Torna all'indice del La Voce 10 - marzo 2002

Un altro mondo è possibile

Con la lotta di classe possiamo costruirlo!

 

Le Giornate di Genova e il Forum di Porto Alegre hanno mostrato che nei paesi imperialisti si sta sviluppando un vasto movimento anticapitalista. Che esso sia anticapitalista, anche se non si chiama così e alcuni dei suoi protagonisti rifiutano di chiamarsi così, è indubbio. Tutte le istanze che esso solleva lo portano a scontrarsi con il capitalismo: che si tratti della povertà, del commercio di bambini e di donne, dell'oppressione dei paesi coloniali o semicoloniali, dei lavoratori immigrati e delle discriminazioni razziali e nazionali, dei debiti, dei brevetti, delle epidemie, delle disuguaglianze economiche e culturali, dell'inquinamento o degli organismi geneticamente modificati. I protagonisti di questo movimento che persisteranno nelle loro aspirazioni, saranno dalla forza delle cose costretti a superare i limiti attuali del movimento. Essi lo faranno in numero tanto maggiore, tanto più rapidamente e con tanto minori sofferenze e diversioni, quanto più i comunisti sapranno essere presenti con una efficace azione di orientamento che adotti come metodo la linea di massa, sapranno tessere e sviluppare vasti ed articolati rapporti organizzativi, sapranno dare l'esempio nella lotta contro la borghesia imperialista. Ovviamente non è scontato che noi comunisti sappiamo fare quanto è necessario. Solo mettendo in discussione i nostri attuali metodi e le nostre attuali parole d'ordine, studiando attentamente i movimenti spontanei (inchieste sul campo), combinando critica delle concezioni utopiste e interclassiste con propaganda delle nostre concezioni, lotta teorica e partecipazione alle iniziative pratiche, provando e riflettendo, riusciremo a porci all'altezza del compito che dobbiamo svolgere.

La borghesia imperialista è già allarmata che questo movimento, per ora soprattutto di protesta e di rivendicazione, sfoci in un movimento rivoluzionario capace di eliminare il presente stato delle cose e costruire un altro mondo. Essa grida già alla “violenza” che sarebbe in germe in questo movimento ancora tutto sommato pacifico.(1) Quindi già si attrezza a prevenire la paventata degenerazione del movimento antimperialista in “violenza”. I bilanci statali si spostano in quella direzione con corrispondente riduzione delle “spese sociali” e vengono approntate le leggi ma soprattutto le istituzioni per la repressione. Cosa che, se noi lavoriamo bene, può solo accelerare la trasformazione dell'attuale movimento in un vero movimento rivoluzionario. Ovviamente noi comunisti dobbiamo in ogni modo non solo favorire che l'attuale movimento di protesta e di rivendicazione sfoci nel movimento rivoluzionario (distruttivo e costruttore) che creerà un altro mondo, ma promuovere questa trasformazione e lavorarvi alacremente con la potenza che ci danno la nostra dottrina e la nostra organizzazione.

A questo fine dobbiamo capire i fattori che promuovono e spingono avanti questo movimento e quali sono i suoi aspetti positivi (e la sinistra che li impersona). Nello stesso tempo dobbiamo capire i limiti della sinistra. Dobbiamo inoltre capire dove sta la destra e quali sono le sue caratteristiche. Dobbiamo cioè fare un'analisi materialistica dialettica dell'attuale movimento, non lasciarci spaventare dalle idee che proclama e dalle proposte che oggi avanza né dalla sua attuale composizione di classe.(2) Ma guardare a quello che esso è nel contesto delle relazioni tra le classi nel mondo attuale, al ruolo che può svolgere e capire cosa dobbiamo fare perché lo svolga. A queste condizioni potremo praticare efficacemente la linea di massa per promuovere e dirigere la sua trasformazione.

