del popolo alla vittoria contro la borghesia”.(6)

Nel 1895 Engels riconobbe che la storia aveva smentito questa concezione condivisa anche da lui e da Marx e aveva fatto capire che la classe operaia “onde poter rovesciare la società borghese, doveva, almeno fino ad un certo punto, aver elaborato gli strumenti e le condizioni del suo potere già all’interno di essa”.

Nello scritto cui qui si fa riferimento (F. Engels, Introduzione a Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 di K. Marx, 1895), Engels spiegava che la rivoluzione socialista si distingue da tutte le rivoluzioni che nella storia l’hanno preceduta. Tutte le rivoluzioni erano state rivoluzioni di minoranze, anche quando il grosso della popolazione prendeva in esse una parte attiva. Si era sempre trattato della sostituzione del dominio di una classe sfruttatrice con quello di un’altra. Una minoranza dominante veniva rovesciata e un’altra minoranza prendeva il suo posto. Per sua natura la rivoluzione socialista invece esige non solo la partecipazione attiva del grosso della popolazione al rovesciamento del vecchio potere, ma anche la sua partecipazione attiva alla creazione del nuovo potere e alla trasformazione sociale a cui esso presiede. Inoltre tra la massa dei lavoratori e qualsiasi minoranza sfruttatrice vi è una differenza qualitativa che non vi è tra l'una e l'altra minoranza sfruttatrice. Tanto meno l'accesso della massa dei lavoratori al potere è della stessa natura della successione di un partito borghese ad un altro nella direzione dello Stato. Il nuovo potere non può consistere nella presa di possesso del vecchio Stato e delle sue istituzioni alla cui attività  si tratterebbe solo di dare un orientamento diverso e nuove leggi. È necessario distruggere il vecchio Stato, le sue istituzioni e il suo ordinamento e sostituire a ciò un nuovo Stato su misura della nuova classe dominante e dei suoi obiettivi, con le sue proprie istituzioni e i suoi propri ordinamenti. Ciò comporta quindi un'adeguata preparazione del grosso della popolazione a questo ruolo, un’accumulazione delle forze rivoluzionarie che si deve attuare non a cose fatte, dopo la conquista del potere, ma nell’ambito di questa stessa società, mentre permane il potere della borghesia. Una parte di questo lavoro era stato fatto, diceva Engels nel 1895. Nei maggiori paesi capitalisti dell’Europa, riconosceva Lenin vent’anni dopo, “nell’ultimo terzo del secolo XIX e all’inizio del secolo XX, nel lungo periodo 'pacifico' della più crudele schiavitù capitalista e del più rapido progresso capitalista, la Seconda Internazionale ha compiuto la sua parte di utile lavoro preparatorio, di organizzazione delle masse proletarie” (Lenin, La situazione e i compiti dell’Internazionale socialista, 1° novembre 1914). Essa in vari paesi europei aveva portato milioni di proletari a coalizzarsi in partiti, a proporsi alcuni comuni obiettivi e ad esercitare, come collettivo e grazie al loro numero, quegli stessi diritti politici che la borghesia voleva riconosciuti a ogni individuo (maschio), ma che nessun proletario, a causa della sua condizione economica, individualmente poteva esercitare. Il partito proletario era giunto ad usufruire di quei diritti ed esercitava sulla vita politica del paese quell'influenza a cui ogni borghese poteva giungere individualmente grazie alle sue ricchezze e al suo ruolo nella società civile. Già nel 1895 Engels affermava però che la borghesia dei paesi europei avrebbe violato essa stessa la propria legalità, come gli avvenimenti successivi hanno abbondantemente confermato. Egli annunciava il passaggio del sistema politico borghese dalla democrazia borghese alla controrivoluzione preventiva e, da parte del partito comunista, un’accumulazione delle forze rivoluzionarie che non si sarebbe più svolta principalmente nelle lotte elettorali e parlamentari né in generale nell’ambito degli ordinamenti esistenti.

Quindi non solo era impossibile che la classe operaia instaurasse il suo potere in modo analogo a come aveva fatto la borghesia, ma era fuor di luogo anche puntare su una conquista del potere per via elettorale e parlamentare e ritenere adeguate ai compiti che la classe operaia e le masse popolari dovevano svolgere, quella aggregazione, organizzazione e unificazione ideologica e politica di esse che si attuavano attorno alle lotte parlamentari e alle croniche lotte di interessi, del tutto connaturate e fisiologiche alla società borghese, che ad esse facevano capo e che davano luogo alla formazione di partiti elettorali, sindacati, cooperative e altre organizzazioni di massa. Ma Engels non diceva come il partito comunista avrebbe dovuto rispondere a quella trasformazione del regime politico della borghesia, che avrebbe posto fuori gioco il modo su cui esso aveva fino a quel momento operato per accumulare forze rivoluzionarie in seno alla società borghese.(7) Nell’articolo già citato Lenin a sua volta aggiungeva che “all’Internazionale Comunista spetta il compito di organizzare le forze del proletariato per l’assalto rivoluzionario contro i governi capitalisti, per la guerra civile contro la borghesia di tutti i paesi, per il potere politico, per la vittoria del socialismo!”. Restava indefinito come la nuova Internazionale avrebbe realizzato questo compito.

La prima Internazionale Comunista non ha portato all'instaurazione della dittatura del proletariato in Europa, ma, nel corso della lunga crisi che nella prima metà del secolo scorso ha sconvolto il continente, ha fatto molto a questo fine. Le concezioni e i metodi con cui la IC ha cercato di indirizzare le vicende di quel periodo e ha impegnato nella lotta le forze di cui disponeva e i risultati della sua attività costituiscono un prezioso materiale sperimentale. Noi comunisti dobbiamo adoperarlo per elaborare le concezioni e definire i metodi e i criteri con cui affrontiamo a nostra volta lo stesso compito nel corso della nuova crisi generale che già da circa trent’anni scuote i nostri paesi, rimette in discussione gli ordinamenti di ogni paese e internazionali ed elimina una dopo l’altra le conquiste che le masse popolari dei nostri paesi avevano strappato. In breve, dobbiamo adoperare l'esperienza della prima IC per elaborare la nostra strategia che mira a instaurare la dittatura del proletariato.(8)

Il bilancio delle esperienze della prima IC porta alcuni compagni a conclusioni che, pur diverse tra loro, non solo non illuminano e inquadrano gli avvenimenti né indirizzano e stimolano il lavoro che dobbiamo fare, ma in varia misura intralciano sia la comprensione sia il lavoro pratico e demoralizzano le nostre forze. Queste conclusioni hanno in comune la sottovalutazione delle potenzialità rivoluzionarie della classe operaia e delle masse popolari dei paesi imperialisti. Non volendo riconoscere che le concezioni e i metodi della prima IC erano inadeguati all'obiettivo che perseguiva, devono ripiegare sulla tesi che la classe operaia dei paesi imperialisti non vuole il socialismo o che l'instaurazione del socialismo nei paesi imperialisti è impossibile o per lo meno a non sapere cosa fare salvo sperare nel movimento rivoluzionario dei paesi oppressi o nella fortuna. In linea generale si tratta di bilanci inficiati di empirismo.(9) Un bilancio basato sui fatti ma condotto alla luce del materialismo dialettico porta invece alla conclusione che anche nei paesi imperialisti la via alla conquista del potere da parte della classe operaia, la forma della rivoluzione socialista, è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.(10)

A differenza della Seconda Internazionale, la IC ha tenuto presente nella sua pratica la differenza qualitativa tra le lotte di interessi (connaturate alla società borghese e croniche) e la lotta per il socialismo. Essa però ha costantemente contrapposto, come elementi l’uno dei quali esclude l’altro, lotta pacifica e lotta violenta, lavoro all'interno della società borghese e lavoro contro la società borghese, attività parlamentare e guerra civile, alleanza e lotta, contraddizioni non antagoniste e contraddizioni antagoniste, contraddizioni tra masse popolari e borghesia imperialista e contraddizioni tra gruppi della classe dominante, politica rivendicativa e politica rivoluzionaria, organizzazione legale e organizzazione clandestina. Al contrario, nella realtà, questi elementi costituiscono unità di opposti. La strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata riconosce queste unità di opposti, sviluppa entrambi i termini dell'unità e compone con essi la lotta della classe operaia per minare e in definitiva eliminare il potere della borghesia imperialista e instaurare il suo potere. I conflitti cronici (strutturali, fisiologici) della società imperialista contrappongono i membri delle masse popolari (come individui, come collettivo di lavoro, come categoria, come classe) alla borghesia imperialista, ma di per se stessi non li uniscono in modo permanente in un fronte antagonista alla società borghese. Perché contemporaneamente, mentre lo coinvolge in conflitti ripetuti e cronici con il capitalista e il suo Stato, la società borghese sottopone ogni membro delle masse popolari alla direzione e all'influenza ideologica e morale della borghesia e smussa ed erode il lato antagonista che per altro verso ha creato e continuamente ricrea.