Un primo aspetto importante è che questo movimento viene soprattutto dai paesi imperialisti. Quindi tra l'altro smentisce ancora una volta, “dal basso” questa volta, le lagne e le dotte teorie sulla stabilità dell'attuale sistema che Bush e i suoi smentiscono “dall'alto”. Ovviamente vi partecipano con un ruolo importante anche organismi dei paesi oppressi, è importante anche il collegamento che esso crea tra le masse popolari dei paesi imperialisti e quelle dei paesi oppressi, è importante il legame internazionalista tra classi e popoli oppressi dall'imperialismo che in esso si manifesta e che esso alimenta. Tutti questi sono aspetti molto positivi, ma particolarmente importante è la partecipazione che viene dai paesi imperialisti. Perché qui è il terreno di scontro decisivo tra il vecchio e il nuovo mondo (è qui che il sistema imperialista può e deve essere eliminato) e perché qui il movimento politico, il lato soggettivo del movimento che distrugge lo stato presente delle cose, è più arretrato, il movimento rivoluzionario è più arretrato. Al punto che quelle FSRS che vedono le cose solo quando sono già grandi, che non vedono le condizioni materiali che contengono il germe dei movimenti politici, che quindi non sono capaci di fare da incubatrice ed essere promotrici delle possibilità che il mondo oggettivamente ha in sé, insomma le FSRS che meno hanno assimilato il materialismo dialettico (e in questo militaristi ed economicisti vanno a braccetto) sostengono che è impossibile che le masse popolari dei paesi imperialisti facciano una politica rivoluzionaria.

È nei paesi imperialisti, dove le condizioni oggettive del socialismo erano più mature, che più ha influito negativamente la sconfitta subita dal movimento comunista, il lento e tormentoso decadimento vissuto durante i passati cinquant'anni dal movimento comunista guidato dai revisionisti moderni. Qui milioni di uomini e donne hanno capillarmente e quotidianamente sperimentato che le maggiori conquiste che avevano strappato alla borghesia imperialista venivano deformate e stravolte dalla stessa borghesia che le aveva dovute subire ma continuava a governare la società. Hanno visto i servizi sanitari pubblici diventare un covo di speculazione, di parassitismo e di malasanità. Hanno visto il sistema di istruzione per tutti decadere più in basso del vecchio sistema d'istruzione elitario e pretesco. Hanno visto i ricchi arraffare al sistema previdenziale pensioni d'oro mentre alla massa dei pensionati andavano assegni da fame. Hanno visto le aziende pubbliche gestite dai borghesi in un modo tale che gli sprechi e le distruzioni delle aziende capitaliste sembravano al confronto un modello di efficienza. La libertà culturale trasformata in libertà della pornografia, i diritti civili trasformati nell'impunità dei Previti e dei Berlusconi di turno (veri “eroi dei nostri tempi"). L'elenco potrebbe continuare perché riguarda tutte le conquiste: i servizi pubblici, i trasporti, il diritto alla casa, il diritto al lavoro, i diritti civili, i diritti politici, la cultura, le libertà individuali e collettive, ecc. Tangentopoli non è un fenomeno solo italiano ed è molto più vasto e significativo di quello che i magistrati hanno messo in luce per liquidare il regime DC. E la borghesia, autrice di tanto massacro con la collaborazione dei suoi servi revisionisti, lì pronta e assidua a insinuare, a sospirare e a spiegare per bocca di professori e di preti che “roba di tutti, roba di nessuno”, “dove non c'è l'iniziativa privata e l'interesse egoistico dell'individuo, niente funziona”, “i lavoratori sono selvaggi, abusano di ogni conquista”, “ognuno per sé e dio per tutti”. Insomma una vasta e articolata opera pedagogica con cui la borghesia sfruttava la devastazione che essa produceva, per corrompere anche ideologicamente le masse, per riconquistare le posizioni di potere che aveva perso nel cuore e nella coscienza delle masse durante la prima ondata della rivoluzione proletaria. Invece di tirare la conclusione che bisognava togliere alla borghesia il potere, che nessuna conquista di civiltà e benessere era feconda e neanche sicura finché il coltello dalla parte del manico ce l'aveva la borghesia, i revisionisti assecondavano la sua opera e confermavano che lo stravolgimento delle conquiste era inevitabile, che gli uomini sono egoisti per natura, abusano egoisticamente di ogni conquista e così via. La decadenza dei paesi socialisti, che una propaganda capillare e martellante ha diffuso in versione aggravata, completava la rieducazione di massa al capitalismo. L'impotenza rivoluzionaria e la rassegnazione al capitalismo impersonate dai revisionisti si sono trasformate in elogio del capitalismo e in disponibilità a mettere alla prova un capitalismo ritornato al suo barbarico furore. La borghesia ha preparato durante decenni ideologicamente le masse all'eliminazione delle conquiste e alla restaurazione del profitto del capitalista come supremo e universale valore politico e morale e come regola universale di vita. Quando è sopravvenuta la nuova crisi generale del capitalismo, la restaurazione è andata in scena, recitata sul palco della tragedia da Margareth Thatcher, da Ronald Reagan e da Eltsin e Gorbaciov e sul palco della commedia da Craxi col suo corteo di “nani e ballerine”. “Impresa, Inglese e Internet” proclama oggi Berlusconi e magari crede anche di essere originale mentre scimmiotta come un pappagallo gli apologeti del capitalismo di due secoli fa: Bentham e don Giovanni Bosco. L'ospedale, la scuola, il trasporto pubblico, le pensioni: tutto deve marciare con le regole e i criteri di un'azienda capitalista.

Ma la restaurazione che la borghesia promuove è oggi ancora più incompatibile con le condizioni pratiche della vita di quanto il sistema che essa vuole restaurare lo fosse con le condizioni pratiche della vita cento anni fa, quando per la prima volta la classe operaia “diede l'assalto al cielo”. Lo sfacelo delle ferrovie inglesi e le nostre città dalle vie deserte per l'aria irrespirabile sono due dimostrazioni pratiche eclatanti che la restaurazione è impossibile. È come voler far rientrare nel suo vestito da ragazzo che aveva abbandonato perché già gli stava stretto, un individuo che ora è ulteriormente cresciuto. La restaurazione crea e creerà scompigli, sofferenze e manifestazioni a non finire di abbrutimento e di barbarie, ma non riuscirà a riportare il vecchio mondo, tante saranno le opposizioni che essa stessa susciterà, acuirà e costringerà ad andare all'estremo. La ribellione e la resistenza alla restaurazione è quindi un fenomeno sicuro e per così dire spontaneo in ogni paese imperialista.

Il problema che sta di fronte a noi comunisti è però riorientare alla costruzione di una società socialista milioni di persone a cui per decenni è stata data, sulla base dell'esperienza, la lezione contraria. Abbiamo a nostro favore l'esperienza pratica diretta e attuale della restaurazione e dei suoi disastri. Ma non a caso mentre il ripudio della restaurazione si diffonde, la comprensione della strada da imboccare e il movimento pratico che apre questa strada sono molto più limitati e più difficili da creare. Si tratta di convogliare sull'unica strada su cui può svilupparsi un movimento di milioni di uomini che oggi si disperde ancora in mille sogni vaghi e utopisti.

Su questo lato si manifestano tutti i limiti del movimento attuale. E qui domina la destra che nel movimento impersona ciò che lo lega alla borghesia. Kofi Annan, versione moderna dello zio Tom, può rivolgersi ad esso spiegando che lui è andato a New York al “Forum di Davos” anziché a Porto Alegre perché bisogna pur spiegare ai padroni del mondo quello che non devono più fare e quello che devono incominciare a fare “nel loro stesso interesse”. E Cofferati al congresso della CGIL a Rimini benevolmente si dice disposto a intendere le ragioni di Porto Alegre, “a una sola ma determinante condizione: il rifiuto della violenza teorizzata, praticata o anche solo tollerata": essa è monopolio di Bush, di Berlusconi e dei loro mercenari che abbiamo visto in opera in Afghanistan ma anche sul Cermis, a Ustica, a P.za Fontana e a Genova. Alle masse popolari è concesso chiedere, ma con gentilezza e nella dovuta misura.