Si tratta allora per il partito comunista di raccogliere e consolidare in apposite istituzioni il lato antagonista che la società borghese stessa ha in sé e che da essa ripetutamente emerge. Si tratta di raccogliere e unire in organizzazioni tutto quanto di antagonista la società borghese cronicamente genera, educare all'antagonismo tutti quanti l'esperienza ha portato a imboccare questa strada, rafforzare il loro antagonismo con la forza dell'organizzazione e dell'azione, di fare in modo che esso eserciti la sua influenza su tutta la società pur essendo ad essa esterno e contrapposto. In breve in ogni paese imperialista il partito comunista deve porsi il compito di promuovere, organizzare e dirigere la guerra delle masse popolari contro la borghesia imperialista. Ma non si tratta per i partiti comunisti di dichiarare una guerra che non esiste. Si tratta al contrario da parte dei partiti comunisti di prendere coscienza della guerra non dichiarata già in atto e di portare per tappe le masse popolari a condurla anch'esse in modo sempre più adeguato.

La seconda crisi generale del capitalismo e la connessa situazione rivoluzionaria in sviluppo sono il contesto del disfacimento dell'attuale società  e della lotta per l'affermazione della società socialista nei paesi imperialisti. La borghesia imperialista per valorizzare il suo capitale conduce già oggi anche contro le masse popolari dei paesi imperialisti una guerra non dichiarata nel corso della quale essa schiaccia e in vario modo tortura fisicamente e spiritualmente gran parte della popolazione dei paesi imperialisti. Essa stessa distrugge gli ordinamenti e le pratiche entro cui la soggezione delle masse popolari dei paesi imperialisti alla borghesia era diventata abitudine. Il corso che la cupola dei gruppi imperialisti americani ha impresso agli avvenimenti a partire dalla passata estate conferma in modo ancora più lampante che il bersaglio principale dei gruppi imperialisti sono proprio le masse popolari dei paesi imperialisti. È chiaro del resto che finché essi riusciranno a tenere in qualche modo sottomesse le masse popolari dei paesi imperialisti, essi riusciranno anche a tenere a bada i popoli dei paesi oppressi: dividendoli, contrapponendoli l'uno all'altro, bombardando gli irriducibili e terrorizzando. D'altra parte i gruppi imperialisti possono fare il gendarme mondiale solo se instaurano nei paesi imperialisti Stati sempre più di polizia e una crescente mobilitazione reazionaria delle masse. Questo è il processo della crisi generale del capitalismo. Esso si sviluppa con una straordinaria varietà di forme e con frequenti trasformazioni. Esso procede con alti e bassi, in modo molto irregolare e differenziato. Periodi in cui l'oppressione colpisce in modo particolarmente crudele si alternano a periodi quasi di tregua. Periodi in cui l'oppressione colpisce acutamente ampi settori delle masse popolari si alternano a periodi in cui i colpi peggiori sono concentrati su settori ristretti. Ora un gruppo ora l'altro subisce ora quella ora l'altra forma di attacco da parte della borghesia. A questa guerra ogni individuo, gruppo, categoria e classe delle masse popolari attualmente reagisce in ordine sparso come meglio può. La borghesia dispone di vari mezzi per dividere, per colpire un gruppo dopo l'altro, per ostacolare la concentrazione delle classi e dei gruppi colpiti, per metterli l'uno contro l'altro. Ma è un processo che proseguirà finché l’attuale crisi generale non avrà fine o nella rivoluzione socialista o in una nuova guerra interimperialista che definirà un nuovo ordinamento mondiale per il capitalismo (che non possiamo in assoluto escludere). Si tratta quindi per ogni partito comunista di trasformare per tappe questa guerra non dichiarata e dalle masse popolari solo subita, in una guerra che le masse popolari conducano in forma sempre più organizzata, sempre più unificate e prendendo sempre più in mano l'iniziativa. L'esperienza della Resistenza contro il nazifascismo in Italia e in Francia mostra che anche nei paesi imperialisti più sviluppati la guerra rivoluzionaria è possibile: tutto dipende da quanto le masse popolari vi partecipano. Ogni partito comunista deve comprendere in forma sempre più profonda la guerra non dichiarata in corso, raccogliere le forme di resistenza che le masse oppongono, elaborarle, socializzarle e portarle a un livello superiore. Combinare tutte le forme di lotta che le masse praticano, legali e violente, aperte e clandestine. Trovare i modi di far sempre più confluire tutti i gruppi, le categorie e le classi delle masse popolari in un fronte unico che si opponga al campo della borghesia imperialista. Ovviamente ogni partito dovrà imparare, e sarà certamente un processo lungo, tortuoso e doloroso, ad applicare al proprio particolare e ad ogni particolare le tesi generali, dovrà fare uno sforzo costante per trarre il generale dal particolare, facendo tanto più leva sul particolare quanto più la situazione politica è arretrata. La strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è una strategia per la trasformazione della classe operaia in classe dirigente, per far passare le masse popolari dalla direzione della borghesia alla direzione della classe operaia e per instaurare la dittatura del proletariato spazzando via la dittatura della borghesia. La guerra popolare rivoluzionaria è una guerra di tipo speciale, diversa da quelle finora viste, che la classe operaia condurrà a sua maniera. All'interno di questa guerra l'aspetto militare è essenziale, ma l'importanza del suo ruolo varierà grandemente di tappa in tappa. Solo lo sviluppo pratico ci permetterà di definire via via meglio i compiti da assolvere. In termini generali ora si può dire che per ogni partito si tratterà

1. di individuare le fasi per arrivare all’instaurazione della dittatura del proletariato, di scoprire per ogni fase gli obiettivi e le linee giuste (cioè conformi all’oggettivo sviluppo delle contraddizioni del mondo attuale e dello specifico paese) e di organizzarsi in modo adeguato per realizzarli;

2. di mobilitare ogni classe e gruppo delle masse popolari a difendere con la maggiore efficacia possibile ogni suo interesse particolare contro la borghesia imperialista e di sfruttare in ogni modo le croniche lotte di interessi che si svolgono nella società borghese e nelle sue istituzioni come aspetto ausiliario dello sviluppo del processo rivoluzionario;(11)

3. di portare, identificandosi con la sua avanguardia organizzata, la classe operaia ad agire in conformità alle linee e agli obiettivi indicati dal partito e ad assumere la direzione del resto delle masse popolari;(12)

4. di muovere in ogni circostanza le parti avanzate delle masse in modo da aprire la strada della lotta alle parti più arretrate che possono radicalizzarsi solo se danno espressione pratica alla tendenza anticapitalista dettata dall'esperienza pratica dell'oppressione e dello sfruttamento;(13)

5. di costruire e dirigere (direttamente o indirettamente) dal di fuori dei rapporti politici borghesi (quindi il partito è per forza di cose illegale) il fronte più ampio possibile di classi e di forze politiche per realizzare gli obiettivi di ogni fase, promuovendo la massima organizzazione delle masse in organismi pubblici e clandestini, legali e illegali, pacifici e combattenti;

6. di curare in ogni modo lo sviluppo di forze armate rivoluzionarie dirette dal partito perché in definitiva alla lotta armata spetta un compito decisivo e conclusivo per realizzare le aspirazioni delle masse popolari e instaurare la dittatura del proletariato (“il potere nasce dalla canna del fucile”).