Né i Kofi Annan e i Cofferati, ma neanche i Bertinotti e i Chevènement sarebbero però ostacoli seri se non fosse che essi danno voce ad un'illusione che è la bandiera della destra del movimento antimperialista. L'illusione che si tratti di far comprendere ai padroni del mondo che la loro politica è sbagliata e di convincerli a fare “nel loro stesso interesse” un'altra politica. Ma la politica che ha portato alla situazione attuale non è né casuale né frutto di cattive idee o di cattivi sentimenti. È frutto di precisi e potenti interessi, cui nessuno dei caporioni del sistema capitalista può sottrarsi, salvo essere sostituito da altri nel ruolo. Finché la direzione della società è nelle mani dei titolari di questi interessi, quali che siano le promesse che faranno e i timori che essi stessi nutriranno di fronte agli effetti più gravi delle loro azioni e ai pericoli per la stabilità del loro potere che ne derivano, essi ritorneranno appena possibile alle loro attività e cercheranno di limitare il più possibile i discostamenti che le proteste, le opposizioni e le minacce li obbligheranno a fare da ciò che i loro interessi li spingono a fare. Per loro quegli interessi delimitano “la verità e la giustizia, la legge naturale che si dovrebbe seguire e che è volontà di dio che si segua se non si fosse distolti dalle passioni, dalle malvagie tendenze e dalle debolezze delle masse popolari e degli esponenti facinorosi di esse in particolare”. L'unica globalizzazione, l'unica unificazione del mondo che la borghesia imperialista può attuare (ed è grosso modo quella che attua con le sue Forme Antitetiche dell'Unità Sociale, le sue guerre e le sue iniziative economiche, politiche e culturali) è una unificazione in cui i gruppi imperialisti espandono i loro affari, sottomettono una cerchia più vasta di paesi e di persone al loro sfruttamento economico. Peggio ancora dove formalmente non assumono i lavoratori come dipendenti nelle loro imprese.(3) I gruppi imperialisti più grossi mangiano i più piccoli, i paesi più avanzati sottomettono al loro controllo quelli più arretrati e li sfruttano, i gruppi imperialisti si scontrano tra loro con manovre economiche e politiche e, a questo fine, mettono sotto controllo, con le buone (con i soldi) o con le cattive (aggressioni e manovre occulte) le attività politiche e culturali di tutti i paesi, a cominciare da quelle dei maggiori paesi imperialisti. Bill Gates e Soros donano in beneficenza decine di miliardi di dollari, perché continueranno ad accumularne nelle loro mani molti di più.

Tutte le prediche, tutti i tentativi, tutte le buone intenzioni di far fare alla borghesia imperialista una globalizzazione sostanzialmente diversa da quella che essa fa seguendo i suoi interessi e la sua natura, sono, a secondo dei casi, parole al vento o iniziative utili solo a confondere le acque e mascherare le reali attività della borghesia (ma possiamo servircene per smascherarle e denunciarle). La destra del movimento antimperialista quindi ha poche possibilità di manovra.

Il nostro problema sono i limiti che intralciano la sinistra e che le rendono difficile prendere con decisione in mano le cose e trasformare l'attuale movimento in un movimento consapevolmente rivoluzionario. Questi limiti sono sostanzialmente due.