Insomma si tratta di sviluppare tutto il potenziale della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, costruendo un ampio fronte di forze e classi rivoluzionarie attorno al partito che ha con ogni parte del fronte un rapporto di unità e di lotta.(14)

Mao Tse-tung ha elaborato l’esperienza della rivoluzione russa e della rivoluzione cinese fino a ricavarne la più avanzata teoria della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Egli ha sviluppato in modo sistematico la scienza di questa guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Essa è la teoria più compiuta della forma della rivoluzione proletaria, della via che la classe operaia deve battere anche nei paesi imperialisti per prendere il potere. Essa inoltre illumina e chiarisce l’esperienza della prima Internazionale Comunista i cui passaggi ed esiti senza di essa restano misteriosi, mentre alla luce di quella teoria diventano altamente istruttivi.

 

2. Le rivoluzioni di nuova democrazia

La strategia dei comunisti nei paesi coloniali e semicoloniali oppressi dall'imperialismo

 

La prima ondata della rivoluzione proletaria e lo sviluppo dell’imperialismo hanno fatto ulteriormente maturare le condizioni della rivoluzione democratica nei paesi coloniali e semicoloniali dove vive la maggioranza dell’umanità e hanno fatto avanzare anche alcune delle più importanti condizioni per il suo successo. Gli operai (i lavoratori assunti nelle aziende capitaliste) sono più numerosi. Il livello culturale e la capacità organizzativa sono enormemente cresciuti. Una grande esperienza rivoluzionaria è stata accumulata durante la prima ondata della rivoluzione proletaria e la lotta che ha eliminato il sistema coloniale. In numerosi paesi operano gruppi e partiti comunisti, in alcuni (Perù, Colombia, Filippine, Nepal, Bangladesh, India, Turchia, ecc.) sono in corso guerre popolari rivoluzionarie e in altri paesi vi sono forti movimenti rivoluzionari. La sconfitta del vecchio sistema coloniale e il fallimento del neocolonialismo hanno mutato in modo irreversibile la situazione. Il capitale finanziario ha infine distrutto su scala più larga le condizioni che rendevano possibile la miserabile sopravvivenza degli altri lavoratori che esso spoglia con imposte, interessi, diritti, tariffe e prezzi di monopolio. Mossi dalla crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale che li attanaglia, i gruppi imperialisti in concorrenza tra loro hanno invaso e depredano più in profondità i paesi oppressi e li sottopongono a nuove aperte aggressioni. La “politica dei bombardieri” rinnova con maggiore potenza e ferocia le “imprese civilizzatrici” della “politica delle cannoniere” dell’inizio del secolo XX e conferma a tutti i popoli la “superiorità della civiltà cristiana” impersonata dalla coppia conflittuale di amici-nemici Bush e Woityla: il boia che ammazza e il cappellano che conforta. I gruppi imperialisti avanzano pretese senza fine di ogni genere e in ogni campo. E le avanzano con un’arroganza tanto più aperta quanto maggiore è la resistenza a soddisfarle. Questo è il terreno da cui nasce il fermento che cresce in tutti i paesi oppressi. La ribellione che cova in questi paesi e che dà luogo ad esplosioni via via più frequenti, è una manifestazione dei grandi passi in avanti compiuti dall’umanità durante la prima ondata della rivoluzione proletaria e delle condizioni migliori con cui essa affronta la seconda ondata. Il declino del vecchio movimento comunista e l’aggressione dell’imperialismo non hanno cancellato che una parte delle conquiste raggiunte, mentre rendono oggettivamente contraddittorie e soggettivamente intollerabili le nuove e crescenti pretese dei gruppi imperialisti e dei loro fantocci e agenti locali.(15) Ciò che appunto li spinge ad avanzarle con un’arroganza sempre più aperta e intollerante, con armi più potenti e con un terrorismo più feroce. La lotta di classe diventa più acuta man mano che il capitalismo si avvicina alla sua fine, benché gli avvenimenti e gli schieramenti nei dettagli non seguano tutte le istruzioni dei nostri manuali.

Tutto ciò fa assumere ai paesi coloniali e semicoloniali nella nuova ondata della rivoluzione proletaria che avanza, un ruolo ancora più importante di quello che ebbero nella prima ondata, nella sua preparazione e nel suo svolgimento.(16) I paesi coloniali e semicoloniali stanno già oggi dando un importante contributo allo sviluppo della seconda ondata della rivoluzione proletaria. Lì per il momento si svolgono le battaglie più cruente. La lotta per l'affermazione nel movimento comunista del maoismo come terza superiore tappa del pensiero comunista è stata lanciata dal Partito comunista peruviano e dal suo presidente Gonzalo. I partiti comunisti dei paesi coloniali e semicoloniali esercitano una grande influenza nella formazione dei nuovi partiti comunisti nel mondo intero. Il movimento politico dei paesi coloniali e semicoloniali, grazie ai colpi che porta agli interessi dei gruppi imperialisti, alimenta in misura crescente il movimento politico dei paesi imperialisti e lo accelera. Quali che ne siano i promotori, organizzatori ed esecutori, gli attentati di martedì 11 settembre a New York e Washington sono effetto anche del movimento di ribellione dei paesi coloniali e semicoloniali: o da lì sono venuti i loro promotori oppure è anche per prendere la testa della serie di colpi inferti ai loro interessi nei paesi arabi che i gruppi imperialisti americani hanno dato il via alla strategia della tensione a livello planetario.

Le posizioni più avanzate da cui partono i paesi coloniali e semicoloniali, assieme alle condizioni più avanzate della lotta contro la discriminazione razziale, contro l’oppressione nazionale e contro la discriminazione e l’oppressione delle donne, contribuiscono ad assicurare che con la seconda ondata della rivoluzione proletaria le classi sfruttate, i popoli, le nazioni e le razze oppresse e le donne raggiungeranno successi e conquiste maggiori di quelli raggiunti con la prima ondata.

L’importanza che ha la rivoluzione dei paesi coloniali e semicoloniali è tale che porta alcuni gruppi e partiti, anche di paesi imperialisti, a ritenere che essa, e non la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti, sia il centro motore della nuova ondata della rivoluzione proletaria a livello mondiale e il terreno in cui in definitiva si deciderà il suo risultato. Questa concezione nel complesso è sbagliata. La contraddizione tra paesi oppressi e paesi imperialisti, come la contraddizione tra gruppi imperialisti, assume in determinate fasi della seconda ondata il ruolo principale, ma esso nel complesso della seconda ondata è svolto dalla contraddizione tra classe operaia e borghesia imperialista. La rivoluzione proletaria è anzitutto una rivoluzione socialista. Quella tesi sbagliata rafforza la sottovalutazione delle potenzialità rivoluzionarie della classe operaia e delle masse popolari dei paesi imperialisti e quindi ha un effetto negativo sull'attività rivoluzionaria dei comunisti dei paesi imperialisti e in definitiva indebolisce tutto il movimento rivoluzionario.

Nella maggior parte dei paesi oppressi, coloniali e semicoloniali, la rivoluzione che si sta sviluppando è una rivoluzione per sua natura democratica. I suoi compiti principali sono 1. l'eliminazione dei residui feudali e delle altre forme di economia basata sui rapporti personali di dipendenza e di oppressione e 2. la liberazione dalla dominazione imperialista, quindi la lotta contro l’imperialismo e i suoi agenti locali (la borghesia compradora e burocratica).

La sola strategia con cui è possibile sviluppare pienamente la rivoluzione nei paesi oppressi e portarla al successo è la strategia della rivoluzione di nuova democrazia: una rivoluzione democratica che è diretta dalla classe operaia tramite il suo partito comunista, che è parte della rivoluzione proletaria mondiale e che crea le condizioni per l'inizio della trasformazione socialista della società.

Mao Tse-tung ha sviluppato la concezione di Lenin sull'alleanza tra operai e contadini e tra operai delle metropoli e popoli oppressi delle colonie e semicolonie e sulle due tappe della rivoluzione. Egli ha elaborato una dottrina sistematica e relativamente completa della rivoluzione di nuova democrazia e del suo sviluppo in rivoluzione socialista. Quindi anche per questo verso si conferma che il maoismo è la terza superiore tappa del pensiero comunista.

 

3. La lotta di classe nella società socialista

Il contributo storico dei paesi socialisti costruiti durante la prima ondata della rivoluzione proletaria e gli insegnamenti della loro esperienz

 

4. La linea di massa

La linea di massa come principale metodo di lavoro e di direzione di ogni partito comunista

 

5. La lotta tra le due linee nel partito

La lotta tra le due linee nel partito come principio per lo sviluppo del partito comunista e la sua difesa dall’influenza della borghesia