1. Anzitutto le concezioni reazionarie del mondo che hanno corso nella parte più combattiva e radicale del movimento. Queste concezioni hanno in comune la tesi che il mondo era migliore prima, che bisogna ritornare al mondo che il capitalismo ha distrutto. Hanno la faccia rivolta al passato, al sogno di restaurare un fantastico “bel mondo antico” mai esistito. In realtà il capitalismo ha solo sviluppato il vecchio mondo della divisione e dell'oppressione di classe, lo ha “perfezionato” e portato al suo massimo sviluppo, fino al punto che esso, che non è nato per caso ma per precisi motivi, ora finalmente può essere soppiantato da un nuovo mondo che attinge dall'attuale la sua ragion d'essere, la necessità e la possibilità della sua nascita. La possibilità di costruire un mondo che si regoli col principio “da ognuno secondo le sue possibilità, a ognuno secondo i suoi bisogni” sta nelle forze produttive e nella cultura umanistica e scientifica che l'umanità ha accumulato, sta nella società moderna. Però bisogna anzitutto che i lavoratori organizzati le tolgano dalle mani della borghesia e le prendano essi in mano, come l'esperienza dei primi paesi socialisti ha insegnato, evitando ovviamente le ingenuità e gli errori propri della prima volta che l'impresa è stata tentata. Se guardiamo la storia degli uomini su un tempo abbastanza lungo, vediamo che nel passato c'è una barbarie peggiore dell'attuale, che la borghesia non fa che continuare e perfezionare la vecchia barbarie e che cerca con ogni mezzo e a prezzo di ogni crimine di perpetuarla il più a lungo possibile. Il solo altro mondo materialmente possibile è il mondo comunista. Questo dobbiamo capirlo e spiegarlo a quanti sono capaci di capirlo, mostrandolo negli avvenimenti di ogni giorno e di ogni ambiente. Da questo dobbiamo trarre le parole d'ordine che la sinistra ha bisogno di portare nel movimento per unire il centro e isolare la destra. L'unico appiglio realistico alle concezioni reazionarie della sinistra sta nel fatto che da trent'anni a questa parte la borghesia sta effettivamente cercando di restaurare i criteri e gli ordinamenti di cento anni fa, anteriori alla prima ondata della rivoluzione proletaria e ha fatto un pezzo di strada in questa direzione. Quindi il mondo di venti o trent'anni fa era “migliore” dell'attuale. Per capire e far capire questo è indispensabile un giusto bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria.

2. Alle concezioni reazionarie si accompagna il carattere utopistico dei rimedi che la sinistra del movimento antimperialista ancora oggi cerca di attuare. Tutte le proposte che hanno qualche seguito oggi in questo movimento rientrano tra quelle che il vecchio movimento socialista ha avanzato e sperimentato nella prima metà del secolo XIX prima in Inghilterra (soprattutto negli anni '30) e poi in Francia (soprattutto negli anni '40).(4) Esse appartengono al museo del socialismo utopistico o reazionario. I limiti principali e comuni di quelle proposte e delle iniziative pratiche con cui si cercò di attuarle sono due. 1. Cercavano di realizzare nella società attuale, mantenendo i suoi attuali rapporti di produzione, una distribuzione “più giusta” o “meno diseguale” della ricchezza. 2. Volevano sostituire alla lotta di classe contro i capitalisti e i ricchi la collaborazione dei capitalisti e dei ricchi con i lavoratori per migliorare il mondo. Il socialismo utopista della prima metà del secolo XIX e le sue proposte ora utopiste ora reazionarie vennero sostituite tra i lavoratori dal socialismo scientifico che dimostrò che per cambiare la distribuzione della ricchezza occorreva cambiare il modo di produrre la ricchezza e quindi l'intera società.(5) Esso mostrò inoltre che solo le classi oppresse con la lotta di classe (e la rivoluzione violenta e l'instaurazione della dittatura del proletariato che ne sono gli sbocchi inevitabili) possono cambiare la società. Questa sostituzione avverrà anche oggi e in condizioni infinitamente più facili di allora vista l'esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, vista la fine che ha fatto il revisionismo moderno che della collaborazione di classe aveva fatto il suo metodo e della correzione graduale della distribuzione della ricchezza la sua bandiera e vista la forza del movimento rivoluzionario nei paesi oppressi dove le proposte utopiste o reazionarie diventano subito e comunque incendiarie.

Nell'attuale movimento la destra è composta da quelli che vogliono convincere o costringere i padroni a collaborare a migliorare il mondo e da quelli che predicano le soluzioni utopiste. La sinistra è costituita da quelli che fanno, anche se al momento fanno cose che non hanno futuro e rifiutano la lotta di classe. Quelli che predicano misure utopiste possono continuare finché trovano fedeli e la soggezione pratica delle masse popolari alla borghesia, finché dura, è una fonte inesauribile di tali fedeli. Chi le attua, si scontra invece abbastanza presto con i loro limiti e, se persiste nelle sue aspirazioni, passerà ad iniziative migliori: alla lotta di classe. Questo non significa che ogni iniziativa deve necessariamente finire nella violenza, che bisogna sempre e in ogni situazione venire alle mani. Ma significa che proprio l’educazione delle masse popolari alla violenza rivoluzionaria che distrugge la vecchia classe dominante, il suo sistema di vita e le istituzioni e i rapporti sociali che lo incarnano, è il cuore del solo movimento rivoluzionario che può costruire un altro mondo.

Anna M.

 

NOTE

1. La violenza attualmente presente nel movimento è limitata ad episodi nelle manifestazioni di strada e finisce con le manifestazioni di strada. È ancora episodica apparenza non connaturata alla concezione e agli obiettivi del movimento. Alla generosità e allo slancio militante non corrisponde ancora il contenuto che è limitato alla protesta e alla rivendicazione. È un germe che noi comunisti dobbiamo sviluppare verso la violenza rivoluzionaria, curando che non degeneri verso il militarismo.

2. Il prete Gapon diede il via alla Rivoluzione russa del 1905. Il movimento studentesco del 4 maggio (1919) aprì la fase nuova della rivoluzione cinese. Il movimento studentesco del '68 diede inizio al movimento rivoluzionario degli anni '70. La teoria marxista è una guida per la comprensione del movimento in corso e per la sua direzione. Non un dogma. La prossima rivoluzione sarà diretta dalla classe operaia perché ciò è inscritto nella natura del capitalismo, ma nella sua preparazione e nel suo svolgimento le varie parti (classi, ceti, generazioni, gruppi, partiti) delle masse popolari giocheranno un ruolo che dobbiamo capire studiando il movimento reale e modificare agendo in esso, non fissare a tavolino deformando la nostra teoria in una sorta di enciclopedia teologica.

3. L'imperialismo, col capitale finanziario come forma principale e dirigente del capitale, tra l'altro differisce dal capitalismo premonopolistico (preimperialista) in cui la forma principale e dirigente era il capitale industriale, anche in questo. Esso sfrutta, fa lavorare per la valorizzazione del capitale, per l'arricchimento dei capitalisti, nei paesi imperialisti e ancora più nei paesi coloniali e semicoloniali, non solo i lavoratori che assume nelle sue imprese, ma anche una massa di altri lavoratori  che continuano a lavorare alla vecchia maniera e nell'ambito dei rapporti di produzione tradizionali. Il capitale incamera una parte del frutto del loro lavoro sotto forma di interessi sui prestiti, imposte, diritti e brevetti, tariffe, prezzi di monopolio, ecc. Quindi peggiora la loro situazione, elimina quanto di paternalistico vi era nei vecchi sistemi di sfruttamento, aumenta illimitatamente la pressione sui lavoratori perché aumentino il loro sforzo e riducano i loro consumi, li estenua fisicamente e spiritualmente e spinge al massimo lo sfruttamento delle risorse naturali e la devastazione dell'ambiente. Non solo, ma, in primo luogo, nel sistema imperialista il capitalista non svolge, se non indirettamente e quindi in misura ridotta, quella “missione civilizzatrice” che comunque svolge come capitalista industriale quando per aumentare il plusvalore estorto al lavoratore assunto nella sua azienda applica alla produzione le risorse della potenza intellettiva umana, le conoscenze scientifiche accumulate dall'umanità e sviluppa sistematicamente la tecnica produttiva e la ricerca di metodi e di mezzi che aumentano la produttività del lavoro dei suoi dipendenti. In secondo luogo, esso non aggrega i lavoratori nelle aziende e quindi non porta quel fattore di crescita culturale e civile della massa dei lavoratori che suo malgrado deriva dalla vita collettiva di centinaia di lavoratori nelle aziende e che favorisce l'organizzazione dei lavoratori. In terzo luogo, esso mette al suo servizio, fa sue alleate, stabilizza e per alcuni versi potenzia le vecchie classi sfruttatrici (schiaviste, feudali o semifeudali) che ora sfruttano i lavoratori per lui, con la maggiore barbarie propria dei vecchi rapporti di produzione, ma ora spogliata anche di quanto di abitudinario, statico, paternalistico, religioso la abbelliva e in qualche misura la attenuava quando lo sfruttamento dei lavoratori aveva come limite il consumo e la ricchezza della classe dominante mentre ora è spinto all'estremo dall'insaziabile sete di profitti propria del capitalista. Quella barbarie produce oggi attività che prima non aveva prodotto e da cui rifugge la morale benpensante costruita su misura del vecchio capitalismo industriale: la prostituzione minorile di massa, la tratta in massa delle donne, l'eliminazione di uomini per vendere organi, il sacrificio in massa di uomini per sperimentare nuovi medicinali e nuovi prodotti di bellezza, nuovi alimenti, nuove armi, nuove droghe e fa rifiorire vecchie barbarie (pratiche mistiche, mutilazioni, massacri, ecc.) su scala mai prima esistita. A questo si accompagna la stabilizzazione dei sistemi politici che assecondano, tutelano e difendono questo sfruttamento più barbarico di quello del capitale industriale. Per questo lato della questione, si attua a livello planetario quello che in piccolo è successo nel Meridione del nostro paese quando, per dirlo con il conservatore Sonnino (1875), la dominazione dei Savoia conservava “una situazione che senza di essa le popolazioni meridionali avrebbero da tempo risolto con una qualche forma di rivoluzione”.

Ovviamente tutto questo confluisce nel nuovo slancio rivoluzionario dei popoli oppressi, lo alimenta e conferisce ad esso quella determinazione e quello slancio eroici che suscitano meraviglia e ammirazione nelle classi oppresse dei paesi imperialisti e atterriscono le classi dominanti.

4. Gli utopisti cercavano di stabilire quale doveva essere la “giusta ripartizione” della ricchezza nella società borghese e di farla valere nella pratica. Ma la “giusta ripartizione” di questa società è grossomodo quella che è già in vigore, che la pratica di tutti i giorni fa valere. Il fatto che questa distribuzione sia sentita come ingiusta, è solo un sintomo che questa società ha generato le condizioni per il suo superamento. Ma si tratta di superare l'intera società, non solo il suo sistema di distribuzione.

Gli attuali sostenitori del “commercio equo e solidale”, ad esempio, ripetono oggi quasi parola per parola le proposte che Proudhon faceva (Filosofia della miseria) nel 1846 agli artigiani e agli operai parigini. E le proposte di Proudhon a loro volta non facevano che riproporre gli Equitable Labour-Exchange-Bazars (empori per lo scambio equo dei prodotti del lavoro) che erano stati creati in molte città dell'Inghilterra da cooperative operaie negli anni 30 (il primo venne creato a Londra da Robert Owen nel 1832) e regolarmente falliti non appena venuta meno la beneficenza di qualche avveduto ricco o l'assistenza di qualche lungimirante autorità governativa. Oggi forse le fondazioni bancarie, i Soros o Bill Gates di turno, i fondi dell'ONU o della UE o gli stessi Ministeri per la cooperazione che non mancano in nessun governo (in Italia Craxi era un esperto nel ramo) li terranno in vita un po' di più perché i problemi sono più gravi, la situazione è più avanzata e più favorevole alle masse popolari e i pericoli per la borghesia maggiori. Ma il loro valore come rimedio su larga scala alla disuguaglianza e allo sfruttamento è nullo oggi come lo fu due secoli fa. Trasformano in plebe che vive di elargizioni i miserabili che il sistema crea.

5. La critica dettagliata delle proposte utopiste di Proudhon è stata data da Marx in La miseria della filosofia (1847). Essa è ripresa in succinto anche nel Manifesto del partito comunista (1848).